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Autore: EffyLou    08/09/2017    1 recensioni
ATTENZIONE: storia interrotta. La nuova versione, riscritta e corretta, si intitola Stella d'Oriente.
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Ha venti anni quando incontra per la prima volta quegli occhi, lo sguardo fiero del re di Macedonia, il condottiero che non perdona; ha venti anni quando lo sposa, simboleggiando un ponte di collegamento tra la cultura greca e quella persiana. Fin da subito non sembra uno splendente inizio, e con il tempo sarà sempre peggio: il suo destino è subire, assistere allo scorrere degli eventi senza alcun controllo sulla propria vita, e proseguire lungo lo sventurato cammino ombreggiato da violenza, prigionia e morte.
Una fanciulla appena adolescente, forgiata da guerre e complotti, dalla gelosia, dal rapporto turbolento e passionale col marito. Una vita drammatica e incredibile costantemente illuminata da una luce violenta, al fianco della figura più straordinaria che l'umanità abbia mai conosciuto.
Rossane, la moglie di Alessandro il Grande. Il fiore di Persia.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Memorie Antiche'
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۸ . Hasht
 
 
Ossiarte, satrapo di Battria e re di Sogdiana, ad Alessandro, Re dei Re, luce degli ariani, signore dei quattro angoli della terra, re dei macedoni – Salve, sire!
La situazione in Sogdiana è stabile, proprio come l’avevate lasciata. Le città prosperano e gli ufficiali che avevate lasciato ad Alessandria Eschate non si sono ritrovati nella scomoda situazione di dover fronteggiare gli attacchi degli Sciti o rivolte cittadine. Ma ahimè mi duole informarvi che la cultura ellenica non riesce ad attecchire in Battria: l’impronta iranica è troppo forte e antica qui per essere cancellata o solamente amalgamata a quella greca. Questa situazione vale solo per la Battria, nel resto della Sogdiana l’ellenismo, anche se un po’ a rilento, prende piede e in molti vengono istruiti secondo il costume greco. Io stesso, per dare l’esempio. Ma sarò onesto, mio Re: ho troppo caro il culto di Ahura Mazda per abbracciare il vostro credo. Non me ne vogliate.
In qualità di satrapo vi informo di questo, in qualità di padre chiedo a voi se potete informare me riguardo mia figlia. Da quando è partita non ha scritto nemmeno una missiva a me o alle sue sorelle, e nonostante io sappia dei ritmi frenetici che vivete, credo che un momento di tranquillità l’abbiate avuto anche voi. Rossane è sicuramente ancora adirata con me, ma non vedo il motivo per cui non abbia scritto alle sue sorelle. Comprendete i timori di un padre che pensa al peggio. So bene che chiedervi certe informazioni non sarebbe consono né al mio rango né al vostro, mio re, ma speravo che poteste darmi qualche notizia di lei, voi che siete la persona più vicina a mia figlia.
Abbiate cura di voi.
 
Alessandro di Macedonia al satrapo Ossiarte – Salve, caro suocero.
Sono lieto della tranquillità che sta vivendo la Sogdiana e della prosperità che l’avvolge. D’altronde, anche se hai avuto un passato da traditore della corona, ti stai dimostrando senz’altro efficiente. Mi rincresce sapere che in Battria, proprio la regione da cui proviene la mia amata sposa vostra figlia, non riesca ad integrare la cultura ellenica. Io non desidero cancellare le orme persiane e iraniche, ma amalgamare le due civiltà. Ho un grande rispetto per la vostra Storia, nonostante non la conosca ancora adeguatamente. Quando cominciai a dare corpo a questo mio progetto, ero ben consapevole che non tutti si sarebbero facilmente piegati ai cambiamenti, non subito almeno. Sono fiducioso: il mio passaggio in Battria è stato recente, voi siete un popolo duro forgiato dai gelidi venti dell’Hindu Kush, ma con pazienza e perseveranza riusciremo ad unire le due culture, ellenica e iranica. Non ti preoccupare, satrapo Ossiarte: rispetto e ammiro la tua scelta di mantenere il tuo credo in Ahura Mazda, e apprezzo il fatto che tu me l’abbia fatto presente senza troppi giri di parole.
Comprendo le tue preoccupazioni per tua figlia. Attualmente siamo in India, ospiti alla corte del re Ambhi a Taxila. Rossane sta bene: mangia e beve a dovere, riposa, coltiva i suoi interessi per la danza e per l’arte della spada. Ossiarte, io vi ringrazio per avermela donata in sposa. Nonostante sia impunita e spesso irriverente nei miei confronti, è capace di donarmi forti emozioni.
Le dirò di farti avere sue notizie, e anche di scrivere ad Amu e Darya. Mi sorprende non l’abbia fatto, ma forse le è passato di mente essendo molto distratta da tutte queste novità.
Tieni alto il morale e riguardati
.
 
 
 
Taxila, maggio 326 a.C.
 
«Non voglio partire per una battaglia senza aver fatto pace con te.»
Alessandro si era presentato alla porta della stanza di Rossane la mattina dopo. Sarebbe partito il giorno seguente. Lei aveva abbassato gli occhi per un momento.
«Nemmeno io.»
«Se non hai fatto colazione, possiamo farla insieme. – le prese la mano, carezzandole le nocche col pollice. – E magari fare un giro per i giardini. Dopo pranzo avrò da fare, non potrò passare il tempo con te.»
Lei annuì, lo invitò ad entrare e mangiare qualcosa di quello che i servitori le avevano preparato sulla mensa. Si trattava perlopiù di frutta esotica e frullati colorati.
Mangiarono e bevvero in silenzio, Alessandro le lanciava occhiate continue ma stava ben attento a non farsi notare. Solo che Rossane se n’era accorta, e dentro di sé sorrideva compiaciuta.
Scesero nei giardini, quando passarono di fronte alla rastrelliera in cui erano poggiate le scimitarre e le daghe che Cratero usava per allenare Rossane, la ragazza lanciò un’occhiata fugace alle armi che non sfuggì al re.
«Magari potrei allenarmi un po’, prima della battaglia. – cominciò Alessandro, in greco, toccando una daga. – Male non mi farebbe.»
In realtà stava parlando più a sé stesso, che a lei. Poi ripensò alla fugace occhiata che Rossane aveva rivolto alla rastrelliera e agli allenamenti di spada. La incalzò in persiano, chiedendole di aiutarlo: «Shoam mitooni ke komakam konid?»
«Mishe tekrar konid Farsi chi? – sollevò un sopracciglio. ─ Motavajjeh nemisham.» esalò Rossane, chiedendogli di ripetere in persiano e sottolineando il fatto che non aveva capito quello che lui avesse detto in greco, né le sue intenzioni.
Lui scoppiò a ridere vedendo il suo sguardo confuso, afferrò una scimitarra e gliela passò, mentre tenne per sé una daga.
La ragazza sguainò la scimitarra, accarezzò la lama che brillava alla luce del sole.
Alessandro la guardava rapito, bellissima e agguerrita come le dee greche Atena e Artemide, come le dee mesopotamiche della bellezza e della guerra Inanna e Ishtar. Rivide nella sua mente la scena della sua danza con la spada, la prima sera da Ambhi.
La guerra è donna, fu la prima cosa che pensò.
Gli occhi di Rossane brillarono ma prima che potesse dire qualsiasi cosa, Alessandro le fu addosso con una serie di attacchi con la spada.
La ragazza li schivò prontamente, lasciandosi sfuggire un gridolino di sorpresa, presa alla sprovvista ma fortunatamente munita di buoni riflessi.
Lo schivava, parava i suoi colpi, gli ronzava attorno come un’ape fastidiosa. Lui non la trovava mai e quando la intercettava, c’era il puntuale rumore dell’acciaio che cozzava. Una danza dell’amore e della guerra.
Era diventata abile, una spietata Amazzone d’Oriente. Riuscì comunque a disarmarla, l’esperienza di Alessandro superava la combattività della sua sposa. Le puntò la punta della daga alla gola, il respiro corto.  Le fece un sorriso, che lei non ricambiò.
Guardò un punto alle sue spalle, con intensità tale da costringere il re a voltarsi per vedere cosa stesse guardando Rossane.
Lei fu più svelta, veloce come un gatto. Estrasse lo spadino dallo stivale e approfittando della presa lenta sull’elsa della spada di Alessandro, lo disarmò con eleganza e senza lasciar cadere a terra la daga. Anzi, strinse le dita attorno all’elsa e stavolta fu lei a puntargliela alla gola, mentre l’altra mano stringeva sullo spadino.
Ciocche di capelli ribelli si liberarono dalla treccia, incorniciandole il viso imperlato da un sottile strato di sudore.
«Sei sleale.» commentò il macedone, in persiano.
Un sorrisetto sardonico. «Era un trucco talmente banale, ci sei cascato come un pollo.»
«Forse perché hai un grande potere su di me, e neppure te ne rendi conto.»
Fece un passo avanti, la pelle del collo piegata sotto la punta della spada. Rossane deglutì, ma non abbassò il braccio.
«Sei abile. Ti avevo sottovalutata.»
«Molto strano. – commentò sarcastica, girò la spada per porgergliela dall’elsa. – Quando tornerai dalla battaglia contro Poro, ti aiuterò con il combattimento.» lo canzonò bonariamente, mentre gli passava accanto e raggiungeva la rastrelliera.
«Spiritosa.» grugnì lui, con un sorriso di mite rassegnazione.
Rossane si posò ad una delle colonne che circondavano il cortile interno, le mani dietro la schiena con i palmi che si appoggiavano alla pietra dietro di sé.
Alessandro le si avvicinò, le tagliò le vie di fuga posando le mani sulla colonna a cui lei era poggiata. Il corpo leggermente curvo, la testa china per guardarla meglio.
Arricciò il naso, con un sorriso dispettoso.
«Quando tornerò, ti insegnerò il greco. – si umettò le labbra, facendosi serio. ─ Mi ha scritto tuo padre.»
«Che gioia.» borbottò.
«Mi ha informato della situazione in Sogdiana e mi ha chiesto tue notizie. Io credo che dovresti scrivergli, Rossane. Sia a lui, sia alle tue sorelle.»
Lei aggrottò le sopracciglia e abbassò lo sguardo per un momento. «Hai ragione. Mi è completamente passato di mente. Solo che non mi è arrivata nessuna lettera neanche da parte loro, quindi è stato più facile non pensarci. Ci sono tante cose qui, ogni giorno scopro qualcosa, e finisco sempre per dimenticare di far avere mie notizie almeno alle mie sorelle.»
Le accarezzò il viso. «Lo comprendo, ci ho pensato e gliel’ho riferito. Per quanto riguarda le loro lettere che non hai ricevuto, forse c’è stato un problema. Mentre aspetterai il mio ritorno a Taxila dalla battaglia, puoi indagare. Prima scopri se è successo qualcosa, però, poi manderai le tue lettere.»
Rossane si adombrò. «Domani partirai.»
«Con le prime luci dell’alba. – annuì. ─ Mi attende una lunga battaglia. Forse morirò, oppure vincerò.»
Lei ingoiò un groppo, incapace di parlare. Alessandro si sfilò allora dal collo un medaglione in oro con il disegno di un’aquila, e lo mise al collo della sua sposa.
«L’aquila è il simbolo del padre degli dèi della mia religione, Zeus. Mia madre diceva che io sono suo figlio, e l’oracolo di Amon nell’oasi di Siwa, in Egitto, me lo confermò. – restò un momento a fissare il medaglione, poi sollevò lo sguardo su di lei. ─ Per non farti dimenticare, sia in caso di morte che di vittoria, che sei mia moglie, la donna che ho scelto per amore prima che per politica, e sempre con il dovuto riguardo dovrai essere trattata.»
«Ho paura.» gli confessò in un sussurro, trovando il coraggio di guardarlo finalmente negli occhi.
Da una parte c’era il cielo sereno, limpido e infinito; dall’altra c’era la notte, il baratro più profondo. Eppure il suo sguardo era morbido, addolcito, e curioso. Ogni volta che guardava quelle iridi, sentiva che non c’era niente di impossibile al mondo.
«Di cosa hai paura, mia stella?»
Alessandro poteva non tornare e lei aveva fatto la bambina capricciosa tenendogli il muso, quando c’era qualcosa di molto più prezioso a rischio in quel momento: la sua vita. Perché nonostante la collera e nonostante il loro rapporto altalenante, Rossane non immaginava più una vita senza di lui.
Era una figura importante per il mondo, ormai. Si sentì egoista a non pensare affatto a quanto ne avrebbe risentito il mondo per una possibile dipartita di Alessandro, ma solo a come si sarebbe sentita lei. Devastata.
Non poteva continuare a restare chiusa nella sua fortezza, tagliandolo fuori dalla sua sfera emotiva, solo per orgoglio. In quei giorni ci aveva riflettuto. Non aveva capito il reale pericolo di perderlo fino a quel momento, con la battaglia con Poro alle porte. In una vita del genere, non c’era spazio per l’orgoglio e i capricci infantili, dove ogni attimo poteva essere fatale e pertanto andavano vissuti appieno. Rossane non voleva vivere nel rimpianto di non godersi, momento dopo momento, una presenza preziosa come quella di Alessandro.
«Di perderti. Di non vederti tornare da me.» ammise, e chiuse gli occhi. Ben consapevole che essi fossero lo specchio dell’anima, cercò di difendersi dallo sguardo del re. Così abile nel sondare l’animo delle persone attraverso gli occhi.
Ma Alessandro non ebbe bisogno di leggerle lo sguardo per sentirla. Il cuore gli fece una capriola in petto. Sarebbe tornato. Doveva tornare: l’impero, i suoi progetti, lei. Troppe cose lo attendevano.
Le posò un bacio sulla fronte, poi la strinse tra le braccia.
«Tornerò, te lo giuro.»

 
* * *
 
 
Fiume Idaspe, maggio 326 a.C.
Era la stagione delle piogge monsoniche. Il fiume si gonfiava pericolosamente.
C’erano alberi sottili lungo il suo corso, arbusti bassi, anatre che galleggiavano sulla superficie dell’acqua. Il fiume doveva essere largo all’incirca quindici metri, profondo tre o anche di più. Almeno, in quel punto del corso. Il corso d’acqua aveva una corrente molto forte, era profonda e rischiosa.
Dall’altro lato, sulla sponda orientale coperta da alberi più robusti, Poro aveva schierato il suo esercito. Tra i tronchi, i soldati macedoni riuscivano a scorgere le tende dell’accampamento, l’enormità degli elefanti, i fumi dei fuochi.
Tutte le strategie pensate al chiuso, nel palazzo di Ambhi, svanirono e lasciarono il posto ad una tattica che gli era arrivata alla mente in quel momento. Alessandro aveva avuto un’idea, e convocò il consiglio di guerra con i diadochi.
Il piano di Alessandro prevedeva due fasi preliminari basate sulla confusione del nemico. Avrebbe cominciato già dall’indomani una “guerra” d’informazione servendosi dei contadini locali: fece spargere la voce che i macedoni consideravano l’acqua del fiume troppo alta per essere attraversata e che avrebbero impiegato del tempo per progettare e costruire un ponte oppure delle zattere.
Non gli importava quanto tempo avrebbe atteso nell’accampamento, le scorte arrivavano dal villaggio Bhora lì vicino. Avrebbe aspettato che la notizia giungesse alle orecchie di Poro e lo avrebbe fatto stendere sugli allori.
I comandi della seconda fase prevedevano invece il rumore: rumore continuo, spostamenti continui, in modo da abituare gli indiani a non dare troppo peso a quelle continue manovre.
Tempo di farli rilassare, e Alessandro avrebbe marciato verso il guado che le truppe d’esplorazione avevano individuato qualche miglio più a nord rispetto all’accampamento.
Poi sarebbe stato l’inizio della battaglia.
Il mattino a seguire, qualcuno dei paggi di Ambhi raggiunse Bhora e al mercato cominciarono a parlare con tutti dei macedoni, mettendo in giro la voce che desiderava Alessandro.
Non ci volle molto perché raggiungesse le orecchie di Poro, i contadini si diedero subito da fare per ingraziarsi il rajah con quella fuga di informazioni.
La tranquillità che cominciò ad aleggiare nell’accampamento indiano era palpabile. Il primo giorno della seconda fase dell’esercito macedone ridestò la loro attenzione.
Spostamenti continui su e giù lungo il corso d’acqua con piccoli commandos.
Poro restò allerta per i primi giorni, ordinò di tenere sorvegliate le rive.
Non durò molto: presto, gli indiani si adagiarono nuovamente sugli allori e privarono l’accampamento di ogni controllo.
Perdicca riferì ad Alessandro che Poro sembrava convinto di non stare sul campo di battaglia ma in un’allegra scampagnata in compagnia.
 
Rossane dormiva nella tenda con i servitori. Spalleggiata da Bagoa, venne fatta passare per un eunuco egiziano muto finché non sarebbe cominciata la battaglia. Allora avrebbe indossato un’armatura di riserva dell’esercito, preso la sua scimitarra e il suo arco, e avrebbe raggiunto le forze di Alessandro. Avrebbe truccato il viso con la terra umida delle rive del fiume, avrebbe tagliato i capelli corti se necessario. Ringraziò per la prima volta il suo seno ben poco florido, da sempre oggetto di vergogna per la ragazza, ma ora utile più che mai per nascondere il suo essere donna.
Con l’eunuco non aveva ancora avuto modo di chiarire la questione. Rossane era ben conscia del rancore latente che Bagoa provava per lei, lo stesso sentimento che lo spingeva a pugnalarla alle spalle pur di passare una notte con Alessandro, suo marito. Ne avrebbero discusso a tempo debito. Rossane non dimenticava. Restava in attesa, come un felino tra l’erba che aspettava pazientemente il momento più opportuno per saltare sulla preda.
«Tu sei completamente pazza.» le bisbigliò Bagoa, sdraiato vicino a lei nella tenda.
Le faceva scudo col suo corpo, per non mostrare il viso della regina agli altri servitori. Lei al mattino si alzava per prima e indossava subito il copricapo col velo che le copriva dal naso in giù e sugli occhi una sottile cortina simile ad una rete. Alessandro, durante la danza con le concubine, l’aveva riconosciuta per i suoi enormi occhi. Avrebbe potuto farlo anche stavolta, per questo doveva coprirsi e stare lontana da lui e i diadochi il più possibile.
«Stai facendo una cosa rischiosa e contro le regole, potresti morire. E se dovessi sopravvivere, te la vedresti con l’ira di Alessandro.» aggiunse con foga, in un sibilo.
«E quali regole? Dettate da chi? Lo so che sono pazza, ma non ce la faccio a stare ferma e buona. Tu resteresti a Taxila a non fare niente se sapessi impugnare la spada o un arco quando invece potresti dare un contributo all’esercito di tuo marito? D’accordo, tu sì. Io no, però. Ad Alessandro potrei tornare utile, un uomo in più potrebbe fare la differenza. Non sono le mie sorelle, non sono una concubina e nemmeno una civile. Sono la regina barbara che sa maneggiare una spada, per Dio. E adesso lasciami dormire, Bagoa.»
«Ma tu non sei un uomo, dannazione, Rossane! È un suicidio bello e buono, questo! La tua impulsività potrebbe costarti la pelle.»
«La venderò cara.» archiviò, distratta, girandosi verso la parete della tenda per dargli la schiena.
«C’è un labile confine tra coraggio e follia.»
Rossane si voltò di scatto. «Finiscila, stai diventando ripetitivo e io sto cercando di dormire. Buonanotte, tanti saluti.»
 
Il mattino che seguì aveva il cielo plumbeo.
La pioggia si abbatté presto sugli accampamenti, i soldati videro l’Idaspe gonfiarsi a vista d’occhio ma fortunatamente non straripò. Il fango raggiungeva le caviglie e quando smise di piovere gli insetti assalirono le truppe indiane e macedoni.
Rossane restò nascosta, ogni tanto adocchiava uno dei diadochi o addirittura Alessandro, e subito cambiava strada. Era invisibile, nessuno l’aveva notata e solo Bagoa le rivolgeva la parola.
Alessandro lasciò crogiolare ancora un po’ gli indiani nella loro fatiscente tranquillità e una sera, durante la baldoria dell’accampamento macedone, richiamò con sé cinquemila cavalieri e seimila fanti e li guidò verso il guado del fiume, venti chilometri più a nord dall’accampamento indiano. Tra questi, Rossane. Si improvvisava una degli arcieri a cavallo, visto che aveva l’arco a tracolla e le redini dell’animale strette in pugno.
Aveva fasciato il petto per appiattire il seno; indossato una corazza di bronzo stretta sul corpo con un uccello dalle ali spiegate all’altezza del cuore, un bracciale al polso sinistro per proteggere la mano che teneva le redini. Coprì con altre placche di metallo gli avambracci, i gomiti, e il braccio. I pantaloni larghi erano infilati in stivali rinforzati che arrivavano a metà stinco. Aveva indossato un elmo corinzio e alla cintura aveva legate la scimitarra e la faretra, dietro la schiena aveva legato l’arco. Negli stivali rinforzati aveva messo lo spadino e i pugnali nascosti. Passò il fango del fiume attorno agli occhi, fino al naso, come avevano fatto pure altri soldati.
Nel complesso sembrava proprio una barbara persiana con una corazza e un elmo greco.
Rossane aveva paura. Una paura matta che le esplodeva in petto, il cuore martellava e pompava adrenalina in tutto il corpo.
Seguì le truppe di Alessandro portando con sé uno dei cavalli rubato a chissà chi dell’esercito. Avrebbe voluto Artemide, la sua giumenta, con sé ma avrebbe significato esporsi troppo.
Si domandò per quale motivo lo stesse facendo. Desiderio di dimostrare qualcosa? Ma a chi, che nessuno sapeva della sua presenza tra le fila militari? Non sentiva il bisogno di dimostrare qualcosa a qualcuno, di farsi notare e mostrare a tutti la sua presenza lì per vederli a bocca aperta. Gloria personale? Forse. Ma non era così sciocca da gettarsi in battaglia per la gloria.
Sentiva che era quello che voleva, che la determinazione era più forte della paura. L’ancestrale spirito dei persiani, guerrieri e conquistatori che avevano dominato gran parte del mondo conosciuto e che solo Alessandro, il suo re, era riuscito a sconfiggere. Forse era solo questo, forse era solo lo spirito agguerrito richiamato dall’idea della battaglia e la voglia di essere d’aiuto.
Se c’erano cose a cui i persiani venivano educati fin da bambini, senza distinzioni di sesso, erano l’equitazione e il tiro con l’arco – oltre che a ferree regole morali che impedivano loro di mentire e alimentavano lo spirito guerriero che da sempre animava quel popolo. E Rossane era un’ottima cavallerizza, come le sue sorelle, ma nessuno si premurò d’insegnare alle principesse il tiro con l’arco. Cosa se ne potevano mai fare, tre fanciulle di alto lignaggio, di una disciplina di guerra?
Immaginò Ossiarte, e la sua reazione se avesse saputo che la sua secondogenita aveva deciso di invischiarsi in modo clandestino nell’esercito per partecipare alla battaglia contro un rajah indiano.
Immaginò Amu e Darya e le loro facce preoccupate, spaventate, se glielo avesse raccontato.
Immaginò il volto della vecchia balia Mizda, che sicuramente l’avrebbe rimproverata, le avrebbe dato uno scappellotto e le avrebbe detto che era una pazza sconsiderata.
Rossane si rincuorava pensando che tra le donne persiane ce n’erano state a bizzeffe che avevano combattuto o ideato strategie militari, soprattutto per cercare di impedire l’avanzata di Alessandro nell’impero. Molte indossando panni maschili, altre no. Rossane però li aveva indossati tenendo conto di quanto le aveva detto Alessandro: se sapeva che era sul campo, non si sarebbe concentrato e avrebbe rischiato troppo. Oltre al fatto che lui la credeva a Taxila, e così doveva continuare a credere. Nella sua totale inesperienza e assoluta ingenuità, non teneva nemmeno in considerazione il fatto che sarebbe sicuramente rimasta ferita e che, a quel punto, Alessandro l’avrebbe scoperta per forza.
Raggiunsero il guado. La corrente era forte, l’acqua alta ma meno rispetto alle altre zone.
Alessandro andò per primo, tirando le redini di Bucefalo.
«Tenetevi stretti! Passa parola.» intimò a quello dietro di lui.
Il comando del re giunse a Rossane per ultima, a cui il soldato di fronte a lei scoccò un’occhiata indagatoria. Non ricordava d’aver visto quel ragazzino prima.
La regina teneva le labbra serrate per nascondere la loro reale forma. Ogni cosa poteva mandarla al patibolo.
I soldati attraversavano il guado in fila indiana, con una mano si tenevano alla spalla del compagno di fronte e con l’altra le briglie del cavallo. L’acqua arrivava alle ascelle e ai cavalli al garrese.
Per ultima toccò a Rossane. L’acqua che le raggiungeva il mento e le piccole onde le lambivano la faccia.
La corrente era molto forte, e lei era un peso piuma. Se non altro, a renderla più pesante c’era l’armatura. Il cavallo che teneva con sé ogni tanto sbandava, le andava addosso e le faceva perdere l’equilibrio. S’immergeva con l’acqua fino al naso e riemergeva ansante, spaventata e spaesata, ma manteneva salda la stretta sulla spalla del soldato di fronte a sé.
Un manipolo di militari aiutava quelli nel fiume a tirarsi su, gli altri salivano a cavallo e cominciavano a seguire Alessandro. Gli arcieri e la cavalleria in testa, la fanteria che seguiva la formazione. Tra cui Rossane.
Gli esploratori indiani informarono re Poro che gli invasori avevano oltrepassato il fiume ma fecero anche presente che erano pochi uomini, perciò il contrattacco del rajah consistette nell’inviare duemila cavalieri e centoventi carri guidati dal suo stesso figlio. D’altronde, la parte più consistente dell’esercito macedone era rimasto nell’accampamento con Cratero.
Rossane in testa alla formazione, incoccò una freccia. Non aveva mai tirato al buio né a cavallo, se non altro con sua sorpresa l’elmo non dava troppo fastidio.
Ingoiò un groppo, la paura che montava. Respirò profondamente, inspirando col naso ed espirando dalla bocca. Doveva placare il battito cardiaco. L’adrenalina che rendeva tutti i sensi vigili.
Lo scalpitio degli zoccoli dei cavalli in avvicinamento, un cigolio basso di ruote di carri.
Fin dove poteva arrivare la sua freccia?
Quando un carro indiano fu abbastanza vicino, Rossane strinse le gambe attorno al corpo del cavallo. La briglia se l’era passata sul braccio, era stretta nel gomito.
Scoccò, senza pensarci troppo. Il primo soldato indiano sul carro si accasciò sul terreno, colpito alla gola. Era la prima mossa dei macedoni che, dopo quella freccia, si fiondarono sugli indiani.
Rossane vide Alessandro galopparle al fianco e superarla. Una pioggia di frecce si scagliò sugli indiani.
Gli uomini sui carri caddero tutti. Presto anche la fanteria perì sotto le forze macedoni e lo stesso figlio del rajah morì.
Rossane scese da cavallo, uno dei soldati a piedi la guardò interrogativo. Lei gli passò le briglie senza tante cerimonie. Il soldato non capì ciò che lei stesse facendo e ciò che gli intimò in persiano: «Mo’afagh bashed
Si allontanò dalla formazione correndo a perdifiato e facendo il giro lungo per raggiungere la zona di fronte all’accampamento macedone, laddove arcieri nascosti attendevano tra le fronde degli alberi l’esercito. In realtà non era sicura che ci fossero davvero, ma non poteva permettersi di non controllare. Se erano lì sul serio, avrebbero dimezzato le forze di Cratero quando l’esercito sarebbe stato al completo. Se invece non c’erano, sarebbe tornata dagli altri. Non aveva proprio un piano, dalla sua, guidava il corpo e l’istinto.
Ecco perché sono fuori di senno.
Quando fu abbastanza vicina, camminò silenziosamente sgattaiolando dietro ogni tronco, infine si arrampicò su un albero. Faretra e scimitarra legate alla cintura, l’arco a tracolla, spadino e pugnali negli stivali.
Sentì Poro urlare qualcosa nella sua lingua e schierare poco dopo quasi tutto l’esercito verso Alessandro, mentre una schiera misera veniva lasciata a custodia del fiume per sorvegliare Cratero. Si era accorto che la truppa che aveva oltrepassato il fiume non doveva essere poi così piccola, se aveva sconfitto tutti i suoi uomini, perciò aveva pensato bene di dedicare loro tutta la sua attenzione.
Rossane si guardò attorno, gli occhi che cominciavano ad abituarsi al buio e i fulmini in lontananza che rischiaravano a tratti il campo di battaglia e il cielo compatto.
In quella zona giungevano solo i suoni lontani della battaglia, non c’era nessuno: solo lei e gli arcieri nascosti. Non rischiava la vita, poteva agire indisturbata ma con attenzione.
Scrutò i movimenti tra le fronde degli alberi: si rivelarono per la maggiore dovuti agli uccelli o a qualche soffiata di vento notturno. Cominciò a sentirsi sconsolata e presa in giro, forse Alessandro aveva ragione a non credere alle voci di mercato: d’altra parte, lui stesso aveva usato quella tattica. Le nuvole compatte non lasciavano filtrare i raggi lunari, ma dall’albero su cui era appollaiata Rossane vedeva la tenue luce dei focolari degli accampamenti.
Un movimento tra le fronde di un albero vicino catturò la sua attenzione.
Rossane spezzò un rametto sottile, tenendo gli occhi fissi sul fogliame. Nessun movimento. Spezzò un altro rametto, e un altro ancora, e fece tintinnare impercettibilmente l’elsa alla corazza. Infine spezzò un ultimo ramoscello, e lo lanciò in direzione opposta alla traiettoria che avrebbe percorso lei una volta scesa dall’albero. Una freccia si conficcò nel terreno, subito dopo, segno che l’arciere era teso e fremeva.
Idiota.
Gli arcieri c’erano, nascosti tra gli alberi. Ma probabilmente non erano molti ed erano distanti, altrimenti anche altri si sarebbero allarmati e avrebbero scoccato le loro frecce.
Scese in punta di piedi, aggirò l’albero con passo felpato senza che nulla facesse rumore. Né una foglia scricchiolante, né il tintinnare delle armi. Seguì il percorso che si era prefissata, dal lato opposto della freccia che era stata scagliata.
Il tronco era basso ma le fronde fitte di rami e fogliame. L’arciere non si era accorto di Rossane dietro di sé. Lei estrasse lentamente il pugnale dallo stivale.
Arrampicata sull’albero, con un paio di balzi e appigli, piantò un pugnale nel collo dell’arciere, all’attaccatura del cranio. L’altra mano che gli tappava la bocca. Morì con un rantolo soffocato, il sangue che usciva dalle labbra e sporcava le dita della ragazza. Non permise al cadavere di cadere e lo issò tra i rami.
Aveva appena ucciso un uomo. A sangue freddo. Aveva ancora la mano macchiata del suo sangue e non provava nulla. Si sentiva come estraniata dalla realtà, una bambola di pezza senza pensieri ma guidata solo da una volontà superiore.
Dall’altro lato, Poro aveva schierato la cavalleria su entrambi i fianchi e la linea di duecento elefanti frontale. Di fronte ad uno schieramento del genere, Alessandro si ritrovò momentaneamente spaesato: la sua strategia aveva sempre previsto di far breccia nelle linee nemiche e colpirla con la cavalleria. Ma quella formazione sembrava inespugnabile frontalmente. Diede ordine ad un manipolo di cavalieri di aggirare gli indiani e attaccarli da dietro.
Gli elefanti avevano terrorizzato i cavalli e il conquistatore dovette cambiare strategia.
Diecimila uomini attraversarono il guado e arrivarono per fare forza alla falange di Alessandro. 





Angolo autrice:

ROSHANAK in dialetto battriano significa "piccola stella". Ecco perché Alessandro la chiama "mia stella".
 
Per l'armamento di Rossane ho preso spunto dalle indicazioni di Senofonte, su come un cavaliere deve equipaggiarsi, e riadattato un po' alla situazione della nostra protagonista.

Quest'ultima versione del capitolo l'ho scritta con "Drums of Gaugamela" dei Vangelis, una soundtrack del film Alexander. Una pellicola che mi piace relativamente per la poca fedeltà. Ma quell'OST è un capolavoro

Ho scritto questo capitolo almeno tre volte, forse anche quattro, da: "Rossane dormiva nella tenda dei servitori" in poi. È la prima vota che scrivo di una battaglia, siate clementi (?). Non era nei miei piani lanciarla in battaglia, sapete?
Sarebbe rimasta a Taxila e mi sarei occupata solo della battaglia seguendo le gesta di Alessandro. Però ho desistito perché
Uno: la storia ruota intorno Rossane, io scrivo ciò che lei vede, nel 90% dei casi. È una cosa che ho deciso quando ho dato il titolo alla storia, ed è una cosa che voglio onorare (?).
Due: la faccenda degli arcieri sugli alberi è controversa. In alcuni testi la confermavano, in altri no, e siccome stavo diventando scema, ho cercato un compromesso.
Tre: credo che sia stato un gesto coerente con la natura di Rossane (e del popolo persiano in generale), estremo e azzardato, ma coerente.

Insomma sì, prende parte alla battaglia dell'Idaspe e si occuperà degli arcieri. Non farà assolutamente niente di eroico né starà sempre nella mischia. È scema, neanche poco, ma le donne persiane non erano molto "manze". Come ho detto, spesso hanno preso parte alle battaglie in prima persona (vestendosi da uomini o meno) oppure ideando strategie. Questo perché erano molto emancipate, e anche agli occhi della legge erano pari agli uomini. Tant'è vero che potevano diventare anche satrapi o Immortali, per i persiani non era così strano vedersi una donna nell'esercito (anche se nemmeno frequente), e venivano educate sia per diventare buone mogli, che buone donne di politica. 
Un esempio che riporto sempre è Artemisia I, la regina di Alicarnasso, che nel 480 a.C. fu uno dei comandanti navali e consigliera di Serse durante la battaglia di Salamina.
Oppure la nobildonna Youtab combatté contro l'esercito di Alessandro stesso alla battaglia della porta persiana.
-porca zozza sto diventando una piccola Callistene-

Sto cercando di farvi arrivare il percorso interiore di Rossane (?), che sta maturando, sta crescendo.
A tratti capricciosa e desiderosa di continue attenzioni, infantile, orgogliosa, FINALMENTE qualcosa nel suo cervellino si smuove e comincia a capire, per quanto riguarda Alessandro, che quello che fa non è una scemenza ma è la guerra. 

Per ultimo faccio una precisazione: le frasi in persiano sono corrette, certo, solo che non sono in persiano antico né medio o pahlavi. Si tratta del persiano attuale. Ci saranno sporadiche frasi anche in greco, ma vale lo stesso discorso: saranno frasi in greco moderno. E non so nemmeno se saranno giuste, perché userò il traduttore. Ma mi piace dare un tocco di multietnicità alle mie storie, non me ne vogliate (?)

Basta, questo angolo autrice sta diventando lungo quanto il capitolo.
Grazie per passare di qua, per inserire la storia nelle vostre liste, per scrivermi, qualcosa. 
Qualsiasi opinione, appunto, consiglio, domanda o chessoio, verrà senz'altro ben accolta, miei prodi. 
Alla prossima!
 
   
 
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