Una lunga striscia nera percorre la pelle chiara e
lentigginosa della guancia destra: parte dallo zigomo e arriva fin quasi alla
punta del mento. Parrebbe esser una ferita mortale o qualcosa di simile –vista
da un occhio disattento che dedica al mondo solo sguardi fugaci, s’intende-, ma
in verità non è altro che una traccia del carboncino scuro e oleoso con il
quale Greta Locatelli stava disegnando fino a pochi attimi prima.
Ora il suo sguardo è puntato sul massiccio ragazzo pel di carota che si trova,
con un’espressione tra il confuso e lo sconcertato, esattamente davanti alla
porta.
Greta non può far a meno di inarcare un sopracciglio, sinceramente divertita e forse
un poco perplessa –ma d’altronde esser perplessa del mondo e dei fatti era
nella sua natura-, quando il ragazzo schiude le labbra per proferir parola per
poi restare con la bocca aperta come un ebete senza dir nulla. La ragazza dai capelli
blu lo scruta ancora qualche attimo analizzandone la forza del viso e la
sfumatura delle iridi tra il castano e il rossiccio con l’occhio critico e
attento dell’artista: ha il viso affilato chiazzato di rosso, segno di come sia
arrivato di fretta, e le labbra atteggiate naturalmente in un sorriso leggero
che però ora sono contratte per un qualche motivo. Ha le guance perfettamente
delineate e il bel naso dal taglio aristocratico, completamente opposto alla
forma ovale e sempliciotta degli occhi che però è, in qualche modo, ugualmente
accattivante. La camicia che indossa è stropicciata e un angolo, quello
sinistro, spunta fuori dai pantaloni scuri rompendo l’immagine di damerino
curato e attento che i capelli, scompigliati ad arte con una cura non indifferente
impossibile da non notare per chiunque avesse un minimo di occhio –e Greta
l’occhio per le cose belle e curate lo aveva indubbiamente-, avevano
contribuito a creare.
Una volta osservati i mocassini laccati di nero che il ragazzo ha indosso e senza
aver trovato alcun punto d’interesse né in questi né in alcun’altra parte del
vestiario o del fisico del rosso, Greta abbassa lo sguardo tornando a disegnare
un volto dai lineamenti tipicamente femminili sul suo quadernone. Erano anni
che non disegnava altro, in verità: spesso ripensava ai suoi schizzi con
l’amarezza di chi sa cosa ha perso ma non ha abbastanza forza e coraggio per
ammetterlo.
«La riunione è… finita?»
«Come dici? Finita?» Greta alza gli occhi azzurri sul ragazzo dai capelli
rossi, ancora inconsapevole della macchia di carboncino sulla guancia «La
riunione inizierà tra venti minuti.» Una volta le avevano detto che i suoi
occhi parevano pozze senza fine in cui perdersi non sarebbe stato tanto male,
ma quello era stato tanto tempo prima –eppure il tempo non le aveva impedito di
dimenticare, quello no. Il lettore deve sapere che Greta aveva il brutto vizio
di ricordare gran parte delle stupidaggini della propria e altrui vita senza
alcuna ragione apparente se non la sola e pura predisposizione naturale-. «Ieri
l’abbiamo posticipata di una mezz’ora perché Elia aveva avuto un problema.»
Aggiunge poi la ragazza vedendo che il ragazzo continua imperturbabile con la
sua faccia da pesce fuor d’acqua –e i lettori sapranno, per la parte del testo
qua sopra che abbiamo a lui dedicato, che Isaia, perché ovviamente di lui si
trattava, aveva normalmente la risposta abbastanza pronta e un sorriso per
qualunque circostanza-.
«Posticipata di… mezz’ora?»
Greta a quel punto fa facilmente due più due e sommando lo sconcerto, la faccia
allucinata, il fiato corto e la maglia stropicciata arriva facilmente alla
conclusione: non aveva letto lo scambio delle mail del giorno precedente, aveva
avuto un contrattempo e si era affrettato ad arrivare, probabilmente a piedi a
giudicare dai mocassini attualmente opachi per la polvere. Doveva anche essersi
cambiato la camicia in tutta fretta dato che le spiegazzature non combaciavano
nell’immagine generale con i pantaloni ben curati: doveva aver tenuto una
maglia di ricambio in borsa e, resosi conto di aver sudato assurdamente,
essersi cambiato in ascensore.
«Tu sei Isaia, giusto?»
Il ragazzo boccheggia, impreparato: le parole di Greta hanno interrotto
l’abbozzato tentativo di ritrovare un poco di contegno rimettendo al suo posto
il ribelle angolo della camicia bianca che si è accorto solo in quel momento
essere sfuggito all’oppressiva e tirannica morsa dell’elastico dei pantaloni.
Alza lo sguardo –che stava iniziando a schiarirsi e farsi un poco più
consapevole mano a mano che le nubi di confusione venivano disperse e scacciate
da qualche ragionamento logico- e lo punta sulla ragazza dai capelli azzurri
che, nel frattempo, aveva poggiato il gomito destro sul tavolo e la guancia sul
palmo della mano con i polpastrelli colpevoli dello scempio nero e grigiastro
che ora si trova in viso.
«Parli con me?»
Greta si lascia ora andare a una risata, trovando quella situazione non comica,
ma ai limiti del grottesco. In cuor suo però, nel frattempo, manda una
maledizione ai suoi superiori, e a una ragazza in particolare, che le avevano
buttato in squadra quello che a prima vista pare un completo incompetente e per
giunta pure svampito come pochi. Lo stesso ragazzo che si unisce alla sua
risata, ma la cui lieve tensione è ancora percepibile.
«Vedi altri?»
«No, giusto, scusa, hai ragione.» Il rosso si morde il labbro inferiore non
sapendo cos’altro aggiungere e strappando a Greta l’ennesimo sorriso divertito.
La ragazza dai capelli azzurri gli fa cenno di avvicinarsi e Isaia esegue
immediatamente, assolutamente intenzionato ad evitare altre figuracce.
Greta guarda il ragazzo sedersi e si gratta la punta del naso per poi tornare a
disegnare il mento del volto femminile. Continua però a sentirsi lo sguardo di
Isaia puntato addosso, intento ad analizzare lei, i suoi atteggiamenti e i suoi
vestiti, in particolare i suoi vestiti –e Greta ne è certa perché praticamente
qualunque persona la vedesse per la prima volta tendeva a soffermarsi sui suoi
vestiti giudicandoli poco consoni-.
«Domani mettiti un paio di jeans, ti prego, sei imbarazzante conciato così.»
«Cosa?»
Greta alza finalmente lo sguardo su di lui guardandolo infastidita senza
riuscire ad evitare di chiedersi di quale disturbo dell’apprendimento o di
quale problema cerebrale fosse affetto quel ragazzo. Magari era scemo e basta.
«Ti ho detto che domani dovresti metterti un paio di jeans e una t-shirt, puoi
anche venire in bermuda per quello che mi riguarda, ma ti prego, evita camicia
e mocassini.»
«Io… Ehm…»
Greta chiude gli occhi per poi contare mentalmente fino a dieci interrogandosi
nel frattempo sul senso della vita e dell’esistenza e stabilendo che, sì, era
semplicemente idiota.
«Sai che c’è? Non importa, vestiti come vuoi.»
Greta non era una ragazza particolarmente paziente, anzi. Sua madre aveva
sfruttato ogni secondo dei suoi diciannove anni di vita per definirla “facile
al nervo” e “dalla palpebra vibrante per un nonnulla”, ma questo non aveva mai
fatto altro che darle più fastidio e farla diventare, se possibile, ancor più impaziente
e peggiorare il suo temperamento, già di per sé irritabile e a tratti
infantile, fino a rendere Greta perennemente e spasmodicamente infastidita da,
per esempio, qualunque cosa le gravitasse attorno nel raggio di venti metri.
Gli esseri umani stupidi, nello specifico, tendevano ad irritarla e a causarle
quella famosa “vibrazione di palpebra” dalla madre tanto decantata.
Il ragazzo le dice qualcosa, ma Greta non si prende nemmeno la briga di
ascoltarlo troppo presa dal cercare di rendere il labbro superiore della
ragazza senza nome che sta disegnando dolce ma severo allo stesso tempo.
«Ascolti i The Clash?»
Greta solleva di nuovo lo sguardo, rassegnandosi alla consapevolezza di dover
interagire con il ragazzo che ha seduto davanti poiché le pare che questo non
abbia la minima intenzione di zittirsi e fissare il vuoto alla ricerca della
soluzione della funzione Z o, più banalmente, del motivo della sua fastidiosa e
grottesca idiozia.
«No» risponde secca per poi decidersi a infilare il disegno nel blocco,
chiudere quest’ultimo e infilarlo nello zaino verde militare mezzo distrutto
ricoperto di toppe colorate e scritte
più e meno schiarite. «Perché me lo chiedi?» domanda sollevando lo sguardo su
di lui per poi prendersi una ciocca di capelli azzurri tra le dita e iniziare a
strofinarla.
«Beh, perché indossi una loro maglietta…»
Greta piega la testa verso sinistra poggiando la testa sulle nocche del pugno
chiuso.
«Appunto.»
«Appunto?»
«Ho indosso una maglia dei The Clash, perché dovrei mettermela se non perché
sono una fan?»
Sbuffa e si sistema il capello blu scuro che indossa, cambiando nuovamente
posizione e decidendo di appoggiarsi contro lo schienale giusto per tentare di
star comoda, le dita ancora sporche della mano destra iniziano a tamburellare ,
senza che lei nemmeno se ne accorga, contro il suo ginocchio. Odia non avere
nulla per tenere le mani occupate, odia, semplicemente, non far nulla:
l’inattività le dà l’orticaria.
«Effettivamente hai ragione…»Isaia si morde il labbro inferiore cercando
qualcosa di intelligente da dire o una qualche battuta sagace che possa
alleggerire la situazione, alla fine, però, si limita a sospirare. «Senti,
scusa se ti ho disturbato arrivando in, ehm, anticipo e scusa se pensi che sia
un poco di buono o roba simile.» Si porta una mano tra i capelli rossi e se la
passa sulla nuca, sorridendo sinceramente dispiaciuto per nemmeno lui sa cosa dato
che, Greta lo sapeva, era convinto di non aver fatto assolutamente nulla per
infastidirla o simili. «Ci tengo sul serio a questa cosa e vorrei andare
d’accordo con i miei colleghi.»
Greta getta la testa all’indietro oltre lo schienale della comoda poltroncina
bianca su cui è seduta e si fa scappare dalle labbra quello che sta a metà tra
un sospiro rassegnato e una risata. Doveva riuscire a tenere a bada il suo
caratteraccio, almeno per quel giorno e per quel primo incontro: stava per
incontrare il gruppo di persone con cui avrebbe dovuto non solo condividere un
posto di lavoro, ma anche una missione e un obiettivo di una certa importanza,
avrebbe dovuto guidare quelle stesse persone! Non poteva permettersi di farsi
odiare, non se voleva svolgere il compito che le avevano assegnato bene come si
era prefissata.
Strizza gli occhi e se li strofina per poi tornare a guardare Isaia.
«No, scusami tu, devi aver passato una mattinata di merda a giudicare da come
sei conciato ed io ti ho praticamente aggredito. Sono quasi certa che tu non
sia scemo come sembri.»
«Quasi sicura?»
Greta sorride alzando gli occhi azzurri al cielo «Sì, quasi, ma comunque. Forse
è meglio ricominciare da capo: sono Greta Locatelli, la responsabile di
quest’unità governativa distaccata.»
«Oddio!» Greta non può far a meno di ridere per l’espressione che
improvvisamente è comparsa sulla faccia del rosso –e chiunque altro lo avrebbe
fatto dato che i muscoli del viso di Isaia si erano contratti repentinamente e
senza nessun preavviso trasformandosi da rilassati e divertiti a costernati e
completamente nel panico- «Tu sei il mio capo! I-io… cioè, scusa, cioè, scusi.»
e poi, abbassando la voce e il volto rosso per l’imbarazzo «ho dato della
stronza al mio capo» per poi alzare di scatto il viso, che ormai ha la stessa
tonalità rosso fuoco dei capelli «cioè io…non stavo dicendo questo, cioè sì, ma
non era quello che intendevo!»
È a questo punto che Greta scoppia realmente a ridere a crepapelle, colta da un
attacco di risate irrefrenabili che durano quelle che a un Isaia
imbarazzatissimo paiono ore. Scuote leggermente la testa e finalmente si calma
fingendo di asciugarsi con un dito –anche se ho qualche dubbio sul fatto che
stesse fingendo e basta- una lacrima causata dalle troppe risa.
«Se pensi che io sia una stronza quando conoscerai Rachele morirai, temo. E non
preoccuparti, sarò anche il “tuo capo”, ma prima di tutto vorrei essere tua
amica, se a te va bene.»
E finalmente tocca a Isaia sorridere mentre sente l’imbarazzo dissolversi.
«Grazie di non essertela presa… posso chiamarti per nome?»
«Ma che domanda è?»
«E va bene, e va bene, giuro che non farò più domande idiote.»
La ragazza alza gli occhi al cielo incrociando le braccia al petto e pensando
che, forse e dopo tutto, non era idiota come sembrava, forse sarebbe riuscita a
cavarne fuori qualcosa.
«Ah, Greta, ma perché tu sei già qui se la riunione è stata posticipata?»
Proprio in quel momento il citofono inizia a suonare emettendo uno squillo
acuto che, Greta lo nota, fa sussultare Isaia per lo spavento. E forse agli
occhi di qualcun altro potrebbe sembrare una piccolezza, ma il cervello di
Greta tendeva –come abbiamo già detto- a vedere e registrare gran parte dei
granelli di polvere nella matassa di lana. Quelle piccole osservazioni
permettevano di capire tantissimo di una persona: per esempio a quanto pareva
Isaia tendeva a concentrarsi particolarmente su una cosa per poi trascurare
tutto il resto e a reagire “violentemente” quando qualcosa lo prendeva di
sorpresa concentrando così l’attenzione sull’elemento “distraente” e
dimenticandosi, di nuovo, del resto.
Greta si alza e, dopo aver dato un’occhiata veloce al videocitofono, schiaccia
un paio di pulsanti per poi voltarsi di nuovo verso l’altro ragazzo.
«Sono Cassandra e Nicola, o almeno credo, di Nicola ho visto solo i capelli, ma
presumo sia lui. Perché? Beh, perché abito due piani più sotto, ma ho il frigo
vuoto e sono senza aria condizionata e quindi mi son detta “ehi, perché no?”»
«Oh beh, mi pare giusto.» sorride Isaia per poi ricordarsi della prima cosa che
aveva notato e che poi non le aveva potuto dire, preso com’era stato
dall’imbarazzo. «Lo sai che sei tutta sporca?»
«Che?»
«Sì, in faccia, sei tipo tutta sporca di carboncino nero.» afferma indicandosi
la faccia e gesticolando un po’ come era solito fare.
Immediatamente Greta si guarda le mani e si accorge di come siano,
effettivamente, ricoperte di nero. La sua mente non impiega molto a fare due
più due e capire che tutte le volte che si era toccata la faccia anche
accidentalmente non aveva fatto altro che impasticciarsi di più.
«Cazzo!» urla la ragazza immaginando già il peggio per la sua faccia. «Ma
dirmelo prima?»
Isaia non fa però in tempo a rispondere che la porta si apre lasciando la scena
a tre figure piazzate in ordine d’altezza. Il primo ad entrare nel quartier
generale è un tappetto dai capelli celesti più chiari di quelli di Greta.
«Per quale motivo sei completamente ricoperta di nero?»
Ma Greta Locatelli non si sofferma ad ascoltare la banale ed ovvia domanda di
Nicola, e si limita a schizzare verso il bagno cercando di non inciampare sui
suoi stessi piedi mentre nelle orecchie le risuona la risata gutturale di
Marco.
Magnifica e special nota autrice. Leggete.
No,
non sono morta come poteva sembrare, semplicemente mi ero un po' persa
tra vari ed eventuali disagi che non credo valga la pena di raccontare.
L'importante è che io sia effettivamente tornata! D'ora in poi
aggiornerò questa storia con regolarità (circa, spero),
anche perché ho deciso di dividere i capitoli in due parti
(una per ogni punto di vista), semplicemente perché altrimenti i
capitoli sarebbero risultati mostruosametne lunghi e, magari, un po'
pesanti.
As always il capitolo è stato riletto per le solite dieci volte,
ma qualcosa mi sarà certamente sfuggito, dunque se mi faceste
notare gli errori mi fareste un piacere enorme.
Ciancio alle bande vi lascio qui sotto gli OC che sono stati selezionati (insieme ai quattro del precedente capitolo) come protagonisti de "Il quartiere dei gatti neri"!
Minimo D’Annunzio –20
anni. Mafia.
Abilità: Il trionfo della morte. (D’Annunzio)
Io modesto? È il solo difetto che mi
onoro di non avere.
Tatara
Totsuka, K-project
Lorenzo Locci –20
anni. Mafia.
Abilità: Ed è subito sera. (Ungaretti)
Se gli ultimi momenti di una sono quelli
che la rivelano, io posso dire di essere l’unico ad aver realmente conosciuto
le vittime.
Yato,
Noragami
Lidia Esposito – 20
anni. Mafia.
Abilità: La coda del diavolo (Verga)
Non fidarti mai di un sopravvissuto
finché non scopri cos’ha fatto per rimanere in vita.
Futaba
Yoshioka (Ao haru ride)
Gabriele Venturi – 25
anni. Mafia.
Abilità: Il sistema periodico (Levi)
Combatti ogni battaglia, ovunque, sempre,
nella tua mente.
Mikaela
Hyakuya, Owari no Seraph
Amos Occhipinti – 21
anni. Mafia.
Abilità: La roba. (Verga)
La chiave è la perseveranza.
Saeran
Choi, Mystic Messenger
Cassandra Pascal –24 anni. Governo.
Abilità: Il fu Mattia Pascal. (Pirandello)
Ancora mi chiedo se verremo mai messi
nelle canzoni o nei racconti.
Ayano
Aishi, Yandere Simulator
Elia Mezzanotte – 24
anni. Governo.
Abilità: Sovrumani silenzi e profondissima quiete. (Leopardi)
La vita è come suonare un assolo di
violino in pubblico e imparare a suonare lo strumento mentre si suona.
N,
Pokemon
Marco Nero – 21 anni.
Governo.
Abilità: Il grande viaggio (Marco Polo)
Muori e poi raccontami come è andata.
Hidan,
Naruto (un po’ più bianco)
Nicola Agnelli –19/20
anni. Governo.
Abilità: Se del perdono non sarai degno, tutta la vita sarai di legno.
(Collodi)
Ha visto giusto su di me, non solo l’eroe
della mia storia.
Nagisa
Shiota, Assassination Classroom