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Autore: Luana89    10/09/2017    0 recensioni
«Perché?». Mi guardò dubbiosa.
«Perché cosa?»
«Perché rimani se odi l’idea di mostrarmi il tuo corpo?». Ero sinceramente curioso.
«Perché .. – una pausa, le sue dita sul gancio del reggiseno. Lo tolse – preferisco questo piuttosto che..»
«Piuttosto che?»
«Tornare in quella casa». Le dita sottili e dalle unghie corte e colorate sfilarono via le mutandine. Nuda e imperfetta.
«Lo preferisco anch’io». Continuò a fissarmi dubbiosa, non capiva se parlassi di lei o di me stesso. Non avrei comunque esaudito la sua curiosità. Per il momento. Le indicai il divano, la prima cosa che fece fu coprirsi con il lenzuolo.
«Come devo mettermi? Insomma c’è qualche posa precisa..?» quando era nervosa parlava velocemente, memorizzai anche quel dettaglio.
«In effetti si». Mi avvicinai a lei, la costrinsi a sedersi e piegare le ginocchia al petto, il lenzuolo cadde appena scoprendole un seno. Le braccia abbandonate mollemente, le dita che accarezzavano i piedi candidi, le spalle ricurve come se portasse addosso il peso del mondo e il viso chino e appena rivolto alla finestra.
«Questa non è una posa..»
«Lo è. E’ la tua». Mi guardò e stavolta ero sicuro avesse capito. Era così che la vedevo, un’anima stanca e ferita. Come me?
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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XIII



La tazzina poggiata sul piattino produsse un lieve rumore, la sua mano tremava appena mentre mi fissava con imbarazzo. Ritrovarmela davanti così improvvisamente era stato quasi più traumatico della serata alla mostra, continuavo a fissarla cercando possibili differenze, rughe in più sul suo volto. Aveva tagliato i capelli che adesso le accarezzavano lievemente il mento, il biondo artefatto scomparso sostituito dal suo solito castano così simile al mio.
«Perché proprio adesso?» La mia voce uscì più tesa di quanto avessi voluto.
«Mi dispiace di essere sparita così, pensavo fosse la soluzione migliore.» Tutti pensavano che allontanarsi e abbandonarmi fosse la soluzione migliore, era divertente in maniera tragica.
«Mollarmi sola e senza un soldo era la soluzione migliore per chi? Per te forse.» Non toccai il mio caffè, la bile minacciava di ostruire la mia gola.
«Carlos minacciava di ammazzarmi se non gli avessi detto dov’eri.»
«Tu non lo sapevi.» Mi fissò attentamente.
«Lui non mi avrebbe creduta.» Bevve avidamente, la mano tremava meno adesso.
«Bene, c’hai messo un bel po’ a tornare.» Sorrisi appena e non le diedi il tempo di ribattere. «Vuoi soldi vero? Sei tornata per questo, probabilmente hai saputo che adesso possiedo un lavoro, ed eccoti qui.» Il tono sprezzante la fece trasalire.
«Non cerco i tuoi soldi, Hope..»
«NON MENTIRE.» Mi alzai, ero furibonda, la rabbia fluiva dentro di me ostruendo la mia mente. Mi fissò con gli occhi umidi.
«Non sto mentendo, non sapevo dove fossi ecco perché non sono mai riuscita a mettermi in contatto con te.»
«Ah si? E adesso? Chi ti ha detto dove fossi.» Restò in silenzio stringendo la borsa sulle ginocchia.
«Non ha importanza, l’importante è che io sia qui.» La fissai con astio.
«Cosa vuoi mamma?» Chiamarla in quel modo mi costò fatica, non ero riuscita a buttarmi alle spalle tutto il nostro passato.
«Non bevo più da quattro anni, sai? Ho trovato persino lavoro..» sorrise in maniera tremolante, come se cercasse di compiacermi. Restai spiazzata.
«Devo ripetere la domanda?» Si alzò sospirando, gli occhi bassi.
«Sono qui per rimediare, so che è difficile perdonarmi, e non ti biasimo. Vorrei solo sentirti qualche volta..» Non seppi cosa dire, continuavo a fissarla come in trance, dovevo perdonarla? «Faccio volontariato in alcune comunità, sai mi fa stare bene aiutare chi come me si sente perso.. un tempo anch’io ero schiava dei miei dolori.» Deglutì, parlare le costava fatica.
«Vuoi dimostrarmi di essere cambiata?» Il suo sguardo stavolta trasudava sicurezza.
«L’ho voluto dimostrare a me stessa prima di ogni cosa.» Si avvicinò prendendomi le mani, sorridendo.
«Come hai potuto andar via così..» le lacrime scesero senza controllo mentre le sue braccia mi avvolgevano strette e calde come mai prima d’ora.
«Non passa giorno senza che me ne penta, mi odio così tanto Hope. Sei la mia bambina, lo sei sempre stata nonostante lo abbia dimostrato male.» Adesso sentivo le sue lacrime inzupparmi la maglia, la strinsi esitante chiudendo gli occhi. Aveva l’odore familiare della famiglia.
 
***
 
«Lanny, hai visto i fascicoli sulla mia scrivania » Un’occhiata torva mi trapassò.
«Il mio nome è Lucas, piantatela di chiamarmi Lanny.» Sorrisi angelicamente sbattendo le ciglia.
«Ma hai la faccia da Lanny.» Allargai le braccia come se avessi detto la cosa più ovvia del mondo.
«Come cazzo ha la faccia un Lanny?» Aggrottò la fronte gettando i fascicoli sulla mia scrivania e io sorrisi.
«Come la tua?» Ci fissammo per qualche istante finché non lo vidi mimare un ‘’vaffanculo’’ voltandomi le spalle. Mi sedetti ridendo iniziando a sfogliare i fascicoli, non riuscivo a captare neppure una parola di quei maledetti verbali, la mente persa ai recenti avvenimenti. Non potevo ancora credere di aver ritrovato mia madre, aveva passato la notte da me, le avevo presentato Nicole e sembrava andassero d’accordo. La mia vita iniziava a percorrere sentieri meno irti, tranne che per una cosa, anzi una persona: Aj. Sbuffai senza rendermene conto quando quel viso si materializzò nella mia mente, il suo era un argomento eccessivamente pericoloso e spinoso, almeno per me. Non avevo detto nulla a Simon e questo mi faceva sentire quasi in difetto, come se nascondessi un cadavere nel baule dell’auto e questo puzzasse di decomposizione solo nella mia mente. Poggiai la fronte sulla scrivania chiudendo gli occhi, dovevo andare a quella festa? Ma soprattutto dovevo forse andarci sola? Il cellulare squillò, lessi il nome di Simon e mugolai tormentata ignorando l’occhiata curiosa di Lanny Lucas.
 
 

AJ

 
«Ho bisogno di uno dei tuoi fantastici caffè per dare un senso a questa giornata inutile.» Mi fissò scuotendo il capo divertita e io la fissai attentamente.
«La giornata di un ricco ereditiero può essere inutile quindi?» Il caffè fumante si materializzò davanti a me, scrollai le spalle con noncuranza.
«Ti stupirebbe saperlo. Ho vissuto parecchi anni inutili.» Ci fissammo con gravità e io ricordai la volta in cui la vidi per la seconda volta, quattro anni prima, anche allora mi aveva offerto qualcosa di caldo.
«Qualcuno tempo fa disse che se in un solo singolo anno hai pianto e riso nulla è andato perso.»
«Frase alquanto ad effetto.» Ci sorridemmo complici, bevvi ancora un po’ di caffè. «Vieni a cena con me stasera?» Inarcai un sopracciglio.
«Sono un po’ vecchia per te sai?» Mi stuzzicò pulendo il bancone.
«Adoro le pensionate.» Schivai lo straccio umido che provocò un colpo simile alla frusta fendendo l’aria.
«Ti farò spendere così tanto che ti pentirai di avermi invitata.»
 
***
 
La porta si aprì lasciando apparire il viso scarno di Juan, mi sorrise in maniera arcigna sedendosi di fronte a me.
«Dovevo immaginarlo, le pessime notizie vengono sempre in coppia.» Inutile chiedergli a chi si riferisse.
«Volevo vedere come te la passassi, la suite è di tuo gradimento?» Lo beffeggiai crudelmente tamburellando le dita contro il metallo spento del tavolo. Alcuni detenuti parlavano a bassa voce coi propri parenti ignorandoci.
«Francamente sei l’unico tra noi con la voglia di fare conversazione, spero questo non turbi il tuo piccolo animo sincero e puro.» Sorrisi in maniera sterile, non era cambiato di una virgola anche se stranamente i suoi capelli sembravano ingrigirsi ogni volta di più, come se quel luogo gli togliesse la giovinezza risucchiandola tra le fitte sbarre della sua cella.
«Sei pronto per il processo?» Scrollò le spalle con noncuranza.
«Abbastanza, stavolta verrò assolto riferiscilo anche a quella puttanella della tua amica.» Mantenni la calma studiandolo tranquillamente.
«Non credo, sai? La testimone che ho trovato ti farà marcire qui ancora per molto.» Si irrigidì appena, fu questione di pochi attimi prima di sciogliersi in un sorriso spensierato.
«Hope non può testimoniare, lei è emotivamente coinvolta e inoltre grazie a te nessuna prova..»  non lo feci neppure finire, mi chinai come se avessi un segreto da raccontargli.
«Ma io non parlo di Hope.» Il suo sorriso si spense, il mio si accese come le luci a Time Square.
«Non è possibile.» Annuii beffardo alzandomi con agilità.
«E’ proprio chi pensi tu. Nessuno meglio di lei può sapere in cosa trafficavate tu e Carlos. Vedi Juan? Alla fine pagherai anche per lui.» Si alzò irruentemente gettandosi su di me, bloccai i suoi polsi sbattendogli il viso contro il tavolo provocando un frastuono che zittì l’intera stanza. Avevo pochi secondi.
«Figlio di puttana.» Lo sentii ringhiare quelle parole mentre provava a divincolarsi, la porta si aprì e i secondini corsero verso di noi.
«Sei finito Juan Hernandez, sei un morto che cammina.» Mi strapparono da lui e io mi divincolai intimando loro con un gesto di non toccarmi. Ci fissammo un’ultima volta prima che lo abbandonassi al suo destino, un destino che si era intrecciato a me anni prima e che finalmente ero riuscito a recidere.

 

Hope

 
«Che schianto, bambola.» Mi voltai fissando Justin sulla soglia della porta, da quando frequentava la scuola elementare il suo gergo giovanile era qualcosa di irriverente.
«Quando sarai alto un po’ più della maniglia di quella porta riuscirò a prenderti seriamente, prima di allora ..fuori di qui.» Lo inseguii fino alla soglia lasciando che scappasse. La risata di Nicole mi colse alla sprovvista, entrò sedendosi sul letto, accavallando le gambe. Aveva un’eleganza innata, mica come me che facevo concorrenza alle scaricatrici di porto.
«Nicole dovresti fare qualcosa per correggere quel piccolo mostro.» Indicai il nano adesso seduto a sbafare merendine.
«E’ giusto che cresca, piuttosto parliamo di te.» Sorrise furbamente ammiccando e io non riuscii a fare a meno di ridere.
«Esco con Simon se può interessarti, si.» Sistemai le spalline del vestito sedendomi sulla poltrona per infilare le scarpe.
«Non mi interessa lui, mi interessa l’erede dei Roosevelt che a quanto dice Lucas è venuto a cercarti.» Mi immobilizzai sentendomi come Justin quando veniva beccato a rovistare tra le mie cose personali.
«Non c’è molto da sapere, è riapparso e poi sparito quando l’ho cacciato. Si è arreso molto facilmente.» Il mio tono noncurante non la colpì particolarmente.
«Quindi non andrai alla festa sabato?» Sgranai gli occhi.
«Sei tu adesso la poliziotta della famiglia?» ‘’Famiglia’’, un termine così vasto.
«Hai lasciato l’invito in bella mostra sul tavolo, stupida ragazzina, se lo avesse visto Simon?» Reclinò appena il viso e io mi sentii sul serio una ragazzina.
«Non ho intenzione di perdonarlo.»
«Gli hai almeno dato la possibilità di spiegare?» Restai in silenzio sentendomi colpita a tradimento da lei.
«Da che parte stai tu?» Assottigliai lo sguardo e Nicole sorrise bonariamente.
«Non sono una fan sfegatata di Alexander, lo sai, ma se dopo otto anni è tornato ..credo ci sia una buona motivazione, no?» Annuii lentamente.
«Probabilmente è solo smania di avere ciò che non cade ai suoi piedi con lo schiocco delle sue regali dita.» Il mio tono uscì più acido di quanto avrei voluto.
«Se ne sei così sicura allora hai fatto benissimo.» Se prima non ero stata felice di ritrovarmela contro, adesso ero persino più sconfortata nel suo darmi ragione. Non provava a farmi riflettere meglio?
«Tutto qui?»
«Hope, stai cercando qualcuno che ti fornisca una scusa per andare da lui in modo tale da non prendertene le responsabilità. Pensi non l’abbia capito?» Trasalii come se mi avesse colpita.
«Non è vero..» Lo era eccome, lo sapevamo entrambe. Il citofono suonò in quell’istante salvandomi da una situazione che a mio parere non aveva molte vie d’uscita. La guardai eloquentemente indossando il cappotto prima di salutare Justin e richiudermi la porta alle spalle. Simon mi accolse elegante e sorridente come sempre.
«Vederti questa settimana è sembrata ardua.» Mi ripetei mentalmente che non lo avevo evitato di proposito, e per avvalorare la tesi mi lasciai baciare più del solito.
«Sono stata impegnatissima con il lavoro, scusami.»
«Non scusarti, è giusto così.» Mi sentii una bugiarda mentre salivo sull’auto mettendo la cintura di sicurezza. Simon non era Juan, non meritava bugie e sotterfugi, anzi. Probabilmente era il miglior fidanzato che avessi avuto nella mia vita, era lui la persona alla quale dovevo prestare ogni grammo delle mie attenzioni.
«Dove mi porti stasera?»
«Oh a cena, è da un po’ che non andiamo in quel ristorantino che ti piace tanto. Quello sulla trentesima, hai presente?» Annuii distrattamente fissando fuori dal finestrino, le parole di Nicole sembravano perseguitarmi.
Entrammo nel locale seguiti dal cameriere che ci scortò in uno dei tavoli liberi, mi sedetti liberandomi dal cappotto sorridendo a Simon di fronte a me.
«Sto letteralmente morendo di fame.» Aprii alcuni grissini sgranocchiandone uno svogliatamente, fissandomi attorno senza vedere davvero. Una risata mi colpì, aggrottai la fronte a causa della familiarità e la seguii con lo sguardo fino a fermarmi su una donna. Una donna ben conosciuta.
«Mamma?» L’uomo accanto a se si voltò fissandomi e il grissino mi si incastrò nella trachea. Iniziai a tossire sentendomi soffocare, Simon si alzò preoccupato e mia madre mi corse incontro, sentii le sue mani battermi la schiena e mi scostai affannata.
«Hope, che coincidenza!» Sembrava entusiasta peccato fosse la sola, tornai a fissare l’uomo con lei che sorrideva divertito. Lurido figlio di puttana.
«Ti scopi mia madre? Cos’è una specie di giochetto sadico da ‘’non posso avere la versione giovane e fresca, quindi ripiego sulla vegliarda’’?»
«Mi stai dando della vecchia?» Ignorai mia madre e i suoi occhi divertiti, Simon si schiarì la voce.
«Vi conoscete?»
«No.»
«Si.» Rispondemmo all’unisono e io lo incenerii con un’occhiata.
«Alexander non conosci quindi Hope?» Mia madre sembrava divertirsi un mondo. Sorrisi aspramente.
«Non saprei, tua figlia non vuole avere niente a che fare con me quindi direi che non ci conosciamo adesso, o si?» Sporsi le labbra annuendo appena con la tipica espressione da ‘’bel colpo Roosevelt, fai schifo’’ e lui in cambio allargò le braccia innocentemente come a dire ‘’beh? Ho detto una bugia?’’.
«Hope, mi spieghi?» La voce di Simon sempre controllata perse un po’ del suo solito carisma, lo fissai per la prima volta sorridendo forzatamente.
«E’ solo .. una mia vecchia conoscenza.» Il suo sbuffo perforò i miei timpani, tornai a fissarlo con occhi assassini.
«Non mi definirei una ‘’conoscenza’’, ecco.»
«Zitto. Che ci fai con mia madre qui?» Lo scrutai con rabbia.
«Devo stare zitto o rispondere alle tue domande?» Mi spiaccicai una mano in viso ormai esasperata.
«Volete cenare con noi?» Simon e la sua eccessiva educazione.
«NO.» Dissi forse con troppa irruenza.
«Si.» Disse lui con eccessiva calma. Ancora una volta le nostre risposte all’unisono non coincisero, Aj mi fissò sorridente prendendo posto insieme a mia madre.
«Quindi lei è la madre di Hope? E’ un piacere conoscerla, lei non .. cioè non abbiamo mai parlato di lei.» Mia madre incassò bene il colpo, mentre la mia mortificazione mi portò a ingozzarmi di grissini e bere vino come fosse acqua il tutto sotto gli occhi ardenti di Aj che sembrava vedere solo me in quel tavolo.
«Io e Hope non ci siamo viste per qualche tempo, sono tornata da poco in città.» Brava mamma, ora so da chi ho preso il mio animo nero e bugiardo.
«E invece lei è..?» Simon si rivolse ad Aj che lo ricambiò fissandolo come fosse il suo lustrascarpe, volevo infilzarlo con la forchetta.
«Alexander Roosevelt, piacere.» Simon batté le mani con gioia.
«Ha lo stesso nome del famoso ereditiero.» Calò il silenzio nel tavolo. Mi schiarii la voce.
«Lo è.»
«Come?» Simon sembrò interdetto.
«Lui è quell’Alexander, Simon..» ci mise due secondi a collegare per poi fissare AJ a bocca spalancata, adesso più che un lustrascarpe sembrava il portiere sfigato del villone Roosevelt.
«Ho soggiornato in un vostro albergo a Los Angeles, favoloso.» Aj sorrise pragmatico, aveva imparato le buona maniere quantomeno. Mi avvicinai a mia madre tirandola verso di me.
«Dimmi che non esci con lui.» Sussurrai quelle parole il più in fretta possibile.
«Potrei mai uscire con un ragazzo innamorato di mia figlia?» Mi fissò furbamente e io sentii la gola seccarsi.
«Qualsiasi cosa ti abbia detto è un bugiardo, sappilo.» Sentii stavolta i suoi occhi su di me, ero sicura di aver parlato piano.
«Hope smettila di denigrarmi con lei.» Mi fissò quasi annoiato mentre il cameriere si materializzava davanti a noi. Ordinammo tutti, mi sentivo bianca come un cencio e non avevo bisogno di specchiarmi per immaginare. La cena sembrò assurdamente surreale, Simon tediava AJ parlando di affari, mia madre mi lanciava occhiatine maliziose e io .. io bevevo.
«Scusate, devo andare in bagno..» a vomitare o sbattermi la testa contro il muro, dovevo ancora decidere bene. Mi alzai dandomi un contegno partendo spedita verso il fondo della sala, mi sentivo osservata continuamente e la cosa non aiutava il mio già precario equilibrio dopo l’alcol e i tacchi.
Finalmente sola mi poggiai al lavandino, spruzzai un po’ d’acqua sul viso sentendolo ardere nonostante il pallore, perché Aj era con mia madre? Perché si conoscevano? L’idea che potessero andare a letto insieme mi nauseava. La porta cigolò appena richiudendosi subito dopo, vidi i suoi occhi attraverso il riflesso dello specchio e mi voltai velocemente.
«Esci subito, è il bagno delle donne.» Scrollò le spalle.
«Non è la prima volta che mi ci intrufolo.» Lo fissai tra lo sgomento e l’imbarazzato, era proprio un porco casanova.
«Va bene, allora goditi il bagno delle donne da solo.» Mi voltai con rabbia ma la sua presa sul polso per poco non mi fece ruzzolare a terra, mi strattonò con eccessiva forza e io ricaddi contro di lui, il suo petto duro mi diede le vertigini. Sollevai il viso e lo trovai intento a sorridere divertito.
«Te l’ho detto no? Ci sono riuscito persino con Juan a pochi metri.» Non ebbi il tempo di rispondere, le sue labbra furono sulle mie devastandomi l’anima e la mente. Chiusi le dita sulla sua maglia provando a respingerlo, mugolando contrariata, la pressione che esercitava rendeva molli le mie ginocchia e prima di rendermene pienamente conto stavo già ricambiando quel bacio. La mia mano accarezzò lo zigomo pronunciato, i capelli morbidi serrandosi tra essi, sospirai sentendo la sua mano sollevare il bordo del mio vestito, sembrava l’ennesimo dejà-vu una sorta di punizione. Quando si staccò entrambi respiravamo affannati, lo spinsi provando a schiaffeggiarlo ma stavolta fu più lesto di me a bloccarmi.
«Perché mi schiaffeggi per qualcosa che hai ricambiato?» Allargai le narici sgomenta liberandomi dalla sua presa, ero arrabbiata con me stessa non con lui. Fuggii letteralmente via tornando al tavolo, senza più il coraggio di incrociare gli occhi di nessuno dei tre.
A fine serata rasentavo la sbronza, mi alzai barcollando sui tacchi ma una presa ferrea si serrò sul mio gomito tenendomi saldamente, sollevai il viso arrossato incrociando quegli occhi cangianti.

 
 

AJ

 
Incontrare Hope non era di sicuro nei miei piani, soprattutto in compagnia della madre né tantomeno di quel coso che lei definiva ‘’fidanzato’’. La fissai perdendomi in quegli occhi troppo grandi.
«Torna a casa con me.» Mi sembrò quasi di averla implorata nonostante il tono fermo, lei scosse il capo sciogliendosi dalla presa.
«No, ne ho abbastanza dei tuoi giochetti.»
«Non è come pensi tu.» Fissai Simon intento ad aiutare Abby col cappotto, il tempo stringeva.
«Non è mai come penso io, certo.» Mi sorrise così tristemente da sentirmi rovesciare le budella.
«Vieni alla festa Hope, ti racconterò tutto.» Mi fissò come se fosse indecisa su qualcosa.
«Hai troppi segreti Aj, non penso di poterli gestire.» Le strinsi il gomito in maniera eloquente.
«Niente più segreti, te lo giuro.» Simon arrivò in quel momento, dovetti lasciarla andare mio malgrado vedendola andar via ancora una volta senza di me.
«Sei proprio in un bel guaio ragazzo mio.» Fissai Abby sospirando.
«Io sono sempre nei guai, non lo sai?» Rise divertita, almeno qualcuno riusciva a cogliere il lato comico della mia esistenza.
 

 
  
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