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Autore: _Lady di inchiostro_    13/09/2017    5 recensioni
C’è chi dice che la nostra strada è già stata decisa, che è il destino che stabilisce quali difficoltà dobbiamo incontrare durante il cammino, o chi ci accompagnerà durante il percorso.
C’è chi dice che la nostra strada, invece, ce la costruiamo da soli, che siamo noi a decidere chi incontrare, siamo noi padroni delle nostre azioni.
Iwaizumi Hajime aveva sempre creduto nella seconda opzione. Finché non ha incontrato Oikawa Tooru. E allora si chiese se il destino non volesse farli incontrare per davvero, in qualsiasi modo possibile.
***
[Future Fic and What if?] [Tanto angst e cose belle ♥]
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[A Gaia, la mia piccola kohai ♥]


 
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[1 febbraio 2017]





Erano passati più di una decina di giorni da quando lui e Iwaizumi si erano visti l’ultima volta. Oikawa aveva richiamato tutta la forza di volontà che gli era rimasta per evitare di contattarlo lui stesso, nella speranza che fosse l’altro a farlo, che fosse l’altro a dargli una risposta su quello che aveva intenzione di fare con lui.
E, probabilmente, il fatto che non l’avesse più cercato, stava a significare che non aveva più alcuna intenzione di vederlo.
Sbuffò, sbloccando ancora una volta il cellulare e fissando con insistenza la chat che aveva avuto con Iwa-chan, risalente a quella sera prima di vedersi al cinema. Come immagine del profilo aveva una foto con sua figlia, la bambina che rideva e lui che sembrava così sereno in viso che a Oikawa quasi faceva male vederlo così. Non perché non gli piacesse, ma perché… era così diverso dall’Iwa-chan che aveva visto l’ultima volta. Quello era freddo, scostante, quasi restio a voler parlare con lui.
Solo quando gli aveva messo la sciarpa al collo aveva rivisto la persona che aveva riso con lui al parco, aveva rivisto quelle sfumature nei suoi occhi che tanto desiderava poter fissare ogni giorno, per il resto della sua vita.
Iwaizumi Hajime era diventata la nuova ossessione di Tooru, e la sciarpa che portava al collo ne era la prova.
Prese un bel respiro, inalando quel profumo che gli faceva girare la testa e che era capace di tranquillizzarlo in egual misura, per poi aprire la chat e cominciare a scrivere. Il problema era che, dopo neanche due righe, cancellava tutto e ricominciava daccapo. Sospirò, affranto, il naso affondato nel tessuto nero, e sentì la piacevole quanto spiacevole sensazione di avere Iwa-chan accanto, con addosso quell’indumento.
Si stava prendendo una pausa fin troppo lunga da quella partita, e questo non giocava a suo vantaggio. Era come se si fosse distratto poco prima di andare al servizio e avesse sbagliato la battuta, mandando la palla fuori di pochissimo.
Forse era stato troppo precipitoso a dire quelle cose ad Hajime, quella sera. Forse non si era ancora ripreso, forse passava del tempo con lui perché gli faceva pena, forse non voleva essere ancora suo amico, dopotutto. Eppure, non riusciva proprio a cancellarsi dalla mente la sua espressione dopo che l’aveva visto arrossire. Non era stata una reazione di repulsione o disgusto; era sorpreso, agitato, un po’ come lo era lui in quel momento, ed era stata la cosa più imbarazzante della sua vita.
Oikawa Tooru non arrossiva. Mai.
Il fatto che un semplice giornalista gli avesse sortito quell’effetto, stava a significare che quella persona aveva davvero qualcosa di speciale, non si trattava di una semplice sbandata.
«Ci penserò.»
Si spiaccicò le mani – e lo smartphone  – sul viso, percependo le sue orecchie e le sue guance che già cominciavano ad andare in fiamme. Si stava comportando come una tredicenne alle prese con la sua prima cotta, e si rese conto che l’ultimo briciolo d’integrità era appena andato a farsi benedire.
Con la mente ancora rivolta a Iwa-chan, fu un fischio a lui familiare che lo riportò alla realtà, abbassando poi lo sguardo sul campo che aveva di sotto. Quella mattina aveva deciso di andare ad assistere alle partite del Torneo Interscolastico Primaverile, giusto perché la pallavolo – assieme alla fantascienza – era l’unica cosa che riuscisse a distrarlo per davvero. Il che non era facile, dato che la sua mente era nella confusione più totale, ma sia come giocatore che come spettatore Oikawa rimaneva ben concentrato sui movimenti degli altri giocatori, sulle strategie attuate e sulle possibili prossime mosse.
In quel momento, una partita era appena iniziata, e le braccia di Tooru tornarono a posarsi sulla ringhiera; si sporse leggermente in avanti per vedere meglio, i colori della squadra che aveva di spalle che quasi lo infastidivano. A quanto pare, ce l’avevano fatta anche per quell’anno, ed erano finalmente riusciti ad ingaggiare una tifoseria degna di nota.
Produsse un profondo respiro col naso, le mani che gli prudevano al ricordo di quello che era successo tanti anni prima. Certo, lui adesso aveva una carriera davanti, ma qualsiasi sconfitta per lui bruciava ancora. Soprattutto quella, visto che era stato battuto dal suo kohai nell’ultima partita che disputava al liceo.
Sospirò ancora, spostando lo sguardo sulla panchina: il loro coach era rimasto sempre uguale, e avevano persino trovato una nuova manager, probabilmente del secondo anno. Tornò a osservare come procedeva il gioco, notando che la squadra avversaria aveva già fatto due punti. Il loro libero, però, riuscì a ricevere la battuta con facilità, dando una possibilità al setter di alzare la palla perfetta per l’asso.
Oikawa osservò per bene il ragazzo in questione, mentre la squadra esultava per il punto ottenuto, assottigliando le palpebre. Era del terzo anno, non c’erano dubbi, e con molta probabilità era stato un allievo di…
«Sbrigati, è già cominciata!»
«Non sono io che ho dovuto fare una sosta al bagno! Ci hai fatto perdere un sacco di tempo!»
Tooru non era sicuro di conoscere perfettamente quelle voci. Qualcosa, nel timbro, sembrava cambiato, tuttavia la cadenza e il tono erano assolutamente quelli. Prima di riuscire a capire che cosa stesse succedendo – e prima che la sua mente gli dicesse di filarsela –, si era già voltato verso la fonte di quelle grida, raggelando poi sul posto.
I suoi sospetti erano fondati, e del resto doveva aspettarselo che sarebbero venuti a vedere la loro squadra giocare: molto probabilmente, alcuni di quelli erano stati dei loro allievi, e l’idea che quei due imbecilli fossero stati dei senpai lo faceva rabbrividire.
Sfortunatamente, anche loro si accorsero di lui, e i loro occhi si incrociarono, rimanendo a fissarsi per attimi infiniti.
«Oikawa-san…?» Hinata quasi non lo riconobbe con quell’abbigliamento e gli occhiali da vista sul viso; di solito, era abituato a vederlo con la divisa della Nazionale, e ogni volta gli lanciava tutte le maledizioni possibili. «Cosa ci fai qui?»
Il ragazzo sorrise – anche se probabilmente loro non lo videro, poiché la sciarpa gli copriva il viso e lui non aveva alcuna intenzione di scostarla. «Che c’è? Adesso non posso vedere giocare la squadra del mio kohai?»
«Ex kohai» precisò Kageyama, guardandolo in cagnesco. Non si era mai ripreso per quello che era successo tra loro due alle scuole medie, il ceffone bruciava ancora sulla sua guancia. E lo sapeva che Oikawa-san era stato sincero quando si era scusato con lui, ma erano colpi che non si superavano con facilità.
Sventolò una mano. «Fa lo stesso» disse, come a voler sorvolare su certi, miseri dettagli.
Il fischio dell’arbitro li fece sobbalzare, e le loro teste si voltarono praticamente simultaneamente. La Karasuno aveva appena segnato un altro punto, distanziandosi così dalla squadra avversaria.
«A quanto pare, anche per quest’anno avete battuto la Shitorizawa» disse Oikawa, tornando alla posizione di prima.
«E la Seijoh» aggiunse Hinata, facendo saettare lo sguardo del setter della Delegazione proprio su di lui, senza che questi lo scostasse.
Sapeva benissimo a cosa si riferiva, all’ultima partita che avevano disputato per ottenere un posto nel Torneo. Quella partita che, sotto lo stupore di tutti, aveva visto la sconfitta dell’Aoba Johsai e la vittoria di una rinata Karasuno. Da allora, da quando la squadra dei corvi aveva vinto il Torneo Primaverile, tre anni fa, era stata un ciclone inarrestabile, a dimostrazione del fatto che anche per quell’anno rappresentava la prefettura di Miyagi. Solo una volta non era riuscita a passare il turno.
«L’anno scorso, però, vi abbiamo dato una bella batosta» disse Oikawa, senza smettere di sorridere, e stavolta i due giovani riuscirono a vederlo perfettamente.
«Ma non avete vinto il Torneo» incalzò Kageyama, guardandolo di traverso. «Noi l’abbiamo vinto già quattro volte… di fila.»
Era chiaro che stessero parlando delle squadre come se ne facessero ancora parte, quando i bei tempi del liceo erano solo un ricordo lontano. Adesso, erano solo degli adulti che si sentivano ancora adolescenti e che, nonostante tutto, sarebbero rimasti per sempre legati a quelle squadre.
Oikawa storse il naso, rivolgendolo all’insù. «Siamo arrivati terzi. Mi sembra un attimo risultato» protestò. «E poi, io sono la dimostrazione vivente che non bisogna vincere il Torneo Interscolastico per essere campioni!» disse, indicando la sua persona.
Se non fossero stati troppo concentrati sulla partita, probabilmente sia Kageyama che Hinata avrebbero dato voce ai loro istinti omicidi e alla voglia di prenderlo a pugni. Si scambiarono qualche parola durante i vari set, esprimendo la propria opinione su come stava procedendo il gioco, non senza che Oikawa e Kageyama si lasciassero andare a qualche battuta, beccandosi in continuazione.
Alla fine, dopo che la Karasuno aveva vinto due set tondi tondi, la squadra aveva fatto l’inchino di fronte al proprio pubblico, Hinata che quasi spiccava dei salti mortali dalla contentezza. Aveva visto il suo pupillo, l’asso della squadra, fare delle azioni che gli aveva insegnato lui stesso, e la cosa non poteva che esaltarlo. Oikawa, invece, aveva borbottato allo stesso modo di un vecchio che si lamenta per il troppo chiasso.
Finiti i saluti, decisero di andare a salutare la squadra e magari di andarsi a presentare agli altri membri, rivolgendo appena un cenno a Oikawa, che rimase ad osservare la partita successiva. Mentre stavano camminando, però, Hinata si fermò di botto.
«Che succede?» chiese Kageyama, accorgendosi del repentino cambio d’umore del compagno e voltandosi indietro. «Hai cambiato idea? Oppure devi andare di nuovo in bagno?»
Il rosso si guardò indietro, il piede già sul primo gradino, ripensando al modo con cui avevano lasciato Oikawa-san. C’era qualcosa nella sua espressione che non lo convinceva, che aveva riportato a galla ricordi di un periodo che credeva morto e sepolto.
Schiuse appena le palpebre, voltandosi poi verso Kageyama, sorridendo. «Scusami, devo prima fare una cosa! Ci vediamo dopo, okay?»
Il giovane setter alzò il sopracciglio, scettico, per poi scollare le spalle. «Non ci mettere troppo, altrimenti me ne vado senza di te!» disse, mentre scendeva le scale.
Hinata fece un mezzo sorriso – sapeva benissimo che non l’avrebbe mai abbandonato in una città che conosceva appena, lo diceva tanto per fare il duro –, e tornò indietro, trovando Oikawa-san dove l’avevano lasciato pochi minuti prima. Il castano spostò lo sguardo di lato, dove si era messo quel piccoletto, nella sua stessa identica posizione.
Rimasero in silenzio per un po’, prima che Tooru si decidesse a parlare. «Ho saputo.» L’altro parve cadere dalle nuvole, per cui fu costretto a continuare, non prima di lasciarsi andare a un ennesimo sospiro. «Ho saputo che tu e Tobio-chan siete stati presi nella Nazionale Under21.»
«Oh» esclamò Shoyo, in leggero imbarazzo.
In realtà, non aveva avuto chissà che tipo di confidenza con l’ex setter dell’Aoba Johsai, e adesso si domandava che cosa ci facesse lui lì, da solo, senza qualcuno a fargli da spalla. Aveva già avuto un mezzo scontro con lui, cui poi si era aggiunto anche Ushijima e Aone-san, ma la situazione era diversa. Non erano più rivali – per il momento – e per quanto lo invidiasse per essere riuscito ad entrare nella Nazionale, c’era qualcosa nel suo sguardo che gli diceva che aveva tutt’altro nella mente per poter badare a lui e Tobio. Quasi come se gli venisse difficile prenderli in giro come faceva sempre, con quei suoi atteggiamenti civettuoli.
«Congratulazioni» bofonchiò, facendo tornare però il ragazzo con i piedi per terra.
«Grazie!»
Ci fu un altro attimo di silenzio, poi fu Hinata a parlare per primo, questa volta. «È questo che ti turba?»
Il castano aggrottò le sopracciglia. «Prego?»
Si martoriò le mani, cercando di placare il suo crescente nervosismo. «Ecco, non sei come il “Grande Re” di cui mi ricordavo… So che le persone cambiano, ma mi è parso che ci fosse qualcosa che non andasse quando ci hai parlato. Hai paura che Kageyama ti rubi il posto in Nazionale?»
Il ragazzo lo fissò, gli occhi totalmente dilatati. Quel piccoletto che si lasciava guidare dall’istinto, che si fidava ciecamente del suo alzatore al punto da chiudere gli occhi prima di schiacciare la palla, si era perfettamente accorto del suo stato d’animo. E, proprio come la prima volta che i loro sguardi si erano incrociati, in campo, anche quella volta aveva finito per stupirlo.
Fece una risata sprezzante, anche se gli faceva male lo stomaco nel frattempo. «Pensi seriamente che cederei facilmente il mio posto a Tobio-chan? Dovrà lottare con le unghie e con i denti per averlo!»
Non lo stava dicendo con la solita convinzione. Non che non ci credesse in quello che diceva, figuriamoci; era come se provasse fatica a comportarsi così, ad essere quel ragazzo che lottava con tutto se stesso per quello che voleva. Era come se avesse smesso di lottare, o fosse uno di quei soldati che aspettava la venuta di qualche miracolo, mentre sentiva le bombe cadere a pochi passi da lui.
Era stanco. Quella partita tra lui e Iwa-chan lo stava distruggendo, lo stava logorando dall’interno. E di questo, Hinata se n’era accorto perfettamente.
Prese un bel respiro, entrambi serissimi, prima di passarsi una mano sugli occhi, spostando di poco gli occhiali fasulli. «Si nota così tanto…?»
«Beh, ho già visto un’espressione simile…» disse, infossando un po’ il collo. Siccome l’altro non disse niente, continuò. «Riguarda per caso quello che è successo con Eiko-san…?»
Oikawa fece una mezza risata, alzando gli occhi al cielo. «Già, dimenticavo che la gente tende a farsi gli affari miei…» E in parte sapeva che la colpa era sua, poiché glielo aveva lasciato fare, ma adesso non aveva più importanza.
Hinata non parve turbato da quella risposta data in malo modo, con un retrogusto quasi amaro, attendendo che l’altro continuasse con una calma e una pazienza che erano assolutamente innaturali per lui; Oikawa, quasi quasi, ne era spaventato.
«Mi sono preso una sbandata per qualcuno. Per questo io e Eiko ci siamo lasciati» disse, tutto d’un fiato.
Si rese conto che era la prima volta che confessava quello che provava per Iwa-chan a qualcun altro che non fosse Bokuto, Kuroo o Ushijima. Loro erano suoi compagni di squadra, si erano già accorti che qualcosa non andava in lui, ma con quel piccoletto non si vedevano da anni, e in meno di un minuto aveva capito che c’era qualcosa che lo preoccupava, un pensiero costante di cui non riusciva a liberarsi. Un’immagine che gli compariva sempre davanti: il sorriso di Iwa-chan e i suoi occhi che quasi brillavano.
Si chiese se anche gli altri si fossero accorti del suo cambiamento, se i suoi fan stessero cominciando a dubitare di lui e del suo modo di giocare. Istintivamente, portò l’indice a insinuarsi tra la stoffa del nastro. Era l’unica cosa che riusciva a tranquillizzarlo, in quelle giornate nere e tetre. Akane era come la luce del mattino di un nuovo giorno, e il suo sorriso genuino ne era la prova vivente.
Hinata si accorse di quel suo gesto, pensando che c’entrasse in qualche maniera con la persona di cui stavano parlando. «Come l’hai conosciuta?» chiese poi.
Il castano spostò lo sguardo verso di lui, e per un attimo trattenne il fiato. Aveva usato il femminile. Era normale, per quattro anni era stato il fidanzato di una delle modelle più belle e acclamate di tutto il paese, che compariva in qualsiasi rivista che trattasse di cosmetici o di qualche abito. Per settimane, si era sorbito gli insulti più coloriti per essersi lasciato sfuggire una bellezza del genere, per cui era logico che quel piccoletto si chiedesse per quale ragazza avesse lasciato una come Eiko. Probabilmente, nessuno sospettava una cosa del genere, e se le sue fan l’avessero scoperto si sarebbero di certo strappate i capelli per il dolore e l’impossibilità di potersi mettere con lui, un giorno, continuando a fantasticare su una cosa assolutamente improbabile.
«Non è una lei. È un ragazzo.»
Dapprima, il rosso spalancò gli occhi, cercando di metabolizzare quello che gli era stato appena detto. Per una manciata di secondi, rimase immobile, boccheggiante, non sapendo cosa dire. Come aveva immaginato, quel piccoletto non se l’aspettava.
«Questa non me l’aspettavo…» disse, dando voce ai pensieri di Oikawa. «Cioè, quindi mi stai dicendo che sei…»
«Non lo so» lo interruppe. Era vero, non era sicuro di essere gay. Gli era capitato di dire, a voce alta, che non avrebbe avuto problemi a fare sesso con uno dei suoi compagni di squadra – con quelli con cui aveva più confidenza, era ovvio. Eppure, era diverso, di solito si trattava di una battuta, e in ogni caso sarebbe stato per puro divertimento; l’idea di poter invece fare un passo del genere con Iwa-chan, invece, lo faceva sentire come se… stesse facendo qualcosa di importante. Qualcosa che avrebbe segnato, definitivamente, che quella persona era una parte di lui, e che lui era una parte di quella persona. Aveva avuto diverse ragazze, nella sua adolescenza, non ricordava qual era stata la prima con cui aveva perso la verginità; ma nessuna, nemmeno Eiko, l’avevano fatto sentire così. «Probabilmente, sono solo innamorato di lui.» E lo pensava veramente.
Hinata non disse niente, e la sua espressione era seria: non disgustata, ma seria. Come se, in un certo senso, lo capisse.
«È un giornalista» disse, non riuscendo più a contenersi. Era come se avesse davvero bisogno di raccontare a qualcun altro quella storia, qualcuno che fosse un esterno, qualcuno che non conoscesse tutti i retroscena fin dal principio. Si passò una mano tra i capelli arruffati. «L’ho conosciuto durante un’intervista…»
«Come si chiama?»
Lo guardò un po’ prima di rispondere. «Iwaizumi Hajime.»
«Oh, lo conosco!» disse Hinata, facendo alzare un sopracciglio al setter. «Cioè, ho solo letto un suo articolo sul Torneo, anni fa. Mi è piaciuto davvero!»
Deglutì, tornando a fissare la partita che si stava svolgendo nel campo sottostante, senza però prestarci veramente attenzione. Sì, Iwa-chan era davvero bravo a scrivere, era davvero bravo a mettere le parole nel giusto ordine, a spiegare alla perfezione quello che voleva dire senza risultare troppo prolisso o troppo negligente. Buffo, lui sapeva sempre che parole usare, e Iwa-chan sapeva sempre che cosa scrivere. Solo che, adesso, gli veniva persino difficile scrivergli un messaggio. L’aveva talmente assillato, da averlo fatto scappare…
«E poi?» A risvegliarlo dai suoi pensieri fu la vocetta di Hinata, titubante, ma curiosa di sapere come procedeva la storia.
«Poi… ci siamo rivisti» rispose. «Ho scoperto che anche lui era di Miyagi e che andavamo nello stesso asilo. Ci eravamo già conosciuti prima.» Deglutì, indeciso se continuare o meno, arrivando alla nota dolente. «Una sera ho alzato il gomito… E l’ho baciato… dopo essermi dichiarato.»
Tra di loro calò il silenzio, i rumori circostanti che si andavano ampliando: la voce del pubblico che esultava, lo stridere delle scarpe da ginnastica sul pavimento, la palla che veniva schiacciata. Tutto era amplificato, Tooru riusciva persino a sentire il sangue scorrere nelle vene e il respiro farsi pesante. Era un’agitazione nuova, non era come quella che provava prima di una partita e che lui trasformava in adrenalina; questa, non sapeva come combatterla, e avrebbe voluto strapparsela di dosso.
«Beh… è un bel casino.» Hinata si grattò la nuca, mogio, e Oikawa avrebbe voluto insultarlo in maniera abbastanza acida, poiché una frase del genere non l’aiutava per niente, se non fosse che il ragazzetto continuò a parlare. «E lui? Non si è fatto più sentire?»
«No» ammise, la saliva che quasi corrodeva le pareti della sua gola. «Ci siamo incontrati, dopo Natale. Lui ha una figlia, questo me l’ha dato lei.» Sollevò il polso sinistro. «E ci siamo rivisti diverso tempo fa. Da allora, non si è più fatto sentire…»
Shoyo parve riflettere, prima di fare un’altra domanda, sperando che Oikawa-san gli rispondesse e non lo mandasse al quel paese per essere diventato troppo invasivo. Tuttavia, se il suo istinto ci aveva visto giusto nel cogliere il motivo della sofferenza del ragazzo, adesso voleva sapere se la sua situazione fosse simile a quella che aveva vissuto lui, diverso tempo fa.
«Posso sapere come si comportava con te? Ti ignorava completamente quando stavate insieme?»
Oikawa trasalì, e adesso anche il profumo di Iwa-chan si era fatto più intenso, persistente, e si ritrovava a camminare sul quel ponte, il ragazzo che gli metteva la sua sciarpa al collo e… sorrideva. Un sorriso gentile, lo stesso sorriso che può fare un padre alla figlia, lo stesso sorriso che poteva fare una persona veramente innamorata.
Improvvisamente, come se fosse stato accecato da un lampo, si rese conto che Iwa-chan non l’aveva ignorato del tutto. Che Iwa-chan gli aveva sorriso, quella volta a casa sua, mentre giocava con Akane. Che Iwa-chan non si era spostato quando stava tentando di baciarlo, in aeroporto. Che Iwa-chan volveva essere chiamato così da lui e da nessun altro.
Il respiro gli morì in gola, e il ragazzo non ebbe bisogno che l’altro dicesse niente, la sua espressione parlava da sé. Sorrise, un piccolo sorriso nostalgico che comparve sulle sue labbra, sporgendo poi le braccia oltre la ringhiera in ferro.
«Lo sai, mi ricorda tanto una persona di mia conoscenza…»
Oikawa ci mise un po’ ad elaborare quello che gli aveva appena detto il ragazzo, un’idea che gli passò velocemente in mente, come se fosse un razzo che si era appena librato in cielo. Non disse niente per parecchio tempo, ancora incapace di spiccare parola, prima che quell’idea si trasformasse in una frase concreta e udibile da tutti. «Sei fidanzato con Tobio-chan…»
Non lo disse sotto forma di domanda, era un’asserzione vera e propria, frutto di tutti quei preconcetti che si era fatto su quei due ragazzi. Tooru non aveva mai avuto un rapporto come il loro con l’asso della squadra, la colonna portante del gioco; certo, lui era uno che faceva buon viso a cattivo gioco, e si adattava a qualsiasi cosa, non si poteva dire che già alle scuole medie o al liceo non eccellesse per il suo modo di giocare. Tuttavia, aveva avuto diversi compagni che avevano schiacciato le sue alzate, e nessuno era riuscito a dargli quella sensazione che, invece, irradiavano quei due giovani ragazzi. La sensazione di avere qualcuno alle proprie spalle, qualsiasi cosa sarebbe successa, nel campo come nella vita. La sensazione di potere fare un’alzata diretta verso l’altra parte del campo, e che quella persona l’avrebbe comunque presa. La sensazione di onnipotenza che si innesca quando basta uno sguardo per capirsi.
Che quel ragazzetto tutto matto avesse un altro tipo di interesse per Kageyama era palese, l’unico a non esserne accorto era proprio il setter, e adesso Oikawa capiva perché era venuto da lui: era palese che anche lui avesse un interesse per qualcun altro.
Hinata divenne dello stesso colore di un pomodoro maturo, ruotando la testa verso il castano con assoluta lentezza, apparendo come una bambola un po’arrugginita; l’altro, nel frattempo, sembrava ancora frastornato, e se qualcuno li avesse visti in quel momento li avrebbe trovati abbastanza ridicoli.
«Ecco, cioè… io…» Fece congiungere gli indici, prendendo un respiro profondo, nella speranza che il suo viso tornasse del suo colorito naturale. Maledizione, sentiva la faccia che diventava bollente, non era di certo un bello spettacolo. «Sì… Io e Kageyama stiamo assieme…»
Adesso, era il turno di Oikawa di rimanere assolutamente sorpreso dalla piega che stava prendendo il discorso. Aveva avuto dei sospetti, in passato, ma non credeva che tra di loro potesse mai succedere qualcosa; anzi, non credeva che Kageyama potesse innamorarsi di qualcuno, in generale. Aveva sentito delle voci di corridoio, durante l’ultimo anno delle scuole medie, che dicevano che si fosse preso una cotta per lui, ma era troppo occupato ad allenarsi per badare a questa faccenda; e poi, dopo quanto era successo in palestra, era quasi certo che qualsiasi cosa provasse per lui fosse svanita tutta d’un colpo, trasformandosi in odio e in rabbia repressa.
«Da quanto…?» esalò, aggrottando appena la fronte.
«Tre anni» rispose, mordendosi la lingua per l’imbarazzo. Dopo un attimo di silenzio, proseguì. «Ci siamo messi insieme dopo la finale del Torneo, al terzo anno. Due anni prima, sempre nello stesso periodo, io mi ero dichiarato e…»
«E lui ti ha rifiutato…»
«E lui mi ha rifiutato» ripeté.
La sensazione che provò Tooru, in quell’esatto momento, fu qualcosa di velenoso e che sentiva penetrare all’altezza dell’aorta, proprio vicino al cuore, e rischiava di farlo collassare a terra, morente; o di farlo morire dall’interno, ed era anche peggio. Tooru era invidioso. Invidioso che quel piccoletto ci fosse riuscito, invidioso del fatto che lui adesso poteva vantare di stare con la persona di cui era sinceramente innamorato, invidioso che lui avesse fatto cambiare idea a quella zucca vuota di Kageyama. Era invidioso, sì, perché lui non era stato in grado di fare neanche la metà delle cose che si era prefisso, dopo quello che gli aveva detto Akane in aeroporto, era solo stato capace di stare lì, a compiangersi; e non era neanche da lui fare così, ma Iwa-chan aveva mischiato le carte in tavola, e adesso la sua vita era nella confusione più totale, una trottola che girava senza fermarsi. Era arrivato al punto di non sapere neanche lui chi fosse, se l’atleta acclamato dai media, o il nerd fissato con la pallavolo e la fantascienza, e che probabilmente era gay.
«Non è stato facile» disse Hinata, risvegliando il ragazzo dalle sue riflessioni. «Ho creduto che lui non volesse più avere a che fare con me, a un certo punto.» Fece una pausa, il labbro inferiore che tremava. «Però non è stato così: certo, all’inizio cercava di ignorarmi, ma col tempo mi sono accorto che, in alcune occasioni, si comportava diversamente con me… Era gentile… e premuroso… Può sembrare strano, ma è così!»
Il tenero sorriso che si formò sulle labbra di Shoyo ebbe la capacità di far sparire completamente i sentimenti negativi che, fino ad allora, stavano mettendo radici dentro di lui. Si accorse che quel sorriso l’aveva visto già sul volto di qualcun altro, o almeno, qualcosa di simile; del resto, quando si è innamorati si tende a esaltare tutto quello che appartiene all’altro e che ti fa andare fuori di testa, ma quel sorriso era lo stesso che aveva Iwa-chan quella sera, sul ponte. Non aveva nulla di diverso da quel sorriso che gli rivolgeva, quando alzava gli occhi al cielo e scuoteva la testa, come quella sera al parco, quando ancora doveva cercare di capire che nome dare a quello che provava.
Che Iwa-chan fosse…?
«A fine della partita, è venuto lui da me… E mi ha detto che era stato uno stupido e che aveva sbagliato tutto. È stato anche abbastanza divertente!» rise, le gote adesso velate da un rossore tenue, lo stesso che si vede poco prima che la luce del sole sparisca all’orizzonte.
Oikawa sbatté gli occhi, ancora stralunato, prima che il rosso gli sorridesse, in maniera sincera e si rivolgesse a lui, sapendo esattamente cosa stava pensando l’altro: stava pensando a lui. Come aveva fatto Hinata per più di un anno, forse due, continuando a stare accanto a una persona che credeva non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti. E, adesso, stavano assieme, sia fuori che sul campo, come voleva da sempre.
«Ascoltami, Oikawa-san – disse, prendendo il coraggio a due mani – se è vero che questa persona ha degli atteggiamenti particolari nei tuoi confronti, allora non ti arrendere. Io non l’ho fatto, eppure mi è capitato un sacco di volte di sentire Kageyama sempre più lontano… Dagli tempo. Continuante a vedervi come avete sempre fatto e non pressarlo troppo.»
In un’altra occasione, se fosse stato abbastanza lucido, avrebbe sicuramente detto a quel ragazzo che era l’ultima persona da cui avrebbe voluto ricevere consigli; in quel momento, però, Oikawa si rese conto che quello che gli aveva appena detto aveva un suo senso logico, che… aveva perfettamente ragione. Kageyama e Iwaizumi erano completamente diversi – questo era ovvio – ma la situazione era più o meno la stessa: perché non avrebbe dovuto funzionare con lui?
Riposò le braccia sulla ringhiera, sentendo una risata nervosa crescere lungo la sua gola, e la lasciò uscire poco dopo, passandosi una mano sui capelli come uno scienziato pazzo che era appena stato colto da un’idea fulminante.
«Lo sai, Sho-chan?» disse, e Hinata si stupì di sentirsi chiamare in quel modo. «Non sei male come pensavo…»
Il ragazzo fece un sorriso luminoso, come sempre, e per un po’ nessuno dei due si mosse, né disse niente.






Raggiunsero Kageyama e la nuova squadra della Karasuno poco dopo, quei ragazzi che non la smettevano di fissarlo, avendolo riconosciuto immediatamente. Come c’era d’aspettarsi, il giovane setter aveva atteso il suo fidanzato, pur sapendo che ci stava mettendo troppo tempo, e non mancò di dirglielo non appena se lo ritrovò davanti, storcendo il naso nel vederlo accompagnato da Oikawa-san. Sottovoce, gli disse che gli avrebbe spiegato dopo.
Vedendoli da una prospettiva diversa, il castano si rese conto che, effettivamente, quei due stavano benissimo assieme: erano due imbecilli totali, non c’erano dubbi, ma quel piccoletto tirava fuori quel lato di Kageyama che, per anni, aveva tentato di seppellire con tutte le sue forze. Era il consorte perfetto per riuscire a tenere bassa la cresta del Re.
Restò poco con loro, salutando i due ragazzi, non prima di averli pizzicati con qualche battuta pungente, uscendo poi dal palazzetto. Fuori, l’aria era frizzante e il vento soffiava forte, abbattendosi sugli alberi circostanti, scuotendoli. C’era freddo, ma non troppo, eppure Oikawa sentì il necessario bisogno di stringersi nella sua amata giacca blu e si portò la sciarpa di Iwa-chan a coprirgli il viso. Quella sciarpa che, oramai, era diventata il suo appoggio, la sua ancora di salvezza, la sua ultima possibilità di cambiare le sorti della partita.
Quella sciarpa significava che, no, Iwa-chan non gli era indifferente. Perché, se lo fosse stato, se sul serio non avesse più voluto avere a che fare con lui, l’avrebbe abbandonato tempo fa. Certo, forse ci si era messo il destino dalla loro parte, ma questo Oikawa non poteva saperlo.
Come ogni bambino, il destino gioca e muove i pezzi a suo piacimento.
Se non si fossero incontrati, quella mattina al parco, forse le cose sarebbero state diverse, forse non l’avrebbe rivisto per davvero; ma l’aveva rivisto, invece, e adesso sapeva per certo di avere innestato qualcosa in lui, che in qualche modo anche lui si sentiva legato a questo loro rapporto, qualsiasi cosa fosse.
Respirò a pieni polmoni, e le sue narici si riempirono degli odori dell’inverno che, piano piano, stava andando via, e insieme a questi si mischiò il profumo del dopobarba del giornalista. Se avesse potuto, si sarebbe beato di questo profumo per tutta al vita, desiderando ardentemente di poterlo sentire addosso.
Prese il telefono tra le mani, sbloccandolo e cliccando sull’icona della rubrica. Voleva chiamarlo, non per chiedergli se avesse pensato a quello che gli aveva detto, ma solo per sentire la sua voce, sapere come stava, magari per uscire…
Quel ragazzo aveva ragione, non doveva forzare troppo la mano. Durante una partita bisogna osare, certo, ma bisogna anche saper aspettare l’occasione giusta; e, con un po’ di pazienza, Oikawa era quasi certo che l’avrebbe trovata e avrebbe finalmente ricevuto la risposta del ragazzo.
Stava per chiamare quel numero segnato ancora sotto il nome di “Iwa-chan”, quando il telefono cominciò a vibrargli tra le mani, in un primo momento senza capire il perché. Qualcun altro lo stava chiamando, ma non era Iwa-chan: era sua sorella.
Ancora perplesso, agganciò la chiamata. «Pronto?» Dall’altro capo si sentivano solo voci lontane e metalliche, sua sorella che parlava in maniera confusa, nel panico più totale. «Hoshi, aspetta… Non riesco a capire niente se parli così! Calmati.»
Ci volle un po’ prima che sua sorella riuscisse a parlare in maniera comprensibile, tradendo comunque una nota di ansia nella sua voce. E dopo quello che gli disse, Tooru capì anche perché.
Il freddo invernale quasi lo trafisse mentre sua sorella parlava, le gambe che cedevano e il telefono che rischiava di scivolare dalle sue mani.


 



~





 
[6 febbraio 2017] 






Era un codardo. Un emerito codardo.
Non aveva paura di salire su un albero, rischiando di cadere e rompersi qualcosa per prendere un insetto; non aveva paura di fronteggiare i suoi colleghi, pur sapendo che molti di questi erano il doppio di lui, in quanto a stazza; ma per quanto riguarda l’idea di contattare Oikawa… ecco, Iwaizumi era scappato a gambe levate, proprio come aveva fatto quella sera – anche se aveva avuto la decenza di fermarsi e sentire che cosa avesse da dire il giovane.
Non l’aveva cercato, non gli aveva mandato neanche un messaggio, la foto del profilo di Oikawa che continuava a tormentarlo. Quel faccino sorridente che ammiccava alla fotocamera, la lingua di fuori e le dita che facevano il simbolo della vittoria, aveva la capacità di farlo sentire tremendamente in colpa, come se lui volesse effettivamente dargli una risposta.
Il problema era che non l’aveva, questa fatidica risposta.
Quella sera aveva compiuto un gesto spontaneo, fatto senza che il suo cervello acconsentisse veramente; e il vedere Oikawa in quel modo, che lo guardava come se quel momento fosse stata la cosa più preziosa dei suoi ultimi anni di vita, smuoveva in lui qualcosa, una miscela potente e simile a quelle che preparavano le streghe nelle favole. Se avesse spiegato a sua zia tutto quel tumulto interiore, probabilmente gli avrebbe detto che non c’era nulla da fare, e che a lui Oikawa piaceva sul serio.
Eppure, non riusciva a smettere di pensare a quanto fosse sbagliata l’intera faccenda, a quello cui avrebbe dovuto pensare per prima. Aveva una figlia, una ex-moglie, come avrebbero mai potuto reagire a una tale dichiarazione?
Ecco cos’era che lo rendeva un codardo di prima categoria: l’idea di essersi innamorato – e questa volta sul serio – lo spaventava, specie se si trattava di un amore verso un uomo.
La frase che aveva detto Tooru lo aveva spaventato, perché lui avrebbe voluto continuare a vederlo, ma… doveva smettere. Per il bene suo, per quello di tutti, dovevano smettere di frequentarsi. Dovevano incontrare nuova gente, vedere nuovi posti, e magari un giorno si sarebbero rivisti per strada, si sarebbero salutati, e la storia sarebbe finita lì, senza alcun risentimento.
Quando ci pensava, però, Hajime sentiva un dolore al petto che quasi gli lacerava il cuore in mille pezzi. E questo, era uno degli altri motivi per cui non aveva preso un posizione determinante nei confronti del giovane setter.
A riscuoterlo dai suoi pensieri, fu il rumore delle molle del suo divano e il peso di una persona che si sedeva poco distante da lui. Saettò lo sguardo dallo schermo del computer – dove stava concludendo il nuovo articolo – alla persona che si era appena seduta accanto a lui.
Tomoko di solito non portava le gonne, le odiava, proprio come sua madre; quella sera, però, aveva deciso di mettersene una, lasciando scoperte le gambe, indossando un tailleur marrone che le calzava a pennello. Hajime non l’aveva mai vista così elegante, anche se il viso rimaneva sempre pulito e non troppo impiastricciato da trucchi inutili. Si passò un ciuffo dietro l’orecchio, i restanti capelli legati in uno chignon, in leggero imbarazzo, e lui si limitò a sorriderle, non sapendo però che cosa fare.
Oltre ad essere un codardo, Iwaizumi era anche uno stronzo – e sì, se lo diceva persino da solo.
Perché, pur di dimenticare i suoi problemi, pur di convincersi di quello che non era in realtà, pur di trovare una soluzione al suo problema, aveva riposto nella sua migliore amica degli obiettivi che, in verità, non avevano alcun fondamento. Era come se avesse un bisogno disperato di trovare un rimpiazzo a Oikawa, come se la cotta di Tomoko fosse il pretesto perfetto, e lui si sentiva un autentico mostro.
Sperava davvero che, sì, stando con Tomoko sarebbe riuscito finalmente a voltare pagina, chiudere quel capitolo della sua vita e ricominciare daccapo. E, se il nuovo inizio sarebbe stato accanto alla ragazza, tanto meglio per tutti… no?
«Ti è piaciuta la cena?» le chiese poi, per cercare di smorzare la tensione.
«Oh, era tutto squisito, grazie!» rispose, sorridendo, le guance leggermente colorite.
Quello che Iwaizumi non poteva sapere era che anche Tomoko stava adottando un gioco simile. Sapeva benissimo che, in realtà, il ragazzo non aveva smesso di pensare a Oikawa, si vedeva dal modo con cui fissava il cellulare; e sapeva anche che il suo intento non era quello di frequentarla perché era sinceramente interessato, ma per dimenticare proprio quel ragazzo che, per entrambi, era diventato un tormento. Per questa ragione, aveva deciso di continuare a vedere Iwaizumi, dicendogli che non se l’era presa per il bacio e accettando l’invito a cena a casa sua. Se lui voleva fare di tutto per dimenticarlo, allora lei avrebbe fatto di tutto perché fosse così, magari conquistandolo.
Era un cane che si inseguiva la coda, in un certo senso, e il destino si stava divertendo un mondo a vederli così.
Si sentivano entrambi meschini e crudeli, sfruttando l’altro a loro piacimento. Si dice che in amore e in guerra è tutto lecito… Ma quello che c’era tra di loro non era di certo amore, era solo qualcosa di malsano, e in un certo senso entrambi sarebbero voluti tornare alla loro semplice quanto forte amicizia.
Era come se, d’un tratto, tutte le certezze che avevano sul loro rapporto, sul loro stare insieme, fossero crollate, e adesso non sapevano come comportarsi; c’era dell’imbarazzo, certo, ma aveva un retrogusto simile a quello che lascia una medicina sulla lingua.
«È il nuovo pezzo…?» chiese la ragazza, titubante, sporgendo un po’ il collo per vedere quello che c’era scritto.
Il ragazzo annuì. «Sì, sto quasi per finirlo.»
Continuò a battere sulla tastiera, e solo allora si accorse che Tomoko si era fatta più vicina, in modo da poter avere una visuale migliore dello schermo. Non era la prima volta che succedeva, anzi, era capitato più volte, e si chiese che cosa provasse lei ogni qualvolta capitasse. Il suo cuore, probabilmente, faceva una serie di giravolte quadruple, mentre lui non sentiva assolutamente nulla. Era tutto normale, come prima, il suo cuore stava bene. Non come quella sera, quando Oikawa era venuto a casa sua e si era messo a giocare con Akane…
«Secondo me ci vuole una virgola, qui» disse, indicando col dito il punto esatto, e in quel momento si rese conto che la sua guancia era praticamente appicciata a quella di Iwaizumi. Se lui si fosse girato, avrebbero avuto l’occasione perfetta per scambiarsi un altro bacio.
Lei l’avrebbe voluto con tutta se stessa… ma lui?
Si ritrasse, le guance adesso in fiamme, balbettando una serie di scuse e agitando le mani davanti a sé. L’altro, intanto, era rimasto impassibile.
«Non ti devi scusare» le disse, parlando con un tono neutro, che raramente usava con lei. Tomoko era una persona docile, che spesso faceva uscire quel lato paterno che utilizzava solo con Akane, ma nulla di più. Non c’era nulla di più. «Ci stiamo frequentando, giusto? Quindi è normale che cose del genere accadano.»
Si stavano frequentando?
Hajime non era poi così sicuro, e forse non lo era neanche la stessa ragazza. Quando si erano rivisti in ufficio, si era subito affrettato a scusarsi per il suo gesto, e la ragazza l’aveva presa con diplomazia, dicendo che non c’era nulla per cui allarmarsi. L’invito a cena venne dopo, era stata una decisione presa sul momento, senza rifletterci veramente, e adesso si pentiva amaramente di averle proposto una cosa del genere.
Tomoko era una – forse l’unica – delle sue amiche più care, la persona che era riuscita a inserirlo tra le fila dei giornalisti, la persona che lo teneva sempre informato sulle mostre fotografiche, la persona che comunque Hajime proteggeva da qualsiasi cattiveria. Eppure, non provava le stesse cose che sentiva lei per lui.
C’era qualcosa che rimaneva con persistenza quando stava con lei, quando stava con tutti: la sensazione di vuoto. La stessa di cui parlava Oikawa, e che lui aveva tanto canzonato; la sensazione che, appunto, non provava più quando stava in compagnia del ragazzo, come se avesse trovato il pezzo mancante e tutto fosse tornato al proprio posto. 
Iwaizumi, però, era reticente, quel pezzo non voleva posizionarlo. Perché, se non c’era il vuoto, allora c’era la paura e tante incertezze.
La ragazza annuì, confermando l’affermazione del ragazzo, tornando con la testa china, le mani giunte, mentre l’altro riprendeva a scrivere.
Tomoko odiava quella situazione, odiava tutto questo. Non stava facendo alcun progresso, era come se Hajime si fosse trincerato in se stesso, come la prima volta che l’aveva conosciuto, in sala stampa: una persona fredda, che si lascia scivolare tutto addosso e che ha perso l’interesse per qualsiasi cosa. E sapeva che non era lei a innescargli tutto questo, ma il contesto in generale, gli avvenimenti degli ultimi mesi, ed era per questo che Tomoko si odiava.
Sì, si odiava, perché sapeva che il suo intento non avrebbe portato a nulla. Hajime tornava a far trasparire le sue emozioni solo quando fissava la foto con sua figlia sul cellulare, o quando fissava la foto del profilo di Oikawa. L’aveva visto, più volte, mentre lo faceva.
Poteva dire che non provava nulla per quel ragazzo, che forse si trattava di una cosa passeggera e che il loro frequentarsi l’avrebbe portato a dimenticare tutto, ma Tomoko sapeva che non era così, in fondo. Il suo sguardo diceva fin troppo.
Scosse la testa, afferrando il telecomando posato sul tavolino basso. «Posso?» chiese, e ricevuto il consenso del ragazzo, accese il televisore, facendo zapping da un canale all’altro.
Il ragazzo alzò lo sguardo dallo schermo del portatile per un attimo. Sua zia aveva ragione, era sempre stato una frana con le donne; Minori era stata la prima ad approcciarsi, chiedendogli di uscire, non lui. Non aveva idea di come ci si dovesse comportare con una donna, e adesso si rese conto di cosa intendesse sua zia quella sera. Non che a lui il gentil sesso non piacesse per niente, ma con Oikawa era stato tutto più semplice, perché era lui. Forse c’era dell’attrazione fisica – sì? No? –, tuttavia non era quello che aveva colpito Hajime: per quanto possa essere assurdo da dire, era stato il suo modo di fare che l’aveva colpito.
Nessuno era mai stato capace di rivolgersi a lui così, senza che ci fosse la pietà di mezzo.
Tornò a scrivere le ultime righe, imponendosi un minimo di concentrazione, Tomoko che aveva scelto di guardare un telegiornale sportivo, ovviamente. Scrisse la conclusione in pochi secondi, stiracchiando poi le braccia in alto e ricontrollando quante pagine avesse fatto.
«Ho finito!» Stava per chiedere alla ragazza se le andava di sentire quello che aveva scritto, ma appena si voltò verso di lei, vide il suo viso farsi bianco come la carta, gli occhi totalmente sbarrati. «Tomoko…?»
Seguì lo sguardo della ragazza puntato al televisore, e in un primo momento non riuscì a scorgere la notizia di cui stava parlando la presentatrice; poi, qualcosa lo colpì dritto al petto, una sensazione che faceva male quanto una lancia appuntita. Senza rendersene conto, le sue mani cominciarono a tremare, e la sua espressione era esattamente la stessa di Tomoko-san.
Ricordi che credeva di aver sepolto per sempre, vennero nuovamente fuori, come se fosse stato scoperchiato il vaso di Pandora.

«Mi raccomando, vai a letto! Non ci aspettare alzato, torniamo presto, va bene?»

Il viso di sua madre, sorridente, una mano stretta a quella di suo padre, apparve improvvisamente sul suo campo visivo, assieme a quella voce docile che riusciva comunque a farsi rispettare. Quella fu l’ultima cosa che gli disse, prima che entrambi uscissero fuori di casa, e adesso avrebbe voluto urlargli di non farlo.

«Hajime-kun… Mamma e papà non torneranno a casa…»

Adesso, vedeva il volto della babysitter davanti a sé, sul volto un’espressione addolorata. Era rimasta con lui tutta la notte, mentre lui dormiva, ignaro di tutto, e quella mattina era sceso dalla scale, un giocattolo in mano, convinto di trovare sua madre che preparava la colazione. E invece trovò lei, le occhiaie che le segnavano gli occhi.
«Hajime…» mormorò Tomoko, stingendogli un lembo della manica, ma il ragazzo non la stava ascoltando, troppo intento a fissare l’immagine che aveva davanti.
Era una foto che era stata scattata durante la selezione per le Olimpiadi di Londra, e rappresentava Oikawa, la divisa della Nazionale addosso, che abbracciava una donna. Sembrava una persona mite, ma allo stesso tempo dal carattere molto forte.
No, decisamente non sembrava una persona così debole…
Lesse ancora una volta il titolo della notizia, non riuscendo seriamente a crederci, le orecchie che gli fischiavano.
La madre di Oikawa era morta qualche ora prima.






Il destino non era responsabile di una cosa del genere. Era venuto a fargli visita un omone, alto e magro, vestito di grigio e nero, che aveva deciso di scombinare le regole del suo gioco, e adesso il destino se ne stava in un angolino a piangere, arrabbiato e frustrato.
Adesso più che mai, però, Oikawa aveva bisogno di Iwaizumi. E forse, ce l’avrebbe fatta a superare quella maledetta linea.



 
[Oh, you can't hear me cry
See my dreams all die
From where you standing on your own
It's so quite here
And I feel so cold]



 
Delucidazioni:
EHI! GUARDATE CHI E’ TORNATA! UN’AUTRICE ESTREMAMENTE SADICA E MASOCHISTA! *balla avvolta dalle fiamme*
No, tornando seri: ora vi chiederete perché ho deciso di fare una cosa del genere… E la verità è che non lo so nemmeno io.
Quando ho iniziato a stendere la storia, sapevo già che avrei dovuto scrivere questa parte; anzi, vi dirò di più, nell’idea originale Oikawa doveva finire in coma per via di un incidente, E FRACAMENTE PREFERISCO QUESTO A QUELLO SCENARIO, KAY? *una folla inferocita la insegue*
Che altro dire su questo capitolo?
Dovevo inserire quei precious babies di Hinata e Kageyama, giusto per darvi un po’ di gioia prima della mazzata finale. E spero che la mia kohai apprezzi ♥
L’idea che si siano messi assieme dopo il torneo interscolastico mi fa impazzire, e io continuo a sperare che questa cosa accada anche nel canon… *piange dalla disperazione*
Inoltre, mi piace proprio l’idea di vedere Oikawa che parla con Hinata, NON CHIEDETEMI PERCHE’!
Per chi avesse letto anche “Like an Astronaut”, sì, per me la sorella di Oikawa si chiama Hoshi oramai, punto. La canzone per questo capitolo è So Cold di Ben Cocks, vi consiglio di ascoltarla perché è bellissima e devastante.
Ci si vede alla prossima. Preparate i fazzoletti.
_Lady di inchiostro_

L’uccellino cinguetta ♥ 
  
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