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Autore: whitecoffee    02/09/2017    4 recensioni
❝“Potresti abbassare il volume della tua maledetta musica? Sono almeno quarantacinque minuti che non faccio altro che sentire “A to the G, to the U to the STD”. Per quanto tu sia bravo a rappare, il mio esame è più importante. Grazie”
-W
“N to the O to the GIRL to the KISS MY ASS”
-myg
“Senti, Agust Dick, comincia a calmarti, che non ci metto niente a romperti l’amplificatore e pure la faccia.”
-W❞
rapper/photographer!YoonGi | non-famous!AU | boyxgirl
-
» Storia precedentemente pubblicata sul mio account Wattpad "taewkward"
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Min Yoongi/ Suga, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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II.
Sleepy Boy
 


I am aware that I am an asshole,
I really don't care… about all of that though!

(Falling in ReverseJust Like You)
 


Y O O N G I 

 
Ci sono individui in grado di indicare con sicurezza gli eventi giudicabili come “più difficili”, all’interno della vita. Molti, sostengono che il parto rientri di diritto nella top 3 di opzioni universalmente papabili. Soprattutto le donne. Per carità, non potevo sapere quanto dolore fossero costrette a sopportare, per continuare la specie umana, come la natura si aspettava da loro. Tuttavia, la vera azione più difficoltosa da portare a termine, per me non era quella. Svegliarsi svettava al posto numero uno nazionale, nella mia lista di fatiche erculee.
Personalmente, dover abbandonare il mondo onirico e riconnettermi con la realtà quotidiana costituiva un trauma talmente grande, da essere paragonabile al parto. La sofferenza provata era la stessa. Il sollievo che mi provocava abbandonare la presa sulla coscienza, la possibilità di uscire dalla mia stessa prigione di pensieri, era impagabile. Se solo avessi potuto, avrei tranquillamente vissuto nei sogni. Almeno, andava tutto come dicevo io, e se non mi piaceva, potevo tranquillamente decidere di cambiare scenario, da bravo soggetto affetto da lucid dreams. Dormire era per me un’azione sacra, il letto una divinità che andava onorata quante più volte mi fosse possibile, e per lunghi tratti di tempo. A volte, mi assopivo per giornate intere, senza svegliarmi. Motivo per il quale, non avessi una routine quotidiana o un ritmo biologico propriamente definito. Il mio corpo si adattava ai momenti di veglia come meglio poteva, che fossero le tre di notte o le cinque di pomeriggio. Per me era uguale, e non m’importava.
I miei amici avevano imparato una semplice, ma basilare regola: quando non rispondevo ai loro messaggi per più di tre ore, ero sicuramente addormentato. Ragion per la quale, avessi fornito una copia della chiave del mio appartamento a ciascuno di essi, in caso di emergenza. Avvenimento che aveva provocato una serie di visite inaspettate e non richieste a qualunque ora del giorno e della notte. Non che m’interessasse più di tanto, per la maggior parte del tempo dormivo. Ero così restio ad uscire e a dover fare i conti con la vita, che non sapevo nemmeno che faccia avesse la mia nuova vicina di casa. Sapevo che fosse una ragazza, perché l’avevo sentita parlare al telefono, in uno di quei rari momenti in cui sostavo nel dormiveglia. Gli attimi nei quali si è sia incapaci di tornare nel mondo onirico, che di stringere la presa sulla realtà.
Ad ogni modo, aveva un nome strano. Qualcosa che c’entrasse con le stagioni. Ed avevo il vago sospetto che non dovessi starle troppo simpatico. Mi era parso di sentire un paio di urla che chiedevano di abbassare la musica, di tanto in tanto. Il problema, era che non mi andava. E quindi non l’avevo fatto. L’unico modo che ho per rendere la vita più sopportabile, è affogarla nelle voci dei miei rappers preferiti, o di produrre brani a mia volta. A causa dei miei problemi di sonno, ogni momento per me è buono per fare ciò che voglio. Mi era completamente indifferente ascoltare A$AP ROCKY alle quattro di pomeriggio o alle due del mattino, il tempo era un’unità di misura inesistente, valida soltanto ad indicare le ore in cui dovessi costringermi ad indossare la divisa da barista e rinchiudermi nel pub sulla quarantaquattresima, durante il weekend. Era un lavoraccio della malora, che continuava a dimostrarmi quanto in basso potesse arrivare l’essere umano corrotto dall’alcol, non facendo altro che aumentare il rifiuto che la vita stessa produceva nel mio corpo. Vedevo una quantità sconsiderata di minorenni ubriacarsi fino a piangere cercando la loro madre, o di donne dal rossetto vivace e gli occhi tristi. La cui dignità tentava disperatamente di arrampicarsi sul bicchiere di uno degli altrettanto falliti uomini d’ufficio che ordinavano solo whisky on the rocks. Odiavo il genere umano. Di riflesso, detestavo anche me stesso. Ma quella, era un’altra storia.


 


 
«È mai possibile che tu viva in quel buco da anni, e l’unica volta in cui ti si presenti la possibilità di scoparti qualcuno, nemmeno esci per vedere che faccia abbia?»
Roteai gli occhi, passandomi il telefono sull’altro orecchio, mentre armeggiavo con i fili del mixer. Il bastardo aveva deciso di non voler più collaborare con me da un momento all’altro, morendo proprio nel bel mezzo di una registrazione. Minuti dopo, TaeHyung aveva deciso di essere in vena di fare due chiacchiere. Il telefono aveva squillato per almeno cinque minuti di fila, costringendomi a rispondere contro la mia voglia. Ecco perché spendevo metà del mio tempo a dormire. Avevo meno rogne dietro cui dover stare, quando ero incosciente.
«Non è colpa mia se abbiamo orari diversi» ribattei, provando a scollegare un cavo e a cambiare entrata. Sentii uno sbuffo, dall’altro lato della cornetta. TaeHyung era ventunenne e frequentava l’ultimo anno di drammaturgia all’università. L’avevo conosciuto nel più strano dei modi e ancora mi domandavo come avevamo fatto a diventare così amici. A quanto sembrava, Park JiMin era una nostra conoscenza comune, e l’altro aveva bisogno di un book di foto da presentare ad un’agenzia televisiva. Era quindi venuto a sapere che uno dei miei impieghi fosse il fotografo, e mi aveva contattato. Mi è tutt’ora difficile comprendere come sia possibile che una persona dall’aspetto così adatto agli obiettivi, abbia una mente tanto fottuta come la sua.
TaeHyung era uno dei ragazzi più belli che conoscessi. Obiettivamente, senza sfondi omosessuali. Visto con gli occhi del fotografo. Eppure, era talmente pazzo, da essere uno di quegli individui capaci di saltare sui tavoli dei fast food e cominciare a ballare, al ritmo di una musica che suonava solo nella sua testa. Oppure, poteva guardare un punto indefinito per minuti di fila, dicendo di stare comunicando con gli alieni. Era completamente andato. E non faceva alcun uso di droga, sorprendentemente. Tuttavia, mi piaceva, la sua personalità. Non era capace di mentire, si comportava nel medesimo modo con tutti. Uno degli aspetti più divertenti della faccenda, era che quella sua mancanza di rotelle lo facesse andare forte con le ragazze. A quanto sembrava, alle donne piaceva molto ridere. E lui era bravissimo, in quello.
«Sai almeno come si chiama? È importante conoscere il nome di una persona. Descrive il cinquanta percento della sua personalità» blaterò, mentre cambiavo un altro paio di fili, pregando che l’oggetto ritornasse in vita in tempi brevi. Nome. Il suo nome. Come si chiamava la nuova inquilina? Cercai di richiamare alla memoria la scritta sulla targhetta accanto al campanello.
«C’entra con le stagioni» dissi, sforzandomi. Poi, mi ricordai la lettera iniziale. Era una W. «Winter» decretai, con trionfo. E il mixer parve risuscitare, sentendo il suo nome. Esultai in silenzio levando un pugno al cielo, congratulandomi mentalmente con me stesso.
«Che cazzo di nome è?» Domandò TaeHyung, scoppiando a ridere. Mi strinsi nelle spalle, anche se lui non poteva vederlo. Che ne potevo sapere io, del suo nome? Non ero mica sua madre. «Magari è una tipa fredda», azzardò.
«Non che me ne freghi più di tanto» commentai, spostandomi alla scrivania e accendendo il computer.
«Sarai mica frocio, YoonGi?» Chiese lui. Sbuffai. Soltanto perché non avevo una ragazza da un anno intero, ero diventato “quello strano” all’interno della comitiva. Sia lui che JiMin non riuscivano a comprendere il fatto che non sentissi alcuno stimolo nei confronti delle tipe che mi ronzavano attorno. Mi sembravano tutte così mortalmente uguali, sorridenti, accondiscendenti. Ridevano in modo troppo sguaiato e si affannavano ad impiastricciarsi la faccia con quintali di trucco. Tanto da farmi domandare quale sarebbe stato il loro aspetto, una volta rimosso quel mascherone di contouring. Per non parlare del loro cervello. Era più piccolo della circonferenza delle mie cosce, il che era tutto dire. Non ero ancora riuscito a trovare qualcuna che stuzzicasse la mia mente nel modo giusto, affinché volessi conoscerla meglio. Per il momento, mi annoiavano e basta. Me ne stavo meglio da solo, a dormire.
«Vuoi che venga da te, così andiamo a suonare alla sua porta?» Mi propose. «Magari è una cessa, e allora potrai continuare a vivere di seghe e riviste porno senza problemi».
«Chiudi quella fogna, TaeHyung» commentai, e riagganciai. Senza prendermi nemmeno la briga di ascoltare la sua risposta. Sarebbe stata sicuramente una stronzata.
Cominciai a trafficare con il pc, e al mio terzo tentativo fallito di aprire Google, compresi che qualcosa non andava. Le lucine del modem lampeggiavano, ma era come se non arrivasse alcun segnale al mio computer. Poi, mi ricordai del fascio di bollette che avevo accumulato sul tavolo in cucina, qualche settimana prima. Probabilmente mi avevano staccato Internet. Ops. Sarei dovuto uscire per pagare. Che rottura di coglioni.
Aprii la casella del wifi per puro sfizio, pregando che la fortuna fosse dalla mia parte. Lessi una serie di usernames composti da numeri e dal nome della compagnia telefonica, completamente inservibili. Provare ad entrare nel loro sistema sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio, ed io non avevo né il tempo né la pazienza di pigiare cifre e parole a caso. Non quella sera. Poi, i miei occhi caddero sul titolo di un collegamento nuovo. “Say the name”. Lo aprii e immisi la parola “seventeen” nella stringa per la password. Un paio di secondi dopo, mi ero connesso. Non potevo crederci. A giudicare dalla potenza del segnale, la fonte doveva essere anche vicina.
Quale persona fuori di testa utilizzava la frase di una k-boyband come nome e password per il proprio modem? Doveva trattarsi per forza di una ragazza, piuttosto giovane. Passai in rassegna i volti dei condomini che avevo incrociato nel corso degli anni, ma nessuno corrispondeva ai requisiti. Poi, mi venne in mente la nuova vicina di casa. Che non avevo mai visto, ma qualcosa mi diceva che dovesse trattarsi proprio di lei. Non potevo avere cinque tacche di segnale e aspettarmi che il modem sorgente fosse al settimo piano. Così, le piaceva il pop coreano. Sorrisi, fra me e me. Forse TaeHyung non aveva tutti i torti ad insistere per farmela conoscere.


 
   
 
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