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Autore: Fox2_Fox    11/09/2017    1 recensioni
Piano il vento gli fa bruciare le gote in una carezza gelida che sa di dolore e rimpianti.

Piano batte il suo cuore che, ad ogni inverno che la sua nazione e le sue genti vedono, ad ogni morto nei vicoli, ad ogni lacrima ghiacciata per l'una o l'altra sconfitta, va a farsi sempre un po' più ghiaccio.
***
Non puoi dare ai tuoi sporchi desideri il nome di qualcun altro.
Una OS tutta angst assolutamente Russia!centric (con un po' di RussiaxPrussia, non ne ho potuto fare a meno). Prima o poi imparerò a scrivere cose allegre.
Ringrazio Frost per il magico betaggio, senza di lui sarei perduta.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Prussia/Gilbert Beilschmidt, Russia/Ivan Braginski
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Come una bambola -Hetalia-

Scritta sulle note di Jar of Hearts di Christina Perri.

Fuori nevica. Piccoli e grandi fiocchi di candida neve cadono dal cielo e imbiancano ogni filo d’erba, ogni chiazza di terra, ogni strada di cemento. Fiocca piano, con calma: la neve non ha fretta quel giorno.
Ogni bioccolo si gode la discesa, cullato dal vento gelido che, quella sera, è però stranamente accomodante. Quello che ogni fiocco vede senza però curarsene è un paesaggio difficile da descrivere: sotto un cielo buio e coperto di nubi scure giace, piena di silenzio, una Mosca opalescente di neve e ghiaccio; la notte ancora stringe le sue lunghe dita, sempre quiete –poiché è l’essere a rendere il buio spaventoso, non questo stesso- sugli edifici e le luci dei lampioni sfarfallano irregolari, come le palpebre stanche di un bimbo che, dopo tante ore di veglia, non riescono a restare aperte e finiscono per cedere, inevitabilmente, alla stanchezza.
Tutto è silenzio. Nelle strade, negli edifici, nei vicoli. Non una macchina sfreccia sulle strade che vanno gelandosi, non un cane randagio osa abbandonare la propria tana, non i topi sgusciano per i vicoli.
Ivan giace immobile sul davanzale di granito dello studio tenendo gli occhi chiusi e le ginocchia strette contro il petto.
Fuori nevica, piano.
Piano il vento gli fa bruciare le gote in una carezza gelida che sa di dolore e rimpianti.
Piano batte il suo cuore che, ad ogni inverno che la sua nazione e le sue genti vedono, ad ogni morto nei vicoli, ad ogni lacrima ghiacciata per l’una o l’altra sconfitta, va a farsi sempre un po’ più ghiaccio.
Piano vive Ivan ogni momento, sospeso tra ricordi di gloria che sanno di bile e prospettive che sono sterili come il campo in cui, proprio due giorni fa a quell’ora, ha piantato tanti semi di girasoli quante sono gli aghi dei pini nelle sue foreste.
Fuori nevica, e Ivan, avvolto nel suo cappotto e con il viso che affonda nella sciarpa di lana che da sempre si porta appresso, ha freddo. È un freddo profondo, indelebile, che gli stringe le ossa e lo fa sentire cadavere. È un freddo differente da quello della neve, dei ghiacci e del vento russo. Parrà forse ridicolo e paradossale, ma ogni fiocco che gli cade sulla pelle mentre se ne sta sul davanzale con la finestra spalancata non fa che riscaldarlo: vedere la neve che si scioglie contro la sua pelle gli regala l’illusione d’esser ancora un pezzo di carne e sangue come tutti gli altri. La neve lo inganna e Ivan non può che sorridere per quel desiderio che sembrerebbe avverarsi.
Sulla scrivania giacciono abbandonati troppi documenti e mentre se ne sta con gli occhi chiusi Russia spera che una folata si porti via ogni foglio e tutti gli altri suoi problemi.
Le braci del camino giacciono spente da giorni, quasi avessero rinunciato a scacciare il freddo, e in casa non risuona null’altro oltre al fischio perpetuo del vento. Persino il rumore dei passi di Ivan era da ormai anni inghiottito da quel silenzio. Dei suoi respiri ansiosi e spezzati durante gli incubi nemmeno le pareti serbavano il ricordo. Nessuno pareva ricordarsi del cuore che un tempo gli aveva battuto nel petto, nessuno pareva rendersi conto di come anche lui a volte sognasse d’essere debole.
Ivan spesso, durante le brutte giornate in cui era costretto a casa, soprattutto, si domandava se lui, come persona e come uomo –e non come nazione o macchina- esistesse davvero. S’interrogava guardando la neve e lo fa anche in quel momento, ancora seduto sul davanzale gelido.
Poi s’alza e chiude le finestre: non c’è alcun sorriso ad albergargli sul viso quando sta in casa da solo, l’espressione del viso è neutra, una tela bianca su cui giacciono due occhi ametista simili a pozzi di vuoto, due occhi ametista che sono due strappi sulla tela.

Ciondola fino alla camera da letto e cade sul materasso senza nemmeno svestirsi.
Le coperte sono gelate, come sempre.
Il materasso è duro, come sempre.
Tutto è silenzio, come sempre.
L’altra metà del letto è vuota, come sempre.
Ivan sente gli occhi bruciargli, come sempre.
Ma Ivan non piange, no, lui non piange mai.
Si sdraia sopra le lenzuola dalla sua parte e allunga il braccio fino dove può mentre, con gli occhi chiusi, cerca nella mente il ricordo di Gilbert. Ricorda il suo profumo, ricorda i segni della sua pelle, il sapore delle sue labbra, la consistenza dei suoi capelli. Ricorda il suono della sua voce, il colore dei suoi occhi, la forma del suo sorriso. Ricorda la sensazione d’avvolgergli i fianchi con un braccio, di stringerlo contro il proprio petto, di farlo sbuffare per orgoglio. Ricorda cosa significa sfiorargli con l’indice lo zigomo e la mascella, la bocca sottile e il pomo d’Adamo. Ricorda cosa significa sentirsi bruciare perché l’altro gli ha preso tra le labbra le dita fino alle nocche e le sta succhiando guardandolo negli occhi.
Ma è la certezza di non poter rievocare il fantasma del calore benevolo a fargli ritrarre il braccio di scatto, quella notte come tutte le altre.
È il sapere che nessun altro calore sarà mai in grado di scaldargli il cuore come Gilbert a farlo girare dall’altra parte mentre cerca disperatamente di piangere, pur essendone incapace, giusto perché, forse, dopo aver pianto si sentirà un po’ meglio dato che pare che null’altro funzioni.
È la consapevolezza di volere Gilbert, lì di fianco a lui, Gilbert e nessun altro, nessuna imitazione, nessuna illusione, a farlo star male così, a fargli rimpiangere d’essere a metà tra l’avere un cuore di pietra e diamante ad averlo di cera disciolta.
Lo distrugge sapere di aver bisogno di lui perché nei propri occhi ci sia luce.
Lo distrugge sapere di essere un malato incurabile.
Lo distrugge sapere che Gilbert quel giorno ha detto la verità: quando Ivan lo aveva incolpato di quello che era diventato, delle sue passioni violente e sbagliate, del suo putrido desiderio d’un altro uomo.
Non puoi dare ai tuoi sporchi desideri il nome di qualcun altro.
Se un albero cade nel folto di una foresta, ma nessuno lo sente, fa rumore?

E niente, giuro che prima di scrivere tutto ciò ero una persona allegra che amava la vita, poi boh.
Spero di essere riuscita a far trasparire quello che io, personalmente, reputo il "vero" Ivan. Inizialmente doveva essere una RusPrus fatta e finita con tanto di pensieri di Gilbert, ma alla fine è venuta così e ne sono ugualmente abbastanza soddisfatta.
Spero di essere riuscita a strapparvi una lacrimuccia :")
||Fox

   
 
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