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Autore: Happy_Pumpkin    17/06/2009    7 recensioni
“Va bene. Aspettami e io tornerò.”
Quasi con un certo cinismo Ino replicò, adottando un tono tristemente dolce: “E dove vuoi che vada?”
“Non lo so nemmeno io.” ammise Shikamaru sulla soglia della porta, prima di eclissarsi.

Tre foto ricordano un cambiamento; una macchina fotografica immortala le vite, ripercorrendo il passato mentre si tende al futuro.
[Personaggi: Shikamaru, Ino, Shiho]
Prima classificata al contest "Ti scatterò una foto" indetto da DarkRose86
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Ino Yamanaka, Shikamaru Nara
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Notare Shikamaru nella sua posa da Nato Stanco *W*
Attenzione: la storia è un papiro virtuale, peace&love



Trentanove occasioni.



La grande biblioteca comunale era deserta; solo qualche studente alla disperata ricerca di testi vagava tra i vari scaffali con libri non definiti tra le mani, mentre diversi studiosi chini sulle scrivanie cercavano nozioni tra pagine impolverate.
Shikamaru si guardò lentamente intorno, tenendo sottobraccio un volume un po' vecchiotto la cui indorsatura(*) era a un passo dallo staccarsi. Schioccò la lingua con disappunto: non lo dava a vedere ma si affezionava troppo alle cose, anche se a volte rappresentavano una noia non indifferente.
Finalmente scorse Shiho intenta a sistemare alcuni volumi, pericolosamente in piedi su di una scala dal precario equilibrio; il ragazzo scosse la testa ed in seguito, sospirando, le andò a reggere la scala. La bibliotecaria si voltò all'improvviso e, sorpresa dalla presenza del fidanzato, mise male un piede, traballando simile ad un fuscello scosso dal vento. Fortunatamente per lei, per i libri e, sì, anche per Shikamaru, ebbe la prontezza di spirito di aggrapparsi ad uno scaffale e bloccarsi.
I due, alla stregua dei pochi presenti in sala, rimasero immobili, come se da un momento all'altro l'intera libreria avesse potuto sfasciarsi al pari di un mobile tarlato. Finalmente Shiho si concesse il lusso di tornare a respirare e, accennando ad un sorriso, piuttosto imbarazzata si tirò su gli occhiali, scendendo un po' incerta gli scalini il cui clangore metallico si diffuse nell'ampia stanza.
“Ehm... – iniziò – ciao, Shikamaru. Come va?”
“Bene – disse lui grattandosi distrattamente un'orecchia, infine le porse un libro – me lo ripareresti?”
La ragazza prima guardò lui, poi l'oggetto che teneva tra le mani. Lo prese, sfiorando mediante un dito la copertina in pelle usurata, infine controllò con fare professionale i danni dovuti ad un uso troppo frequente.
“Manuale di fotografia... – mormorò la giovane – ma è il primo testo che ti ha insegnato a fotografare.”
Shikamaru fece finta di nulla; spostò lo sguardo in lontananza, adottando la solita aria scocciata che tanto gli riusciva bene: “Eh, già. Sta cadendo a pezzi, magari potresti occupartene.”
“Volentieri.” annuì Shiho sorridendo mentre teneva custodito tra le braccia il volume, vecchio e usurato, ma così importante per entrambi.
Si guardarono un istante senza parlare, finché Shikamaru accennò tenendo il labbro un po' imbronciato e le sopracciglia corrucciate: “Stasera ti vengo a prendere per guardare i fuochi d'artificio, ricordatelo. L'importante è che non perdi troppo tempo, altrimenti non troviamo più un posto a sedere.”
Shiho fattasi seria annuì decisa, serrando in tensione le labbra. Se Shikamaru aveva già fatto un grande sforzo per uscire di casa – anche se si trattava in fin dei conti di andare a sdraiarsi su un prato – lei doveva impegnarsi, sbadata com'era, per non dimenticarsi di dover uscire.
Insomma, per la fine della serata sommando gli sforzi congiunti di entrambi magari sarebbero riusciti ad andare da qualche parte... o almeno, ci speravano.
“Va bene, io ti aspetto.”
Shikamaru annuì ma, prima che potesse andarsene, Shiho lo trattenne per il bordo della manica; quando il ragazzo si voltò, lei boccheggiò un istante per trovare le parole, infine domandò:
“Se ho bisogno di sapere qualcosa sul libro ti chiamo, va bene?”
“Perfetto – poi Shikamaru alzò le spalle e aggiunse – non stare lì a rovinarti la giornata, quell'affare non è nulla di speciale in fondo.”
Anziché dargli corda la bibliotecaria sorrise: “A stasera.”
Gli dette un bacio rapido sulla guancia, veloce affinché né lei né lui avessero tempo di imbarazzarsi a dovere o esitare; si voltò di scatto, fuggendo a passo di carica verso il laboratorio di restauro sotto gli occhi divertiti di Shikamaru che la stette a guardare scappare.
Si portò una mano dietro alla testa, mentre l'altra era mollemente infilata nella tasca del cappotto; c'era poco da fare: le donne, in qualsiasi modo fossero fatte e ovunque andassero, erano un grande, insolubile, mistero. Una foto bianca ancora da sviluppare ma che nemmeno la permanenza di giorni e giorni in una camera oscura sarebbe stata sufficiente a svelare le bellissime immagini che nascondeva.

Shiho sfogliò con cura il libro dalle pagine ingiallite, dopo aver spolverato con una spazzola a seta morbida la controguardia(*), rimuovendo un bel po' di sporcizia residua; parallelamente si assicurò anche che il dorso non si staccasse completamente, nella speranza di poterlo recuperare.
Finché non scorse qualcosa tra le pagine centrali; allora  le girò con un dito, adottando una certa cautela, ed in breve scoprì due foto ritraenti una ragazza mai vista prima. Le prese in mano entrambe, sgranando appena gli occhi, e senza un motivo preciso le sembrarono più pesanti di qualsiasi altro oggetto mai sollevato.
Deglutì, nel vedere che una bella giovane dai lunghi capelli biondi teneva sottobraccio Shikamaru – lo stesso svogliato ragazzo che conosceva – il quale, nonostante apparisse seccato, non riusciva del tutto a trattenere un sorriso. Sì, c'era anche lui in quelle foto.
Socchiuse un istante gli occhi e si sedette presso la scrivania, scostando il libro nonché l'aspiratrice usata per togliere i resti di gomma e polvere dalle pagine; osservò la prima foto, tenendola stretta tra le dita come se un colpo di vento potesse portargliela via, mentre gli occhiali rimasero abbandonati a sé stessi poco lontani da lei.
La ragazza bionda indossava un bel vestito viola senza spalline, uno di quegli abiti eleganti da portare in occasioni di un certo livello; anche Shikamaru al suo lato appariva elegante, con una camicia sbottonata al collo e una giacca troppo ingombrante sottomano.
Eppure, in un modo o nell'altro, per quanto la giovane fosse magra e slanciata quel completo viola, coordinato con una borsetta, sembrava non adattarsi al suo fisico. La stringeva troppo, facendola risultare soffocata in quel colore così acceso, reso sfumato dalle satinature che brillavano sotto dei riflettori piazzati frontalmente.
Shiho accennò ad un sorriso amaro, scorgendo la coroncina argentata tra i capelli lisci della ragazza, notando il suo sorriso luminoso, gli occhi splendenti di felicità; per istinto dette un'occhiata ai suoi occhiali e si passò una mano tra i capelli non pettinati della prima mattinata: la treccia nella quale li aveva racconti le sembrò potesse esplodere da un momento all'altro.
Era così inferiore rispetto a quella creatura solare, dal sorriso furbetto e il naso appena arricciato.
Si umettò le labbra troppo secche ed appoggiò con delicatezza la foto per poi prendere in mano l'altra; inarcò un sopracciglio perplessa perché la ragazza indossava lo stesso identico vestito, solo che Shikamaru non aveva alcun abito elegante né espressione annoiata.
A guardarla meglio, però, la bibliotecaria comprese che molte cose in effetti erano cambiate: la giovane pareva navigare in quello stesso vestito viola, forse si era slargato o lei era sparita magicamente al suo interno, mentre il volto... quel volto luminoso non esisteva più. Pallida, con un sorriso tirato, guardava l'obiettivo senza luci ad accecarle gli occhi chiari.
“Cosa ti è successo?” mormorò Shiho.
Quando si accorse di aver parlato si portò una mano alla bocca. Volse lo sguardo verso il telefono, appoggiato presso un mobiletto affollato di cartelle e documenti, mentre nel frattempo inquieta si mordicchiò un labbro.
Trasse un profondo sospiro.
Indossò con professionalità gli occhiali tondi e si portò dietro le orecchie una ciocca ribelle di capelli, infine andò al telefono e compose il numero, dandosi mentalmente della sciocca emotiva.
“Pronto?” le rispose la sua voce dall'altra parte, dopo parecchi trilli a dire il vero.
“Shikamaru, ecco... – dovette aspettare diversi secondi prima di avere il coraggio di proseguire – potresti fare un salto qui? Devo parlarti di una cosa.”
“Tutto bene?” chiese Shikamaru perplesso.
“Io sì. Solo che ci sono delle foto che forse ti appartengono.” quanto era stupido quel forse.
Shikamaru sospirò e per qualche istante la cornetta gracchiò, infine rispose semplicemente:
“Dammi un paio di minuti e arrivo.”
Riattaccò e Shiho rimase diversi secondi con il telefono in mano: le foto della ragazza in viola erano lì, solitarie tra le pagine di un libro, a guardarla; simili al più indiscreto degli obiettivi, in grado di zoomare talmente tanto da poter carpire i suoi più intimi pensieri.

Shikamaru entrò nel laboratorio di restauro e vide sostare presso la scrivania di pulitura Shiho che, con la treccia raccolta su di un lato, gli dava le spalle. Rimase un istante fermo a contemplare la ragazza con la quale si era trovato tanto bene: semplice, senza tutte quelle pretese che tanto gli complicavano la vita, eppure capace allo stesso modo di gesti impulsivi e di quella curiosità che la spingeva a rimuginare a lungo sui problemi ancora insoluti. Come lui che, mal sopportando di perdere a go contro di lei, stava intere ore a riflettere; solo loro due a giocare presso il porticato in legno della casa, con le gambe incrociate e i volti corrucciati nello sforzo di pensare.
Gli piaceva quando si toglieva gli occhiali e assottigliava le palpebre, storcendo appena la bocca in una smorfia perplessa: avrebbe tanto voluto prendere la sua macchina fotografica ed immortalarla in quei momenti così sfuggenti.
“Sono qui.” annunciò, stando appoggiato con una spalla allo stipite della porta.
Shiho sussultò, colta alla sprovvista, e con gli occhiali calati sul naso si voltò di scatto. Impiegò qualche secondo per riprendersi ma infine aggiustandosi le lenti sorrise, alzandosi in piedi.
“Ciao. Scusa se ti ho fatto venire ancora ma vedi...”
Non disse altro e gli si portò davanti, tendendogli le due foto sulle quali aveva formulato mille e più pensieri. Shikamaru le fissò diversi istanti, dopodiché si decise a prenderle in mano con un sospiro piuttosto rassegnato.
“Lei è Ino – spiegò senza preavviso – era la mia ragazza sin dai tempi del Liceo.”
“Ah.” si limitò a dire Shiho rimanendo con la bocca leggermente aperta.
Arrossendo abbassò lo sguardo, facendo finta di nulla, infine si affrettò a dire:
“Capisco. Certo che lo capisco, è normale – ridacchiò, accorgendosi di star facendo la figura della scema – beh... ci tenevo a ridartele: non vorrei perderle, distratta come sono.”
Shikamaru però sorrise e alzando gli occhi al soffitto osservò:
“Forse dovrei spendere qualche minuto a parlartene.”
“No, non è il caso...” borbottò lei, affrettandosi a raggiungere il volume da restaurare.
“Andiamo a sederci sul prato della biblioteca. Vedere tutti questi libri su cui lavorare mi fa venire mal di testa.” commentò Shikamaru, avviandosi verso l'uscita.
Shiho prima di rendersene conto sorrise e, prendendo le chiavi, richiuse in fretta il laboratorio, seguendo Shikamaru che a passo ponderato come al solito avanzava, simile ad un soldato esperto che studiava il territorio.
Uscirono, incamminandosi lungo il vialetto che costeggiava il giardino verde dell'edificio, dotato di alberi all'ombra dei quali vi erano diverse panchine su cui potersi sedere per letture estive. Shikamaru condusse la ragazza presso una di queste e vi si accomodò con in mano le foto, incrociò una gamba sul ginocchio e si portò una mano dietro la testa, contemplando le foglie verdi che ondeggiavano sopra di lui.
Shiho si sistemò a sua volta, con ancora indosso il camice bianco del laboratorio e le mani accoccolate sulle ginocchia; silenziosa attese qualche parola da parte di Shikamaru, parole che in effetti – con sua stessa sorpresa – non tardarono ad arrivare.
“E' una storia come tante.”
Disse semplicemente, osservando di sfuggita la ragazza sorridente dal vestito viola. Già, una storia come tante narrata all'ombra di un albero, le cui foto avevano raccontato l'immagine di una vita e del suo cambiamento.

*°*°*°*

Dimenticami, mentre danzo soffocata dalle pieghe del mio vestito: sono troppo grande per lui.

Ino era seduta fremente accanto a Shikamaru, nell'elegante limousine che superba continuava il suo viaggio; la ragazza ogni tanto sbirciava fuori dai finestrini, temendo di scorgere da un momento all'altro l'edificio scolastico, adornato di luci, striscioni e vibrante di musica così da celebrare la festa di fine anno. L'occasione per tutti o per pochi eletti di poter brillare di luce propria nel corso di una sera soltanto.
Shikamaru, insensibile all'agitazione generale, represse a stento uno sbadiglio mentre Ino gli dette una spintarella sulla spalla borbottando:
“Non ti preoccupi per me?”
“Perché dovrei? Con il carattere che hai stendi chiunque non ti stia a genio, sarei io a dovermi preoccupare piuttosto.” ribatté socchiudendo gli occhi.
Ino ridacchiò e concesse, giocando con una punta dei lunghi capelli lasciati sciolti:
“Questo è anche vero, in effetti – ma in breve riprese a dire più sconfortata – però non noti il vestito?”
Shikamaru riaprì le palpebre, la scrutò un istante e chiese con tono neutro:
“Sì. Ed è viola. Allora?”
“Shikamaru, tu delle donne non capisci assolutamente nulla. Non vedi come mi sta male? E' troppo stretto.” borbottò cercando di tirarsi il tessuto che le avvolgeva il torso, quasi soffocandola.
“E allora perché lo hai comprato?” chiese lui perplesso, esasperato dall'assurdità di quel discorso.
Ino, rabbuiatasi, guardò fuori dal finestrino e rispose:
“Mesi fa pensavo che per stasera sarei dimagrita. Invece non ho perso un chilo.”
Il ragazzo roteò gli occhi e voltandosi verso di lei con la schiena, quasi per poterla guardare meglio, replicò: “Ma tu sei già magrissima. A che ti serve sparire?”
Ino continuò a tenere la testa girata; sospirò, infine spostò il capo così da fissare nuovamente negli occhi il suo fidanzato nonché accompagnatore:
“Hai ragione. Non serve a nulla – improvvisamente, con incredibile leggerezza, cambiò argomento – come mi sta la coroncina? E' dritta?”
“Lo è. E' disperatamente aggrappata ai tuoi capelli.” spiegò usando una leggera ironia.
Ironia che Ino finse di non cogliere, perché con un certo fare combattivo rispose:
“Lo spero bene. Non permetterò a quella smorfiosa di Sakura di soffiarmi il posto come reginetta.”
“Non ti capirò mai.” borbottò Shikamaru che tornò a sedersi, incrociando le braccia dietro la testa.
La sua ragazza era un tipo strano che, giorno dopo giorno, si poneva sempre nuovi obiettivi, lasciando inevitabilmente da parte quelli più vecchi; ma proprio per quel motivo, con incredibile ostinazione, lei si rammaricava di non averli mai portati a termine. Ed in segreto, chiusa tra i suoi vestiti eleganti e i capelli profumati, si rodeva consumandosi alla stregua di una fotografia divorata dal tempo. Ingialliva e si spegneva sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno sapesse in che maniera restaurarla per farla tornare luminosa.
Improvvisamente la macchina si arrestò. Ino trasse un profondo sospiro, artigliò con le mani
affusolate la borsetta intonata e, dopo aver lanciato un'occhiata d'intesa a Shikamaru, scese dalla vettura, sorridendo smagliante, come se tutti i suoi crucci fossero spariti via.
Shikamaru scese a sua volta e si affiancò alla ragazza che già si guardava attorno, con l'intima speranza che tutti la notassero accompagnata – più in segreto – dal paradossale desiderio che nessuno la scorgesse, perché avrebbero visto che in quel vestito lei era sbagliata. Era grassa e non aveva un paio di forbici magiche per allargarlo.
Eppure insieme, mano nella mano, affrontarono l'onda impervia degli studenti loro coetanei che, splendenti negli abiti di raso e seta, volteggiavano nel grande salone; leggeri quanto fantasmi danzavano al ritmo della musica, ondeggiavano contornati da chiacchiere, alcolici e baci rubati all'ombra di una tenda intimamente calata.
Ino, radiosa, al pari di una farfalla si posava da un fiore all'altro, nutrendosi del nettare fatto di complimenti altrui – sebbene dentro di sé si sentisse a disagio in quell'abito. Maturava l'insano pensiero che non fosse il vestito ad essere inadatto, bensì lei ad essere inadatta per il vestito; se fosse stato possibile, le sarebbe piaciuto entrare in un negozio e cambiarsi di taglia.
Dopo qualche ballo un fotografo sorridente le si avvicinò proponendole:
“Non hai ancora la tua foto ricordo – fece una pausa, aggiungendo – non puoi lasciare che un evento simile possa venire dimenticato.”
Ino, combattuta, si sentì a disagio. Doveva davvero permettere che un obiettivo, impersonale ed indiscreto, facesse rimanere impressa su di un foglio una volta bianco la sua immagine scadente? Fece per ribattere acida di non aver bisogno di alcuna foto per ricordarsi di essere bella, ma Shikamaru sopraggiunse e borbottò, lasciandosi sfuggire un sorriso abbozzato:
“Va bene, facciamo una cosa veloce – si rivolse verso Ino commentando – domani ne avresti parlato per tutto il tempo, pentendoti di non esserti fatta la foto. Voglio solo evitare l'Apocalisse.”
Ino sorrise. Shikamaru in fondo aveva ragione: magari, in fin dei conti, la sua vezzosa vanità l'avrebbe portata a rimpiangere quell'occasione sprecata.
Si misero seduti su due sgabelli comodi, con alle spalle un cartonato bianco ed una serie di fiori che lo ornavano, rendendolo simile all'altare di una sposa. Ino prese sottobraccio Shikamaru che, un po' reticente all'idea di venire fotografato, teneva la schiena meno incurvata del solito pur essendosi già tolto la giacca, poco abituato alle costrizioni.
Il fotografo preparò la macchina, regolando l'obiettivo, infine sistemò le luci così che illuminassero il viso candido della ragazza il cui abito risplendette, accompagnato dai luccichii argentati della coroncina che le adornava il capo. Dopo quelle prime procedure l'uomo si posizionò dietro la macchina e avvertì, non distraendosi con le chiacchiere degli studenti che passavano dai due lati per dirigersi verso il cuore della festa:
“Ora sorridete, ragazzi, fra poco scatto. Se non vi piace possiamo rifarla un'altra volta. Ci siete?”
Ino annuì e diede una gomitata leggera a Shikamaru che, facendo roteare gli occhi annoiato, annuì a sua volta, sforzandosi di mantenersi composto.
A quel punto la ragazza sfoggiò il suo sorriso migliore. La macchina scattò in un click deciso e il flash illuminò i soggetti, come una vampata improvvisa di calore che li fece sembrare simili a stelle. In quell'istante, avvolta dalla luce delle lampade, Ino sentì che non gliene importava nulla del vestito, della festa e degli altri: d'altra parte era lì, persino con Shikamaru, cullata da tante mani luminose che la facevano splendere – anche se lei non aveva la forza, nonostante l'arroganza e la sicurezza del suo carattere, di brillare da sola.
Un secondo dopo si spense il flash: la foto era stata fatta, eppure Ino rimase sorridente ancora per un po'; infine si riscosse affrettandosi a scendere dallo sgabello, impaziente tutto sommato di vedere  il risultato di quello scatto. Si piazzò davanti all'apparecchio, attendendo come una bambina di ricevere la bramata caramella: non appena la polaroid uscì dalla sottile fessura la afferrò, sventolandola.
Il fotografo rise per tanta impazienza e Shikamaru attese, con le mani in tasca ed il busto leggermente reclinato di lato.
Quando finalmente l'immagine si sviluppò, forse dipinta dalla mano di un pittore invisibile, Ino la stette a guardare qualche istante ma non commentò. Rivide quel vestito che la rendeva ancora più grassa, contrapposto alla bellezza del suo volto sorridente che, invece, non sembrava preoccuparsi della bruttezza del corpo. Si volse verso Shikamaru e gli disse:
“Prendila. Voglio che la tenga tu.”
Shikamaru diede un'occhiata e perplesso chiese: “Ma che ti prende? Sei venuta bene, perché non dovresti tenerla?”
“Appunto perché sono venuta bene voglio che tu la tenga. Da anziano potrai vantarti con i tuoi amici di aver avuto la ragazza più bella del mondo.”
Rise e si allontanò senza dire altro. Shikamaru guardò ancora una volta il ritratto di loro due insieme e si stupì di quanto il sorriso di Ino potesse essere bello, anche se serviva per nascondere la tristezza che provava. Ripose la foto nella tasca interna della giacca dopo aver pagato il fotografo, pensando che sicuramente l'indomani lei gliela avrebbe chiesta indietro, magari anche solo per salvarla sul proprio computer.
Invece le cose non andarono esattamente così. Quella foto venne custodita soltanto da Shikamaru e Ino non gliela chiese mai, nemmeno la nominò: fu come se quella sera del ballo non fosse mai esistita per Ino.
Quest'ultima conservò con cura l'abito viola: giorno dopo giorno non smise di appoggiarselo sul petto e guardarsi davanti ad uno specchio, con quel vestito steso su di lei al pari di una rassicurante coperta. Volteggiava su se stessa per qualche giro, si arrestava e tornava a fissarsi. Sorrideva mettendosi in posa per poi socchiudere gli occhi, immaginando lo scatto di una macchina foto e di venire accecata dalla sua magnifica luce che avrebbe cancellato ogni ombra.






Non mi aspettavo un tuo sguardo indiscreto proprio quando ero indifesa.


Erano passati quasi due anni dalla fine del liceo. Shikamaru lavorava come fotografo free-lance e, contro le aspettative di tutti, era rimasto fidanzato con Ino, la quale era divenuta commessa presso vari negozi continuando ad aspettare la sua occasione vincente.
Occasione che però, mattina dopo mattina, si faceva sempre più sfumata, per non dire inesistente: lei credeva realmente, nei suoi dialoghi artificiosi e costruiti, di poter un giorno essere la donna che desiderava; non riuscendoci si cullava nella sua quotidianità, vezzeggiandosi dei piccoli gesti che amava svolgere quasi ritualmente.
I due però tenevano alla propria indipendenza e, mal sopportando almeno all'apparenza la convivenza, avevano deciso di vedersi a casa di uno piuttosto che dell'altra, ondeggiando inquieti tra i pavimenti e le porte così diversi in ciascun ambiente domestico. Shikamaru amava la stabilità e non cercava in alcun modo di cambiare o variare la propria esistenza: si accontentava di ciò che aveva, senza dover necessariamente strafare per ottenere quel qualcosa in più.
Quella mattina albeggiava.
Il giovane fotografo alzò appena le palpebre, infastidito da un raggio di luce che penetrava attraverso la veneziana abbassata solo fino a metà, aiutato dalla finestra rimasta aperta. Guardò un istante le tende bianche ondeggiare al vento leggero che sapeva di primo mattino, nel quale non c'erano ancora gli odori della vita, del cibo, persino delle persone che abitavano le strade.
Infine sbadigliò e si sgranchì, rendendosi conto di essersi addormentato seduto sulla sedia in vimini che dava di fronte al suo letto, dove in quel momento Ino dormiva.
Si massaggiò il collo indolenzito, deprecando la stupida abitudine di doversi sedere quando, la notte, non riusciva a dormire; allora stava a riflettere: pensava, fino a che il sonno non veniva a trovarlo, abbracciandolo come una madre che sentiva nostalgia del proprio figlio.
Accennò ad un sorriso nel vedere la ragazza stringere il cuscino con una mano, mentre la schiena nuda veniva accarezzata da delicati raggi solari che rendevano la pelle rosata più morbida, indipendentemente dalle scapole che sporgevano, simili ad un abbozzo di ali che non sarebbero mai spuntate.
Era così magra da sembrare un sogno evanescente, in grado di dissolversi come nebbiolina delicata dopo la pioggia. Il lenzuolo bianco al pari delle tende che, dispettose, andavano ad accarezzarle i piedi ossuti; i capelli dorati scivolavano sulle spalle dalla clavicola sporgente ed avvolgevano il collo, paragonabili ad un cappio dorato pronto a spezzare quelle ossa fragili. Tanti particolari che non avrebbe mai voluto dimenticare, custodendoli gelosamente.
Shikamaru stesso mentre baciava la pelle tirata temeva di trovarsi solo briciole tra le mani, visto che la Ino di un tempo si eclissava davanti a lui, troppo leggera affinché potesse tenerla stretta a sé: non appena avesse lasciato la presa lei sarebbe volata lontano, senza che egli avesse possibilità di raggiungerla.
Scorse poi la sua macchina fotografica manuale, appoggiata sulla mensola dove riponeva gli obiettivi e i rullini che, un giorno, avrebbe dovuto sviluppare nella camera oscura. Accennò ad un sorriso e si allungò di lato per afferrare la macchina, così che la sedia scricchiolò appena; si voltò di scatto, vedendo Ino muoversi appena disturbata dal rumore, ma tirò un sospiro di sollievo quando la ragazza riprese a dormire.
Respirando lentamente Shikamaru tolse la protezione dalla sua Yashika, una di quelle vecchio modello che tanto piacevano a lui: egli, paziente e senza fretta, indugiava ignorando il mondo che avanzava tecnologico e folle. Apprezzava ciò che era stato usato, assaporandone il profumo di vecchio e vissuto con la cura di un anziano nei confronti del vestito della propria comunione.
Regolò il diametro dell'obiettivo ed inquadrò  il soggetto, accennando ad un sorriso compiaciuto: la luce era talmente perfetta da non rendere necessario alcun posizionamento di flash o ricerca di migliore collocazione. Forse la pelle era addirittura troppo luminosa, ma il fascio di luce proveniente dalla finestra faceva credere che Ino fosse accarezzata da una scia splendente.
Attese un istante.
Dopodiché scattò: nell'arco di qualche millesimo di secondo l'obiettivo si chiuse e si riaprì, veloce quanto un battito di ciglia meccanico, capace di intrappolare l'attimo prima che svanisse... proprio come Ino.
Sentì, in quel preciso  momento, di averla rinchiusa in una scatoletta artificiale, anche se si trattava semplicemente di un'illusione: prima o poi la sua ragazza sarebbe stata lontana, lasciando solo un alone grigio ed una conca leggera in quel letto candido.
Rimase diversi istanti immobile, la macchina appoggiata sul suo ventre e le mani intrecciate in grembo. Poco dopo Ino si stiracchiò pigramente, stropicciandosi gli occhi con le dita dalle unghie tagliate corte; tutti e due sapevano perché non poteva tenerle lunghe.
Quando aprì gli occhi la ragazza sorrise divertita e, con la vista leggermente appannata, chiese:
“Che cosa stai facendo alzato?”
“Sono seduto a dire il vero – la corresse lui divertito – non avevo altro di meglio da fare che guardarti dormire.”
Lei fece una smorfia girandosi supina, mentre con le mani secche si trascinava dietro un lembo di lenzuolo; copriva quel seno asciutto ed inesistente, accompagnato dalle costole sporgenti che, simili a dita subdole, volevano cingerle il petto.
“Bella consolazione.” borbottò lei, giocando con una ciocca dei lunghi capelli sfibrati.
Senza la luce del giorno Shikamaru si era accorto che quei ciuffi, una volta così brillanti, ora apparivano per quello che erano: spenti e stanchi. Capelli che avrebbero voluto semplicemente staccarsi dalla radice e lasciarsi andare.
Improvvisamente Shikamaru, cambiando radicalmente argomento, chiese con tono neutro:
“Vuoi la colazione?”
Ino spalancò appena gli occhi chiari; fece finta di pensarci un istante poi rispose, mettendosi a sedere: “No, è meglio di no.”
Si fissarono. La ragazza, alzatasi a sedere, aveva la schiena incurvata e nuda, invece le braccia asciutte racchiudevano le gambe coperte pudicamente e, contro di esse, andava a schiacciarsi il petto che respirava lentamente. Le vertebre, simili a colline deliziose, delineavano quella curva dalla pelle tesa mentre le scapole si appiattivano, nascondendosi, pronte a scattare non appena il corpo avesse mosso gli arti fragili. Shikamaru avrebbe tanto desiderato appoggiare un dito sopra le vertebre e scorrerlo, sentendole una ad una sotto al polpastrello, in maniera tale che nel frattempo la sua mente tenesse il conto di quante fossero; un procedimento paragonabile al conteggio dei cerchi di un albero, grazie al quale cercava di calcolare la vita.
Ma non lo aveva mai fatto; temeva che, spingendo troppo, si sarebbe rotto qualcosa di quel delicato meccanismo. Allora si limitava a sfiorare, mai a toccare: così percepiva però, inevitabilmente, non sentiva nemmeno.
Passarono diversi minuti mentre nella stanza, trasportati dal vento, iniziarono ad affluire gli odori del cibo: la brioche dorata della panetteria sotto casa, le torte sfornate per festeggiare un compleanno imminente, il caffè macchiato del bar girato l'angolo. Un insieme di vite ed istanti che loro, per colpa di un rifiuto dietro l'altro, si stavano perdendo.
E poi, senza incertezze, si levò ancora la voce di Ino:
“Ho cambiato idea. Magari se ti va posso preparare qualche frittella. Che ne dici? Identiche a quelle dei film... perfette e soffici. Le guardi e, prima di rendertene conto, con la forchetta inizi già ad infilzarle per portartele alla bocca – si passò la lingua sul labbro, indugiandovi golosamente – senti il miele con cui sono state infarcite infilarsi tra i denti ed impastare le gengive. Ma poco ti importa: continui comunque a mangiare, deglutisci a fatica nella fretta di afferrare, morso dopo morso, quel gusto delizioso, sperando peccaminosamente che rimanga per sempre.”
Shikamaru aggrottò un sopracciglio per poi borbottare con una certa allegria: “Nauseante.”
Ino ridacchiò finendo per lanciargli un cuscino, che il giovane Nara riuscì fortunatamente a bloccare:
“Sei il solito rompiscatole!”
“E' che non capisco perché complicarsi tanto la vita per una colazione...” spiegò, scuotendo le spalle.
Ma la ragazza non volle sentire ragioni; si sollevò di scatto, infilando a tutta velocità una maglietta slargata, e prese il fidanzato per una mano, costringendolo ad alzarsi. Quest'ultimo fece appena in tempo ad appoggiare la macchina fotografica che si ritrovò obbligato a seguire la giovane; accennò a qualche protesta neanche troppo convinta ma alla fine si ritrovò ad osservare Ino stare ai fornelli, seduto presso il bancone della cucina.
La guardò, zittendosi, mentre teneva un gomito sopra il ripiano piastrellato e la guancia che poggiava sopra la mano. Lei invece si muoveva allegra, destreggiandosi senza troppa esperienza tra farine e padelle, intenta di tanto intanto a tirarsi su una ciocca dei lunghi capelli che ondeggiavano inquieti come la proprietaria.
Ma nessuno dei due, fingendo un'armonia inesistente, si illudeva veramente. Shikamaru, con l'amarezza e la concretezza che da sempre lo contraddistinguevano, sapeva perfettamente che quel cibo inghiottito da Ino sarebbe stato rigettato, presto o tardi.
Già. Lei alla fine della colazione si sarebbe alzata in piedi col pretesto di andare in bagno, avrebbe alzato la tazza del water e si sarebbe messa elegantemente due dita in gola, vomitando ogni singola traccia di sostanza commestibile. Proprio usando quelle dita dalle unghie tagliate corte, all'unico scopo di evitare che si facesse male al palato. Farsi male... come suonava ironico tutto ciò.
Lui lo aveva intuito ma in un primo momento si era rifiutato di crederci: la sua razionalità e il proprio buonsenso gli dicevano – simili ad una voce seducente – che non c'era motivo per rifiutare di mangiare. Poi aveva capito: la vera assurdità era permettere che Ino continuasse ad evitare di farlo.






Ricordami, ora che sono scomparsa; un giorno, magari, verrò baciata da mille colori diversi.


Gli infiniti corridoi dell'ospedale avevano il potere di confondere e disorientare: tanti labirinti dalle accecanti parete bianche, usurate in alcuni punti, in altri fin troppo brillanti. Avrebbe voluto chiudere per un solo istante gli occhi e lasciarsi sprofondare nel buio, così da dormire ancora senza nemmeno essere costretto a guardare le nuvole passare – vive e bianche come le infermiere lungo i corridoi – rendendosi conto che non sarebbero più tornate.
Ormai sapeva qual era il numero della stanza, lo aveva memorizzato sin dalla prima volta in cui ne era venuto a conoscenza; eppure ogni volta avanzava a passo lento, oltrepassando come in un gioco d'abilità le numerose piastrelle. Quel giorno giunse davanti alla camera un po' in anticipo rispetto al solito, anche se non era mai stato ritardatario: continuava ad essere dell'opinione che prima si concludeva qualcosa, meglio era per tutti.
Bussò alla porta ampia infine, dopo aver atteso l'invito ad entrare, premette sulla maniglia in plastica così da aprire e poter oltrepassare la soglia. Si guardò un istante attorno: scorse sul letto dalle lenzuola candide Ino che – con lo sguardo tutto sommato vivace – sdraiata guardava oltre la finestra, mentre un mazzo di fiori altrettanto bianchi troneggiava presso il comodino spartano.
“Ciao.” la salutò Shikamaru rimanendo immobile, tenendo in mano una busta.
Ino si voltò lentamente verso di lui; quasi istintivamente si portò una mano ai capelli spenti per aggiustarseli, in un vezzo vanitoso che nel corso degli anni non aveva mai perso.
“Oh, ciao – sorrise fingendo forse allegria – cosa mi hai portato?”
Tese leggermente in avanti il collo prosciugato, simile ad una tartaruga che tentava di non scomparire nel proprio guscio; le mani ossute artigliavano le leggere coperte, con la forza di una pudica vergine fermamente intenzionata a non scoprirsi.
Shikamaru avanzò leggermente curvo e posò il sacchetto sull'unica sedia collocata nella stanzetta  priva di troppe pretese.
Si umettò un labbro e spiegò: “Il tuo vestito, Ino.”
Lei spalancò appena la bocca; impiegò diversi secondi per realizzare che quell'odiato pezzo di tessuto, coccolato con invidia dal suo corpo, era lì, a pochi metri da lei. Tese un braccio in avanti, accennando combattuta:
“Dai, avanti...”
Shikamaru lentamente tirò fuori l'abito dall'involucro in plastica e, lasciando che si svolgesse simile ad un pregevole rotolo, lo stese sul letto accanto ad Ino, che senza pensarci vi passò una mano sopra, rabbrividendo a contatto con il raso.
Infine, usando una premura che non gli era propria, Shikamaru leggermente imbarazzato propose, guardando sfuggente fuori dalla finestra:
“Ora puoi metterlo. Era questo che volevi, vero?”
Ino socchiuse gli occhi.
Tirò un sospiro e poi tornò a scrutare il suo ex-ragazzo, temendo di scorgervi qualche traccia d'accusa, ma come segretamente sapeva non ve ne trovò. Lui era fatto così: accettava gli altri, semplicemente perché sapeva continuare a vivere cercando pace, anche se spesso gli veniva portata via. La giovane, con il suo egoismo, con la propria cieca convinzione di essere sbagliata, lo aveva privato di quella pace. Aveva distrutto l'oasi tranquilla che era la casa, il rito quasi quotidiano del mangiare, del condividere, pensando esclusivamente di non dover più ricevere nulla di tutto questo.
Al solo scopo di potersi eclissare in quel magnifico vestito che, come un predatore, l'avrebbe inghiottita e lei – felice di cullarsi nel mondo della falsa superficialità – avrebbe accettato di buon grado di scomparirvi. Unicamente per poter brillare davvero, anche se avrebbe dovuto sacrificare se stessa.
Già, all'epoca ancora non capiva che sparire per poter apparire era semplicemente e follemente contraddittorio.
“Sì – annuì, reclinando leggermente la testa – so di essere vuota e frivola.”
Accennò ad un sorriso amaro.
Lei era un'automobile senza troppe pretese, priva della retromarcia per poter cancellare la strada sbagliata e tornare nella giusta carreggiata.
“Non lo sei. La realtà è che vuoi sentirti vuota. Solo che io non capisco il perché.”
Si fissarono negli occhi senza riuscire ad esprimere alcunché di concreto, se non forse una certa futile sfrontatezza.
“Non tutto è sempre così razionale.” Ribatté lei accennando ad un sorriso ammaliante, che risultò triste nella penombra della stanza.
A passo cadenzato Shikamaru si avvicinò alla finestra, cercando inutilmente di scrutare il cielo da oltre la persiana semichiusa. Tirò un sospiro poi, passandosi una mano sulla spalla – come per prendersene cura dopo uno stiramento non previsto – accennò:
“Mi è stato proposto un servizio fotografico da fare all'estero.”
Ino lo guardò perplessa e replicò ironica: “Tu che vai all'estero?”
Ridacchiò e, sorprendentemente, anche il ragazzo accennò ad una risata: “Già. Ma, sai, ci ho pensato a lungo.”
“E qual'è stata la tua logica e fastidiosamente razionale conclusione?”
“Che devo partire.” concluse Shikamaru forse troppo lapidario, nonostante la nota di amarezza.
Ino non nascose la sua sorpresa ma, faticando, riuscì a mascherare meglio la propria delusione: perché lo stesso Shikamaru che non voleva troppe complicazioni dalla vita ora aveva deciso di muovere tanti passi in avanti, allontanandosi dal nido sicuro che era la casa.
Non parlò, così il fotografo riprese: “Devo riuscire a mettere via un po' di soldi e questo è l'unico sistema, riuscendo oltretutto a fare qualcosa che mi piace. Dopodiché ritornerò e potrò realizzare la vita tranquilla che ho progettato: una moglie, dei figli, sai... tutte quelle cose banali che prima o poi si dovranno fare. E lì, seduto sulla sedia in vimini di casa mia, non avrò più pensieri.”
Il massimo. Una collezione di straordinarie occasioni di vita.
Ino non parlò; avrebbe voluto far finta di non aver ascoltato nulla di quanto Shikamaru, con il suo tono un po' monocorde e il fare diretto, le aveva comunicato.
Ci fu qualche istante di silenzio, finché improvvisamente la giovane non chiese:
“Mi aiuteresti ad infilare il vestito?”
Shikamaru rimase interdetto da quella richiesta e soprattutto dalla facilità – ormai a lui ben nota – con la quale la Yamanaka sapeva cambiare argomento. Roteò gli occhi, tentando magari una via di fuga, ma alla fine si massaggiò esitante una spalla per poi accettare:
“Va bene, ma solo perché non ti reggi in piedi. Non vorrei che tu cadessi, proprio non saprei come farti rialzare in quel caso.”
“E' per questo che ti ho chiesto aiuto. Io non voglio cadere.” affermò Ino guardandolo intensamente.
Il ragazzo annuì e con premura le tolse le coperte di dosso. Le passò una mano dietro la schiena, aiutandola a sollevarsi così da poterle slacciare il nodo che teneva fermo il pigiama ospedaliero.
Il nastro grigio scivolò via e, magicamente, anche quel tessuto pallido cadde dal petto che respirava ponderato. Ino rimase in reggiseno, mentre socchiudeva gli occhi lasciandosi sfiorare dalle dita di Shikamaru; accennò ad un sospirò trattenuto, rivivendo in quei tocchi studiati l'erotismo passato, di quando ancora accarezzare significava passione.
Forse involontariamente, forse in modo studiato, reclinò leggermente la testa, dischiudendo appena le labbra asciutte lascivamente inumidite dalla lingua in un movimento abbozzato; in quegli attimi Ino venne travolta da tanti ricordi mai dimenticati: le dita di lui sulla sua pelle che dipingevano cerchi aggraziati, il respiro lento che le soffiava sul collo dandole brividi di un piacere già palese, il desiderio remoto che le toccasse il seno per farla sentire donna.
Invece Shikamaru guardava con dolore le costole sporgenti, le clavicole rialzate, l'addome quasi cavo prosciugato dall'anoressia che – ingorda – stava risucchiando quel corpo provato.
Gli sembrò di toccare del cristallo, tanto in grado di scalfire qualsiasi cosa quanto fragile: un colpo distratto e quell'insieme di ossa e pelle si sarebbe schiantato.
Quando tenne la ragazza tra le braccia per aiutarla ad infilare l'abito gli sembrò di non sentire nulla: già, probabilmente un giorno sarebbe arrivato a stringere il vuoto. Infine si allontanò di qualche passo, così da vedere Ino stare seduta tra le pieghe del suo vestito reso paradossalmente luminoso.
Poi la Yamanaka sollevò la testa e chiese:
“Avanti, ora voglio recuperare la foto del ballo facendone una mille volte migliore.”
Shikamaru scosse la testa: “Me lo spieghi adesso dove la trovo in un ospedale una macchina foto?”
Lei incrociò le braccia, arricciando le labbra in una smorfia delusa:
“Insomma, non essere così difficile. Esci, vai nel primo negozio che trovi e ti guardi attorno. Ignori i modelli professionali e ti dirigi verso quelle usa e getta; quelle con quaranta foto dentro, così sei obbligato a sapere cosa vuoi realmente inquadrare, per evitare di sprecare spazio ritraendo soggetti inutili. Facile, no?”
“Sì... certo.” borbottò Shikamaru che piantò gli occhi verso il soffitto, esprimendo platealmente la sua faccia scocciata eppure allo stesso tempo preoccupata, come se andarsene da quel luogo gli risultasse terribilmente difficile.
Ino assottigliò gli occhi, dilatando appena le narici per simulare meglio che poteva un'espressione minacciosa, forse anche convincente. In effetti Shikamaru la guardò un istante, poi si mise le mani in tasca e sospirando aggiunse:
“Va bene. Aspettami e io tornerò.”
Quasi con un certo cinismo Ino replicò, adottando un tono tristemente dolce: “E dove vuoi che vada?”
“Non lo so nemmeno io.” ammise Shikamaru sulla soglia della porta, prima di eclissarsi.


*°*°*°*


Shiho guardò Shikamaru con la bocca spalancata, mentre gli occhiali le erano lentamente scivolati sino a toccare la punta del naso ma lei – in quei minuti di racconto – non ci aveva fatto assolutamente caso.
“Cosa è successo, dopo?” chiese umettandosi le labbra secche, nel frattempo forse inconsciamente torturava con le mani un lembo del camice.
Shikamaru inspirò profondamente l'aria fresca del giardino, le cui foglie si agitavano in un insieme di suoni: dai fruscii sommessi che sussurravano la vita, al fischiare del vento tra le venature trasparenti. Infine, socchiudendo di tanto in tanto le palpebre, quando dei raggi di luce riuscivano a filtrare attraverso la chioma dell'albero, il fotografo rispose:
“Dopo sono tornato. Con tra le mani una comunissima macchina foto usa e getta: Ino insisteva tanto per farci ritrarre insieme e così abbiamo chiesto ad un infermiere di fotografarci. E' venuta un po' sfocata e la luce non era il massimo, ma... andava bene lo stesso.”
Già, perché Ino, nella sua meschina intimità, aveva preso la propria personale rivincita. Sorrideva, siccome poteva finalmente navigare in quel vestito largo, anche se dietro le labbra tirate a mostrare i denti bianchi c'era un profondo senso di stanchezza. Fingeva di essere felice, dato che ormai non poteva fare diversamente; Shikamaru lo sentiva, nel momento in cui le sfiorava con un braccio le spalle magre e scrutava il volto scavato, sfumato da decadenti occhiaie.
“E ora... – accennò Shiho perplessa – dov'è?”
“Non lo so.” mormorò con gli occhi chiusi, visto che le parole volevano rimanere fastidiosamente incollate alle labbra.
Quando lui, mesi dopo, era ritornato dal viaggio, Ino non c'era più. Né in quella camera, né nella casa che tempo fa visitava per quegli intimi incontri d'amore.
Si era eclissata, assieme al vestito viola. Però, forse per scherno, forse per affetto, aveva lasciato la fotografia – la sua perfetta fotografia nella quale sfoggiava il vestito altrettanto perfetto.
Oltre ad essa, era rimasta anche la macchina usa e getta, con ancora dentro le trentanove foto disponibili. Come per ricordare a Shikamaru che ci sarebbe stata una vita intera da poter immortalare, ora che la ragazza dagli spenti capelli biondi non gli sarebbe più stata accanto mostrando le sue sciocche pretese. Però, pensò Ino con un tocco di giusta presunzione, almeno uno scatto l'aveva dedicato a lei soltanto... quanto avrebbe voluto non essere considerata una mera occasione sprecata.
“Curioso – commentò Shiho aggiustandosi gli occhiali – manca la foto... sì, insomma, l'unica che hai scattato ad Ino.”
Pareva quasi che Shikamaru l'avesse accennata per sbaglio, preso dai flussi della memoria che si era rivelata più ribelle rispetto alla lucida razionalità.
“Forse l'ho persa – spiegò con una certa spensieratezza, poi si corresse accennando ad un sorriso – o forse è destino che stasera la debba perdere.”
Perché in un modo o nell'altro aveva già perso quella ragazza ossuta ed ostinata: il fragile bozzolo che si aggrappava alle foglie fatte di lenzuola non esisteva più; magari era divenuto una farfalla, oppure si era seccato, dicendo addio alla propria speranza di bruco di degustare la vita.    

Quella sera erano entrambi seduti presso il grande parco; riuscirono, con una certa dose di fortuna, a ritagliare uno spazio di terra per potersi accomodare, nonostante fossero accorsi in parecchi al solo scopo di contemplare lo spettacolo dei fuochi d'artificio.
Shiho non sapeva come vestirsi, cosa portare o in che maniera sedersi, così aveva optato per far finta di nulla e mettere a tacere l'agitazione che provava appena Shikamaru si sedeva vicino a lei, silenzioso, con le braccia ciondolanti appoggiate sulle ginocchia.
Quando improvvisamente il ragazzo si alzò in piedi, stordito dalle luci presso il fiume, Shiho non fiatò, contemplandolo un po' stupita mentre – senza dire una parola – si allontanava infilando le mani in tasca ed avanzando leggermente incurvato. Non sapeva perché di punto in bianco si fosse alzato, né perché quella sera in fin dei conti avesse voluto uscire; lui, che preferiva starsene in casa per giocare una partita a go.
Sospirando, Shikamaru appoggiò i gomiti sulla balaustra del ponte, mentre il vociare della gente in festa si ridusse ad un brusio lontano; la penombra, silenziosa come un ladro, aveva sostituito lo sfavillio delle lampade che illuminavano il parco gremito.
Guardò l'acqua del fiume scorrere pacata al di sotto e si stupì di quanto lo scintillio rilucente tra le ombre riuscisse a catturarlo. Sorrise con quell'aria un po' cinica che tanto riusciva a simulare.
Infine estrasse dalla giacca lasciata sbottonata le tre foto che – forse per caso, forse per destino – erano ricomparse subdolamente nella sua vita proprio quel giorno, costringendolo a prendere una decisione netta.
Scorse un solo istante l'immagine di Ino che, avvolta dalle sue coperte candide, dormiva nel letto ampio della propria stanza, accarezzata dalla luce e dagli occhi di un amante insonne; Shikamaru, protettivo, per paura che si rovinasse l'aveva rinchiusa in un cassetto, fingendo di dimenticarsene.
Quel momento, quell'imperdibile attimo d'inconsapevolezza. Non avrebbe più potuto ritrovarlo nemmeno consumando intere pellicole: ogni cosa era destinata inesorabilmente a scorrere, a mutare, proprio come l'acqua del fiume. In tutti quegli anni lui, egoisticamente, aveva conservato per sé quell'immagine perché era l'unica che avesse scattato personalmente, rubando il solo momento di intimità che Ino si fosse concessa senza dispensare sorrisi mancati; nutriva la speranza che, forse, un giorno le cose avrebbero potuto ciclicamente ripetersi, così da avere nuovamente l'occasione di amare con maggiore saggezza gli attimi rubati.
Ino non era una persona forte: era volubile, affezionata alle sue stesse debolezze. Aveva qualcosa di confortante autoconvincersi che lei con determinazione prima o poi avrebbe fatto ritorno – entusiasta – nella vita di Shikamaru, anche solo per il femminile pretesto di riavere indietro le proprie foto.
Invece non era mai tornata. Non lo aveva aspettato nell'ospedale, così come non aveva nemmeno aspettato che qualcuno fosse realmente in grado di aiutarla a guarire.
Eppure Shikamaru ogni tanto, guardando l'acqua, le nuvole, la Terra che lentamente cambiava, immaginava Ino dalla parte opposta del mondo, magari intenta a contemplare dei quadri senza esserne necessariamente parte. Per questo – pensava sempre – gli aveva lasciato una macchina usa e getta con trentanove foto.
Così che lui potesse ricordarsi di dipingere la propria vita mentre lei, forse perché stanca, forse perché addormentata, ne era uscita.
Trentanove foto per trentanove persone importanti. Un buon numero per uno che non amava particolarmente stringere tanti rapporti sociali.
Improvvisamente esplose il primo fuoco d'artificio della sera: rosso come la passione divorante di un amante, intenso e vitale nella sua luce ardente; tratteggiò linee dalle sfumature carminio sull'acqua notturna, le cui onde infransero tante volte i disegni regalati dal cielo, fino a non mischiare i colori in un paradisiaco insieme di movimenti variopinti.
Ben presto a questi ultimi si aggiunsero l'azzurro, il giallo, poi il viola e il verde... tanti sprazzi lucenti che rendevano l'acqua vittima di un incantesimo sublime. Shikamaru lentamente si voltò e scorse, seduta sul prato con la testa rivolta verso il cielo, Shiho.
Lei, la sua bocca seducentemente semiaperta, la treccia appoggiata con delicatezza su di una spalla, le mani che si intrecciavano come splendidi canestri di vimini. Profumava a volte dei suoi stessi libri, altre di quell'odore di bucato che – bianco al pari delle lenzuola che un tempo avvolgevano Ino – veniva lasciato asciugare al sole.
Vedendola così lontana eppure orgogliosamente bella nella sua solitudine, comprese che quelle trentanove foto rimanenti sarebbero state tutte per lei. Solo ed esclusivamente per lei.
Shikamaru tenne per la punta delle dita le tre fotografie, socchiuse un istante gli occhi ed infine si girò un'ultima volta in direzione del fiume, sporgendo il braccio verso il vuoto.
Fu questione di pochi istanti.
Lasciò la presa e quei tre frammenti di vita presero il volo, un volo senza ali quindi destinato a ben poca gloria; però, in compenso, vennero coperte dai mille colori dei fuochi d'artificio che bombardavano il cielo di vita.
Caddero in acqua, galleggiando per un istante nella speranza di rimanere lambite tra le onde per sempre, fino a che non affondarono con una lentezza pari ad una carezza soffocante, in grado di togliere amorevolmente il respiro. Così, tra una vampata policroma e l'altra, le foto di Ino scomparvero per sempre: sarebbe stato bello se lei – ovunque fosse stata in quel momento – avesse potuto ritrovarle.
Nel frattempo Shikamaru si sarebbe già allontanato, avvicinandosi a Shiho in maniera tale da non lasciarla più sola. Avrebbe liberato Ino dal peso del ricordo; era ingiusto nasconderla tra le pieghe di una giacca, al pari di un bellissimo fazzoletto di raso: lo si portava sempre dietro senza però mai usarlo, con la morbosa paura che, ad un primo tocco, potesse perdersi per sempre.







Note Autore: ho preferito lasciare un finale aperto per Ino. Lei se n'è andata ma non si sa nulla su quello che le sia successo dopo: può essere morta d'anoressia oppure aver avuto la forza necessaria per uscirne vincente.
In ogni caso ha preferito allontanarsi dalle scene, in modo da rendere finalmente Shikamaru libero, non costringendolo a prendersi suo malgrado cura di lei che si sente un peso. Il loro rapporto, per colpa dalla difficoltà di entrambi ad affrontare la malattia, si stava logorando ed in effetti quando Shikamaru va in ospedale loro due non sono più fidanzati.
Vorrei che si desse particolare importanza ai dialoghi ed all'espressività dei personaggi, che mi auguro risultino quanto più possibile vivi e veri nelle loro sofferenze così come nei rispettivi dubbi.

Ho usato delle terminologie inerenti alla conservazione e al restauro di manoscritti, oltre ad aver dato uno scorcio di alcuni strumenti usati nella pulizia dei libri all'interno delle biblioteche – per esempio l'aspiratrice, le spazzole a setola morbida e via dicendo...
Indorsatura: E' la copertina del libro, il dorso è la parte più soggetta a staccarsi, proprio per via della maggiore usura.
Controguardia: La parte interna del piatto, affiancata dal foglio di guardia – ovvero il primissimo foglio che si vede non appena si apre un libro.

Sproloqui di una Zucca

Sono commossa per il fatto di essere riuscita ad arrivare a questo traguardo,  ricevendo oltretutto il premio giuria. E' una storia che è uscita da sola, così come i personaggi. Non avevo mai trattato prima nessuno di questi, quindi mi sono davvero gettata in una sorta di buco nero che mi ha risucchiato X°D
Al momento sono un po' a corto di parole, il che è strano per me - grafomane senza speranze di guarigione.
Ringrazio ancora la giudice DarkRose e mi complimento con tutte le partecipanti!


   
 
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