Scritta sulle note di
Jar of Hearts di Christina Perri.
Fuori nevica. Piccoli e grandi fiocchi di candida neve
cadono dal cielo e imbiancano ogni filo d’erba, ogni chiazza di terra, ogni
strada di cemento. Fiocca piano, con calma: la neve non ha fretta quel giorno.
Ogni bioccolo si gode la discesa, cullato dal vento gelido che, quella sera, è
però stranamente accomodante. Quello che ogni fiocco vede senza però curarsene
è un paesaggio difficile da descrivere: sotto un cielo buio e coperto di nubi
scure giace, piena di silenzio, una Mosca opalescente di neve e ghiaccio; la
notte ancora stringe le sue lunghe dita, sempre quiete –poiché è l’essere a
rendere il buio spaventoso, non questo stesso- sugli edifici e le luci dei
lampioni sfarfallano irregolari, come le palpebre stanche di un bimbo che, dopo
tante ore di veglia, non riescono a restare aperte e finiscono per cedere,
inevitabilmente, alla stanchezza.
Tutto è silenzio. Nelle strade, negli edifici, nei vicoli. Non una macchina
sfreccia sulle strade che vanno gelandosi, non un cane randagio osa abbandonare
la propria tana, non i topi sgusciano per i vicoli.
Ivan giace immobile sul davanzale di granito dello studio tenendo gli occhi
chiusi e le ginocchia strette contro il petto.
Fuori nevica, piano.
Piano il vento gli fa bruciare le gote in una carezza gelida che sa di dolore e
rimpianti.
Piano batte il suo cuore che, ad ogni inverno che la sua nazione e le sue genti
vedono, ad ogni morto nei vicoli, ad ogni lacrima ghiacciata per l’una o
l’altra sconfitta, va a farsi sempre un po’ più ghiaccio.
Piano vive Ivan ogni momento, sospeso tra ricordi di gloria che sanno di bile e
prospettive che sono sterili come il campo in cui, proprio due giorni fa a
quell’ora, ha piantato tanti semi di girasoli quante sono gli aghi dei pini
nelle sue foreste.
Fuori nevica, e Ivan, avvolto nel suo cappotto e con il viso che affonda nella
sciarpa di lana che da sempre si porta appresso, ha freddo. È un freddo
profondo, indelebile, che gli stringe le ossa e lo fa sentire cadavere. È un
freddo differente da quello della neve, dei ghiacci e del vento russo. Parrà
forse ridicolo e paradossale, ma ogni fiocco che gli cade sulla pelle mentre se
ne sta sul davanzale con la finestra spalancata non fa che riscaldarlo: vedere
la neve che si scioglie contro la sua pelle gli regala l’illusione d’esser
ancora un pezzo di carne e sangue come tutti gli altri. La neve lo inganna e
Ivan non può che sorridere per quel desiderio che sembrerebbe avverarsi.
Sulla scrivania giacciono abbandonati troppi documenti e mentre se ne sta con
gli occhi chiusi Russia spera che una folata si porti via ogni foglio e tutti
gli altri suoi problemi.
Le braci del camino giacciono spente da giorni, quasi avessero rinunciato a
scacciare il freddo, e in casa non risuona null’altro oltre al fischio perpetuo
del vento. Persino il rumore dei passi di Ivan era da ormai anni inghiottito da
quel silenzio. Dei suoi respiri ansiosi e spezzati durante gli incubi nemmeno
le pareti serbavano il ricordo. Nessuno pareva ricordarsi del cuore che un
tempo gli aveva battuto nel petto, nessuno pareva rendersi conto di come anche
lui a volte sognasse d’essere debole.
Ivan spesso, durante le brutte giornate in cui era costretto a casa,
soprattutto, si domandava se lui, come persona e come uomo –e non come nazione
o macchina- esistesse davvero. S’interrogava guardando la neve e lo fa anche in
quel momento, ancora seduto sul davanzale gelido.
Poi s’alza e chiude le finestre: non c’è alcun sorriso ad albergargli sul viso
quando sta in casa da solo, l’espressione del viso è neutra, una tela bianca su
cui giacciono due occhi ametista simili a pozzi di vuoto, due occhi ametista
che sono due strappi sulla tela.
Ciondola fino alla camera da letto e cade sul materasso senza
nemmeno svestirsi.
Le coperte sono gelate, come sempre.
Il materasso è duro, come sempre.
Tutto è silenzio, come sempre.
L’altra metà del letto è vuota, come sempre.
Ivan sente gli occhi bruciargli, come sempre.
Ma Ivan non piange, no, lui non piange mai.
Si sdraia sopra le lenzuola dalla sua parte e allunga il braccio fino dove può
mentre, con gli occhi chiusi, cerca nella mente il ricordo di Gilbert. Ricorda
il suo profumo, ricorda i segni della sua pelle, il sapore delle sue labbra, la
consistenza dei suoi capelli. Ricorda il suono della sua voce, il colore dei
suoi occhi, la forma del suo sorriso. Ricorda la sensazione d’avvolgergli i
fianchi con un braccio, di stringerlo contro il proprio petto, di farlo
sbuffare per orgoglio. Ricorda cosa significa sfiorargli con l’indice lo zigomo
e la mascella, la bocca sottile e il pomo d’Adamo. Ricorda cosa significa
sentirsi bruciare perché l’altro gli ha preso tra le labbra le dita fino alle
nocche e le sta succhiando guardandolo negli occhi.
Ma è la certezza di non poter rievocare il fantasma del calore benevolo a
fargli ritrarre il braccio di scatto, quella notte come tutte le altre.
È il sapere che nessun altro calore sarà mai in grado di scaldargli il cuore
come Gilbert a farlo girare dall’altra parte mentre cerca disperatamente di
piangere, pur essendone incapace, giusto perché, forse, dopo aver pianto si
sentirà un po’ meglio dato che pare che null’altro funzioni.
È la consapevolezza di volere Gilbert,
lì di fianco a lui, Gilbert e nessun altro, nessuna imitazione, nessuna
illusione, a farlo star male così, a fargli rimpiangere d’essere a metà tra
l’avere un cuore di pietra e diamante ad averlo di cera disciolta.
Lo distrugge sapere di aver bisogno di lui perché nei propri occhi ci sia luce.
Lo distrugge sapere di essere un malato incurabile.
Lo distrugge sapere che Gilbert quel giorno ha detto la verità: quando Ivan lo aveva
incolpato di quello che era diventato, delle sue passioni violente e sbagliate,
del suo putrido desiderio d’un altro uomo.
Non puoi dare ai tuoi sporchi desideri il
nome di qualcun altro.
Se un albero cade nel folto di una foresta, ma nessuno lo sente, fa rumore?
E niente, giuro che prima di scrivere tutto ciò ero una persona allegra che amava la vita, poi boh.
Spero di essere riuscita a far trasparire quello che io, personalmente,
reputo il "vero" Ivan. Inizialmente doveva essere una RusPrus fatta e
finita con tanto di pensieri di Gilbert, ma alla fine è venuta
così e ne sono ugualmente abbastanza soddisfatta.
Spero di essere riuscita a strapparvi una lacrimuccia :")
||Fox