Pretty cure Wonder!
Una
goccia d’acqua cadde nel vuoto e non produsse alcun rumore.
Delle antiche mura,
ricche di crepe e di storia, si ergevano solitarie a protezione di chi
ancora
viveva al suo interno.
«Svegliatevi…»
mormorò una dolce voce femminile, rompendo un silenzio quasi
assordante. «È
giunto il momento di destarvi dal vostro sonno…»
Alcune
luci presero vita, illuminando la sala vuota in un caleidoscopio di
colori:
grigio, blu, verde, giallo, rosso, e viola. Delle sfere di tali colori
si
staccarono da sei statue raffiguranti delle persone incappucciate e
volarono
sempre più in alto.
«Andate
e salvate i nostri mondi… miei cavalieri!» Sei
fasci di luce formarono un’unica
sfavillante colonna prima di oltrepassare il soffitto e disperdersi nel
cielo
cupo, coperto da una cinerea nebbia…
Il
sole splendeva pacifico quel giorno, agli inizi di
maggio. La scuola era iniziata da poche settimane ed il cicalio di
studenti
echeggiava da ogni parte del corridoio immacolato. In cortile alcuni
ragazzi
sfilavano con andamento marziale, facendo risuonare i tacchi degli
stivali sul
marmo del sentiero principale.
«Chissà cosa s’inventeranno
quest’anno.» Una sedicenne
schermò gli occhi blu con la mano dalla pelle chiara,
osservando il sole per
pochi istanti, prima di tornare con lo sguardo all’imponente
struttura
occidentale. La Mugen Academy era famosa per raccogliere al suo interno
studenti di talento oppure secchioni. Un tempo le rette, per chi non
possedeva
un talento specifico, erano molto alte e il solo modo per accedervi era
studiare come un matto. Quegli anni erano trascorsi, per fortuna.
Scosse la testa per scacciare i pensieri e sistemò
meglio la coda laterale in cui aveva raccolto i capelli ricci. Erano
della
stessa tonalità degli occhi e due ciocche incorniciavano il
viso rotondo.
«Quella persona…» bisbigliò
una studentessa alla
compagna. «Non è Tenjoo Tsubasa?» La
ragazza smise di acconciarsi quando udì la
domanda e quasi congelò sul posto.
«Dici? Io la ricordavo diversa… però le
somiglia.»
«Nah, è lei.» continuarono a parlare
imperterrite,
incuranti del fatto che lei potesse sentirle o meno. Strinse i denti e
la borsa
blu nella mano, prima di correre e allontanarsi dalle due ficcanaso.
Svoltò a
sinistra senza guardare, andando a sbattere contro qualcosa
di… morbido. Il
rimbalzo fu tale da farla capitombolare col sedere per terra, lanciando
un
piccolo grido più per la sorpresa che non per il colpo.
«Ahi… ahi…»
massaggiò il didietro con un occhio chiuso
per il dolore. Sollevò lo sguardo per capire cosa avesse
colpito, dato che non
percepiva alcuna recriminazione nella sua direzione.
Incontrò uno sguardo
coperto da un paio d’occhiali color lime e una figura paffuta
che lei riconobbe
immediatamente. Cosa ci facesse immobile, in mezzo al corridoio,
restava un
mistero. «Houtsuin Shoko-san…» La
ragazza sistemò gli occhiali sul naso, segno
che aveva preso nota della sua presenza.
«Tsubasa-san.
Ohayo gozaimasu.» salutò con un sorriso
gentile, avvicinandosi quel tanto
che bastava per allungare una mano. «Ti aiuto. Appoggiati
pure a me.»
«Arigatou.»
accettò l’aiuto e l’altra recupero il
suo metro e cinquantadue. La compagna fu
talmente cortese da recuperarle anche la borsa, finita a sbattere
contro un
muro, e restituirgliela.
«Ecco a te.»
«Sei sempre gentile.» riprese l’oggetto e
non poté
fare a meno di studiarla, soprattutto per come le calzava la divisa. Il
primo
preside era ossessionato dagli abbinamenti bicolore, per cui la fuku
era composta
da giacca, gonna e stivaletti alla caviglia bianchi. La camicia, i
bordi, le
calze e i lacci delle scarpe nere. L’unica nota di colore era
rappresentata
dalle cravatte: rosso per il primo anno, blu per il secondo e verde per
il
terzo.
«Le lezioni stanno per cominciare.» fece presente
mentre la campanella risuonava per tutto l’edificio e gli
studenti si
affrettavano ad entrare nelle rispettive aule. «Se non ti
sbrighi farai tardi,
vieni.» le afferrò gentilmente per un polso e
camminò sino ad una porta poco
distante, facendo sì che Tsubasa non restasse indietro.
Proprio in quel mentre
un’altra ragazza sopraggiunse e le calpestò
involontariamente un piede.
«Gomenasai!»
si scusò tenendo il capo abbassato, coperto dai lunghi
capelli color
cioccolato. Stringeva al petto un album da disegno con tanta foga da
far
pensare che qualcuno volesse rubarlo. «Non ti ho proprio
vista…»
«Nessun problema, può succede.» Shoko
agitò una mano
con noncuranza e le rivolse un sorriso talmente dolce da portare le due
ad
immaginare un grosso girasole sbocciare sopra la sua testa.
L’altra guardò di
sottecchi le due con i timidi occhi rosa, alternando lo sguardo,
indecisa se
entrare in classe o meno.
«Io ti conosco.» Tenjoo la indicò senza
pensarci e
l’altra quasi sussultò vedendo l’indice
puntarla. «Sei la studentessa
trasferitasi da poco. Star Duster, credo.»
«Esatto…» mormorò squadrando
le compagne, senza sapere
cos’altro dire. A cavarla d’impiccio ci
pensò la professoressa, che soggiunse
in quel momento per richiamarle all’ordine.
«Allora ragazze, volete entrare oppure restare in
corridoio? Le lezioni sono iniziate.»
«Hai!»
risposero in coro prima di fiondarsi ai propri posti, in attesa
dell’appello.
In
una dimensione senza tempo, delle onde dai colori
violacei si sovrapponevano le une con le altre e alcuni cristalli neri
galleggiavano in senso orario. Sotto di essi un cerchio di colore verde
fosforescente racchiudeva una serie di caratteri dal significato
sconosciuto.
Al centro di ciò apparve una sfera nera di medie dimensioni,
da cui parti un
cono di luce vermiglia che proiettò il busto di una persona.
Soltanto la
silhouette era visibile ma tanto bastò per attivare gli
altri cristalli, che assunsero
ognuno un colore diverso.
«È giunto il
momento.» La voce era talmente roca da rendere
impossibile capire se appartenesse
ad un maschio oppure una femmina. «Finalmente
i frammenti del cielo sono stati attivati nuovamente.»
Superò l’onda di studenti che si preparavano per
le
attività dei club e scese le scale di marmo, stando bene
attenta a non finire
al pronto soccorso a causa della cera che puntualmente vi passavano
sopra. Uscì
dal grande portone d’ingresso, munito persino di due bocche
di leone come
“campanello”, svoltò a destra e
proseguì per il corridoio all’aperto che
separava le due ali del cortile. Il tetto era in marmo bianco,
così come le
colonnette che erano state piazzate ogni paio di metri.
Sbucò nella zona di
appartenenza alla scuola media della Mugen Academy. Entrambe erano
costruzioni di
mattoni occidentali, con un restauro all’anno che le rendeva
praticamente nuove
nonostante avessero vent’anni ciascuna. L’unica
differenza erano i tetti
spioventi: blu per il liceo e rosso per le medie. Inchiodò
poco prima di
superare l’entrata posteriore, scese i tre gradini laterali e
andò ad inginocchiarsi
sotto una delle finestre che sapeva essere sempre aperte.
«Devo approfittare di questo momento se voglio
introdurmi indisturbata.» strinse la cinghia della borsa e
ripercorse con la
mente il tragitto che aveva studiato per diversi giorni.
«Posso farcela… basta
che io lo voglia» mormorò a sé stessa,
nonostante l’onda di panico che le salì
lungo la schiena al solo pensiero di essere scoperta da suo padre.
«Ohayo!»
esclamò una voce allegra alle sue spalle, provocandole quasi
un coccolone.
Schiaffò le mani sulla propria bocca per non gridare e
vanificare tutto il suo
lavoro. «Cosa fai accucciata qui terra? Ti senti male? Dove
senti dolore?»
domandò una ragazzina a raffica, perché era
indubbiamente tale dal tono
infantile. Tsubasa voltò lentamente la testa, decisamente
meno impaurita di
prima, e vide che effettivamente si trattava di una studentessa delle
medie. La
fuku alla marinara bicolore, col nastro rosso che decretava il primo
anno di
appartenenza, ne era la prova.
«Allora? Bisogno di aiuto? Non dovresti essere qui,
sai?» continuò imperterrita, fissandola con i
vispi occhi rossi e cambiando
direzione ad ogni passo in modo quasi esagitato. Tra le mani stringeva
un cubo
nero con svariate opzioni e la velocità con cui spostava le
dita era quasi
ipnotica.
«Lo so benissimo, infatti se continui a parlare mi
farai scoprire.» La guardò con un misto di
rassegnazione, dovuta a sé stessa
per essersi fatta beccare, e irritazione, perché rischiava
di farla scoprire. Finire
nei guai da sola le stava bene, dopotutto se la stava andando a
cercare, ma
tirarci dentro una persona estranea ai fatti decisamente no.
«Gomenasai.»
La sconosciuta smise di agitarsi e le rivolse un gran sorriso, seppur
tirato.
«Se vuoi posso aiutarti ad entrare senza essere
scoperta.» piegò la schiena per
avvicinarsi alla liceale ancora accucciata sull’erba, ma ella
scosse la testa.
«Meglio di no, finiremo nei guai entrambe.»
lanciò la
borsa oltre l’infisso e si aggrappò sul davanzale
sottile, sedendosi sopra
prima di voltarsi. «Se vuoi aiutarmi fa finta di non avermi
vista.»
«Ok…» mormorò mentre la
osservava scavalcare con le
gambe e toccare il pavimento a scacchiera. Afferrò la borsa
e corse alla porta
di fronte, entrando nella sala prima che qualcun’altro la
beccasse.
«Yoko-chan, sbrigati!» chiamò una sua
compagna di
classe, agitando una mano per richiamare la sua attenzione
«Hai!» corse
in quella direzione, senza smettere di smanettare col cubo che
stringeva tra le
dita.
Lo
studio di suo padre era sempre lo stesso: scrivania
con la finestra alle spalle, posta al centro della stanza. Un tavolino
con due
divani per accogliere gli ospiti, esattamente davanti, e un quadro
anonimo
raffigurante una qualche natura morta sulla parete di sinistra. Sulla
destra,
invece, una libreria piuttosto antica.
«Se le informazioni sono esatte, deve trovarsi nella
cassaforte sotto la scrivania.» camminò in punta
di piedi sino al mobile e si
inginocchiò accanto all’anta che comprendeva la
parte sinistra. La aprì e
digitò il codice numerico, sperando che non
l’avesse cambiato proprio quella
mattina. Sorrise quando udì l’effimero click e la
porticina di metallo si
schiuse spontaneamente. Al suo interno erano situati documenti,
cartelle,
lettere, un cellulare e un oggetto totalmente fuori posto con quel
materiale.
«Eccolo… il portagioie di mamma.» con
mani leggermente
tremanti afferrò lo scrigno di colore blu. Presentava
decorazioni con gemme
ovali e di colore azzurro; la serratura color argento mancava
curiosamente di
una fessura per la chiave. «Se solo potessi
aprirti…» sorrise emozionata ma con
un velo di tristezza che le inumidì gli occhi, ombrati da
folte ciglia scure.
Quello non era il luogo in cui perdersi in fantasticherie, per cui
chiuse la
cassaforte e rimise tutto al proprio posto.
«Hai bisogno della chiave giusta-ro.»
«Lo so, ma non c’è
l’ho.» sospirò afflitta. Poi,
quando capì di aver risposto ad una domanda perse un
battito. Con chi diavolo
stava parlando? Guardò in ogni direzione ma non vide anima
viva oltre lei. Non
era la ragazzina di prima, dato che la voce apparteneva ad un maschio,
seppur
giovane. Forse un bambino… il che era ancora più
assurdo. Tornò in piedi e
raggiunse la finestra pronta ad andarsene, quando notò
qualcosa sul davanzale.
«Un uccellino.» osservò il volatile con
un piumaggio
blu e bianco. Era veramente piccolo e un po’ grassotto, con
due occhi cobalto
veramente grandi ed intensi. Percepì uno strano disagio,
come se l’animale
fosse dato di comprensione e la stesse studiando. Cosa ancora
più assurda della
precedente.
«Posso vederlo-ro?» chiese il suddetto, piegando la
testolina a sinistra.
Un urlo quasi isterico invase la stanza e Tsubasa finì
con la schiena spalmata al muro. Squadrava il coso
con espressione terrorizzata e scioccata, stringendo con una
mano il portagioie al petto e con l’altra la borsa.
«Pa-parli…» biascicò,
tentando di dar coerenza ad un
fatto che ne era totalmente privo.
«Com’è possibile?» La
preoccupazione degli
ultimi giorni doveva averle dato alla testa. Era l’unica
spiegazione plausibile
per una tale assurdità. Gli uccelli NON parlavano. Mai.
«Certo che parlo-ro.» zampettò sino al
limite del
davanzale per guardarla meglio. «Se tu parli
perché io non posso-ro?» La
giovane stava per replicare una serie di motivi per il quale non fosse
fattibile, ma alcune voci in avvicinamento la misero in allarme.
«Sta arrivando qualcuno!» scattò sino
alla finestra ed
ignorando il pennuto parlante scavalcò, finendo
inginocchiata sull’erba, poco
prima che la porta venisse aperta dall’esterno.
Udì la voce paterna e questo le
procurò un moto di apprensione.
«Accomodati, ne parleremo davanti ad una tazza di
tea.» Appena l’uomo prese posto sulla comoda
poltrona nera di pelle, la ragazza
gattonò sino a raggiungere l’angolo
dell’edificio per inoltrarsi all’interno
del boschetto che circondava l’accademia. Superò
una serie di alberi fitti, ben
curati e dal verde fogliame, sbucando in un’altra parte del
cortile.
«Salva!» sospirò di sollievo, portando
una mano sul petto.
«Sei veloce-ro.» L’aveva seguita per
tutto il tragitto
ed era atterrato su un ramo poco più in alto, facendo
scattare la sedicenne nella
sua direzione.
«Ancora tu! Perché mi stai seguendo?»
strinse
istintivamente lo scrigno a sé, temendo che la piccola
creatura ne fosse in
qualche modo interessata.
«Perché tu riesci a capirmi-ro.»
beccò l’ala destra,
sistemando qualche piuma. «E poi possiedi un beautybox.
Questo è un segno-ro.»
annuì mentre lisciava la coda col becco.
«Beautybox? » mormorò sorpresa per
l’informazione,
seppur strana alle sue orecchie.
«Esatto. È così che l’abbiamo
nominato»
«Perché lo cerchi? Vuoi portarlo via?»
Tsubasa compì
qualche passo indietro, decisa a proteggerlo con i denti, se
necessario. «Non
lo darò a nessuno, tanto meno ad un pennuto che non
conosco!» decretò decisa.
«Non sono qui per portartelo via, ma per assicurarmi
che tu non lo perda. È prezioso per te, vero-ro?»
Quando ebbe finito la sua
toletta si accucciò sul legno, per farle capire di non avere
brutte
intenzioni.
«Moltissimo.» allentò la stretta e smise
di
indietreggiare. Una parte di sé non lo reputava una
minaccia, nonostante
parlasse e dimostrasse conoscenze che un animale comune non dovrebbe
assolutamente possedere. «Perché sei a conoscenza
della sua esistenza?»
«Ora non posso dirtelo. Sappi che ne esistono sei e
non è un caso se uno è proprio nelle tue
mani-ro.» vedendo che la sedicenne
aveva smesso di agitarsi, planò sino ad appoggiare le
zampine sull’oggetto.
«Non è un caso, dici?» seguì
con lo sguardo lo
spostamento e poi tornò a concentrarsi
sull’oggetto. «Non capisco cosa stai
cercando di dirmi.» Nonostante le strane parole sentiva a
pelle di potersi
fidare di lui. Sarà stato l’aspetto coccoloso
oppure la sincerità che
traspariva dalla vocina infantile, ma quell’uccello iniziava
stranamente a
piacerle.
«Lo capirai da sola, se avrò
ragione-ro.» proseguì
criptico. Sorrise –lei era certa che lo stesse facendo, per
quanto suonasse
assurdo alla sua stessa mente– e porse un ala. «Mi
chiamo Loriquet, piacere.»
Dopo qualche attimo di indecisione, ella ricambiò il sorriso
e strinse
dolcemente la parte piumata tra le dita.
«Tenjoo Tsubasa.
Hajimemashite.»
Un profondo sollievo la invase, rilassando le membra come balsamo sulla
pelle.
Fino a quel momento non si era resa conto di quanto bisogno avesse di
un amico,
qualcuno con cui affrontare tutta quella situazione.
Quell’essere, per quando
piccolo, era più di quanto avrebbe osato sperare in quel
frangente.
«Dove siamo? Questo posto è vecchio-ro.»
spostava il
capo da una parte all’altra, curioso da ciò che
stava osservando. Tenjoo seguì
il suo sguardo e uno strano brivido freddo le attraversò la
schiena.
«La vecchia scuola…» sussurrò
a sé stessa. Dinanzi a
loro si ergeva un edificio a tre piani piuttosto vecchio. Il tetto
spiovente
presentava delle tegole mancanti, le finestre dei vetri rotti e le
tende erano
talmente piene di polvere da essere ingiallite. Le mura grigie erano un
esaltazione all’oscenità, con una serie di scritte
minacciose, disegni osé e
macchie di umido. Le prime due provocate da spray colorati e
l’ultimo… dalla
stupidità umana. Alcuni nastri gialli vietavano
l’accesso e il portone
d’ingresso portava impressi degli strani segni, simili a
graffi. Nonostante la
giornata assolata, l’atmosfera lugubre di quel luogo
impregnava l’aria.
«La vecchia scuola-ro?» volò sino a
poggiarsi sulla
spalla sinistra, in una posa comoda che ricordava la gallina quando
covava le
uova.
«Questo edificio, fino a vent’anni fa, era la sede
ufficiale della Mugen Academy. Dopo alcuni fatti incresciosi decisero
di chiuderla
e smistare gli studenti in due edifici differenti. Circolano molte voci
sull’accademia, una più macabra
dell’altra.» Nel mentre che parlava aveva
ripreso a camminare, avvicinandosi sempre più ai nastri
divisori.
«Vuoi entrare-ro?»
«Hai.»
superò
il nastro passando da sotto, evitando di danneggiarlo.
«Voglio aprire il
portagioie ma ho bisogno di un posto tranquillo. In città
tutti conoscono mio
padre ed a quest’ora dovrei essere al club.» Cosa
di cui nessuno si sarebbe
accorto dato che era l’ unica iscritta.
Afferrò una maniglia in ottone e deglutì. Sperava
che
fosse aperta, in caso contrario le sarebbe toccato rompere una delle
finestre,
già massacrate di loro. Girò la manopola e con un
lievissimo click l’anta venne
schiusa.
«Che fortuna-ro.» cinguettò, cercando di
vedere oltre
le ombre e la polvere che coprivano ogni angolo.
«Non la definirei tale, ma tornare indietro sarebbe
anche peggio.» avanzò un passo alla volta, assieme
alla luce dell’esterno,
scoprendo una scalinata e due corridoi mal illuminati. Sulla sinistra
c’era una
porta a vetri, contenente la vecchia sala reception. A destra, invece,
una sala
adibita a far morire di vecchiaia chiunque cercasse il preside, ovvero
la sala
d’aspetto. In entrambe le direzioni vedeva soltanto ombre
mosse dal vento
oppure pulviscoli che aleggiavano nel nulla. La fioca illuminazione,
dovuta
alle imposte rotte o schiuse dava quella visione di “vedo e
non vedo”
decisamente più inquietante del buio stesso.
Seguì l’istinto e iniziò a salire
la rampa di scale in legno, che scricchiolava ad ogni passo. Strinse il
corrimano coperto di polvere e lo scrigno nell’altra. Se
Loriquet non fosse
stato presente probabilmente non sarebbe entrata da sola.
«Che tipo di storie circolano? Sono curioso-ro.»
«Dicono che sia infestata dai fantasmi e che abbiano
ucciso qualcuno qui dentro. Pare che il terreno sia sconsacrato e che
in
principio fosse adibito a cimitero. E poi c’è
stato quel terribile fatto
vent’anni fa.» Era quasi giunta al primo piano ed a
stento riusciva a scorgere
il profilo delle asse di legno.
«Quale incidente-ro?» Il volatile percepiva una
strana
atmosfera dipanarsi per quelle mura, un misto tra paura ed aspettativa.
I suoi
sensi erano stranamente sensibili a tale richiamo e infatti osservava
ogni parete
aspettando che apparisse qualcosa. O forse era semplicemente la
suggestione. In
quei giorni aveva percepito innumerevoli vibrazioni che però
non l’avevano
condotto ad alcunché.
«Una rivolta.» spiegò brevemente mentre
toccava il
pavimento del piano con entrambi i piedi –per un momento
terrorizzata che
cedesse di colpo– scandagliando i due corridoi. Alla sua
destra la luce era più
presente a causa di alcune imposte usurate dal tempo e quei piccoli
spiragli
erano l’unica guida presente. Lesse le etichette presente
sulle porte delle
aule e finalmente trovò qualcosa che potesse aiutarla.
«Eccola. L’aula adibita
a ripostiglio.»
«Cosa dobbiamo far lì-ro?» Tsubasa corse
sino alla
terza entrata e la aprì delicatamente, sia per timore che
cascasse e sia perché
il pericolo “fantasma” era sempre
all’orizzonte.
«Sto cercando uno strumento che possa aiutarmi ad
aprire il portagioie.» Per sua fortuna una finestra era priva
di copertura e
questo le permise di dare un’occhiata ai vari armadi
d’acciaio. Erano piuttosto
vecchi e alcuni rotti, ma gli attrezzi in uno stato accettabile e
quindi
usabili.
«Te l’ho detto, ti serve la chiave-ro.»
«Lo so, ma non c’è
l’ho.» frugò in un cassetto pieno
di chiavi inglesi, pinze e bulloni. «Non ho intenzione di
sprecare questa
occasione e come si dice: “volere è
potere”.» estrasse un cacciavite
arrugginito e annuì soddisfatta. «Niente
è impossibile se hai la volontà di
provarci.»
«Perché ci tieni tanto? Così corri il
rischio di
romperlo.» disse Loriquet mentre guardava la ragazza
posizionare l’oggetto sul
tavolo di alluminio dove lui aveva trovato posto.
«Me ne rendo conto, ma ho bisogno di sapere se al suo
interno c’è qualcosa che può
aiutarmi.» accarezzò il beautybox con delicatezza,
percependo il liscio delle gemme sotto le dita. Le dispiaceva
danneggiarlo, ma
non aveva idea di dove fosse la chiave e di certo non poteva chiedere a
suo
padre. Era certa che fosse all’oscuro, ma anche in caso
contrario restava
un’ipotesi da scartare.
«A fare co-» L’uccello bloccò
la sillaba successiva e
le penne si arruffarono, come preda di un violento tremore. Una
vibrazione
negativa impregnava improvvisamente l’atmosfera, come una
nota stonata o aria
malsana. Da dove poteva provenire? Dove?! Guardò in ogni
direzione e d’un
tratto puntò lo sguardo alla loro destra, verso la vetrata
chiusa.
«HALLOWEEN-RO!»
«Ah!» Tsubasa quasi saltò sul posto per
lo spavento,
rischiando di conficcare il cacciavite nella superficie solida.
«Si può sapere
cosa ti prende?!» lo sgridò arrabbiata, prima di
notare una strana ombra sul pavimento.
Sollevò lentamente lo sguardo e incrociò due
occhi vuoti e neri, intagliati in
una zucca. Il resto del corpo era
la
rappresentazione di uno spaventapasseri, con un mantello nero che
copriva le
assi di legno che fungevano da supporto. Una mano scheletrica emerse
dalla
copertura cenciosa e l’indice puntò esattamente
verso di lei, che sussultò nel
vederlo.
«Scappa-ro!» Loriquet scattò in volo,
spaventato a
morte dalla misteriosa apparizione, e la ragazza seguì a
ruota l’ordine,
recuperando il portagioie prima che qualcosa colpisse il punto su cui
aveva
sostato poco prima. Spalancò la porta e corse fuori senza
guardarsi indietro.
«Prima parlo con un uccello ed ora una zucca cerca di
uccidermi! Si può sapere chi è?!» scese
le scale in tutta fretta, rischiando di
capitombolare e rompere qualche vecchio gradino.
«Il suo nome è Halloween-ro! È un
membro dei
Subterra!» spiegò con foga mentre volava a
più non posso.
«E chi sono? Non certo tuoi amici.» Giunta in basso
udì due scoppi e voltandosi vide due gradini distrutti, come
se qualcosa li
avesse fatti saltare per aria. «Ma che razza di
giornata!» Spalancò la porta,
ruppe i nastri divisori e puntò verso il boschetto. Tuttavia
un pensiero
improvviso la costrinse a frenare di botto.
«Perché non corri-ro?» smise a sua volta
di volare,
lanciando occhiate preoccupate a lei e spaventate in direzione dello
spaventapasseri che si avvicinava galleggiando e senza alcuna fretta.
Cosa che
lo inquietò ancora di più.
«Da quella parte c’è la scuola, non
posso proseguire. Altrimenti
rischio che quel coso faccia del male a qualcuno.»
ribatté decisa, nonostante
la mano che stringeva la borsa tremasse. Era impaurita
all’inverosimile
all’idea di restare da sola in compagnia del mostro,
qualsiasi cosa fosse, ma
l’alternativa era scatenare il panico o un disastro. Doveva
solo restare lì ed
aspettare… forse qualche pretty cure sarebbe intervenuta.
Sicuramente
l’avrebbero fatto… dopotutto solo loro potevano.
Lei non…
«È fermo-ro.» Il piccolo era ancora al
suo fianco, in
attesa di qualche azione da compiere ma per nulla tentato di
abbandonarla. Lui
poteva scappare, mettersi in salvo e lasciarla indietro, eppure era
ancora lì.
Sorrise rincuorata e decise di piantare i piedi dov’erano per
affrontare la
zucca.
«Che cosa vuoi da noi? Perché ci stai
attaccando?» Anziché
rispondere, Halloween infilò la mano scheletrica sotto al
mantello e ne
estrasse una bambolina voodoo. Inserì l’altra nel
ghigno che formava la bocca e
un piccolo bagliore arancione fuoriuscì da essa. Quando la
ritirò, un topazio
brillava tra le dita e il macabro personaggio lo conficcò
dritto nel ventre
della bambola.
«Cosa sta facendo?» chiese la sedicenne, con una
curiosità rivaleggiata dall’ansia, mentre
l’uccellino spalancava gli occhi
spaventato.
«Non è possibile… non di
nuovo-ro…» Immagini di
creatura grosse e con due occhi rossi presero a vorticare nella sua
mente.
Grida belluine e urla di dolore si sovrapposero mentre il cielo, un
tempo
azzurro e ricco di nuvole bianche, era rosso, con sprazzi di grigio
fumo e un
astro nero a far da padrone nell’immenso firmamento.
«Non deve succedere di
nuovo-ro!» scosse la testolina con veemenza, cercando di
scacciare la
drammatica visione.
«Cosa non deve succedere?» lo guardò con
perplessità
mista ad una nota di paura.
«Questo-ro!» Il fantoccio venne pervaso da
un’energia
arancione che gli permise di acquisire forza e ingrandirsi sempre
più, sino a
diventare gigantesco. Il volto venne sostituito da una zucca
dall’espressione
inquietante e le dita divennero artigliate, con unghie dello stesso
colore.
«Zudon!» fu
il verso grottesco che emise, rimbombando per diversi metri.
«E adesso che cosa facciamo?»
indietreggiò di alcuni
passi mentre il mostro avanzava. Anziché attaccarli, li
ignorò completamente,
puntando ai due edifici ai limi del boschetto.
«Fermo! Non da quella parte!» sollevò la
mano destra
per fermarlo, ma si rese conto dell’inutilità del
gesto. Cosa sperava di fare
con le sue misere forze? Strinse lo scrigno al petto e chiuse gli occhi
frustrata. «Dove sono le pretty cure? Perché non
sono qui?» udì i passi del
fantoccio riecheggiare nel silenzio del luogo ed era questione di tempo
prima
che arrivasse alla scuola.
«Non te lo permetterò-ro!»
esclamò infiammato, prima
di volare a tutta birra verso il volto della creatura per beccarlo.
«Non puoi, sei troppo…
piccolo…» mormorò Tsubasa mentre
con la mano tentava di afferrare qualcosa.
Forse Loriquet… forse il mostro… o forse solo il
suo
coraggio.
Strinse le dita a pugno mentre l’uccellino continuava
e colpire, affannandosi nel tentativo ma senza smettere di provarci.
Per quanto
fosse inutile lui sapeva che arrendersi sarebbe stato anche peggio.
«Volere è potere, no?» La sedicenne
chiuse gli occhi e
digrignò i denti contro la propria vigliaccheria.
D’impulso gettò la borsa sull’erba
e sollevò il volto verso l’alto, per gridare la
propria convinzione. «Allora io
voglio e posso!»
Dal cielo una piccola lucina blu scese velocemente,
sino a fermarsi dinanzi alla ragazza, che osservava stupita la piccola
colonna
di luminosa. Essa formò al suo interno un oggetto e questo
galleggiò sino a lasciarsi
cadere nel suo palmo.
«Non posso crederci… è
lei-ro!» sussurrò il volatile,
dapprima sorpreso ed infine felice. Nonostante la stanchezza,
dimostrata da
qualche piuma fuori posto, riuscì a raggiungerla in pochi
secondi.
«Cos’è?» osservò la
piuma bianca, la cui attaccatura
era decorata da un cerchio dorato con all’interno una gemma
blu a forma di tre
cerchi.
«È la chiave-ro!» Loriquet batteva le
ali in preda ad
una strana euforia, guardandola attentamente negli occhi.
«Avevo ragione, sei
tu la prima dal cielo-ro.»
«La prima…» guardava la piuma, ancora
stordita dall’apparizione,
quasi irreale per lei. «Con questa posso aprire lo
scrigno?» Il suo desiderio
finalmente stava per realizzarsi, pensò con una certa
aspettativa. Avrebbe
aperto il cofanetto della madre e forse scoperto ciò che
stava cercando. Ma prima
c’era una questione più importante da risolvere.
«Hai-ro.»
annuì determinato. «Così potrai
diventare una leggendaria guerriera e salvare
tutti.»
«Io una guerriera?» ripeté ancora
incredula. Mai
avrebbe immaginato di poter diventare come le protettrici
dell’umanità,
piuttosto di restare una loro ammiratrice destinata a sognare e niente
altro.
«Volere è proprio potere…»
«Seguì ciò che ti suggerisce il cuore.
Sarà lui a
guidarti nella trasformazione.» Vedendo che l’altro
continuava a fissarla,
aspettando che accettasse il proprio destino, la missione o qualsiasi
altra
cosa fosse, annuì decisa. Il dado era tratto.
Tsubasa afferrò la chiave con l’indice e medio,
facendo combaciare la gemma con la serratura. Col secondo dito
girò la piuma in
senso orario, con la punta verso il basso.
«Pretty
cure, arise!» Lo scrigno si spalancò,
liberando
una forte luce celeste e una miriade di piume blu saltarono fuori.
«Sky
embracing!» sorrise, lasciando il cofanetto e
sollevando le mani al cielo mentre i vestiti diventavano energia
azzurrina che
venne tramutata in una corta sottoveste. Si sollevò sulla
punta del destro,
piegò l’altro ginocchio e compì una
serie di piroette, mentre le piume la
circondavano in una specie di bozzolo. Alcune vorticarono attorno alle
mani e
con uno scoppio formarono dei guanti al polso, color ghiaccio, e una
fascetta
bianca attorno al bicipite. Fu il turno del busto ad essere sommerso,
generando
un body celeste con sopra un gilet blu notte, la cui parte posteriore
arrivava
a metà coscia. Questo venne coperto a sua volta da una
giacchetta a giro
maniche, corta e azzurra. Un fiocco color ghiaccio legava la giuntura
al collo
ed al centro venne appuntata una pietra acquamarina ovale. In basso
spuntò un
pantaloncino a palloncino azzurro, con la parte posteriore nascosta da
un
fiocco lungo color acquamarina. Le cosce vennero coperte da un paio di
calze
blu notte e da stivali azzurri sino al ginocchio. Batté il
piede sinistro,
piegò la schiena all’indietro e la pettinatura fu
sciolta; i capelli
ondeggiarono prima di allungarsi sino ai glutei e raccogliersi in una
coda
alta, per poi intrecciarsi in un boccolo verso le punte. Due ciocche
raggiunsero
il mento mentre il colore della chioma divenne più chiaro,
esattamente come
accadde agli occhi. Infine, due orecchini blu a forma di tre cerchi
comparvero
ai lobi. Il cofanetto venne chiuso con un colpo del palmo e si dissolse
in
scintille azzurre mentre la chiave volò sino a posarsi sopra
l’attaccatura
dell’acconciatura.
«L’abbraccio
protettivo del
cielo…» strinse le dita attorno ai
bicipiti, simulando una stretta a sé
stessa. Portò il piede in avanti, sollevò la mano
sinistra al cielo e stese la
destra in avanti, col palmo rivolto verso l’alto. Una dolce
brezza arieggiò
dalle sue spalle, rendendo ancora più limpido il cielo.
«Cure Heaven!»
Batté gli occhi basita, sciolse la posa e fissò
mani e
vestiti. Cos’aveva fatto?
«Sono…» corse sino ad una finestra per
specchiarsi e
capacitarsi che sì, era una guerriera e non
un’allucinazione.
«Yatta-ro!»
Loriquet vorticava in preda ad un delirio, esaltato e felice per aver
trovato
la loro prima speranza di salvezza. «Ce l’hai
fatta! Ce l’hai fatta-ro!»
continuava a ripetere come un mantra, unendo le aluccie in una sorta di
stretta
di dita.
«Incredibile…» La pretty cure
toccò il proprio volto e
squadrò il nuovo aspetto, quando una serie di boati la
riportarono coi piedi
per terra. Il fantoccio! «Devo sbrigarmi!»
scattò verso gli alberi, ma frenò
bruscamente per poi voltarsi indietro.
«Con te farò i conti dopo!»
esclamò minacciosa,
puntando l’indice contro Halloween che non fece una piega,
riprendendo poi la
corsa.
«Pretty cure…» mormorò la
zucca con tono cavernoso,
come un’eco che proveniva da lontano. «Questa non
ci voleva.»
Intanto la ragazza avanzava più veloce che poteva, ma
mancavano ancora diversi metri dal mostro. «Non
farò in tempo…»
«Salta-ro!» suggerì il compagno che la
seguiva ad una
certa distanza, ma senza smettere di darle il suo supporto.
«Usa tutti i tuoi
poteri, puoi farcela-ro.»
«Giusto.» colpì il terreno col piede
destro e spiccò
un balzo, prodigioso ai suoi occhi, che la portò a pochi
centimetri dal volto
nemico. «Sto… volando…» fu
ciò che disse, guardando il cielo in uno stato quasi
ipnotico. Alcune urla sottostanti le ricordarono che la contemplazione
poteva
essere rimandata; la distruzione della bambola assassina no.
«Vieni qua!» chiuse la mano a pugno e
sferrò un destro
contro la zucca, che presa in contropiede perse l’equilibrio
e tutto il suo
peso finì in avanti. Le grida divennero stridule quando
videro il grosso
fantoccio nell’atto di precipitare addosso a loro, che
sciamavano come tante
formiche.
«Fermo!» Heaven riuscì a darsi una
spinta sulla spalla
avversaria col piede, atterrando sul tetto e da lì balzare
nuovamente contro di
lui. Chiuse i pugni, puntandoli in alto, e come un missile
centrò in pieno lo
stomaco, fornendo sia un danno che la spinta necessaria a farlo
capitombolare
verso gli alberi.
«Ben fatto-ro.» fu il commento entusiasta
dell’amico,
che vedeva realizzati parte dei suoi sogni in quel frangente.
«Speriamo non ci sia nessuno nel bosco.» con un
capriola aerea atterrò a pochi metri dal punto in cui stava
per schiantarsi il
mostro. Una mano artigliata toccò il terreno e
cambiò la traiettoria del
proprio corpo, facendo sì che piovesse addosso alla
guerriera così
all’improvviso che non riuscì a scansarsi. Un
grosso boato seguì il precedente,
facendo sollevare un polverone, e per qualche secondo non
volò una mosca.
«Heaven-ro…» mormorò
preoccupato per la mancanza di
reazione. Che l’avesse schiacciata?
Un movimento lento, come un tremolio, scosse il ventre
della bambola. Dopo alcuni attimi essa venne sollevata e da sotto
apparve la
guerriera, che con entrambe le mani tentava di sollevarla, stringendo i
denti
nello sforzo di sopportare il peso. «Forza-ro!»
Con un grido belluino Heaven riuscì a scaraventarlo
via e questo cadde addosso a metà del vecchio edificio,
sfasciando il tetto e
distruggendo i muri. Le aule franarono e di loro rimase soltanto il
ricordo.
«Oh, no! Che cosa ho fatto?!» Alla vista delle
macerie, sotto all’enorme ammasso di paglia erculea, era
diventata uguale all’urlo
di Munch. Con le mani che stringevano le guance tentava di calcolare il
danno
astronomico, dal punto di vista economico, che avrebbe dovuto ripagare.
Anche
perché sparire e lasciare agli altri quel macello
l’avrebbe perseguitata negli
anni a venire.
«Va tutto bene. Dopo avrai modo di rimediare-ro.»
La
tranquillizzò l’uccellino, vedendo che la sua
protetta era sul punto di avere
un infarto e quindi eliminarsi da sola, senza l’ausilio del
mostro. «Ma prima
devi distruggerlo. Seguì le parole che sgorgano dal tuo
cuore e ogni azione
verrà da sé.» spiegò come in
precedenza, sapendo che ogni guerriera possedeva
poteri unici e quindi evocabili solo tramite la propria
volontà.
«Le parole…» chiuse gli occhi, cercando
di ignorare il
verso del zudon che tentava di rialzarsi, le urla in lontananza, le
sirene
della polizia e qualsiasi suono molesto. Ascoltò solo la
propria voce interiore
ed a qual punto un eco lontano, ma ben udibile, rimbombò
senza sosta nella sua
mente. Aprì gli occhi con la consapevolezza di chi sapeva
come agire. Sollevò
la mano in alto, col palmo rivolto al firmamento.
«Il cielo in questa
mia mano!
Pretty cure…» una miriade di puntini
azzurri si raccolsero all’interno
del palmo, ricoprendo l’intera figura di un’aura
dello stesso colore. Spiccò un
balzo, portandosi davanti al volto del mostro, tenendo il braccio steso
e la
mano ben tesa. «Celestial
slash!» sferrò un
fendente che materializzò una scia bluastra, tagliando a
metà la zucca.
«Zudooooon!»
fu il verso di dolore esclamato, prima che l’intero essere
venisse
cristallizzato in color arancione ed esplodesse in mille frammenti.
Essi
caddero al suolo per poi tramutarsi in polvere che venne spazzata via
dal
vento. Heaven rimase ad osservare il tutto, ancora incredula per
ciò che aveva
appena compiuto. Trasformarsi in un’eroina, combattere un
mostro enorme ed
infine usare un potere magico non era un evento a cui potevi assistere
tutti i
giorni. Figurarsi poi esserne la protagonista.
«È bastato che lo volessi!»
esclamò esaltata, ancora
preda dell’euforia che le scorreva dentro.
«Esatto. La volontà vince su tutto.» I
due si
guardarono e sorrisero come due ebeti, avendo realizzato parte dei loro
desideri. Un crollo improvviso ricordò alla giovane che
c’era ancora qualcosa
da terminare.
«Come faccio a sistemare questo macello?» Poi ci
ripensò, folgorata da un’intuizione, e
sollevò una mano. «Non dirlo. Lo farà
la
voce del mio cuore.»
«Perché lo chiedi allora?» chiese
ridacchiando. Prese
posto sulla spalla destra ed attese che l’altra sistemasse
tutto.
«Beautybox.»
Una
miriade di scintille materializzarono il portagioie sul palmo della
mano. Lo
aprì con la chiave e intinse la punta della piuma
all’interno della luce
azzurrina. La piuma, da bianco passo allo stesso colore e lei la
puntò verso le
macerie. «All’ordine
io ti riporto.» Ogni danno
sparì come fosse stato solo un’apparizione e la
struttura del vecchio edificio
tornò identica alla precedente. Decadente, sporca e
malconcia, ma sicuramente
più accettabile.
Fu solo a quel punto che Tsubasa riuscì a studiare
l’interno del cofanetto. Sul coperchio capeggiava uno
specchietto di forma rettangolare
mentre in basso erano contenuti diverse gemme dalla tonalità
blu o azzurra,
ognuna custodita in un piccolo scomparto.
«Come farò a trovare ciò che sto
cercando?» mormorò
sollevando il volto al cielo azzurro. La limpidezza lo rendeva quasi
cristallino quel giorno, con soffici nuvole bianche e l’ombra
della luna in
lontana. Qualche stella più sfrontata delle altre brillava
fioca, sfidando la sfavillante
forza della luce solare. Una strana sensazione di benessere la pervase,
portandola a chiudere gli occhi e respirare a pieni polmoni.
«Ci riuscirò.
Finché la mia volontà mi darà forza,
ci riuscirò.»
Salve.
Ecco il primo capitolo, con i primi personaggi. Ho
voluto che le altre oc facessero almeno un cameo, in modo che saranno
tutte più
o meno presenti in ogni capitolo. In questo modo riuscirò
anche ad orientarmi
meglio sul loro carattere. In pratica mi direte se sto andando bene
oppure le
sto manomettendo (?).
Spero che la trasformazione sia piaciuta. Ci ho
lavorato davvero tanto, soprattutto nel personalizzare i particolari
per ogni
oc. Sono stata indecisa sino all’ultimo sul nome da guerriera
di Tsubasa, ma alla
fine ho optato per uno da mery sue. XD
Come avrete capito c’è anche un mistero che
aleggia,
non solo sulla scuola, ma anche sull’intera città.
Man mano che i capitoli
andranno avanti si chiariranno alcuni punti. I nemici per ora fanno
comparsa e
basta. (?)
-Ohayo gozaimasu: buongiorno.
-Arigatou: grazie.
-Hai: sì.
-Gomenasai: mi dispiace.
-Yatta: Evviva!
Credits:
-Tsubasa Tenjoo
appartiene alla sottoscritta.
Umana: http://thumbsnap.com/gtVXU9Zm
Pretty cure abito: http://thumbsnap.com/21JYtiwY
-Star Duster
appartiene a Stardust94
-Shoko Houtsuin
appartiene ad _Alcor
-Yoko
appartiene a Mixxo98
Per adesso vi saluto gente e
vi do appuntamento al
prossimo capitolo. Buona settimana. ^^