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Autore: RaidenCold    05/09/2017    1 recensioni
Premessa: questa storia è un omaggio al film "Alien Covenant", di cui ricalca in buona parte la trama (anche il criterio con cui ho scelto il titolo è lo stesso del film), ed è ambientata in un universo alternativo dove il Third Impact non è avvenuto.
Sono passati alcuni anni dalla morte dell'ultimo angelo: dopo lunghe ricerche, viene trovato un pianeta che ospiterebbe un essere avente la stessa natura di Adam e Lilith. La Nerv decide dunque di mandare ad esplorarlo una squadra di cui fa parte anche Shinji, che con gli anni ha sviluppato una sorta di ossessione verso gli angeli. Questo nuovo mondo sarà ostile ai lilin?
Genere: Introspettivo, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rei Ayanami, Shinji Ikari, Un po' tutti
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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Il pendio era irto e brullo, e più di una volta Shinji aveva dovuto mettersi a quattro zampe per evitare di perdere l’equilibrio.

A circa metà percorso, la squadra poté osservare qualcosa di assolutamente stupefacente: dallo sconfinato mare rosso si ergeva una serie di strutture di diverse forme geometriche, troppo perfette ed uniformi per essere opera di agenti naturali.

“Mi venisse un colpo, quella è… una città!” - imprecò Yamada.

La disposizione e la forma di quelle strutture non lasciavano dubbi: erano palazzi, seppur in stato visibilmente deteriorato.

Asuka si voltò incredula verso Shinji:

“Abbiamo trovato tracce di civiltà.”

Lui si limitò ad annuire con la medesima espressione di stupore dipinta in volto.

Il soldato Tanaka – un ragazzone alto e muscoloso – si avvicinò a Misato:

“Colonnello, questo posto è abitato…”

“Era, credo. Guarda quei palazzi, sono fatiscenti, e mi sembrano abbandonati; ad ogni modo qualcuno deve averli costruiti. State all’erta comunque, non sappiamo che intenzioni potrebbero avere…” - fece una breve pausa.

“… gli abitanti di questo pianeta?” - finì la frase Makoto.

“Già.”

“Incontreremo gli alieni…” - disse Kensuke quasi canticchiando.

“Tecnicamente, gli alieni siamo noi adesso.” - rispose Misato.

 

Fudo era un uomo non troppo alto, di mole massiccia e leggermente in sovrappeso; era il geologo della spedizione, e questa ironia non sfuggì agli altri quando fu proprio lui a cadere in un inghiottitoio poco visibile tra le rocce.

“Tutto bene?”

Sembrava la voce del colonnello.

L’uomo grugnì toccandosi la testa, poi lentamente cercò di rialzarsi; il colpo lo aveva stordito e faticava a stare in piedi, ma non si sentiva alcun osso rotto.

“Fudo, tutto bene?” - ripeté quella voce che ora Fudo era certo appartenere a Katsuragi.

“Sì.” - rispose lui abbastanza forte da farsi udire.

Si guardò attorno e vide di essere in una sorta di caverna carsica; riusciva a vedere il foro dal quale era caduto, che a occhio e croce era a meno di cinque metri di altezza. La caverna era piena di stalattiti e stalagmiti, e quando i suoi occhi si furono abituati al buio poté vedere l’acqua gocciolare un po’ per tutta la grotta , cristallina e non rossa come quella che avevano visto finora.

“C’è acqua, e non sembra contaminata!”

“Non rischiare!” - gli intimò il colonnello.

“Ricevuto.”

“Ora ti mandiamo giù una corda.”

“Ok.”

Alzandosi in piedi sentì tutta la schiena dolorante per l’impatto con le rocce, in effetti era stato relativamente fortunato a non cadere su una stalagmite rimanendoci impalato, ma la sua fortuna si era esaurita lì:

Fudo non poteva vederlo, ma lo spostamento dell’aria e la sua presenza nella caverna avevano risvegliato una sorta di muschio bluastro, il quale aveva rilasciato nell’aria spore sottilissime che fluttuavano tutt’attorno a lui. Forse, in condizioni normali non avrebbero potuto fargli niente, almeno fino a quando rimaneva isolato nella sua tuta, ma cadendo quest’ultima si era lacerata in diversi punti; tagli sottilissimi, ma più che sufficienti ad una spora per penetrare ed entrare in circolo nel sistema di respirazione della tuta.

 

Uscito Fudo dal buco nella terra, il gruppo si era rimesso in marcia; dopo aver raggiunto il picco dell’altopiano, avevano finalmente iniziato la discesa che, seppur meno estenuante, era comunque ripida almeno quanto la salita.

Arrivati sulla pedemontana dopo qualche ora, si ritrovarono in una pianura coperta di erba rinsecchita, che andava subito deprimendosi nel terreno: l’aria in quella vallata era particolarmente calda e umida, e tutti avrebbero sudato pesantemente se le tute non avessero avuto un sistema di isolamento termico adatto ad esplorare ambienti sconosciuti.

“Perché non abbiamo parcheggiato qui?” - domando Tanaka seccato. Subito dopo si ritrovò con i piedi conficcati nel fango.

“Perché è una fottuta palude.” - rispose Asuka aiutandolo ad uscire.

“Un luogo molto umido e caldo, proprio vicino all’Uovo…” - commentò Misato.

“Il filosofo greco Anassimandro sosteneva che tutte le forme di vita avessero origine dall’acqua e dall’umidità.” - aggiunse il comandante Ikari.

Attraversata la vasta palude, illuminati solo dalle torce elettriche, giunsero al punto stabilito dal navigatore: un buco nella terra, del quale non era possibile vedere il fondo neppure puntandoci dentro la luce.

Dalla sua valigetta, Makoto estrasse un piccolo drone telecomandato, e lo mandò giù per il buco:

“Il diametro dell’apertura è sui tre metri, poi si allarga fino a raggiungere i tre metri e mezzo, la profondità sembra essere di circa venti, venticinque metri. Dovremo calarci con delle funi…”

Misato si guardò attorno perplessa:

“Ma non ci sono rocce, e il terreno è troppo fangoso per conficcarci paletti e sperare che non si stacchino mentre scendiamo; Tanaka, Yamada, Aida, voi rimanete qui e tenete le funi.”

“Sissignore.” - risposero all’unisono.

“Anche io resto qui, vorrei analizzare il terreno e la vegetazione, magari trovo qualche forma di vita.” - disse tutto entusiasta Sato che già aveva cominciato a tirare fuori alcune delle sue attrezzature.

Quando ebbero iniziato a calarsi, Misato notò Fudo chinato che respirava affannosamente:

“Tutto a posto?”

“Non mi sento molto bene… forse ho preso una botta cadendo, spero non mi sia incrinato una costola.”

“E’ meglio che tu rimanga qui.”

“M-ma io sono il geologo della spedizione…”

“Ed io il capo della sicurezza; rimani qua e prendi fiato.”
“D’accordo.” - rispose lui senza obiettare troppo, rendendosi conto che la sua condizione avrebbe solo rallentato gli altri membri della squadra.

 

Arrivata a terra per prima, Misato lasciò la corda e tirò uno strattone, per avvertire che il successivo poteva scendere, e subito dopo due persone vennero calate contemporaneamente – Kensuke e Yamada tenevano una corda, Tanaka invece, complice la sua immensa forza fisica, riusciva a tenerne una da solo; a scendere furono Hanzo e Hirano, rispettivamente speleologo ed addetto alle comunicazioni della spedizione. In seguito giunsero Asuka, Shinji, Rei, Makoto, la dottoressa Tsuji – il medico della spedizione – ed infine il comandante Ikari. Guidati da Hanzo e Makoto, cominciarono ad attraversare la caverna sotterranea: dopo pochi metri trovarono una sorta di scalinata naturale ad assisterli in quella discesa nel ventre della terra. Scesa la scala rocciosa, videro un bagliore scarlatto che illuminava le pareti della caverna; ad illuminare l’antro era l’acqua rossa di quel pianeta che, come stavano constatando, possedeva una spiccata bioluminescenza.

Attraversarono la pozza scarlatta, e man mano che scendevano la grotta si allargava sempre più: senza accorgersene, erano entrati in una immensa cupola, fatta però di un materiale diverso dalla roccia della caverna, più liscio e di un colore tendente al grigio.

Shinji la osservò attentamente, poi si avvicinò ad Asuka e le parlò a bassa voce nell’orecchio:

“Questa deve essere una delle lune di cui mi ha parlato il professor Fuyutsuki; diceva che Adam veniva dalla luna bianca, mentre Lilith da quella nera.”

“Questa invece, potrebbe essere la luna grigia…”

“Calzante.” - commentò Misato passando accanto a loro.

Dopo un po’ si fermarono in quello che doveva essere il centro della struttura: non c’era niente, solo acqua fino alle caviglie e riflessi di luce scarlatta che guizzavano sulle pareti della cupola.

Il comandante Ikari si guardò attorno con aria interrogativa, poi rivolse lo sguardo a Makoto:

“Nessun diagramma d’onda che non sia il nostro… l’uovo della vita non è più qui.”

Ikari chinò il capo a terra e rimase in silenzio per alcuni secondi.

“Capisco. Adesso è meglio tornare in superficie dopodiché, sorto il sole, torneremo alla Nile.”

Nessuno osò ribattere gli ordini del comandante, e tutti fecero dietrofront.

Solo Shinji rimase un attimo ad osservare quella grotta scintillante, convinto di essere arrivato dannatamente vicino a ciò che stava cercando; accanto a sé, notò che Rei Ayanami guardava quel luogo come ipnotizzata.

 

Kensuke scrutava il cielo: a inizio serata si erano potute persino vedere le stelle, ma in quel momento minacciose nubi neri cariche di lampi orbitavano sopra di loro.

Fudo aveva cominciato a tossire, era diventato pallido e si sentiva scottare.

Notando il suo stato malconcio, Kensuke gli si avvicinò:

“Vuoi un po’ d’acqua?”

“Sì…” - tossì - “… grazie.”

Gli porse una borraccia con una cannuccia munita di valvola che impediva reflusso di aria o agenti esterni, e Fudo la fece entrare nel suo casco mediante una seconda valvola sotto la visiera, all’altezza della bocca.

“Spero di non passare qua la notte, altrimenti non potremo toglierci i caschi e dovremo mangiare solo frullati e altra roba liquida.” - disse Kensuke ridacchiando per cercare di distrarlo. Ma la tosse si fece sempre più forte, quasi convulsiva, e con immenso sconforto il ragazzo vide che sulla visiera del geologo c’era del sangue, ed allarmato si rivolse ai suoi compagni: “Ragazzi, Fudo sta male!”

In quel momento Yamada e Tanaka videro il drone di Makoto uscire fuori dalla caverna: era il segnale che la squadra voleva risalire.

I due incitarono il compagno a venire a dargli una mano, e Kensuke si rivolse a Sato:

“Per favore, pensa tu a Fudo!”

Il biologo annuì e andò ad assistere il compagno, mentre Kensuke aiutava Yamada con la corda.

Appena tornata in superficie, la dottoressa Tsuji venne subito messa al corrente della situazione e si precipitò verso Fudo, cercando di capire quale malessere lo stesse affliggendo.

Turbata si voltò verso gli altri, che stavano aiutando a far uscire Shinji, l’ultimo del gruppo.

“Dobbiamo assolutamente riportarlo alla Nile!” - urlò il medico.

“Anche se potrebbe essere pericoloso, è meglio che mettere a rischio la vita di un membro dell’equipaggio.” - si voltò verso il comandante: “Ce ne andiamo.”

Ikari si limitò ad annuire, ed il gruppo si mise in marcia, mentre Tanaka e Yamada reggevano Fudo aiutandolo a stare in piedi.

Ad ogni passo la tosse del geologo diventava sempre più forte e soffocante, e a metà della salita sull’altopiano vomitò:

“Non possiamo almeno togliergli il casco? Vi ho detto che non ci sono agenti patogeni nell’aria!” - urlò Sato.

“Qua non possiamo comunque fare niente, ho solo un kit di pronto soccorso, il resto del materiale medicinale è sulla Nile!” - rispose Tsuji decisamente frustrata dalla situazione.

Si sentirono leggermente sollevati – almeno Yamada e Tanaka – quando raggiunsero il picco ed iniziarono la discesa. Nel frattempo le condizioni di Fudo peggioravano a vista d’occhio: era immerso in un bagno di sudore, aveva le sclere infiammate, e dal naso e dagli occhi uscivano gocce di sangue innaturalmente scuro.

Fu poco dopo essere scesi dalla collina, che iniziò ad avere violente convulsioni, e a quel punto la dottoressa Tsuji decise di ignorare le regole di quarantena, giacché non sarebbero valse molto per un uomo morto: gli sfilò il casco mentre i due soldati lo tenevano fermo, e dal suo borsello prese una penna e gliela mise in bocca per evitare che si mordesse la lingua.

A un certo punto, si sentì solo un suono secco: le ossa del torace di Fudo che si rompevano.

Tutti rimasero immobili, impietriti da quel macabro rumore, e poco dopo ne sopraggiunse un secondo più forte; in quello stesso momento, il petto di Fudo si deformò vistosamente, come se qualcosa lo stesse spingendo dall’interno.

Al terzo colpo, come un ariete fuoriuscì dal torace la cosa che stava spingendo: gridando e spiegando le lunghe braccia ossute, la creatura si presentò a loro con la sua bianca pelle coperta di sangue. Aveva un aspetto antropomorfo, alto circa come un bambino, sulle giunture degli arti e in vari punti del torace aveva delle scanalature rosse, e sulla schiena le vertebre sporgevano a mo’ di punte affilate, le quali scendevano lungo una sottile coda culminante con un grosso pungiglione coperto di pelle; ma la cosa che più colpì tutti fu la testa, umanoide, liscia, priva di naso e occhi, con solo una bocca sottile su cui era dipinto una specie di macabro ghigno che scopriva i denti bianchissimi di quell’abominio.

Prontamente Misato afferrò la sua pistola per sparare alla creatura, ma in pochissimi attimi e con una velocità sorprendente questa sgusciò fuori dalla sua vittima e sparì correndo nella notte.

“Merda!”- imprecò Yamada imbracciando il fucile.

“Sta calmo, non sprecare munizioni.” - disse Misato: “Forza, torniamo alla Nile, e di corsa; imbracciate le armi e state in guardia, quella cosa potrebbe tornare!”

Iniziò così la loro fuga, con Misato ed i suoi tre soldati a proteggere i fianchi e il dietro del gruppo.

Correndo Makoto si avvicinò a Hirano:

“Non sei riuscito a metterti in contatto con Ibuki o la dottoressa Akagi?”

“Negativo, con me ho solo strumenti basilari, che sono inutili in questo momento. Vedi i nuvoloni sopra di noi?” - indicò il cielo - “C’è una tempesta di fulmini che mi impedisce il contatto; sulla Nile abbiamo un trasmettitore più potente, forse con quello riuscirò a parlare con la Exodus.”

 

Dopo aver corso a perdifiato per diversi minuti, il gruppo riuscì finalmente a scorgere la Nile in lontananza. Con uno scatto – reso possibile dal mix di paura e adrenalina che stava provando – Hanzo si staccò dagli altri e si portò dinnanzi al portellone della Nile.

La scena che gli altri videro poco lontano li lasciò paralizzati dallo sconcerto: non appena Hanzò aprì la porta, si trovò davanti la creatura, ora alta quasi due metri.

Furente la bestia spalancò le fauci e dilaniò il malcapitato, mentre con le mani lo teneva fermo per evitare che scappasse: si ergeva in posizione eretta ed usava i pollici opponibili come un essere umano, ma non era umano, non poteva essere più lontano da una persona quell’essere.

Compiuta la sua esecuzione, rimase per un istante in piedi col suo ghigno coperto di sangue, e camminando con passo eretto e ciondolante cominciò ad avvicinarsi lentamente al resto del gruppo: senza aspettare oltre, Misato ordinò di fare fuoco.

A quel punto, con uno scatto la creatura si mise a quattro zampe palesando la sua natura animalesca e caricò verso di loro: i proiettili non la sfioravano, rimbalzando contro un muro invisibile che proteggeva la creatura.

Quando fu sufficientemente vicino, Asuka poté vedere che la barriera di quell’essere brillava di una fioca luce arancione rivelando forme geometriche concentriche nella sua struttura, e con lo sguardo colmo di terrore si voltò verso Misato:

“Ha un AT- Field!”

Con un balzo furente la creatura assalì Tanaka, il quale impotente venne sbranato vivo dalle zanne della belva, mentre tentava di opporre una strenua ma inutile resistenza.

Trucidata la sua vittima, si avventò su Yamada, il quale nonostante avesse tentato di schivarlo venne afferrato dalle sue lunghe falangi ossute e trascinato a terra.

A quel punto il comandante Ikari, come destatosi da uno stato di torpore, estrasse una pistola dalla fondina della sua tuta, prese velocemente la mira e sparò un colpo; riuscì a colpire la creatura sulla spalla, e questa emetté un grido stridente a metà tra un raglio ed il suono di due metalli che si sfregano tra loro. Approfittando di quell’istante, Rei si precipitò su Yamada e lo afferrò trascinandolo via, subito dopo Misato riaprì il fuoco sulla creatura, ma tutt’altro che sconfitta questa riattivò il suo AT-Field e sibilando scomparve nel buio; Tsuji si precipitò sul ferito, e aiutato da Rei lo portò dentro la Nile per medicarlo.

Asuka entrò nella cabina di pilotaggio, ma si trovo dinnanzi a uno spettacolo agghiacciante: la consolle era stata brutalmente sfasciata, ed era pertanto inutilizzabile. Uscì dalla cabina ed andò nel vagone, dove da un lato Tsuji stava medicando Yamada, dall’altro i restanti membri della squadra osservavano sconcertati il portellone posteriore della navicella, scardinato da una forza inumana; solo il comandante Ikari stava immobile su un sedile, con le mani incrociate davanti al volto, e lo sguardo perso nel vuoto.

“Quel bastardo ha distrutto la nostra navicella…” - commentò Asuka.

Makoto si voltò verso di lei:

“Non ci ha solo pedinato, sapeva dove andare, dove nascondersi…”

“… e dove colpirci: la consolle di comando è distrutta, questo affare non può alzarsi in volo finché non la ripariamo.”

Shinji si appoggiò su un sedile, quello parallelamente opposto a suo padre:

“Nato da poche ore sapeva già tutto ciò… quasi come se avesse rubato delle informazioni a Fudo.”

Tutti guardarono Shinji colpiti, e Misato gli si avvicinò sconcertata:

“Ha preso la sua vita e la sua conoscenza, in pratica è come se gli avesse rubato l’anima.”

Nel frattempo Hirano premeva tasti e muoveva leve nervosamente: nonostante i suoi sforzi, il ricetrasmettitore non ne voleva sapere di funzionare.

“Merda!” - imprecò dando un pugno a terra.

Di colpo, sentì un segnale confuso e tentò di agganciarsi ad esso.

 

Maya cercava di regolare la consolle per le comunicazioni:
“Novità?” - domandò la dottoressa Akagi.

“La tempesta impedisce le comunicazioni… sono riuscita a sentire solo Hirano per alcuni secondi, e dal suo tono sembrava molto spaventato.”

Ritsuko si sedette portandosi la mano sul mento:

“Siamo in stallo, noi non possiamo scendere e loro non possono tornare a bordo, fino a che le condizioni meteorologiche non migliorano…”

 

Kensuke puntava il fucile mitragliatore illuminando il buio col mirino laser acceso, nel caso in cui la creatura fosse tornata; a un certo punto vide una nera figura avanzare nel buio, e senza esitazione riaprì il fuoco, ma i suoi proiettili rimbalzarono su un AT-Field.

“E’ tornato!”

Chiunque poté imbracciò un arma e si mise all’entrata posteriore della navicella per dare manforte a Kensuke, mentre quell’ombra misteriosa avanzava nel buio camminando lentamente.

“Aspettate, non è quel mostro…” - constatò Misato abbassando il mitra.

Ordinò di cessare il fuoco, e tutti poterono vedere l’inconfutabile diversità tra la figura che avevano dinnanzi e il mostro albino che aveva funestato la loro missione. La illuminarono con le torce, rivelando chi si stesse celando nelle tenebre: indossava una sorta di pastrano scuro, che ne celava le forme, ma da quel poco che si poteva vedere, aveva aspetto umano.

“Chi sei?” - intimò Misato.

“Non siete al sicuro qui, le luci vi rendono un bersaglio facile, e lui sa che siete qui ormai.” - ripose una voce femminile monocorde, ignorando la domanda del colonnello.

“Chi sei?” - ripeté la domanda con veemenza.

“Dovete andarvene.” - disse entrando nella Nile con tutti i mirini puntati addosso, e si avvicinò a Shinji - “Conosco un posto sicuro.”

Si abbassò il cappuccio e per la prima volta, Shinji vide Rei Ayanami sgranare gli occhi per lo stupore mentre osservava incredula il volto dell’ultima arrivata: aveva un aspetto ferino, con una lunga chioma cerulea spettinata, e un volto liscio e candido completamente identico al suo. 
 





Postilla dell'autore:
Scusate l'attesa!
Come avrete potuto notare, questo è il capitolo più Alien e meno Evangelion; purtroppo era un punto impossibile da evitare, spero di non aver lasciato nessuno in disappunto, e di aver comunque reso godibile questa parte più "splatter" delle altre.
A presto!

   
 
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