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Autore: i luv rainbow    05/09/2017    2 recensioni
Un altro giorno sulle Rook. Un altro giorno speso a girovagare per la giungla ed a scampare ai pirati.
Breve racconto senza troppe pretese. Un piccolo spaccato di come Jason abbia iniziato ad abituarsi al ritmo tropicale dell’isola.
[2° Parte The Warrior Inside Me - Tutti i missing moment del gioco parte 1]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jason Brody
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The Warrior Inside Me'
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FUCK. THIS. HEAT.

Author - I luv Rainbow
(I_luv_Rainbow_000)
EFP | AO3

*i dialoghi in corsivo chiusi tra «» servono a indicare che si sta parlando spagnolo. Se qualcuno di voi è di origini spagnole o conosce abbastanza bene la lingua da potermi passare una traduzione accurata, siete i benvenuti.

FUCK. THIS. HEAT.

Non ero ancora abituato al caldo soffocante dell’isola.

Ansimavo e non riuscivo a fare lo stesso tempo di resistenza in corsa che invece avevo sempre fatto a casa, in California; qui era più faticoso, diverso e decisamente distruttivo. Il ché non era per niente buono, visto che la metà del mio tempo la passavo a scappare da qualche maledetto pirata, che non so come, riusciva sempre ad individuarmi nella folta vegetazione della giungla – dopotutto, avevo appena incominciato a mettere in pratica tutto quello che Dennis mi stava insegnando…

Era stato lui a salvarmi, a tirarmi fuori dalle acque.

«Trovato! È qui!»

«Ma porca...» mi dissi, non facendo nemmeno in tempo a finire la frase che subito dovetti di nuovo rialzarmi da terra e correre via.

Odiavo sentirli intorno per cercare di circondarmi, urlarsi a vicenda ordini in spagnolo e non capirci un bel niente, come odiavo anche sentire ogni tanto qualche dannata pallottola sfiorarmi, mancarmi solo per un pelo e sentirmi l'orecchio fischiare per quanto troppo vicina alla testa fosse passata; non credevo che un uomo, soprattutto se solo, potesse abituarsi a tutto questo…

quindi mi aiuterai?”

non avrai più bisogno di nessuno, io ti darò la libertà

Mi ricordai delle parole di Dennis, della sua promessa, del fatto che mi avrebbe aiutato a diventare l'uomo che serviva – l'uomo che Grant era…

Per un attimo chiusi gli occhi sentendomi soltanto il cuore in pezzi e senza farlo apposta, mi ritrovai subito a stringere la stoffa della maglietta là dove violentemente mi pulsava nel petto; ma il secondo dopo mi costrinsi a riprendere le forze, riaprendo anche i miei occhi e puntandoli decisi verso la mia vera meta. Verso il mio vero scopo. Perché là fuori c'era chi aveva bisogno di me – della sola persona rimasta che avesse potuto fare ancora qualcosa, la loro ultima speranza – ed io non potevo deluderli.

Non avevo nessun'altra scelta.

Ancora una volta mi alzai, poi corsi, passai agilmente tra gli alberi, frenai, ritrovandomi a scivolare tra l'erba e il fango, per rimanere poi acquattato a terra, prima ad ascoltare e poi anche ad osservare tutto quello che si muoveva attorno. Sentii i pirati cercare a tentoni di scovarmi, rumorosi come sempre; dicendo in inglese solo quello che mi avrebbero fatto se mi avessero preso, ma io sapevo che era solo un inutile tentativo di spaventarmi o demoralizzarmi.

Alla fine non mi trovavano mai – infondo qualcosa l'avevo imparata – avanzavano sempre a tentoni per poi guardarsi attorno, rinunciare e infine andarsene via.

Era un gran sollievo che non fossero così tenaci.

Anche perché correre alla cieca nella giungla e riuscire a nascondermi dai pirati non sempre voleva dire che mi fosse andata bene; moltissime volte anche se scampato da loro, finivo dritto tra le fauci di qualcun altro, letteralmente. Come quando all'improvviso mi sentivo sopraggiungermi alle spalle un ringhio di tigre o addirittura l’ululare di un branco di cani rabbiosi.

Quest'ultimi erano i peggiori.

Mi avevano sorpreso e azzannato così tante di quelle volte ormai, che ero diventato completamente immune alla rabbia; anche se non dopo essermi fatto tre giorni passati a farneticare e divincolarmi nel delirio della febbre, mentre dei Rakyat tenaci cercavano di tenermi in vita.

Da quel giorno iniziai a scoprire le utili erbe guaritrici che crescevano per tutta l'isola e non solo.

C'erano molte piante interessanti che esistevano solo qui. Moltissime completamente sconosciute e ufficialmente ancora mai scoperte e di cui quindi, la scienza odierna, non conosceva né le proprietà né l'esistenza. Ma di questo non c'era da meravigliarsi; dopotutto, l'idea di un'isola del terzo mondo dominata dal caos e da squilibrati assassini, non era esattamente una meta allettante per qualunque naturalista o chiunque lavorasse nella ricerca medica.

Solo i Rakyat, fin dall’antichità, le conoscevano e sapevano come sfruttarle; ed io poco a poco stavo imparando ad usarle.

Non appena capii di essere solo iniziai a camminare, cercando come sempre di stare molto attento; la giungla nascondeva un sacco di insidie e se non restavo vigile, potevo anche inciampare in qualcos'altro di altrettanto pericoloso. In quell'occasione fortunatamente si trattava solo di un grosso pitone che se ne stava pacificamente disteso a digerire la sua cena, che mi limitai a scavalcare e poi a lottare contro la voglia di immortalarlo in uno scatto – visto come anch'io fossi ormai distrutto dalla fatica e dalle temperature cuocenti.

Sentivo che sarei potuto anche svenire se non mi fossi fermato e di fatto lo feci; ormai al limite, mi lascia cadere a terra giusto con un pizzico di cautela, per finire poi disteso sulla sabbia fine. Non ero affatto allo scoperto, si trattava ancora di un piccolo tratto di giungla che appena pochi passi dopo dava sulla spiaggia.

Sdraiato prima sulla schiena e coperto da alcune palme, mi mossi per mettermi disteso su un fianco e cercare di rilassarmi. Dandomi comunque il divieto di concedermi più di cinque minuti, massimo dieci; sentendomi già perseguitato dall'idea di non potermi concedere il lusso di poter dormire, non con le lancette del tempo che correvano e che avrebbero segnato la fine di tutti i miei amici più cari e di quel poco che rimaneva della mia famiglia – di mio fratello minore – ancora nelle mani dei pirati.

Non potevo permettere che venissero venduti come schiavi e che quindi lasciassero l'isola prima che io li trovassi; altrimenti sarebbe svanita ogni minima traccia ed io li avrei perduti per sempre.

Era una situazione orribile e più ci pensavo più mi sentivo lo stomaco chiudersi, rigirarsi sotto sopra e non lasciarmi più in pace; qualche volta finivo veramente con il vomitare, ma finalmente mi stavo abituando alla sensazione – più o meno.

Nel frattempo, mi serrai le braccia intorno alla vita e mi rigirai su di un fianco.

Ero così accaldato e ancora una volta, dopo lo sforzo di riuscire a sfuggire o lottare contro i pirati, non riuscivo subito a ritornare in forma, a stare bene e riprendere le mie energie. Per l’appunto; non mi ero ancora per nulla abituato al caldo soffocante di quest’isola e ad alcuni dei suoi più che rari ma anche improvvisi sbalzi di temperatura, ogni qual volta che pioveva.

Nulla era più come a casa.

Nulla sarebbe mai più stato come prima.

Nonostante ciò, l’angolo che mi ero scelto era perfetto, così fresco e vicino alla spiaggia; per questo l’unico animale che mi venne a disturbare fu solo un granchio, che ignorai quasi subito come decise di sorpassarmi davanti al viso e di andare oltre mentre distrattamente batteva le sue piccole chele. Poi richiusi gli occhi e cercai di rilassarmi, riprendere un respiro più regolare e farmi cullare dal suono non troppo lontano delle onde.

Prima che potessi accorgermene, caddi già in un sonno profondo...

.... .... .... ....

Jason ogni notte sognava quella notte.

Il rapimento. La fuga. Vaas che sparava a suo fratello, che lo uccideva. La corsa disperata nella giungla più profonda, inseguendo alla cieca la vana speranza di trovare una sorta di via d’uscita. Un “esci gratis di prigione”, un esci gratis da questo orrore. Il ponte che crollava. Le rapide che lo risucchiavano nell’oscurità non lasciandolo più riemergere. La stretta gelida della morte e la risata del pirata folle che lo perseguitava anche nella tomba…

Non era andata così nella realtà, ma poco importava.

Ogni giorno in più passato sull’isola – ogni dormita, ogni sogno seguente – l’incubo si modificava, distorcendosi sempre di più di volta in volta, tanto che presto avrebbe assunto forme così contorte e terribili, da risultare quasi masochistico. Da risultare chiaramente la perfetta manifestazione del proprio senso di colpa; del desiderio perpetuo di autopunirsi per quello che era successo a lui, alla propria famiglia e hai suoi amici.

E del dolore di sapere che non sarebbe mai potuto tornare indietro per poter cambiare le cose.

.... .... .... ....

«Fanculo. Questo. Caldo!»

Questo, fu il suono che mi svegliò di colpo e che mi fece trasalire; perché si trattava chiaramente della voce di un maledetto pirata.

Mi paralizzai all'istante e il fatto che non fosse più giorno ma sera, passò completamente in secondo piano, visto che la voce appena udita proveniva da non meno di un paio di metri distante da dove mi trovavo io. Anche se forse, il vero problema, era che non fosse affatto solo.

«Che qualcuno mi spari! porca puttana1»lo sentii poi aggiungere, non solo stupendomi del fatto che stessero parlando in inglese e non in spagnolo come loro solito, ma anche che sembrassero ignorare completamente il fatto che fossi praticamente accanto a loro. Nascosto solo da un paio di rigogliosi cespugli.

«Piantala di piagnucolare come una fottuta fighetta!» intervenne un altro pirata ancora, più anziano e decisamente autoritario, con la voce molto roca e segnata dal vizio del fumo: «Ogni cazzo di volta è sempre la stessa di storia con voi novellini porca troia! E tu! tieni quel maledetto kalashnikov come un bastardo coi dei coglioni! O forse ti hanno castrato!?» continuò severo, lasciandosi sfuggire qualche altro insulto in spagnolo e nessuno osò contestarlo o anche solo dare il minimo segno di insolenza, mentre io incominciai a capire perché stessero usando l’inglese…

Ancora non riuscivo a muovermi.

Ero paralizzato ma tremavo e in un primo momento non ne capii il perché; solo da poco avevo iniziato ad attaccare i pirati, a combatterli, sia con le pallottole che con le frecce e le lame, ma era la prima volta (dopo la fuga da Vaas) che la paura riusciva a bloccarmi completamente lasciandomi come una vittima inerme e tremante.

Probabilmente era la ricaduta.

Infondo sapevo che sarebbe arrivata, che l’adrenalina iniziale data dalla rabbia che mi aveva spinto a ad assaltare i pirati, quasi fossi posseduto dal diavolo, si sarebbe poi esaurita. Così come sapevo che questo momento sarebbe passato e che sarei presto tornato ad attaccarli, bruciando d’odio. Che sarei tornato solo a provare la rabbia più profonda per l’uomo con la cicatrice sulla testa e gli occhi di una tigre, che in meno di una giornata aveva distrutto la vita.

Dio, in quel momento non riuscivo nemmeno a pensare al suo nome senza trasalire. Non riuscivo a smettere di agitarmi dalla paura e a fatica provai a riprendere un ritmo del respiro regolare. Ma i miei pensieri furono presto interrotti dai discorsi dei pirati che avevo lì vicino.

«Perfetto!» tornò a parlare l’uomo autoritario: «Ora che mi sembrate un po’ meno dei sacchi di merda, Felipe vi spiegherà un paio di cose» concluse ed io, volente o nolente, mi ritrovai ad ascoltare…

Felipe si fece avanti e iniziò a parlare.

Non sembrava essere il suo mestiere ma se la cavava abbastanza bene; di lui si poteva intuire che fosse una persona semplice, probabilmente non abituata a fare i discorsi che erano di competenza dei capi, incarico che di fatto di fatto eseguiva a fatica, come se a volte dovesse soffermarsi a pensare quali fossero le parole giuste da usare – forse era poco pratico con l’inglese? – ma di sicuro senza provare alcun timore. A volte gli uomini a cui parlava facevano delle domande e dall’accento capii che provenivano da diverse parti nel mondo; Africa centro-settentrionale, sud America, sud-est asiatico, ed ovviamente, solo uno di questi gruppi multietnici parlava lo spagnolo ma molto presto, quelli che sarebbero rimasti o sopravvissuti abbastanza a lungo, avrebbero finito per impararlo.

Felipe intanto proseguiva il suo discorso:

«…qui a nord rispondiamo solo e soltanto a Vaas Montenegro…»

Ed io trasalii.

«…ed è l’unica regola che vale»

Nonostante tremassi mi sfuggì una breve e bassa risata nervosa che passò inosservata: prima regola del pirate’s club, mai disobbedire a Vaas2 e la seconda regola, a quanto pare, era esattamente la stessa. Ed il fatto che riuscivo a ricavarne della facile e leggera ironia, nonostante sussultai per la seconda volta al suo nome, forse era un buon segno.

Forse voleva dire che mi sarei rimesso in piedi prima del previsto.

«Per il resto, si insomma, non ci sono molte altre dritte da seguire…potete scopare, saccheggiare…sì, anche giocare a tiro al bersaglio con la testa di qualche povero coglione locale. Oh! facendo attenzione a non sterminarli tutti però! Ci servono sempre per le fabbriche o per i campi di marijuana. Non credo che avrete voglia di stare al loro posto; inginocchiati nella merda tutto il giorno sotto il sole, a spaccarvi il culo per raccogliere delle cazzo di foglie. Per quanto siano meravigliose…Cristo, di sicuro io non lo vorrei» li informò e sentire tutto ciò non mi meravigliò più di tanto; infondo, non era difficile intuire quale fosse la normale routine dei i pirati o la loro principale fonte di reddito.

Non che mi interessasse granché se non mi era utile per raggirali e ucciderli; poi Felipe se ne venne fuori con l’ultima cosa che in quel momento mi aspettassi, poiché ero ancora impegnato a cercare di calmarmi nonostante fossi circondato dai “loro” suoni – stranamente stavo incominciando a trovarlo confortante. Sembrava quasi non esistesse alcuna caccia contro di me, nonostante avessi appena cominciato a farmi notare. Quasi la mia storia riguardasse invece una persona lontana e che non conoscevo affatto, trasformandomi in un ragazzo qualunque che riposava sotto le palme di una spiaggia qualsiasi…e che non centrava nulla con tutta questa brutale e spietata corsa per la sopravvivenza.

Ma ancora il mio corpo non smetteva di agitarsi; andava di sicuro meglio, ma non era abbastanza.

Questa era solo la prima ricaduta e di sicuro ne sarebbero seguite delle altre prima di abituarmi a tutto questo. Prima di riuscire a far parte integrante di me la violenza che aveva fatto breccia nel mio cuore dal momento in cui…Vaas Monetnegro…aveva, aveva…

Il cuore mi si spezzò per l’ennesima volta – quante volte lo avrebbe fatto ancora prima che finalmente smettesse di farmi male?

…quando Vaas Montenegro aveva ficcato una pallottola nel collo di mio fratello.

Il ripensare a Grant in quel momento mi faceva stare così male da sentire solo il bisogno di lasciarmi andare; di stare disteso su quella spiaggia a versare tutte quante le mie lacrime, non trovando mai più la forza per rialzarmi di nuovo, di continuare a muovermi.

Forse proprio per questo avevo bisogno della violenza fisica...

Ma lo volevo davvero?

Desideravo sul serio che tutto questo facesse parte di me?

In qualche modo sapevo che era una strada da cui non sarei più potuto tornare indietro, ma così non andava comunque bene. Ero ancora troppo debole ed inesperto; continuando in questo modo, presto o tardi, mi avrebbero di sicuro sopraffatto. Mi serviva essere più forte e più furbo, ma soprattutto mi serviva che lo diventassi in fretta. Mi servivano un aiuto, qualcos’altro ancora oltre ai rakyat, a Dennis e alla loro volontà di insegnarmi. Mi serviva mettere in pratica tutto ciò che stavo imparando ma con la quasi assoluta certezza di uscirne vivo e il più possibile meno illeso; ogni volta, fino a quando non sarei riuscito a cavarmela perfettamente da solo in modo del tutto naturale.

Ma come ottenere una fortuna simile? Come ottenere “la grazia” del principiante?

Ci pensò Felipe.

Non mi accorsi subito quale tipo di argomento stesse trattando, per come ero ancora troppo occupato a riprendere il pieno controllo del mio fisico e della mia mente, ma non appena lo compresi, la mia concentrazione fu completamente rapita dalla conversazione dei pirati. Non potevo crederci…anche se lo sentivo chiaramente, anche se riuscivo a comprenderne ogni parola che pronunciavano, ancora non riuscivo a ritenerlo possibile e mi sentii pervaso dall’eccitazione, e mi sentii come se le la fortuna tornò a sorridermi dopo tanto, troppo tempo.

Erano informazioni importanti, qualcosa che non sarebbe mai dovuta uscire dalla cerchia dei pirati.

Le stavano condividendo con me. Senza volerlo, senza minimamente sospettarlo, mi stavano dando ciò di cui avevo bisogno, almeno per sopravvivere all’inizio, riuscendo così ad essere un passo davanti a loro – per avere la possibilità di diventare forte abbastanza – anche se sapevo che questa fortuna non sarebbe di certo durata per sempre.

Capivo perfettamente che quel che sentivo era solo una misera frazione delle loro molteplici tattiche, dei loro ruoli e punti chiave - dei contatti, dei segnali, di come adattarsi all’ambiente e sopravvivere anche ai propri compagni. Così come sapevo che non sarebbe passato molto dal giorno in cui avrei iniziato a sfruttare questi vantaggi (sia io che i rakyat), fino a quello in cui avrebbero purtroppo compreso le informazioni in nostro possesso e quindi adottato delle nuove strategie.

Ma non importava, perché me lo sarei fatto bastare.

Non importava nemmeno che di quel discorso mi sarei lasciato sfuggire qualcosa; perché nonostante l’agitazione non ancora vinta, il mio braccio si era già teso in avanti, verso i cespugli. Nella mano, con il pollice che già da un pezzo era scattato, stringevo il mio cellulare.

Il programma per registrare era già avviato da un pezzo e avrebbe memorizzato tutto quanto.

.... .... .... ....

Rimasi lì tutta la notte.

Presto il discorso di Felipe finì e quello che seguì fu un’accozzaglia di pirati, ubriachi o strafatti, che intorno al fuoco ridevano e cantavano. Gli schiamazzi furono l’ultima cosa che udii prima di tornare finalmente a calmarmi e, senza farlo apposta, crollare di nuovo dal sonno.

Mi svegliai per ben tre volte quella sera prima di arrivare a vedere l’alba; prima per colpa di un pirata troppo ubriaco per accorgersi che era quasi inciampato proprio nel mio povero ginocchio, durante la corsa verso la spiaggia aperta, dove alla fine aveva vomitato metà del contenuto del suo stomaco, per poi crollare a terra svenuto a smaltire il resto della sbornia. La seconda volta invece, fu per colpa di ben due pirati, che erano decisamente troppo eccitati per aspettare di trovare un luogo indiscreto e apparato dove consumare il loro rapporto occasionale. Fortunatamente l’amplesso non durò molto ed io tornai presto ad addormentarmi, anche se dal tono di voce che udii dopo tutti quei grugniti, uno dei due se ne lamentò sonoramente e chissà, forse fu quella la causa scatenante della terza cosa che portò a svegliarmi perché, chissà come e chissà come mai – non che potesse interessarmi, comunque - ad una certa ora di quella stessa serata era scoppiata una rissa; di sicuro tutti erano ubriachi fradici ed alcuni di loro urlavano troppe parole, troppo velocemente e troppo forte. Ed io non ci capii nulla.

Quando finalmente giunse il mattino, fortunatamente ormai rifornito di tutte ore di riposo di cui avevo realmente bisogno per recuperare a pieno la forma, provai l’istinto di alzarmi.

Erano le prime ore dopo l’alba, l’odore di salsedine mi colpì più che mai e da quel poco che sbriciai oltre i cespugli, trasalii, dandomi mentalmente dell’idiota, perché finalmente compresi quanto avessi realmente rischiato quella notte di arrivare alla fine della mia rivalsa prima ancora che incominciasse; la spiaggia era tappezzata da almeno duecento o trecento pirati, la maggior parti ancora addormentati. Con tanto alcol da smaltire, probabilmente, si sarebbero svegliato solo quando il sole avrebbe raggiunto il centro del cielo. Ma alcuni di loro erano già svegli, anche se lenti ed intontiti.

Era la mia occasione buona per levarmi di torno.

Così raccolsi le mie cose e facendo molta attenzione tornai nell’entroterra, muovendomi di nuovo nel cuore fitto della giungla e proseguendo il mio scopo. Non ci volle molto prima che il mio corpo tornò a gocciolare, portandomi istintivamente una mano al collo della maglietta per muoverlo e far scendere un po’ d’aria fresca sul mio torace accaldato.

Forse me la sarei tolta. Faceva già un caldo soffocante.

1le due frasi “Fanculo. Questo. Caldo” & “Che qualcuno mi spari!” sono le frasi reali che i pirati pronunciano nel gioco. Perlomeno nella versione originale USA, non mi ricordo più invece se si sia perso o no nel doppiaggio italiano.
2Palese riferimento al film Fight Club “Prima regola del Fight Club, non parlate mai del Fight Club

   
 
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