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Autore: Lovy91    18/06/2009    3 recensioni
La storia è ambientata nel 2009, a Los Angeles. Alisha Moore aveva una vita normale come tutte le adolescenti: un ragazzo, un'amica che considera come una sorella, andava bene a scuola e una famiglia al di sopra della media. Fino a una mattina in cui le hanno fatto notare che era pallida... Da quel momento, una terribile verità la sommerge. Sta cambiando... Sta per diventare una Different... Una persona dotata di capacità al di fuori della norma. Così, viene mandata al Collegio, una scuola dove adolescenti come lei vengono aiutati a gestire le proprie capacità. Però, lei ha qualcosa di diverso... perfino per la sua nuova razza...
Genere: Romantico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2. Il momento del dolore

Il resto della giornata passò in un silenzio di tomba incredibile. Mia madre si faceva venire una crisi isterica ogni due per tre mentre mio padre ogni tanto scuoteva la testa e sussurrava cose incompressibili. Io me ne rimasi in camera mia, guardandomi ogni dieci minuti allo specchio per controllare la carnagione se era ancora pallida. Verso sera notai che cominciava a tornare normale e il mal di testa a sparire lentamente. Era il segno che la mattina dopo avrebbe cominciato ad affrontare la seconda fase del cambiamento. L'unica che mi fece compagnia era la mia sorellina Serenity, rimanendomi accanto. Voleva passare più tempo possibile con me, prima che me ne andassi via.
Mia madre entrava ogni tanto per chiedermi come stavo e perlopiù mentivo. Non mangiai e nemmeno Serenity, nonostante le mie preghiere. Quando ormai la notte era inoltrata, infilai il pigiama alla piccola e io mi feci una doccia e mi cambiai.
<< Alisha, te ne andrai domani? >> chiese dopo un pò, nel silenzio e nel buio della camera interrotto solo dalla luce della luna argentata e piena.
<< Si, temo di si >> risposi, sincera. Ero sicura che alla fase peggiore del cambiamento era meglio affrontarla lì, piuttosto che con i miei genitori e le lacrime di mia sorella.
Lei si addormentò subito, io no. Rimasi nel mio letto a fissare fuori dalla finestra, sentendo qualche macchina rombante e il suono rilassante delle onde.
La mia vita era stata cambiata irreparabilmente ed ero certa che i miei non fossero del tutto entrati nell'ottica della cosa. Tanto per cominciare mamma mi aveva vietato di andare a scuola, però io non avevo nessuna intenzione di obbedirle. Rimanere a casa a sopportare le crisi della mamma e i pianti e i sussurri di mio padre, preferivo vagare come uno zombie in preda a nausea e mal di testa per il mio liceo. Come prima cosa, sentivo di dover dare la notizia a Dylan. Ero sicura che l'avrebbe presa malissimo, ma certa che mi avrebbe capita.
Così alle sei e mezza, mi alzai cercando di non svegliare Serenity. Non avevo dormito granché, i sogni movimentati e confusi non me lo avevano permesso. Scivolai piano in bagno per lavarmi i denti e mi cambiai con i jeans della mattina prima e una maglia turchese. Acchiappai la mia borsa azzurra, diedi un bacio a Serenity che si mosse appena e sgattaiolai fuori per la porta della cucina, chiudendola a chiave. Non pensai alla situazione ridicola: io che scappavo per andare a scuola! Ero certa che non sarebbe mai accaduto. Com’ero certa che non sarei mai diventata una Different. Corsi per un tratto, assicurandomi di non essere vista dai vicini per bloccarmi di colpo.
Una forte ondata di mal di testa mi colpì, come un cannone. Mi presi la testa fra le mani e quando arrivò anche la nausea fui costretta a sedermi. Ecco, ero entrata nella seconda fase. Non avevo più tempo, dovevo avvertire Dylan e Janet.
Presi il cellulare, combattendo contro uno stramaledetto mal di testa, e chiamai Dylan controllando l'ora: le sette. Una voce intrisa di sonno mi rispose dopo diversi squilli.
<< Ali, che succede? Sono le sette >>.
<< Devo parlarti. Vediamoci al mare di fronte a casa mia. Sarò lì >>.
<< Ma che succede? >> chiese allarmato.
<< Te l'ho spiegherò lì. A dopo >>. Chiusi la chiamata, volevo evitare altre domande inutili. Sentivo le lacrime che mi arrivavano negli occhi e che volevano scendere come non mai. Le trattenni con un sospiro enorme e cominciai a camminare in direzione della spiaggia che avevo indicato al mio ragazzo. Mi sedetti sulla sabbia, combattendo con i malori che mi stavano uccidendo. Fissavo il mare piatto e blu, con il sole pallido dell'alba appena arrivata che lo illuminava.
Il mio sguardo triste si perdeva oltre quei confini. Ero una ragazza a cui piaceva programmare la propria vita: avevo deciso di andare all'università e diventare maestra delle elementari, magari di scienze, la mia materia preferita. O anche biologia marina. Però adesso chi mi garantiva che avrei potuto fare tutto ciò? Nessuno. Tutto era andato distrutto.
Sentii la moto rombante di Dylan dopo neanche venti minuti dopo e mi alzai. Ero quasi arrivata quando il mal di testa arrivò al suo apice e mi dovetti aggrappare a qualcosa che non c'era ma lui mi riacchiappò in fretta, ridacchiando.
<< Sei sempre la solita pasticciona>> mi prese in giro Dylan, facendomi sedere su un muretto sbrecciato, aggrottando le sopracciglia. << Alisha, stai bene? Hai delle occhiaie...>>.
Alzai lo sguardo, cercando di trattenere le lacrime. << È una cosa difficile >> cominciai.
Lui strinse gli occhi, come per cercare di studiare la mia espressione e le parole appena dette. << Vale a dire? >>.
<< Dylan, stasera mi farò portare dai miei al Collegio >> confessai, tutto d'un fiato sentendomi libera da una parte del peso che mi opprimeva. Lo guardai, ma qualcosa di doloroso entrò dentro di me. I suoi occhi azzurri erano pieni di terrore. Come se si trovasse di fronte... a un mostro. Scossi la testa, come per cancellare ciò che vedevo. Mi alzai e lui si allontanò automaticamente.
<< Non posso crederci >> sussurrai incredula. << Dylan >> chiamai, ma lui non disse nulla.
<< Alisha, mi dispiace >> ammise alla fine, girandosi e dandomi le spalle. Gli misi una mano sulla spalla, ma lui si scostò, irritato. Io, invece, sentivo un accecante dolore che quasi quasi preferivo i malori. Dov'era tutto l'amore che tanto aveva detto di provare per me? Proprio ora che avevo bisogno di lui, in questo momento, mi voltava le spalle. Vidi ciò che era veramente e che solo ora avevo capito. Non pretendevo che rimanesse con me, però quello sguardo di terrore e la paura sul suo volto come davanti ad un ignobile mostro, quello no.
<< E questi due anni allora cosa hanno significato per te? >> esclamai, senza neanche sapere cosa dicessi.
Dylan finalmente si voltò a guardarmi nei miei occhi verdi o azzurri a seconda del tempo. << Io amavo un'altra. Non un mostro >>.
Quelle parole mi colpirono come un pugnale nel cuore. Con le lacrime agli occhi scappai via da lui. L'amore per lui era come infranto in mille pezzi. La fiducia in lui, distrutta. Tutto rovinato. Da una maledetta cosa che io non avevo deciso. Cosa avrei fatto adesso? Non mi restava che Janet, ormai.
Visto che ero così addolorata ero convinta che se anche lei mi avesse voltato le spalle, non avrei sentito niente. Non si poteva soffrire più di così. Senza nemmeno rendermene conto ero già davanti alla villetta dove viveva con i suoi genitori ed ero sicura che il padre non ci fosse. Attraversai il vialetto pieno di piante (sicuramente opera di Chris) e suonai il campanello. Sentii dei passi per il corridoio e la madre di Janet mi aprì con un caloroso sorriso: mi adorava.
<< Oh, Alisha. Che piacere. Era da due settimane che non ti si vedeva. Entra, entra >>. Mi guidò dentro l'ingresso di legno e poi nel salotto chiaro a tinta unita con le tendine a pallini che avevo sempre odiato. Ormai conoscevo quella casa e memoria, visto che era la stessa da sedici anni, da quando Janet era nata.
<< Janet, scendi! C'è Alisha! >> urlò lei e udii la risposta della figlia. Janet era ancora in pigiama giallo e scese velocemente le scale, abbracciandomi.
<< Ciao, che sorpresa. Come mai qui? >> chiese, incuriosita.
<< Rimani con noi a fare colazione? >> chiese Cindra, sua madre.
La colazione? Con la nausea che avevo? Ma neanche per sogno. << Grazie, ho già mangiato >> mentii, ma non troppo abilmente visto che Janet se ne accorse. Mi portò nella sua camera dove regnava il caos più assoluto, tanto che ormai sua madre ci aveva rinunciato. Mi sedetti sul letto ancora disfatto e lei accanto a me.
<< Dimmi >> disse solo, capendo che dovevo rivelarle qualcosa.
<< Janet io... io... >>. Non riuscivo a finire. Temevo che mi trattasse come Dylan.
<< Sei incinta? >>.
<< Ma cosa! Non è quello >>. Magari fosse stato quello.
<< Allora dimmi >> m’invitò lei però io non aprii bocca e fu lei a parlare con un lieve sorriso sulle labbra sottili: << Stai per diventare una Different, vero? >>.
La fissai nei suoi occhi neri, a bocca aperta. << Come lo hai...? >>.
<< Quando ieri sono tornata a casa, mamma si è messa a parlami del ragazzo di cui ha parlato anche Dylan. Mi ha detto che i genitori lo hanno mandato al Collegio ieri mattina e mi ha elencato anche i sintomi. Quindi ho pensato a te >> raccontò con voce triste.
Al nome di Dylan m’irrigidì e lei ne accorse. << L'hai detto a lui? >>.
Le lacrime cominciarono ad uscirmi e tra i singhiozzi, raccontai tutta l'orribile scena. Janet non credette alle sue orecchie e mi abbracciò. << Che stronzo! Meriti molto di più, Ali. Ascoltami, per me non cambia nulla, okay? Che tu sia umana, una Different oppure un fantasma per me non cambia nulla. Resterai sempre la mia migliore amica. Solo un pò più... capace >>.
L'abbracciai di nuovo. Almeno una cosa non era cambiata per nulla. Era sempre la mia adorata migliore amica.
<< Come l'hanno presa i tuoi? >> domandò, toccando un altro tasto dolente e ricordandomi che probabilmente, mi stavano cercando come pazzi.
<< Male. Mia madre si è fatta venire una crisi mentre mio padre sembra uscito dall'uovo di pasqua >>.
Janet non disse nulla e io continuai. << Che cosa devo fare adesso? Entro stasera completerò la seconda fase e passerò alla terza, la più dolorosa. Non posso viverla in casa mia con mia madre e mio padre. L'unica che mi capisce è una bambina di cinque anni! La situazione è più che disperata! Devo andare al Collegio, subito! >>.
Una forte ondata di mal di testa mi scosse il cervello e gemetti di dolore. Janet mi guardò preoccupata e si morse un labbro, concentrandosi. << Possiamo portarti noi. Prendiamo il primo volo per New York >>.
<< Non puoi perdere la scuola così >> disse severamente.
<< Oh, ma chi se ne frega! Tu sei più importante! Ma dobbiamo parlare con mamma >>.
L'idea di dirlo ad un'altra persona mi spaventava non poco, ma lei mi tranquillizzò. Quando scendemmo nella piccola cucina, Janet disse tutto a sua madre. Dapprima la sua reazione fu piuttosto dura: fece cadere il mestolo dentro la pentola sporcandosi tutta. Dopo il primo impatto, accetto di accompagnarmi con Janet al Collegio. Abbracciai la mia migliore amica... e lo sarebbe sempre stata. Ora non restava che dirlo ai miei genitori.
Il telefono squillò e Janet andò a rispondere.
<< Si, è qui: sta bene >> rispose e io sentii la voce di mia madre intrisa di lacrime. Mi sentii in colpa per essermene andata così di colpo, senza avvisare nessuno.
<< Adesso torna. Arrivederci, signora Moore >>.
Janet chiuse la chiamata. << Andiamo. I tuoi sono preoccupati >>.
Risposi con un cenno della testa, perché mi faceva tanto male che sembrava ci fosse un martello dentro unito ad acido. La nausea era la peggiore che avessi mai avuto in vita mia perfino più di quella volta che mi ero fatta convincere a mangiare a otto anni un'intera scatola di Mars da cento.
Quando arrivai a casa, mia madre mi abbracciò bagnandomi di lacrime. Mio padre era quasi sul punto di esplodere dalla rabbia e se non fosse che sua figlia stava cambiando specie, mi avrebbe ammazzata di urla assordanti. Serenity mi saltò in braccio, in lacrime anche lei.
<< Signora Moore, se per voi va bene io e mia madre accompagneremo Alisha al Collegio stasera >> cominciò lei. La parola "Collegio" ebbe un effetto bomba sui miei. Non dissero nulla, però la loro faccia esprimeva quanto fossero poco d'accordo con quella decisione.
<< Alisha, ti abbiamo detto che troveremo una soluzione! >> esclamò mia madre Alice, alzandosi dal divano dove era seduta e puntando nella mia direzione.
<< Alice ha ragione: non andrai lì >> concordò mio padre, senza ammettere repliche.
A quel punto m’infuriai. << Ma non capite? Se non mi portate lì, lo faranno le autorità! La legge è legge! Io devo andarci. Sono già nella seconda fase del cambiamento e non voglio affrontare la terza, così dolorosa con voi! >> urlai, in preda ad una rabbia incontrollata. La situazione era già difficile di suo, ma loro non contribuivano certo a migliorarla. Non volevano lasciarmi andare e lo capivo. Le cose, però, erano cambiate e dovevano fare ciò che era giusto. Mio padre si avvicinò a me, abbracciandomi.
<< Ali, io non voglio lasciarti andare >> disse, facendomi commuovere. Mia madre e mia sorella ricominciarono a piangere e sentii anche Janet singhiozzare. Tutto quel dolore mi faceva soffrire, ma io non potevo fare nulla per lenirlo. Le cose andavano così e basta. Dovevo accettarlo.
Dovevo accettare che tra meno di ventiquattro ore non sarei più stata umana. Dovevo accettare che Dylan mi avesse guardato come un mostro e lasciata solo perché ero diversa. Dovevo accettare di non vivere più con la mia famiglia per chi sa quanti anni, senza veder crescere Serenity. Non avrei condiviso le cose più belle che mi ero aspettata con Janet. Era tutto finito.
<< Robert, guarda su Internet e cerca il numero del Collegio di New York, per favore >> disse mia madre, fra le lacrime. Mio padre mi lasciò e andò a prendere il suo portatile rosso e bianco, posandolo sul tavolino basso.
<< Amore, vai a preparare i bagagli >> disse mia madre ancora. Io annuii e andai in camera con Janet e Serenity. Presi la valigia che mi avevano regalato a Natale, solo che doveva essere per un viaggio non per lasciare la mia famiglia e andare in una scuola di Different. Janet mi aiutò a sistemare tutti i vestiti, trucchi e oggetti vari. Serenity ci guardava seduta sul letto, senza dire nulla.
<< Allora, te ne vai davvero? >> chiese.
Mi girai. << Si, sorellina. Prendiamo il primo aereo per New York >>.
Serenity mi abbracciò e la strinsi. Non volevo lasciarla ma cosa potevo fare? Speravo che il fatto che fosse una bambina non la facesse soffrire troppo. Quando tutto fu pronto i miei genitori entrarono nella mia stanza.
<< Abbiamo parlato con loro... Sono pronti ad accoglierti Ali >> spiegò mia madre, con occhi rossi e gonfi di pianto. Annuii.
<< Abbiamo anche trovato un volo per New York... parte alle undici... Tua madre ha già prenotato per te, Janet, e anche per lei. E io per te. Insomma, sono le nove... forse dovresti andare >> balbettò mio padre, come se gli venisse difficile dire quelle parole.
Abbracciai tutti e due, sperando che presto smettessero di piangere. << Tra qualche anno tornerò, davvero >>.
Non sapevo se fosse vero, però una piccola bugia poteva risollevargli il morale. Loro annuirono e mi lasciarono andare. << Vai, tesoro. Ci rivedremo presto. Magari veniamo noi a trovarti >> propose la mamma, con un sorrisino stentato.
Serenity mi abbracciò stretta. << Non andare via! >>.
<< Devo, Sery. Però torno presto. Ti voglio tanto bene >>.
Cercai di trattenere le lacrime, non volevo rendere ancora più difficile la situazione di quanto già era. Janet salutò i miei che ci accompagnarono alla porta. Dopo un ultimo abbraccio, la porta si chiuse alle nostre spalle. Quando scendemmo, la madre era già lì che ci aspettava. Appena salii in macchina, mi sciolsi in lacrime che resero il mio mal di testa ancora peggiore e sentivo la voglia di vomitare. La madre partì con l'auto e Janet mi abbracciò.
<< Andrà tutto bene, amica mia >> sussurrò, cercando di consolarmi. Arrivammo all'aeroporto dopo un’ora e io smisi di piangere. Quando mi guardai nello specchietto retrovisore vidi che la mia faccia non era delle migliori: occhiaie, occhi rossi e gonfi e una faccia stravolta. Scesi meccanicamente dalla macchina, prendendo la mia valigia mentre Cindra e Janet avevano solo due piccoli bagagli. Non feci in tempo ad entrare nell'aeroporto che mi sentii chiamare.
<< Alisha! >>. Riconobbi quella voce: Dylan. Janet si girò e lo guardò male, voltandogli poi la faccia. Lui si avvicinò a me, prendendomi una mano. << Sono stato uno stupido! Perdonami! >>.
Lo guardai e la mia forza di volontà per un pò vacillò ma poi quegli occhi pieni di terrore e la parola "mostro" risuonavano nel mio cervello. Non potevo dimenticare. Lasciai bruscamente la sua mano. << Sono un mostro, ricordi? >>.
Dylan non disse nulla. << Peccato, ti amavo sul serio. Ma evidentemente il cambiamento offusca il cervello >>.
Me ne andai, girandogli la faccia. Entrai con Janet e Cindra dentro l'aeroporto, senza neanche guardami indietro. Si, senza guardami indietro. Perché quello che c'era indietro era solo un infinito dolore...


   
 
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