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Autore: ZARANDO    10/09/2017    0 recensioni
Uscì da casa, chiudendo poi il cancelletto a chiave. Infilò nelle orecchie gli auricolari dell’mp3, cominciando una corsetta leggera verso i campi sportivi. Aveva ricevuto un messaggio di Reiko nella notte in cui lei si scusava per le illazioni dette nel pomeriggio. Ma, ancora una volta, Yoshi aveva semplicemente letto la mail senza digitare alcuna risposta.
Forse sbagliava a comportarsi così ma era stanco di dover ogni volta risolvere e poi attendere un nuovo litigio.
Era quello che mal sopportava delle relazioni e Kasumi lo sapeva.
Si vedevano quando volevano, si divertivano e di discorsi seri o impegnati ne facevano ben pochi. Perché le ragazze non potevano essere tutte cosi?
Invece Reiko, forse perché molto presa, sembrava gelosa, piena di insicurezze e con voglia di un rapporto serio.
Ma per Yoshi Reiko aveva ormai perso gran parte del proprio fascino. Come una conquista già effettuata, un indumento usato, un giocattolo rotto da qualcuno.
Si allontanò dalla strada, prendendo delle scalinate di cemento che portavano sopra ad un argine. Sebbene facesse molto freddo, grazie alla maglietta termica che indossava sotto la tuta, riusciva a non percepire alcun fastidio.
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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La prima settimana nella nuova scuola passò per Yoshiyuki molto velocemente tra lezioni, compiti per casa, recuperi di matematica ed uscite con i nuovi amici.
Con Akito non aveva più parlato di Reiko anche perché, ultimamente, non era riuscito ad avvicinarla. Avrebbe voluto invitarla ad uscire, provarci nella maniera più spudorata possibile per vedere se era vero ciò che aveva in mente suo fratello: aveva un grosso ascendente su Sota, secondo lui. Tuttavia, schiva com’era, se ne era stata ben distante dal biondo dal giorno della partita, probabilmente per paura di qualche altra intromissione fulminea di Akito. 
Era seduto con la schiena contro la rete che circondava le piscine all’aperto, godendosi il sole caldo del pomeriggio. Fujimoto l’aveva convinto ad aspettarlo, dato che Yoshi aveva terminato il corso pomeridiano di recupero molto prima della fine dell’allenamento di nuoto.
Poiché ogni tanto riusciva a scorgere una ragazza allenarsi, poteva anche godersi qualche curva fasciata in costume intero.  Non tutto il male viene per nuocere, pensò. 
Osservò Fujimoto tuffarsi nuovamente dai blocchi di partenza, per inabissarsi e ricomparire poi, continuando a grandi bracciate. Era la decima volta che lo guardava ricominciare a nuotare, quindi Yoshi non vedeva l’ora che si stancasse definitivamente per potersene andare. 
Takeshi, come se avesse letto i suoi pensieri, arrivò a bordo vasca, si avvicinò alla scaletta in metallo e uscì finalmente. Affiorando sollevò molta acqua, e si sedette poi  sul bordo dando le spalle all’amico, guardando rapito i suoi compagni di squadra continuare a nuotare. Si tolse la cuffietta, scompigliandosi i capelli con una mano, per liberarli dall’acqua clorata delle vasche. Infine decise di alzarsi in piedi, per andare vicino a Yoshiyuki che gli tendeva l’asciugamano.
“Grazie..” Takeshi si asciugò il viso, passandosi poi l’asciugamano sulla capigliatura. Si sedette a fianco dell’amico, esausto. 
Yoshiyuki osservò le mille gocce che scorrevano dal corpo di Takeshi, iridescente sotto i raggi del sole. Pensò a quanto dovesse essere convinto del proprio aspetto fisico per indossare solo un costume nero e nient’altro, gareggiando sotto gli occhi di tutti. L’adrenalina della gara, la rabbia per le sconfitte, la gioia di indossare le medaglie.. chissà quante volte Takeshi aveva provato sentimenti simili. 
Passarono due ragazzi, entrambi con una bibita energetica in mano e l’asciugamano sulle spalle, salutando Fujimoto. Yoshiyuki aveva sentito dire in classe che Takeshi aveva provato a diventare capitano della squadra di nuoto ma, siccome era tra i più piccoli del gruppo, aveva dovuto desistere in favore di un altro ragazzo del quinto anno. Questioni di anzianità ed esperienza, a quanto pareva, seppure fosse così famoso e promettente. 
“A che pensi?” Takeshi lo distolse dai suoi pensieri, strizzando la cuffietta per toglierle l’acqua di dosso. Non aspettò la risposta, ma aggiunse: “Ti sarai annoiato, scusa..”
“Era la prima volta che ti vedevo..” spiegò Yoshi. “La prima mezz’ora mi è anche piaciuta, dopo basta però!”
Risero assieme, consci di sembrare sempre più degli idioti agli occhi di tutti quando erano assieme.
Yoshi prese a fissare poi l’occhio chiaro di Fujimoto, che gli era valso la nomea di “demone delle vasche”. 
“Ma ci vedi da quell’occhio?” chiese, incuriosito.
“Insomma..” si tappò le narici con le dita, cercando di stappare le orecchie.
“Però è figo.” commentò Yoshiyuki, notando poi il tatuaggio sul polso. 
Takeshi si accorse dello sguardo dell’amico, che era passato dall’occhio al tatuaggio, sorridendo. “Lascia perdere, questo mi ha fatto sospendere due anni fa!”
Gli mise il braccio sotto il naso, per fargli rimirare meglio il tribale. Era molto stilizzato ma doveva di sicuro essersi ispirato ad un serpente.
“L’ho fatto quando ho vinto le regionali la prima volta..” raccontò Takeshi. “Ma quando, alla gara successiva, i direttori di gara se ne sono accorti, volevano farmi saltare il turno direttamente.”
“Caspita..” Yoshiyuki ci passò sopra le dita ma, quando si accorse che non vi erano solchi o rigonfiamenti, ma solo pelle liscia, fece una smorfia delusa.
“E’ anche per questo che non posso fare il capitano..” sospirò. “Però mi ricorda una vittoria incredibile.. quindi chi se ne frega!” 
“Giusto..”
“Il preside poi mi sospese per due giorni..” sorrise Fujimoto, ricordando la disavventura. “Dovette intervenire anche la classe in mia difesa.. Sota in prima linea, ovviamente.”
Yoshiyuki ripensò a Reiko, con cui nell’ultimo periodo aveva parlato ogni tanto a lezione, mantenendo comunque le distanze. Lei stessa sembrava volergli stare alla larga, cercando ogni pretesto pur di non rimanere mai sola con lui. Forse dopo la chiacchierata in palestra, entrambi avevano compreso di essersi spinti un po’ oltre e si vergognavano di ciò che poteva pensare l’uno dell’altra e viceversa.
Yoshiyuki si trovò gli occhi di Takeshi a fissarlo intensamente, in silenzio. Ovviamente l’amico aveva intuito a cosa o meglio a chi stesse pensando l’altro. 
“Sei incredibile..” lo canzonò infatti  Fujimoto. “Sembri una scolaretta alla prima cotta!”
“Ma và..” Yoshi riuscì a biascicare, avvampando dalla vergogna. 
“Dai, andiamo..” Takeshi scattò in piedi, rivelando il solito fisico asciutto sotto il sole. 
Yoshiyuki un po’ gli invidiava l’aspetto fisico: lui era magro ma non certo allenato. Rimase ad osservargli la schiena da cui affioravano le scapole, mentre si stiracchiava prima di entrare nell’edificio dove vi erano le piscine al coperto.
Yoshi camminava dietro a Fujimoto mentre percorrevano l’ambiente che odorava di cloro. Gli spalti erano vuoti, come le
vasche: data la bella giornata la squadra preferiva allenarsi all’esterno. 
Takeshi svoltò dentro agli spogliatoi salutando l’amico che l’avrebbe atteso direttamente fuori.
Appena uscito sul marciapiede, Yoshi si accese una meritata sigaretta, traendone poi ampie boccate. Ormai i due amici percorrevano sempre assieme la strada del ritorno a casa, avendo scoperto di abitare molto vicini. Yoshi aveva pensato che fosse molto strano non essersi mai incontrati nella zona. Così simili non avrebbero potuto ignorarsi. Almeno non del tutto.
“Eccomi..” Takeshi aveva con sé un borsone da palestra che utilizzava per contenere tutto ciò che gli serviva per il nuoto; sulla fodera esterna era inoltre impresso il nome della scuola. 
Stavano per uscire dal perimetro della scuola quando videro, nella zona dei parcheggi delle biciclette, Keichiro seduto su una panchina, intento a fumare. 
Yoshiyuki pensò che lo aveva visto raramente con la sigaretta in bocca.
Appena lo sorpassarono, Mifune alzò la mano per salutarlo, mentre Takeshi fece finta di non vederlo, voltandosi dall’altra parte. Honda, vedendo i due, contraccambiò il saluto di Yoshi con un sorriso stentato.
Quando furono finalmente in strada, Yoshi chiese a Takeshi cos’era successo tra loro.
“Ma niente..” bofonchiò Fujimoto, grattandosi nervosamente la nuca. 
Yoshiyuki pensò che era ormai dalla prima volta dell’uscita tutti assieme, quando lo avevano convinto a non andare dalla sua ragazza, che non erano più così affiatati. Ciò che gli passò per la mente gli fece venire i brividi.
“Non sarà mica geloso?” domandò, pensando che non avevano otto anni.
“Boh..” Fujimoto fece spallucce, fingendo di non sapere.
“E’ geloso che io e te siamo diventati amici?” Yoshi afferrò il braccio di Takeshi, richiamando la sua attenzione. Fujimoto sospirò, scuotendo la testa. 
“Non lo so..” 
Non voleva essere odiato da Honda solo perché era diventato amico di Fujimoto. Ma effettivamente Keichiro si era fatto un po’ velenoso nei confronti di Yoshiyuki, prendendolo spesso in giro per i capelli o per il fatto che non fosse una cima in alcune materie. Takeshi non gli era molto d’aiuto: continuava a camminare, passo dopo passo, pensando ai fatti propri o ignorandolo apposta.
Ma Takeshi non poteva certo dirgli che Keichiro negli ultimi due anni non aveva mai perso un suo allenamento. Che ad ogni gara lui era sugli spalti a tifare per l’amico. Che, nonostante fosse amico di Akito, aveva sempre cercato di fare in modo che Fujimoto non venisse preso di mira dal rappresentante degli studenti.
Takeshi si era stancato dell’onnipresenza di Honda nella sua vita: voleva cambiare la routine e Yoshiyuki gli era parso la svolta ideale. Usciva quando e con chi ne aveva voglia, senza avanzare pretese.
“A volte penso ti veda come la sua fidanzata..” rise Yoshiyuki, cercando di buttarla sul ridere.
Fujimoto sorrise a malincuore, sentendosi un verme a trattare così un amico, ma dal suo punto di vista non aveva altre vie d’uscita. “Speriamo di no..”
Certe dinamiche del rapporto tra amici Yoshi non le conosceva: era sempre stato abituato al semplice fatto che se voleva poteva uscire con chiunque. Come poteva evitare di incontrare una persona per mesi e poi tornare dal nulla, come se non fosse successo nulla. Finora aveva sempre trovato amici con lo stesso atteggiamento, che non davano peso all’allontanamento di qualcuno né tantomeno al suo ritorno. 
“Non lo capisco proprio..” bofonchiò, alzandosi il colletto dalla camicia per darsi un tono. Aveva cercato di customizzare la propria divisa, invano. Appena entrato a scuola gli avevano fatto rimettere la camicia dentro i pantaloni e avevano imposto di abbassare il colletto. Ora, mentre camminava sul marciapiede, poteva finalmente sfogarsi.
“Beh, meglio se la prenda con me che con te.” rispose Fujimoto, facendo scrocchiare le dita piegandosi le mani.
“Non ho mica paura di quello..” ridacchiò Mifune,  svoltando dentro per una stradina sconnessa.
“Takeshi!” 
Si volse, vedendo Keichiro, il ragazzo di cui stavano parlando da una buona ventina di minuti, aggrappato al braccio di Fujimoto. Aveva corso per raggiungerli, si notava dalle guance rosse e il respiro affannoso.
“Perché mi ignori, si può sapere?”
Yoshiyuki non credeva ai suoi occhi: stava assistendo ad una scenata in piena regola.
“Cos’ho fatto?”
Takeshi veniva scosso da Keichiro e lo fissava in viso senza però proferire parola.
“Non mi avevi nemmeno detto che oggi vi allenavate!”
Yoshiyuki era in imbarazzo per Keichiro: come faceva a comportarsi così, ad esprimere i propri sentimenti alla luce del sole? Non aveva un minimo di orgoglio a quanto pareva. Non si vergognava ad ammettere di essere stato lasciato in disparte?
“Ehi..” Yoshi si intromise, toccandolo per una spalla.
“Tu fatti gli affari tuoi!” Honda esplose di colpo, rivolgendosi al biondo.
Yoshi stava per rispondergli a tono ma Takeshi sospirò rumorosamente, dicendo poi: “Kei, stai dando spettacolo.”
Keichiro lasciò la presa, mortificato. Si guardò attorno, cercando di scorgere qualche spettatore involontario.
“Ne abbiamo già parlato..”  Takeshi sembrava rispondere in modo vago, incerto proprio perché era presente Yoshiyuki. “Sai che non amo ripetermi.”
“Sono andato a vederlo io, non ti preoccupare..” disse Yoshi, sorridendo. Gli sembrava tutto una follia. Litigare per cosa?
Ma Fujimoto lo guardò con occhi sbarrati, volendolo strozzare.
Honda infatti reagì come se avesse ricevuto una sberla in faccia, prendendo Fujimoto per il colletto della camicia. 
“Perché?”
Takeshi volse gli occhi al cielo, pregando che non esagerasse, che non lo colpisse: in quel caso avrebbe dovuto reagire e non ne sarebbe stato felice. “Dai, per una volta..” sdrammatizzò.
“Sono sempre venuto io, perché ora lui?”
Takeshi sospirò nuovamente, guardando storto Yoshiyuki. Era colpa di Mifune se ora si trovava in quella situazione, dopotutto.
“Quello che mi da più fastidio..” Honda lasciò Takeshi, piagnucolando. “..è che volevi venisse solo lui!!”
Era paradossale come scena: Keichiro era geloso del fatto che fosse andato un altro a vedere gli allenamenti di Takeshi. 
Yoshiyuki era senza parole.
“E pensare che non volevo nemmeno andarci..” sbuffò Yoshi, incrociando le braccia al petto. Aveva intenzione di lasciarli soli, per potersene tornare a casa.
Honda lo fulminò, sconvolto. Takeshi si passò una mano sul viso, lamentandosi del fatto che Mifune fosse davvero un idiota.
A quel punto però Keichiro indietreggiò, tornando sui suoi passi, correndo via, da dove era venuto.

I due biondi proseguirono in silenzio, entrambi con la mente occupata dal medesimo pensiero: ciò che avevano visto fare a Honda. Provavano vergogna per aver assistito ad una tale dichiarazione senza precedenti. In Yoshi alcuni pensieri passarono solo per l’anticamera del cervello, mentre Fujimoto ne era pienamente cosciente.
Eppure, nessuno dei due aveva il coraggio di iniziare il discorso, di farsi quella domanda semplicissima ma feroce. Cosa provava in realtà Keichiro?
Ammettere che qualcuno avesse potuto scambiare per ben altro la loro amicizia era pura follia; Yoshi avrebbe poi dovuto ammettere che credeva Keichiro capace di provare qualcosa di ben più serio per Takeshi.
Si stavano salutando sulla soglia di casa Mifune, come ormai facevano da una settimana.
Un breve cenno, poi Takeshi volse le spalle a Yoshi, volendo evitare chiaramente il suo sguardo.
Si sentiva in colpa per aver fatto intendere all’amico cose che avrebbe voluto tenere nascoste. Anche se non compromettenti, potevano insinuare nella mente di Mifune strani dubbi, che l’avrebbero molto probabilmente portato a rifuggire da Fujimoto.
“Per qualsiasi cosa..” cominciò Yoshiyuki, nonostante avesse davanti la schiena di Takeshi e non il suo viso. “..sai che puoi contare su di me.”
Gli venne così, di getto, come se qualcuno lo avesse manovrato, una marionetta nelle mani di un altro. Anche se le sue parole avevano dimostrato comprensione, la ragione continuava ad imporgli di capire, di cercare di comprendere la realtà. Una realtà che Keichiro, col suo atteggiamento, gli aveva fatto intuire.
Ma Yoshi non voleva capire. 
Aveva un po’ paura di Takeshi.
L’amico continuò sui suoi passi, fingendo di non aver sentito. 
Per Yoshi guardare Fujimoto era come vedersi nel futuro: lo aveva preso come esempio, come riferimento. Però lo temeva. Quando lo vedeva scrutare il mondo con i suoi occhi, con lo sguardo freddo e distaccato, si sentiva male. Non capiva mai cosa pensasse realmente. Non riusciva a capire se lo riteneva amico degno della sua confidenza o semplice passatempo.
Koba lo aveva definito “giocattolo”. E quell’epiteto per lui era stato come una pugnalata. 
In passato l’avevano adorato, rispettato, maltrattato. Ma mai nessuno aveva giocato con lui.
Anche con l’ultima compagnia, era stato lui a lasciare il gruppo, cambiando scuola. E alla fine aveva scelto lui il nuovo ambiente. Quando una situazione o una persona non gli andava, era lui a fuggire, a lasciare, a troncare.
Ultimamente invece aveva notato di gravitare attorno a Takeshi un po’ troppo. 
Di dipendere un po’ dai suoi sguardi, dai suoi inviti. 

La mattina seguente Yoshiyuki decise di alzarsi prima per arrivare a scuola in anticipo. Suo fratello ancora faceva colazione in pigiama mentre lui era già vestito per uscire. Aveva pensato a questo stratagemma per riuscire ad evitare di incontrare per strada Takeshi e, quando arrivò all’interno delle mura dell’edificio scolastico completamente solo, capì di esserci riuscito.
Si sedette su una panchina, concedendosi la prima sigaretta della giornata. Trovò in tasca l’accendino arancione che aveva trafugato dalla cucina, ma non fece in tempo ad accendersela che una voce femminile lo salutò.
Era Sota, di fronte a lui, con una pila di scartoffie in grembo.
Tutte le mattine si salutavano, evitando però di parlarsi, mantenendo comunque un rapporto cordiale basato sui convenevoli: il tempo, il caldo, i voti.
Quella mattina però parve in lei esserci la volontà di rimangiarsi i metri di distanza che aveva lasciato crearsi tra loro. Dopotutto, era da giorni che non si trovavano da soli.
“Come stai?” chiese lei, sorridendo.
Yoshi notò che il plico di carte le pesava, così scattò in piedi, per concederle il suo aiuto. Malgrado la sua riluttanza, riuscì a sottrarle i fogli. Ebbene ci stava provando, faceva il galante sapendo benissimo che lei avrebbe apprezzato.
“Come mai così presto stamattina?” continuò Reiko, ringraziandolo del favore.
“Così..” fece spallucce, sputando a terra il mozzicone spento. “e tu?”
“Io arrivo sempre a quest’ora..” spiegò lei. “Oggi per giunta ho dovuto fare queste fotocopie per la classe..”
Si incamminarono verso la scuola, uno di fianco l’altra.
La ascoltò parlare degli obblighi di un rappresentante di classe nei confronti dei professori, degli altri studenti e del preside.
“Ci tieni proprio a questa scuola, eh?” ridacchiò Yoshi, facendo le scale dietro di lei, diretti al primo piano.
“Ormai è casa mia!” rispose lei, sorridendo. 
Appena arrivati alla loro classe, Yoshi appoggiò il pacco di fotocopie sulla cattedra, mentre Sota andò ad aprire le finestre per far cambiare l’aria viziata. 
“Ti ringrazio per avermi aiutata.” gli sorrise, non accennando un inchino, come avrebbe fatto una qualsiasi delle sue compagne di classe, ma mostrandogli invece i denti bianchi. Gli vennero in mente molti ricordi di quando, da piccolo, aveva frequentato l’asilo in America. Certe cose in Giappone considerate strane o addirittura offensive, laggiù erano pratica comune.
Si appoggiò al bancone, incrociando le braccia al petto, pensando e ripensando a come sarebbero andate le cose se non fosse mai tornato nel paese dell’estremo oriente. 
“Tutto bene?” chiese lei, avvicinandosi preoccupata. “Ti sei ambientato, no?”
Lo colse di sorpresa, al che la fissò senza rispondere.
“Se hai problemi di qualsiasi tipo sai che puoi fare affidamento su di me.” si toccò al petto con la mano, come fanno gli occidentali.
Yoshi sorrise, pensando che ormai era abituato a vedere le persone toccarsi il naso per indicare sé stessi. “Tutto a posto, all right.”
“Per fortuna.” La vide suddividere i fogli in gruppetti, per riuscire poi a distribuire a tutti le copie giuste. 
“Anche tu, per qualsiasi problema, sono qui.” gli venne d’istinto, cosa che normalmente avrebbe solo pensato.
“So difendermi da sola, tranquillo..” rispose lei, imbarazzata. 
“Sul serio.” Yoshi trafficò con le mani in tasca, tirandone fuori il cellulare. Fece scattare l’apertura a guscio, porgendoglielo. “Scrivimi la tua mail.”
Notò la faccia sorpresa di Reiko, fissare ora il telefonino, ora lui. “O-ok..” balbettò, prendendo tra le mani il cellulare di Yoshi. La osservò comporre l’indirizzo premendo sulla tastiera con le unghie laccate di rosa confetto.
“Dopo ti scrivo, così ti salvi anche il mio contatto.” 
Lei annuì, finendo di scrivere. “Che strano modo che hai di chiedermi le cose..” gli riconsegnò il telefonino.
“Sono un po’ diretto, lo so.” salvò la mail di Reiko, aggiungendola alla rubrica. 
“Beh, lo preferisco.” Sota tornò al suo lavoro, sedendosi sulla sedia del professore, per stare più comoda. “In questa scuola c’è poca gente che dice davvero come la pensa!”
Yoshiyuki pensò che forse era stato troppo diretto. Non sapeva se si stava frequentando con qualcuno, se era fidanzata, se avesse avuto piacere dello scambio di contatti, se le stava simpatico o se lo sopportava semplicemente. 
Non capiva nemmeno se lei avesse intuito che ci stava provando.
Sembrava solo assecondarlo, come fosse molto paziente.
“Mifune..” accennò lei, guardandolo mentre sistemava dei fogli stampati storti. “Posso chiamarti anche se voglio vederti o devo farlo solo se sono in difficoltà?”
Yoshi scoppiò a ridere, seguito a ruota da Reiko. 
“Puoi chiamarmi quando vuoi, anzi.” si tirò su dalla cattedra, stiracchiandosi le braccia. Stava per dirle che poteva chiamarlo per qualsiasi cosa, quando entrarono i primi compagni di classe, salutando i due.
Si guardarono, come avessero voluto salutarsi senza far rumore, rimandando ad un'altra volta altri discorsi che sentivano entrambi di voler fare. 
La desiderava, avrebbe voluto candidamente proporsi, esporre ciò che provava al suo giudizio ma ancora non se la sentiva. Provava a piccoli passi a vedere se apprezzasse o meno da lui certe carinerie tipiche di due persone che stanno assieme o comunque che si vogliono bene.
Molti entravano, lasciando vicino ai banchi i propri zaini, uscendo nuovamente chi per andare in bagno, chi per concedersi ancora qualche minuto di pausa prima dell’inizio delle lezioni. Yoshi ne approfittò, tornando in corridoio, decidendo se fumarsi o meno l’ennesima sigaretta della mattinata ancora da cominciare.
“Ehi.” lo salutò Akito, sorpassandolo ed entrando nella sua classe.
Con passo deciso, lo vide dirigersi alla cattedra dov’era seduta Sota, intenta ancora nel suo lavoro. Lo vide appoggiarsi con le mani al tavolo, chinato verso di lei a parlarle.
Poi notò Koba che gli faceva un inequivocabile gesto, invitandolo a salire in terrazzo per fumare. Offerta che non riuscì a rifiutare.

“Ciao.” Reiko lo salutò, ignorando il suo solito modo di porsi, così altezzoso, nei riguardi di chiunque. Era entrato alla svelta, con passi decisi, fermandosi dinanzi a lei senza spiccicare parola, ma guardandola con sguardo severo.
Avrebbe voluto urlargli che era uno stronzo, che non capiva come osasse ancora rivolgerle la parola, che avrebbe voluto e dovuto denunciarlo.
Ma questa storia andava avanti da mesi, quindi ormai comprendeva che aveva finalmente scoperto il fondo del pozzo di odio che Akito coltivava per lei.
“Ciao.” Indossava la giacca sopra la camicia che gli conferiva un’aria adulta a cui forse ambiva.
“Tuo fratello è qui fuori.” accennò lei, finendo l’ultimo plico e perciò alzandosi per iniziare a distribuire i fogli sui banchi di ogni studente. 
“Non sono qui per lui.” Lui la seguì con lo sguardo, andando a chiudere la porta della classe e appoggiandovi la spalla. Rimase così, storto, a fissarla passare tra i tavoli.
“E per cosa?” chiese lei, poco convinta. Più rimaneva con Akito e più cresceva in lei la voglia di scaraventargli addosso una sedia, per restituire la cortesia del ricovero in ospedale. 
“Per te.” 
“Se vuoi litigare, usciamo.” Sota si volse a fulminarlo, disturbata dal suo atteggiamento. “Così tutti vedranno quanto mi disprezzi in realtà.”
“Non è certo colpa tua se sei una straniera.” la stuzzicò. “E nemmeno mia se nessuno ti ha voluto votare quando credevi di vincere.”
Lei si trattenne dal rispondergli in malo modo, prevedendo che Mifune avesse ovviamente il coltello dalla parte del manico in quanto a stretto contatto con il preside.
“E poi cosa ti fa pensare che io ti disprezzi?” 
Reiko si sedette su un banco, incrociando le gambe. “Forse il fatto che mi hai fatto picchiare?” chiese ironica. “Se vuoi chiarire, chiariamo.”
“Te la sei andata tu a cercare, Reiko.” Akito si avvicinò alla ragazza, per timore che dal corridoio qualcuno potesse origliare la loro conversazione. “Ti sei messa contro di me, perciò ho dovuto.”
Trovandoselo di fronte, Sota ebbe un sussulto. Se le avesse fatto del male, ovviamente tutti si sarebbero resi conto del vero carattere di Akito. D’altro canto, se avesse voluto, avrebbe potuto farle del male seriamente dato che erano soli.  
“Non mi ha fatto piacere sai..” le passò una mano sul viso, carezzandole una guancia, osservandola da vicino. 
“Ma piantala..” scocciata, gli spostò il braccio.
“Il giorno del pestaggio, quando ti hanno trovato nel sottopassaggio..” parlava a voce bassissima, lentamente. “Rika e Serika ti hanno solo mandato all’ospedale. Ti hanno rotto un braccio perché ci sei caduta sopra.”
Sota rabbrividì al pensiero di quella giornata. Sua madre pensava al peggio, perché la ritrovarono distesa alla fine di una scalinata, le gambe ancora riverse sugli ultimi scalini, con i vestiti strappati, i capelli sporchi di fango, piena di contusioni, svenuta. 
“Le altre cose non so chi te le abbia fatte.” sorrise amaramente. Akito la scrutava, analizzando ogni singola piega dei suoi abiti, dalla camicetta, al fiocco fatto con cura, alla gonna stirata di fresco.
“Sono affari miei cosa faccio o non faccio.” rispose lei diretta, sfidandolo. Voleva capire se aveva davvero il coraggio di accusarla di certe dicerie.
“Lo so. E’ un gran bell’ostacolo a tante cose.” Akito le carezzò i capelli che le cadevano da un lato, sciolti e voluminosi. “Questo tuo aspetto.”
“Questo lo dici tu.” fece lei, sorniona. 
“Chi l’avrebbe detto che saremmo arrivati a questo.” disse Akito, sospirando. “Avrei detto che..”
Si zittì di colpo, perché Natsumi entrò nella stanza, disturbandoli.
Divenne rossa in viso vedendoli conversare così vicini, una scena un po’ equivocabile.
In un batter d’occhio Akito si defilò, lasciando Sota a pensare al giorno in cui si erano visti per la prima volta.
Un giorno del primo anno, qualche mese dopo il trasferimento di lei da un’altra città.
Sua madre aveva cambiato lavoro per la terza volta nel giro di un anno, facendole nuovamente cambiare casa e scuola.
Per una ragazzina dall’aspetto anomalo, più simile ad una ragazza occidentale che ad una giapponese, il passaggio in una scuola di Tokyo equivaleva alla certezza del non doversi più sentire diversa. Una metropoli conosciuta in tutto il mondo doveva certamente essere abituata alla presenza degli stranieri.
Invece anche lì, come in tutte le classi che aveva frequentato da che aveva ricordi, vi erano i soliti occhi puntati a guardarla.
Un pomeriggio, seduta su una panchina, con il bentō  sulle ginocchia, intenta a spostare i granelli di riso e sesamo da un lato all’altro della scatola, annoiata e poco affamata, un ragazzo aveva attirato la sua attenzione. 
Camminava tutto tronfio nel bel mezzo della strada, circondato da ragazze ammiranti, dai loro gridolini isterici e dai loro profumi. Aveva un bell’aspetto curato, i capelli neri scalati, portati con la scriminatura di lato e indossava, oltre alla camicia e ai pantaloni, anche una giacca coordinata. Pensò che dovesse essere qualcuno di importante dato che si era fatto ricamare lo stemma della scuola proprio all’altezza del petto. 
Rimase sorpresa nel notare che, quando la vide, le sorrise, facendole un cenno col capo.
Forse si erano già visti e non lo aveva riconosciuto.
Uscì dalla sua visuale, intrufolandosi nell’edificio.
Quando finì di torturare il suo pranzo, ricompose la scatolina in plastica gialla, con l’intenzione di tornare in aula. 
Chissà per quanto ancora avrebbe dovuto sopportare di mangiare, studiare, andare e venire a scuola da sola.
“Ehi.” stava sulle scalinate, finendo gli ultimi gradini per entrare nell’edificio, quando il ragazzo dai capelli neri di prima la fermò. “Sono Akito Mifune.” 
Le fece un inchino, che lei osservò in tutta la sua operazione. 
Non le veniva naturale quel modo di porsi, così cerimonioso. 
Le piacevano però gli occhi neri di quel ragazzo, dalla forma allungata ma non minuscoli. “Reiko.”
Lei gli porse invece la mano, suscitando in lui una strana reazione.
Scoppiò infatti a ridere, dicendo poi che nessuna ragazza gli si era presentata così.
Sota rimase con la mano sospesa fino a che Akito non gliela strinse.
“Sono il rappresentante della 1-1.” spiegò lui. “Non siamo nella stessa classe ma Honda mi ha parlato di te.”
Non le piaceva granché il fatto che si parlasse del suo arrivo come di un evento straordinario. Avrebbe preferito passare inosservata.
“Anche io sono nato in America, quindi capisco..” 
“Non sono nata in America.” lo zittì lei.
Akito rimase di stucco, non avendo previsto un simile carattere. La fissò oltrepassare le porte, ignorandolo e lasciandolo sulle scale.
Venne poi a sapere che il padre era un ingegnere di Los Angeles e, dopo la sua nascita, avvenuta a Osaka, città di sua madre, era tornato in America. Che Sota parlava assai poco della sua famiglia e che portava il cognome giapponese materno proprio perché i suoi non si erano sposati.
Quando la rivide, persa a leggere un libro, seduta su una panchina, verso le piscine e quindi molto nascosta, riprovò ad attaccare bottone.
Reiko era assorta nella lettura di un mastodontico volume di letteratura antica, noioso come pochi.
Sentì avvicinarsi qualcuno, che poi riconobbe essere il rappresentante della 1-1, l’”Americano”.
Sorrise nel ricordare come lo aveva soprannominato e lui lo prese come un invito al potersi avvicinare.
“Ehi, come stai?”
“Bene.” Lei tornò alla pagina del libro, lasciando che si sedesse in parte. 
Passarono qualche minuto in silenzio, quando Reiko chiuse il volume, sistemandosi i lunghi capelli da un lato.
“Noioso, eh?” chiese lui, che si era stravaccato sulla panchina, allungando le braccia sullo schienale.
Lei annuì con la testa, sospirando. Da quando era arrivata, anche le cose più semplici parevano insormontabili. 
Stava per perdersi nei propri pensieri quando notò che la osservava assorto ma insistente.
“Honda dice che è difficile avvicinarti.” proruppe. “A me non sembra. Basta starti addosso.”
A Sota sfuggì un sorriso, che coprì istintivamente con la mano. 
“Mi piace stare da sola.”
“Anche a me.”
Dopo quello scarno scambio di battute, si ritrovarono spesso in giardino a leggere, a studiare. O almeno, lei studiava, leggeva, scriveva. Lui si limitava a guardarla, a rimirare il cielo, a sonnecchiare. Alcune volte provava ad iniziare dei discorsi, che però finivano sempre per venir lasciati morire.
Ormai nella scuola erano ritenuti fidanzati, in quanto, visti assieme, davano proprio quell’impressione. Parlavano poco, ma sembrava che le parole non servissero tra loro. Qualche ragazza aveva tentato di origliare le loro conversazioni, tornandosene con la coda tra le gambe perché nel giro di due ore non era ancora stata spiccicata parola. Che il famoso Akito passasse il suo tempo libero semplicemente facendo compagnia all’ultima arrivata, e per giunta straniera, destava non poca invidia tra le loro compagne di scuola. Ad un certo punto credettero pure che fosse un suo obbligo farle da tutor, ma quando il preside disse loro che Sota era nata in Giappone e che quindi non aveva problemi a comprendere la loro lingua, capirono che al rappresentante d’istituto piaceva stare con lei.
Anche a mensa, durante la pausa pranzo, capitava che lui, dal tavolo dei ragazzi più facoltosi della scuola, cambiasse posto per andare a sedersi proprio davanti a Sota. Ma nulla fu più eclatante di quando Akito si presentò con due bentō identici, donandogliene uno. Tutti sapevano della sua maestria ai fornelli, per via della madre maestra di cucina; tutte, quando c’erano manifestazioni sportive, adoravano notare con quanta maestria sapesse intagliare le verdure e crearne pupazzetti simpatici. Erano le sciocchezze con cui Mifune prendeva in giro alcuni membri della scuola, facendone le caricature: il professore di fisica a forma di maialino fatto con i wurstel, la spilungona della 5-1 fatta con le pannocchiette dolci, il faccione del preside ricoperto di nei intagliato nel riso. Ma Sota, restia ad aprire quella scatola di plastica per il semplice motivo che si era portata già il pranzo da casa, non poteva comprendere appieno il perché di tutti quegli occhi addosso. Trovando al suo interno il riso rosa, pressato a forma di cuoricini, con le umeboshi  disposte a formare la scritta for you su di essi, rimase però anche lei ammutolita. Non esitò a portarsi a casa il proprio bentō immacolato, cibandosi di quello preparatogli dall’”Americano”.
Un giorno d’estate poi, Reiko arrivò dopo di lui alla solita panchina nascosta nel parco. Lo trovò infatti già disteso per tutta la sua lunghezza, un libro aperto a coprirgli il volto, come se dormisse. Poteva riposare tranquillo, perché le fronde degli alberi impedivano ai raggi del sole di raggiungerlo.
In realtà, la stava aspettando: quando lei gli si avvicinò, si mise seduto, mettendosi a posto in fretta i capelli.
“Ciao, ho finito prima.”
Gli si sedette vicino, aprendo poi lo zaino per cercare il quaderno degli appunti su cui doveva ripassare.
“Reiko..” Akito le poggiò il braccio sulle spalle, per portarsela vicino al petto.
Lei rimase immobile, rigida, mentre questi la stringeva a sé. Inspirava il profumo dei suoi capelli, trovando il coraggio di esporsi in prima persona in questo rapporto.
“Mi piaci.” riuscì a dire, sentendo le guance avvampare.
Reiko si sentì mancare la terra sotto i piedi, rilassandosi però in quell’abbraccio. Poggiò con naturalezza la guancia sul suo petto, aggrappandosi alla camicia bianca. 
Alzò il viso nella sua direzione, alla ricerca del suo primo bacio.
Sota rifletté sulle parole di Akito, prima che lasciasse l’aula. Pensò che il tempo cambiasse davvero le cose. 
Finì il giro tra i banchi, terminando di distribuire le fotocopie, mentre la classe tornava a riempirsi.

All’intervallo, Akito stava ancora fuori dalla classe di Yoshi, come se non si fosse mai mosso. Reggeva una pila di fogli e, salutando il professore con un cenno, si prodigò a fermare le prime ragazze che oltrepassarono la soglia e il suo sguardo. 
Yoshiyuki era impegnato in una conversazione sul compito di fisica che li avrebbe impegnati per tutto il semestre, cosicché, quando vide il proprio gemello entrare nell’aula scortato da delle ragazze, rimase basito. Ognuna di loro reggeva un plico di volantini colorati, freschi di stampa e li distribuiva ai compagni di classe. Natsumi ne sbandierò uno sotto il naso di Fujimoto, che l’afferrò, incuriosito.
Anche Honda, ignorando i quesiti di Yoshi sul moto perpetuo, rivolse la propria attenzione a quel foglietto. 
“Dai una festa, Mifune?” ridacchiò Takeshi, rivolgendosi ad Akito, perso a scrivere a carattere cubitali sulla lavagna la parola “party”. 
“Hai letto bene!” gli rispose di rimando, poggiando il gessetto sulla cattedra. “Do una festa per la mia.. incoronazione.” calcò la frase apposta, incrociando Reiko rientrare con una bottiglietta d’acqua tra le mani. La ragazza si fermò in mezzo alla stanza, non capendo perché Akito fosse nuovamente nella sua classe. Le passò per la mente anche il dubbio di aver sbagliato aula. 
Keichiro saltellò felice di quella notizia, elogiando Akito per la sua magnifica idea. “Quando Akito, quando?”
“Questo week end, e siete tutti invitati.” annunciò il rappresentante degli studenti, sorridendo sornione. Natsumi consegnò una copia anche a Reiko che diede una letta veloce al volantino. 
“A casa tua?” chiese lei ad Akito.
“Si, a casa mia.” annuì lui, trionfante.
“A casa mia?” gli fece eco Yoshi, risvegliandosi dal fondo della classe e agguantando il foglio che Takeshi teneva tra le mani.
“A casa nostra, bravo.” Akito mostrò i denti bianchi, sogghignando in direzione del fratello. 
Sapevano entrambi che quel fine settimana i loro genitori sarebbero andati in campagna a trovare dei parenti, per passare qualche giorno da coppietta innamorata e felice. Tuttavia mai Yoshi avrebbe pensato che il fratello potesse organizzare una festa a casa loro. E invitare tutta la scuola.
Avrebbe voluto protestare, ma preferì accartocciare il foglio e gettarlo sul pavimento.
Honda seguì Akito fuori dall’aula, su di giri, offrendosi di aiutarlo a distribuire tutti gli inviti in giro. 
“Sicuramente ci andranno i soliti senpai ..” accennò Fujimoto, raccattando la pallina di carta da terra. “Figurati se Akito fa entrare le matricole in casa sua.”
Sota si avvicinò a Yoshiyuki, chiedendogli se ne sapeva qualcosa, ma quest’ultimo fece scena muta.
“E’ una sorpresa anche per me.” ammise. “Abbiamo la casa libera ma non credevo per un festone.”
“Sicuramente ci sarà da divertirsi.” si fece pensoso Fujimoto. “E passare una sera a sbafo dei Mifune non mi dispiace.”
Yoshiyuki scoppiò a ridere, mandandolo a quel paese. 
Reiko invece richiamò la loro attenzione. “Credo che approfitterà delle solite galline per far preparare tutto.”
Diede un’occhiata veloce a Natsumi, che aveva seguito le altre ragazze in corridoio. Ovviamente nel gruppo delle starnazzanti oche inseriva pure la sua amica. “Però se non ho niente da fare sabato.. potrei passarci.”
Yoshiyuki sperò che quella frase buttata lì con noncuranza diventasse una certezza.
Poter stare in sua compagnia al di fuori della scuola gli avrebbe forse dato la possibilità di conoscerla.  
  
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