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Autore: Scarlett Sakura    12/09/2017    2 recensioni
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Un regno abitato da creature alate, una civiltà nascosta nelle viscere della terra, la città dei meteoriti, una montagna dalla dubbia reputazione, un gruppo di ragazzi che pensano di essere i padroni del mondo e un incidente accaduto vent'anni prima saranno solo alcuni degli ingredienti di questa bizzarra storia. Riusciranno le pretty cure a risolvere l'ennesima catastrofe cosmica? Oppure soccomberanno alle ombre o, peggio ancora, alla Mugen Academy?
Il cielo protegge, copre e nasconde...
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Pretty cure Wonder!

 

 

 

 

Una goccia d’acqua cadde nel vuoto e non produsse alcun rumore. Delle antiche mura, ricche di crepe e di storia, si ergevano solitarie a protezione di chi ancora viveva al suo interno.
«Svegliatevi…» mormorò una dolce voce femminile, rompendo un silenzio quasi assordante. «È giunto il momento di destarvi dal vostro sonno…»
Alcune luci presero vita, illuminando la sala vuota in un caleidoscopio di colori: grigio, blu, verde, giallo, rosso, e viola. Delle sfere di tali colori si staccarono da sei statue raffiguranti delle persone incappucciate e volarono sempre più in alto.
«Andate e salvate i nostri mondi… miei cavalieri!» Sei fasci di luce formarono un’unica sfavillante colonna prima di oltrepassare il soffitto e disperdersi nel cielo cupo, coperto da una cinerea nebbia…

 

Il sole splendeva pacifico quel giorno, agli inizi di maggio. La scuola era iniziata da poche settimane ed il cicalio di studenti echeggiava da ogni parte del corridoio immacolato. In cortile alcuni ragazzi sfilavano con andamento marziale, facendo risuonare i tacchi degli stivali sul marmo del sentiero principale.
«Chissà cosa s’inventeranno quest’anno.» Una sedicenne schermò gli occhi blu con la mano dalla pelle chiara, osservando il sole per pochi istanti, prima di tornare con lo sguardo all’imponente struttura occidentale. La Mugen Academy era famosa per raccogliere al suo interno studenti di talento oppure secchioni. Un tempo le rette, per chi non possedeva un talento specifico, erano molto alte e il solo modo per accedervi era studiare come un matto. Quegli anni erano trascorsi, per fortuna.
Scosse la testa per scacciare i pensieri e sistemò meglio la coda laterale in cui aveva raccolto i capelli ricci. Erano della stessa tonalità degli occhi e due ciocche incorniciavano il viso rotondo.
«Quella persona…» bisbigliò una studentessa alla compagna. «Non è Tenjoo Tsubasa?» La ragazza smise di acconciarsi quando udì la domanda e quasi congelò sul posto.
«Dici? Io la ricordavo diversa… però le somiglia.»
«Nah, è lei.» continuarono a parlare imperterrite, incuranti del fatto che lei potesse sentirle o meno. Strinse i denti e la borsa blu nella mano, prima di correre e allontanarsi dalle due ficcanaso. Svoltò a sinistra senza guardare, andando a sbattere contro qualcosa di… morbido. Il rimbalzo fu tale da farla capitombolare col sedere per terra, lanciando un piccolo grido più per la sorpresa che non per il colpo.
«Ahi… ahi…» massaggiò il didietro con un occhio chiuso per il dolore. Sollevò lo sguardo per capire cosa avesse colpito, dato che non percepiva alcuna recriminazione nella sua direzione. Incontrò uno sguardo coperto da un paio d’occhiali color lime e una figura paffuta che lei riconobbe immediatamente. Cosa ci facesse immobile, in mezzo al corridoio, restava un mistero. «Houtsuin Shoko-san…» La ragazza sistemò gli occhiali sul naso, segno che aveva preso nota della sua presenza.
«Tsubasa-san. Ohayo gozaimasu.» salutò con un sorriso gentile, avvicinandosi quel tanto che bastava per allungare una mano. «Ti aiuto. Appoggiati pure a me.»
«Arigatou.» accettò l’aiuto e l’altra recupero il suo metro e cinquantadue. La compagna fu talmente cortese da recuperarle anche la borsa, finita a sbattere contro un muro, e restituirgliela.
«Ecco a te.»
«Sei sempre gentile.» riprese l’oggetto e non poté fare a meno di studiarla, soprattutto per come le calzava la divisa. Il primo preside era ossessionato dagli abbinamenti bicolore, per cui la fuku era composta da giacca, gonna e stivaletti alla caviglia bianchi. La camicia, i bordi, le calze e i lacci delle scarpe nere. L’unica nota di colore era rappresentata dalle cravatte: rosso per il primo anno, blu per il secondo e verde per il terzo.
«Le lezioni stanno per cominciare.» fece presente mentre la campanella risuonava per tutto l’edificio e gli studenti si affrettavano ad entrare nelle rispettive aule. «Se non ti sbrighi farai tardi, vieni.» le afferrò gentilmente per un polso e camminò sino ad una porta poco distante, facendo sì che Tsubasa non restasse indietro. Proprio in quel mentre un’altra ragazza sopraggiunse e le calpestò involontariamente un piede.
«Gomenasai!» si scusò tenendo il capo abbassato, coperto dai lunghi capelli color cioccolato. Stringeva al petto un album da disegno con tanta foga da far pensare che qualcuno volesse rubarlo. «Non ti ho proprio vista…»
«Nessun problema, può succede.» Shoko agitò una mano con noncuranza e le rivolse un sorriso talmente dolce da portare le due ad immaginare un grosso girasole sbocciare sopra la sua testa. L’altra guardò di sottecchi le due con i timidi occhi rosa, alternando lo sguardo, indecisa se entrare in classe o meno.
«Io ti conosco.» Tenjoo la indicò senza pensarci e l’altra quasi sussultò vedendo l’indice puntarla. «Sei la studentessa trasferitasi da poco. Star Duster, credo.»
«Esatto…» mormorò squadrando le compagne, senza sapere cos’altro dire. A cavarla d’impiccio ci pensò la professoressa, che soggiunse in quel momento per richiamarle all’ordine.
«Allora ragazze, volete entrare oppure restare in corridoio? Le lezioni sono iniziate.»
«Hai!» risposero in coro prima di fiondarsi ai propri posti, in attesa dell’appello.

In una dimensione senza tempo, delle onde dai colori violacei si sovrapponevano le une con le altre e alcuni cristalli neri galleggiavano in senso orario. Sotto di essi un cerchio di colore verde fosforescente racchiudeva una serie di caratteri dal significato sconosciuto. Al centro di ciò apparve una sfera nera di medie dimensioni, da cui parti un cono di luce vermiglia che proiettò il busto di una persona. Soltanto la silhouette era visibile ma tanto bastò per attivare gli altri cristalli, che assunsero ognuno un colore diverso.
«È giunto il momento.» La voce era talmente roca da rendere impossibile capire se appartenesse ad un maschio oppure una femmina. «Finalmente i frammenti del cielo sono stati attivati nuovamente

Quando la campanella decretò la fine delle lezioni, Tsubasa raccolse le proprie cose, assicurandosi di non aver dimenticato nulla sotto al banco. Non si premurò neppure di chiudere la finestra accanto alla quale sedeva, lasciando il compito agli addetti del turno di pulizia. Corse via con una tale fretta da far pensare che ci fosse qualcosa di anomalo sulla sua sedia.
Superò l’onda di studenti che si preparavano per le attività dei club e scese le scale di marmo, stando bene attenta a non finire al pronto soccorso a causa della cera che puntualmente vi passavano sopra. Uscì dal grande portone d’ingresso, munito persino di due bocche di leone come “campanello”, svoltò a destra e proseguì per il corridoio all’aperto che separava le due ali del cortile. Il tetto era in marmo bianco, così come le colonnette che erano state piazzate ogni paio di metri. Sbucò nella zona di appartenenza alla scuola media della Mugen Academy. Entrambe erano costruzioni di mattoni occidentali, con un restauro all’anno che le rendeva praticamente nuove nonostante avessero vent’anni ciascuna. L’unica differenza erano i tetti spioventi: blu per il liceo e rosso per le medie. Inchiodò poco prima di superare l’entrata posteriore, scese i tre gradini laterali e andò ad inginocchiarsi sotto una delle finestre che sapeva essere sempre aperte.
«Devo approfittare di questo momento se voglio introdurmi indisturbata.» strinse la cinghia della borsa e ripercorse con la mente il tragitto che aveva studiato per diversi giorni. «Posso farcela… basta che io lo voglia» mormorò a sé stessa, nonostante l’onda di panico che le salì lungo la schiena al solo pensiero di essere scoperta da suo padre.
«Ohayo!» esclamò una voce allegra alle sue spalle, provocandole quasi un coccolone. Schiaffò le mani sulla propria bocca per non gridare e vanificare tutto il suo lavoro. «Cosa fai accucciata qui terra? Ti senti male? Dove senti dolore?» domandò una ragazzina a raffica, perché era indubbiamente tale dal tono infantile. Tsubasa voltò lentamente la testa, decisamente meno impaurita di prima, e vide che effettivamente si trattava di una studentessa delle medie. La fuku alla marinara bicolore, col nastro rosso che decretava il primo anno di appartenenza, ne era la prova.
«Allora? Bisogno di aiuto? Non dovresti essere qui, sai?» continuò imperterrita, fissandola con i vispi occhi rossi e cambiando direzione ad ogni passo in modo quasi esagitato. Tra le mani stringeva un cubo nero con svariate opzioni e la velocità con cui spostava le dita era quasi ipnotica.
«Lo so benissimo, infatti se continui a parlare mi farai scoprire.» La guardò con un misto di rassegnazione, dovuta a sé stessa per essersi fatta beccare, e irritazione, perché rischiava di farla scoprire. Finire nei guai da sola le stava bene, dopotutto se la stava andando a cercare, ma tirarci dentro una persona estranea ai fatti decisamente no.
«Gomenasai.» La sconosciuta smise di agitarsi e le rivolse un gran sorriso, seppur tirato. «Se vuoi posso aiutarti ad entrare senza essere scoperta.» piegò la schiena per avvicinarsi alla liceale ancora accucciata sull’erba, ma ella scosse la testa.
«Meglio di no, finiremo nei guai entrambe.» lanciò la borsa oltre l’infisso e si aggrappò sul davanzale sottile, sedendosi sopra prima di voltarsi. «Se vuoi aiutarmi fa finta di non avermi vista.»
«Ok…» mormorò mentre la osservava scavalcare con le gambe e toccare il pavimento a scacchiera. Afferrò la borsa e corse alla porta di fronte, entrando nella sala prima che qualcun’altro la beccasse.
«Yoko-chan, sbrigati!» chiamò una sua compagna di classe, agitando una mano per richiamare la sua attenzione
«Hai!» corse in quella direzione, senza smettere di smanettare col cubo che stringeva tra le dita.

Lo studio di suo padre era sempre lo stesso: scrivania con la finestra alle spalle, posta al centro della stanza. Un tavolino con due divani per accogliere gli ospiti, esattamente davanti, e un quadro anonimo raffigurante una qualche natura morta sulla parete di sinistra. Sulla destra, invece, una libreria piuttosto antica.
«Se le informazioni sono esatte, deve trovarsi nella cassaforte sotto la scrivania.» camminò in punta di piedi sino al mobile e si inginocchiò accanto all’anta che comprendeva la parte sinistra. La aprì e digitò il codice numerico, sperando che non l’avesse cambiato proprio quella mattina. Sorrise quando udì l’effimero click e la porticina di metallo si schiuse spontaneamente. Al suo interno erano situati documenti, cartelle, lettere, un cellulare e un oggetto totalmente fuori posto con quel materiale.
«Eccolo… il portagioie di mamma.» con mani leggermente tremanti afferrò lo scrigno di colore blu. Presentava decorazioni con gemme ovali e di colore azzurro; la serratura color argento mancava curiosamente di una fessura per la chiave. «Se solo potessi aprirti…» sorrise emozionata ma con un velo di tristezza che le inumidì gli occhi, ombrati da folte ciglia scure. Quello non era il luogo in cui perdersi in fantasticherie, per cui chiuse la cassaforte e rimise tutto al proprio posto.
«Hai bisogno della chiave giusta-ro.»
«Lo so, ma non c’è l’ho.» sospirò afflitta. Poi, quando capì di aver risposto ad una domanda perse un battito. Con chi diavolo stava parlando? Guardò in ogni direzione ma non vide anima viva oltre lei. Non era la ragazzina di prima, dato che la voce apparteneva ad un maschio, seppur giovane. Forse un bambino… il che era ancora più assurdo. Tornò in piedi e raggiunse la finestra pronta ad andarsene, quando notò qualcosa sul davanzale.
«Un uccellino.» osservò il volatile con un piumaggio blu e bianco. Era veramente piccolo e un po’ grassotto, con due occhi cobalto veramente grandi ed intensi. Percepì uno strano disagio, come se l’animale fosse dato di comprensione e la stesse studiando. Cosa ancora più assurda della precedente.
«Posso vederlo-ro?» chiese il suddetto, piegando la testolina a sinistra.
Un urlo quasi isterico invase la stanza e Tsubasa finì con la schiena spalmata al muro. Squadrava il coso con espressione terrorizzata e scioccata, stringendo con una mano il portagioie al petto e con l’altra la borsa.
«Pa-parli…» biascicò, tentando di dar coerenza ad un fatto che ne era totalmente privo. «Com’è possibile?» La preoccupazione degli ultimi giorni doveva averle dato alla testa. Era l’unica spiegazione plausibile per una tale assurdità. Gli uccelli NON parlavano. Mai.
«Certo che parlo-ro.» zampettò sino al limite del davanzale per guardarla meglio. «Se tu parli perché io non posso-ro?» La giovane stava per replicare una serie di motivi per il quale non fosse fattibile, ma alcune voci in avvicinamento la misero in allarme.
«Sta arrivando qualcuno!» scattò sino alla finestra ed ignorando il pennuto parlante scavalcò, finendo inginocchiata sull’erba, poco prima che la porta venisse aperta dall’esterno. Udì la voce paterna e questo le procurò un moto di apprensione.
«Accomodati, ne parleremo davanti ad una tazza di tea.» Appena l’uomo prese posto sulla comoda poltrona nera di pelle, la ragazza gattonò sino a raggiungere l’angolo dell’edificio per inoltrarsi all’interno del boschetto che circondava l’accademia. Superò una serie di alberi fitti, ben curati e dal verde fogliame, sbucando in un’altra parte del cortile.
«Salva!» sospirò di sollievo, portando una mano sul petto.
«Sei veloce-ro.» L’aveva seguita per tutto il tragitto ed era atterrato su un ramo poco più in alto, facendo scattare la sedicenne nella sua direzione.
«Ancora tu! Perché mi stai seguendo?» strinse istintivamente lo scrigno a sé, temendo che la piccola creatura ne fosse in qualche modo interessata.
«Perché tu riesci a capirmi-ro.» beccò l’ala destra, sistemando qualche piuma. «E poi possiedi un beautybox. Questo è un segno-ro.» annuì mentre lisciava la coda col becco.
«Beautybox? » mormorò sorpresa per l’informazione, seppur strana alle sue orecchie.
«Esatto. È così che l’abbiamo nominato»
«Perché lo cerchi? Vuoi portarlo via?» Tsubasa compì qualche passo indietro, decisa a proteggerlo con i denti, se necessario. «Non lo darò a nessuno, tanto meno ad un pennuto che non conosco!» decretò decisa.
«Non sono qui per portartelo via, ma per assicurarmi che tu non lo perda. È prezioso per te, vero-ro?» Quando ebbe finito la sua toletta si accucciò sul legno, per farle capire di non avere brutte intenzioni. 
«Moltissimo.» allentò la stretta e smise di indietreggiare. Una parte di sé non lo reputava una minaccia, nonostante parlasse e dimostrasse conoscenze che un animale comune non dovrebbe assolutamente possedere. «Perché sei a conoscenza della sua esistenza?»
«Ora non posso dirtelo. Sappi che ne esistono sei e non è un caso se uno è proprio nelle tue mani-ro.» vedendo che la sedicenne aveva smesso di agitarsi, planò sino ad appoggiare le zampine sull’oggetto.
«Non è un caso, dici?» seguì con lo sguardo lo spostamento e poi tornò a concentrarsi sull’oggetto. «Non capisco cosa stai cercando di dirmi.» Nonostante le strane parole sentiva a pelle di potersi fidare di lui. Sarà stato l’aspetto coccoloso oppure la sincerità che traspariva dalla vocina infantile, ma quell’uccello iniziava stranamente a piacerle. 
«Lo capirai da sola, se avrò ragione-ro.» proseguì criptico. Sorrise –lei era certa che lo stesse facendo, per quanto suonasse assurdo alla sua stessa mente– e porse un ala. «Mi chiamo Loriquet, piacere.» Dopo qualche attimo di indecisione, ella ricambiò il sorriso e strinse dolcemente la parte piumata tra le dita.
«Tenjoo Tsubasa. Hajimemashite.» Un profondo sollievo la invase, rilassando le membra come balsamo sulla pelle. Fino a quel momento non si era resa conto di quanto bisogno avesse di un amico, qualcuno con cui affrontare tutta quella situazione. Quell’essere, per quando piccolo, era più di quanto avrebbe osato sperare in quel frangente.
«Dove siamo? Questo posto è vecchio-ro.» spostava il capo da una parte all’altra, curioso da ciò che stava osservando. Tenjoo seguì il suo sguardo e uno strano brivido freddo le attraversò la schiena.
«La vecchia scuola…» sussurrò a sé stessa. Dinanzi a loro si ergeva un edificio a tre piani piuttosto vecchio. Il tetto spiovente presentava delle tegole mancanti, le finestre dei vetri rotti e le tende erano talmente piene di polvere da essere ingiallite. Le mura grigie erano un esaltazione all’oscenità, con una serie di scritte minacciose, disegni osé e macchie di umido. Le prime due provocate da spray colorati e l’ultimo… dalla stupidità umana. Alcuni nastri gialli vietavano l’accesso e il portone d’ingresso portava impressi degli strani segni, simili a graffi. Nonostante la giornata assolata, l’atmosfera lugubre di quel luogo impregnava l’aria.
«La vecchia scuola-ro?» volò sino a poggiarsi sulla spalla sinistra, in una posa comoda che ricordava la gallina quando covava le uova.
«Questo edificio, fino a vent’anni fa, era la sede ufficiale della Mugen Academy. Dopo alcuni fatti incresciosi decisero di chiuderla e smistare gli studenti in due edifici differenti. Circolano molte voci sull’accademia, una più macabra dell’altra.» Nel mentre che parlava aveva ripreso a camminare, avvicinandosi sempre più ai nastri divisori.
«Vuoi entrare-ro?»
«Hai.» superò il nastro passando da sotto, evitando di danneggiarlo. «Voglio aprire il portagioie ma ho bisogno di un posto tranquillo. In città tutti conoscono mio padre ed a quest’ora dovrei essere al club.» Cosa di cui nessuno si sarebbe accorto dato che era l’ unica iscritta.
Afferrò una maniglia in ottone e deglutì. Sperava che fosse aperta, in caso contrario le sarebbe toccato rompere una delle finestre, già massacrate di loro. Girò la manopola e con un lievissimo click l’anta venne schiusa.
«Che fortuna-ro.» cinguettò, cercando di vedere oltre le ombre e la polvere che coprivano ogni angolo.
«Non la definirei tale, ma tornare indietro sarebbe anche peggio.» avanzò un passo alla volta, assieme alla luce dell’esterno, scoprendo una scalinata e due corridoi mal illuminati. Sulla sinistra c’era una porta a vetri, contenente la vecchia sala reception. A destra, invece, una sala adibita a far morire di vecchiaia chiunque cercasse il preside, ovvero la sala d’aspetto. In entrambe le direzioni vedeva soltanto ombre mosse dal vento oppure pulviscoli che aleggiavano nel nulla. La fioca illuminazione, dovuta alle imposte rotte o schiuse dava quella visione di “vedo e non vedo” decisamente più inquietante del buio stesso. Seguì l’istinto e iniziò a salire la rampa di scale in legno, che scricchiolava ad ogni passo. Strinse il corrimano coperto di polvere e lo scrigno nell’altra. Se Loriquet non fosse stato presente probabilmente non sarebbe entrata da sola.
«Che tipo di storie circolano? Sono curioso-ro.»
«Dicono che sia infestata dai fantasmi e che abbiano ucciso qualcuno qui dentro. Pare che il terreno sia sconsacrato e che in principio fosse adibito a cimitero. E poi c’è stato quel terribile fatto vent’anni fa.» Era quasi giunta al primo piano ed a stento riusciva a scorgere il profilo delle asse di legno.
«Quale incidente-ro?» Il volatile percepiva una strana atmosfera dipanarsi per quelle mura, un misto tra paura ed aspettativa. I suoi sensi erano stranamente sensibili a tale richiamo e infatti osservava ogni parete aspettando che apparisse qualcosa. O forse era semplicemente la suggestione. In quei giorni aveva percepito innumerevoli vibrazioni che però non l’avevano condotto ad alcunché.
«Una rivolta.» spiegò brevemente mentre toccava il pavimento del piano con entrambi i piedi –per un momento terrorizzata che cedesse di colpo– scandagliando i due corridoi. Alla sua destra la luce era più presente a causa di alcune imposte usurate dal tempo e quei piccoli spiragli erano l’unica guida presente. Lesse le etichette presente sulle porte delle aule e finalmente trovò qualcosa che potesse aiutarla. «Eccola. L’aula adibita a ripostiglio.»
«Cosa dobbiamo far lì-ro?» Tsubasa corse sino alla terza entrata e la aprì delicatamente, sia per timore che cascasse e sia perché il pericolo “fantasma” era sempre all’orizzonte.
«Sto cercando uno strumento che possa aiutarmi ad aprire il portagioie.» Per sua fortuna una finestra era priva di copertura e questo le permise di dare un’occhiata ai vari armadi d’acciaio. Erano piuttosto vecchi e alcuni rotti, ma gli attrezzi in uno stato accettabile e quindi usabili.
«Te l’ho detto, ti serve la chiave-ro.»
«Lo so, ma non c’è l’ho.» frugò in un cassetto pieno di chiavi inglesi, pinze e bulloni. «Non ho intenzione di sprecare questa occasione e come si dice: “volere è potere”.» estrasse un cacciavite arrugginito e annuì soddisfatta. «Niente è impossibile se hai la volontà di provarci.»
«Perché ci tieni tanto? Così corri il rischio di romperlo.» disse Loriquet mentre guardava la ragazza posizionare l’oggetto sul tavolo di alluminio dove lui aveva trovato posto.
«Me ne rendo conto, ma ho bisogno di sapere se al suo interno c’è qualcosa che può aiutarmi.» accarezzò il beautybox con delicatezza, percependo il liscio delle gemme sotto le dita. Le dispiaceva danneggiarlo, ma non aveva idea di dove fosse la chiave e di certo non poteva chiedere a suo padre. Era certa che fosse all’oscuro, ma anche in caso contrario restava un’ipotesi da scartare.
«A fare co-» L’uccello bloccò la sillaba successiva e le penne si arruffarono, come preda di un violento tremore. Una vibrazione negativa impregnava improvvisamente l’atmosfera, come una nota stonata o aria malsana. Da dove poteva provenire? Dove?! Guardò in ogni direzione e d’un tratto puntò lo sguardo alla loro destra, verso la vetrata chiusa. «HALLOWEEN-RO!»
«Ah!» Tsubasa quasi saltò sul posto per lo spavento, rischiando di conficcare il cacciavite nella superficie solida. «Si può sapere cosa ti prende?!» lo sgridò arrabbiata, prima di notare una strana ombra sul pavimento. Sollevò lentamente lo sguardo e incrociò due occhi vuoti e neri, intagliati in una zucca. Il resto del corpo era la rappresentazione di uno spaventapasseri, con un mantello nero che copriva le assi di legno che fungevano da supporto. Una mano scheletrica emerse dalla copertura cenciosa e l’indice puntò esattamente verso di lei, che sussultò nel vederlo.
«Scappa-ro!» Loriquet scattò in volo, spaventato a morte dalla misteriosa apparizione, e la ragazza seguì a ruota l’ordine, recuperando il portagioie prima che qualcosa colpisse il punto su cui aveva sostato poco prima. Spalancò la porta e corse fuori senza guardarsi indietro.
«Prima parlo con un uccello ed ora una zucca cerca di uccidermi! Si può sapere chi è?!» scese le scale in tutta fretta, rischiando di capitombolare e rompere qualche vecchio gradino.
«Il suo nome è Halloween-ro! È un membro dei Subterra!» spiegò con foga mentre volava a più non posso.
«E chi sono? Non certo tuoi amici.» Giunta in basso udì due scoppi e voltandosi vide due gradini distrutti, come se qualcosa li avesse fatti saltare per aria. «Ma che razza di giornata!» Spalancò la porta, ruppe i nastri divisori e puntò verso il boschetto. Tuttavia un pensiero improvviso la costrinse a frenare di botto.
«Perché non corri-ro?» smise a sua volta di volare, lanciando occhiate preoccupate a lei e spaventate in direzione dello spaventapasseri che si avvicinava galleggiando e senza alcuna fretta. Cosa che lo inquietò ancora di più.
«Da quella parte c’è la scuola, non posso proseguire. Altrimenti rischio che quel coso faccia del male a qualcuno.» ribatté decisa, nonostante la mano che stringeva la borsa tremasse. Era impaurita all’inverosimile all’idea di restare da sola in compagnia del mostro, qualsiasi cosa fosse, ma l’alternativa era scatenare il panico o un disastro. Doveva solo restare lì ed aspettare… forse qualche pretty cure sarebbe intervenuta. Sicuramente l’avrebbero fatto… dopotutto solo loro potevano. Lei non…
«È fermo-ro.» Il piccolo era ancora al suo fianco, in attesa di qualche azione da compiere ma per nulla tentato di abbandonarla. Lui poteva scappare, mettersi in salvo e lasciarla indietro, eppure era ancora lì. Sorrise rincuorata e decise di piantare i piedi dov’erano per affrontare la zucca.
«Che cosa vuoi da noi? Perché ci stai attaccando?» Anziché rispondere, Halloween infilò la mano scheletrica sotto al mantello e ne estrasse una bambolina voodoo. Inserì l’altra nel ghigno che formava la bocca e un piccolo bagliore arancione fuoriuscì da essa. Quando la ritirò, un topazio brillava tra le dita e il macabro personaggio lo conficcò dritto nel ventre della bambola.
«Cosa sta facendo?» chiese la sedicenne, con una curiosità rivaleggiata dall’ansia, mentre l’uccellino spalancava gli occhi spaventato.
«Non è possibile… non di nuovo-ro…» Immagini di creatura grosse e con due occhi rossi presero a vorticare nella sua mente. Grida belluine e urla di dolore si sovrapposero mentre il cielo, un tempo azzurro e ricco di nuvole bianche, era rosso, con sprazzi di grigio fumo e un astro nero a far da padrone nell’immenso firmamento. «Non deve succedere di nuovo-ro!» scosse la testolina con veemenza, cercando di scacciare la drammatica visione.
«Cosa non deve succedere?» lo guardò con perplessità mista ad una nota di paura.
«Questo-ro!» Il fantoccio venne pervaso da un’energia arancione che gli permise di acquisire forza e ingrandirsi sempre più, sino a diventare gigantesco. Il volto venne sostituito da una zucca dall’espressione inquietante e le dita divennero artigliate, con unghie dello stesso colore.
«Zudon!» fu il verso grottesco che emise, rimbombando per diversi metri.
«E adesso che cosa facciamo?» indietreggiò di alcuni passi mentre il mostro avanzava. Anziché attaccarli, li ignorò completamente, puntando ai due edifici ai limi del boschetto.
«Fermo! Non da quella parte!» sollevò la mano destra per fermarlo, ma si rese conto dell’inutilità del gesto. Cosa sperava di fare con le sue misere forze? Strinse lo scrigno al petto e chiuse gli occhi frustrata. «Dove sono le pretty cure? Perché non sono qui?» udì i passi del fantoccio riecheggiare nel silenzio del luogo ed era questione di tempo prima che arrivasse alla scuola.
«Non te lo permetterò-ro!» esclamò infiammato, prima di volare a tutta birra verso il volto della creatura per beccarlo.
«Non puoi, sei troppo… piccolo…» mormorò Tsubasa mentre con la mano tentava di afferrare qualcosa.
Forse Loriquet… forse il mostro… o forse solo il suo coraggio.
Strinse le dita a pugno mentre l’uccellino continuava e colpire, affannandosi nel tentativo ma senza smettere di provarci. Per quanto fosse inutile lui sapeva che arrendersi sarebbe stato anche peggio.
«Volere è potere, no?» La sedicenne chiuse gli occhi e digrignò i denti contro la propria vigliaccheria. D’impulso gettò la borsa sull’erba e sollevò il volto verso l’alto, per gridare la propria convinzione. «Allora io voglio e posso!»
Dal cielo una piccola lucina blu scese velocemente, sino a fermarsi dinanzi alla ragazza, che osservava stupita la piccola colonna di luminosa. Essa formò al suo interno un oggetto e questo galleggiò sino a lasciarsi cadere nel suo palmo.
«Non posso crederci… è lei-ro!» sussurrò il volatile, dapprima sorpreso ed infine felice. Nonostante la stanchezza, dimostrata da qualche piuma fuori posto, riuscì a raggiungerla in pochi secondi.
«Cos’è?» osservò la piuma bianca, la cui attaccatura era decorata da un cerchio dorato con all’interno una gemma blu a forma di tre cerchi.
«È la chiave-ro!» Loriquet batteva le ali in preda ad una strana euforia, guardandola attentamente negli occhi. «Avevo ragione, sei tu la prima dal cielo-ro.»
«La prima…» guardava la piuma, ancora stordita dall’apparizione, quasi irreale per lei. «Con questa posso aprire lo scrigno?» Il suo desiderio finalmente stava per realizzarsi, pensò con una certa aspettativa. Avrebbe aperto il cofanetto della madre e forse scoperto ciò che stava cercando. Ma prima c’era una questione più importante da risolvere.
«Hai-ro.» annuì determinato. «Così potrai diventare una leggendaria guerriera e salvare tutti.»
«Io una guerriera?» ripeté ancora incredula. Mai avrebbe immaginato di poter diventare come le protettrici dell’umanità, piuttosto di restare una loro ammiratrice destinata a sognare e niente altro. «Volere è proprio potere…»
«Seguì ciò che ti suggerisce il cuore. Sarà lui a guidarti nella trasformazione.» Vedendo che l’altro continuava a fissarla, aspettando che accettasse il proprio destino, la missione o qualsiasi altra cosa fosse, annuì decisa. Il dado era tratto.
Tsubasa afferrò la chiave con l’indice e medio, facendo combaciare la gemma con la serratura. Col secondo dito girò la piuma in senso orario, con la punta verso il basso.
«Pretty cure, arise!» Lo scrigno si spalancò, liberando una forte luce celeste e una miriade di piume blu saltarono fuori.
«Sky embracing!» sorrise, lasciando il cofanetto e sollevando le mani al cielo mentre i vestiti diventavano energia azzurrina che venne tramutata in una corta sottoveste. Si sollevò sulla punta del destro, piegò l’altro ginocchio e compì una serie di piroette, mentre le piume la circondavano in una specie di bozzolo. Alcune vorticarono attorno alle mani e con uno scoppio formarono dei guanti al polso, color ghiaccio, e una fascetta bianca attorno al bicipite. Fu il turno del busto ad essere sommerso, generando un body celeste con sopra un gilet blu notte, la cui parte posteriore arrivava a metà coscia. Questo venne coperto a sua volta da una giacchetta a giro maniche, corta e azzurra. Un fiocco color ghiaccio legava la giuntura al collo ed al centro venne appuntata una pietra acquamarina ovale. In basso spuntò un pantaloncino a palloncino azzurro, con la parte posteriore nascosta da un fiocco lungo color acquamarina. Le cosce vennero coperte da un paio di calze blu notte e da stivali azzurri sino al ginocchio. Batté il piede sinistro, piegò la schiena all’indietro e la pettinatura fu sciolta; i capelli ondeggiarono prima di allungarsi sino ai glutei e raccogliersi in una coda alta, per poi intrecciarsi in un boccolo verso le punte. Due ciocche raggiunsero il mento mentre il colore della chioma divenne più chiaro, esattamente come accadde agli occhi. Infine, due orecchini blu a forma di tre cerchi comparvero ai lobi. Il cofanetto venne chiuso con un colpo del palmo e si dissolse in scintille azzurre mentre la chiave volò sino a posarsi sopra l’attaccatura dell’acconciatura.
«L’abbraccio protettivo del cielo…» strinse le dita attorno ai bicipiti, simulando una stretta a sé stessa. Portò il piede in avanti, sollevò la mano sinistra al cielo e stese la destra in avanti, col palmo rivolto verso l’alto. Una dolce brezza arieggiò dalle sue spalle, rendendo ancora più limpido il cielo. «Cure Heaven!»
Batté gli occhi basita, sciolse la posa e fissò mani e vestiti. Cos’aveva fatto?
«Sono…» corse sino ad una finestra per specchiarsi e capacitarsi che sì, era una guerriera e non un’allucinazione.
«Yatta-ro!» Loriquet vorticava in preda ad un delirio, esaltato e felice per aver trovato la loro prima speranza di salvezza. «Ce l’hai fatta! Ce l’hai fatta-ro!» continuava a ripetere come un mantra, unendo le aluccie in una sorta di stretta di dita.
«Incredibile…» La pretty cure toccò il proprio volto e squadrò il nuovo aspetto, quando una serie di boati la riportarono coi piedi per terra. Il fantoccio! «Devo sbrigarmi!» scattò verso gli alberi, ma frenò bruscamente per poi voltarsi indietro.
«Con te farò i conti dopo!» esclamò minacciosa, puntando l’indice contro Halloween che non fece una piega, riprendendo poi la corsa.
«Pretty cure…» mormorò la zucca con tono cavernoso, come un’eco che proveniva da lontano. «Questa non ci voleva.»
Intanto la ragazza avanzava più veloce che poteva, ma mancavano ancora diversi metri dal mostro. «Non farò in tempo…»
«Salta-ro!» suggerì il compagno che la seguiva ad una certa distanza, ma senza smettere di darle il suo supporto. «Usa tutti i tuoi poteri, puoi farcela-ro.»
«Giusto.» colpì il terreno col piede destro e spiccò un balzo, prodigioso ai suoi occhi, che la portò a pochi centimetri dal volto nemico. «Sto… volando…» fu ciò che disse, guardando il cielo in uno stato quasi ipnotico. Alcune urla sottostanti le ricordarono che la contemplazione poteva essere rimandata; la distruzione della bambola assassina no.
«Vieni qua!» chiuse la mano a pugno e sferrò un destro contro la zucca, che presa in contropiede perse l’equilibrio e tutto il suo peso finì in avanti. Le grida divennero stridule quando videro il grosso fantoccio nell’atto di precipitare addosso a loro, che sciamavano come tante formiche.
«Fermo!» Heaven riuscì a darsi una spinta sulla spalla avversaria col piede, atterrando sul tetto e da lì balzare nuovamente contro di lui. Chiuse i pugni, puntandoli in alto, e come un missile centrò in pieno lo stomaco, fornendo sia un danno che la spinta necessaria a farlo capitombolare verso gli alberi.
«Ben fatto-ro.» fu il commento entusiasta dell’amico, che vedeva realizzati parte dei suoi sogni in quel frangente.
«Speriamo non ci sia nessuno nel bosco.» con un capriola aerea atterrò a pochi metri dal punto in cui stava per schiantarsi il mostro. Una mano artigliata toccò il terreno e cambiò la traiettoria del proprio corpo, facendo sì che piovesse addosso alla guerriera così all’improvviso che non riuscì a scansarsi. Un grosso boato seguì il precedente, facendo sollevare un polverone, e per qualche secondo non volò una mosca.
«Heaven-ro…» mormorò preoccupato per la mancanza di reazione. Che l’avesse schiacciata?
Un movimento lento, come un tremolio, scosse il ventre della bambola. Dopo alcuni attimi essa venne sollevata e da sotto apparve la guerriera, che con entrambe le mani tentava di sollevarla, stringendo i denti nello sforzo di sopportare il peso. «Forza-ro!»
Con un grido belluino Heaven riuscì a scaraventarlo via e questo cadde addosso a metà del vecchio edificio, sfasciando il tetto e distruggendo i muri. Le aule franarono e di loro rimase soltanto il ricordo.
«Oh, no! Che cosa ho fatto?!» Alla vista delle macerie, sotto all’enorme ammasso di paglia erculea, era diventata uguale all’urlo di Munch. Con le mani che stringevano le guance tentava di calcolare il danno astronomico, dal punto di vista economico, che avrebbe dovuto ripagare. Anche perché sparire e lasciare agli altri quel macello l’avrebbe perseguitata negli anni a venire.
«Va tutto bene. Dopo avrai modo di rimediare-ro.» La tranquillizzò l’uccellino, vedendo che la sua protetta era sul punto di avere un infarto e quindi eliminarsi da sola, senza l’ausilio del mostro. «Ma prima devi distruggerlo. Seguì le parole che sgorgano dal tuo cuore e ogni azione verrà da sé.» spiegò come in precedenza, sapendo che ogni guerriera possedeva poteri unici e quindi evocabili solo tramite la propria volontà.
«Le parole…» chiuse gli occhi, cercando di ignorare il verso del zudon che tentava di rialzarsi, le urla in lontananza, le sirene della polizia e qualsiasi suono molesto. Ascoltò solo la propria voce interiore ed a qual punto un eco lontano, ma ben udibile, rimbombò senza sosta nella sua mente. Aprì gli occhi con la consapevolezza di chi sapeva come agire. Sollevò la mano in alto, col palmo rivolto al firmamento.
«Il cielo in questa mia mano! Pretty cure…» una miriade di puntini azzurri si raccolsero all’interno del palmo, ricoprendo l’intera figura di un’aura dello stesso colore. Spiccò un balzo, portandosi davanti al volto del mostro, tenendo il braccio steso e la mano ben tesa. «Celestial slash!» sferrò un fendente che materializzò una scia bluastra, tagliando a metà la zucca.
«Zudooooon!» fu il verso di dolore esclamato, prima che l’intero essere venisse cristallizzato in color arancione ed esplodesse in mille frammenti. Essi caddero al suolo per poi tramutarsi in polvere che venne spazzata via dal vento. Heaven rimase ad osservare il tutto, ancora incredula per ciò che aveva appena compiuto. Trasformarsi in un’eroina, combattere un mostro enorme ed infine usare un potere magico non era un evento a cui potevi assistere tutti i giorni. Figurarsi poi esserne la protagonista.
«È bastato che lo volessi!» esclamò esaltata, ancora preda dell’euforia che le scorreva dentro.
«Esatto. La volontà vince su tutto.» I due si guardarono e sorrisero come due ebeti, avendo realizzato parte dei loro desideri. Un crollo improvviso ricordò alla giovane che c’era ancora qualcosa da terminare.
«Come faccio a sistemare questo macello?» Poi ci ripensò, folgorata da un’intuizione, e sollevò una mano. «Non dirlo. Lo farà la voce del mio cuore.»
«Perché lo chiedi allora?» chiese ridacchiando. Prese posto sulla spalla destra ed attese che l’altra sistemasse tutto.
«Beautybox.» Una miriade di scintille materializzarono il portagioie sul palmo della mano. Lo aprì con la chiave e intinse la punta della piuma all’interno della luce azzurrina. La piuma, da bianco passo allo stesso colore e lei la puntò verso le macerie. «All’ordine io ti riporto.» Ogni danno sparì come fosse stato solo un’apparizione e la struttura del vecchio edificio tornò identica alla precedente. Decadente, sporca e malconcia, ma sicuramente più accettabile.
Fu solo a quel punto che Tsubasa riuscì a studiare l’interno del cofanetto. Sul coperchio capeggiava uno specchietto di forma rettangolare mentre in basso erano contenuti diverse gemme dalla tonalità blu o azzurra, ognuna custodita in un piccolo scomparto.
«Come farò a trovare ciò che sto cercando?» mormorò sollevando il volto al cielo azzurro. La limpidezza lo rendeva quasi cristallino quel giorno, con soffici nuvole bianche e l’ombra della luna in lontana. Qualche stella più sfrontata delle altre brillava fioca, sfidando la sfavillante forza della luce solare. Una strana sensazione di benessere la pervase, portandola a chiudere gli occhi e respirare a pieni polmoni. «Ci riuscirò. Finché la mia volontà mi darà forza, ci riuscirò.»

 

 

 

 

Salve.
Ecco il primo capitolo, con i primi personaggi. Ho voluto che le altre oc facessero almeno un cameo, in modo che saranno tutte più o meno presenti in ogni capitolo. In questo modo riuscirò anche ad orientarmi meglio sul loro carattere. In pratica mi direte se sto andando bene oppure le sto manomettendo (?).
Spero che la trasformazione sia piaciuta. Ci ho lavorato davvero tanto, soprattutto nel personalizzare i particolari per ogni oc. Sono stata indecisa sino all’ultimo sul nome da guerriera di Tsubasa, ma alla fine ho optato per uno da mery sue. XD
Come avrete capito c’è anche un mistero che aleggia, non solo sulla scuola, ma anche sull’intera città. Man mano che i capitoli andranno avanti si chiariranno alcuni punti. I nemici per ora fanno comparsa e basta. (?)

-Domanda per le iscritte: avete richieste o preferenze per i club scolastici? Preferite un dormitorio oppure che dormano a casa?

Traduzione:
-Ohayo gozaimasu: buongiorno.
-Arigatou: grazie.
-Hai: sì.
-Gomenasai: mi dispiace.
-Yatta: Evviva!
 

Credits:
-Tsubasa Tenjoo appartiene alla sottoscritta.
Umana: http://thumbsnap.com/gtVXU9Zm
Pretty cure abito: http://thumbsnap.com/21JYtiwY
-Star Duster appartiene a Stardust94
-Shoko Houtsuin appartiene ad _Alcor
-Yoko appartiene a Mixxo98

 

Per adesso vi saluto gente e vi do appuntamento al prossimo capitolo. Buona settimana. ^^

   
 
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