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Autore: IntoxicaVampire    15/09/2017    0 recensioni
«Ma... come fai?» gli chiesi, annebbiata da quel tepore. «Non fa male». Fissai il fuoco, che era basso e di un colore rosso intenso.
«Non ti farei mai del male, Rosalie».
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Alla Sky High, scuola per giovani aspiranti supereroi, Rosalie Frozehart, "Freeze Girl" con il potere del ghiaccio, è da sempre innamorata di Warren Peace, il ragazzo con il potere del fuoco. Ma Ghiaccio e Fuoco sono due Elementi opposti per natura, possono essi convivere senza distruggersi l'un l'altro? Il loro amore così contrastato potrà realizzarsi? Entrambi soffrono eppure è così difficile resistere a un amore reciproco così intenso...
Genere: Science-fiction, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Warren Peace
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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29. Every day and every night

Sapevo come sdebitarmi con loro.

Proprio quella sera facevano un altro evento anni '90 nella stessa discoteca dell'altra volta, e quale migliore occasione di questa per riscattarmi? Avrei potuto rimediare alla disastrosa serata dell'altra volta e farla andare come avrebbe dovuto.

Warren era da me, stava aspettando che finissi di prepararmi per poi andare assieme alla discoteca.

Sebbene avessi terminato sia di vestirmi che di truccarmi, non ero ancora pronta psicologicamente. Non mi sentivo ancora del tutto preparata per affrontare quella prova. Perché sotto sotto avevo ancora paura di ricadere nell'errore dell'altra volta.

Stare lì a fissarmi davanti allo specchio a contemplare la mia esistenza non avrebbe risolto nulla. Uscii in corridoio titubante, con la borsetta fra le mani, cercando di camminare a passo più sicuro che potevo. Ma tra i tacchi alti, Pixel che mi gironzolava attorno e le gambe che mi tremavano, inciampai sull'ultimo gradino che portava dal corridoio al salotto e quasi caddi per terra.

«Ehi» disse Warren, afferrandomi prontamente. Mi obbligò ad alzare lo sguardo. «Che c'è, piccola?»

Scossi la testa, serrando le labbra.

Mi studiò un attimo, poi sorrise lievemente, rassicurandomi. «Non serve essere nervosi.»

Lo guardai negli occhi, cercando di rimanere più calma possibile e di non fargli notare che stavo tremando. «Ho paurissima di fare come l'altra volta. Non voglio. Non so se sia una buona idea andare.»

Lui teneva le mani sulle mie spalle, quindi sicuramente aveva notato i miei lievi tremiti. Mi accarezzò un braccio. «Non succederà. Abbi fiducia in te stessa. Io mi fido di te.»

Abbassai di nuovo lo sguardo. Lui aveva sempre le parole giuste per ogni occasione, ma in quel momento mi era molto difficile applicarle alla realtà. Sapevo come andava a finire con i miei buoni propositi...

Vedendo che non sembravo migliorare e che continuavo a stare a testa bassa, Warren infine sospirò. Ma sembrava un sospiro non che fosse stufo, ma più che altro che significasse "non mi lasci altra scelta". E così cominciò a cantare a bassa voce, molto dolcemente: «I still believe in your eyes. I just don't care what you've done in your life. Baby I'll always be here by your side... There is no choice I belong to your life, and I'll fly with you...»

Lo guardai sbalordita. Non ci potevo credere! Quelle erano le meravigliose parole di L'amour Toujours, e capii subito il perché della sua scelta. Avevano un doppio significato in quel momento: rappresentavano i suoi sentimenti e la sua fiducia nei miei confronti, ed erano l'emblema della musica anni novanta, che aveva rischiato di distruggere il nostro rapporto e che ora invece avrebbe rimesso in sesto. Era un modo per dirmi che mi aveva perdonata, che credeva in me e che non mi avrebbe mai abbandonata qualunque cosa sarebbe successa, usando proprio quella che forse era in assoluto la mia canzone preferita. Che meraviglia.

Mi vennero le lacrime agli occhi, lo guardai senza riuscire a dire una parola, e lo baciai per fargli capire cosa pensavo di quello che aveva appena fatto per me. Grazie alle sue parole avevo riacquistato la fiducia in me stessa, ed ora ero sicura al cento percento di potercela fare. Per noi.

Prima di uscire da casa, Warren mi fermò sulla soglia e mi parlò. «Ah, un'ultima cosa.»

Lo guardai curiosa, stringendo la mia borsetta.

«So che ti preoccupa il fatto di non riuscire a gestire la nostra relazione, le amicizie e i tuoi impegni. E che hai bisogno di stare da sola. Ma, se ti va... possiamo stare da soli insieme.» Mi fece un sorriso così sincero che venne da sorridere anche a me.

Gli chiesi di spiegarsi meglio. «In che senso?»

«Beh...» Afferrò dolcemente la mia mano e la strinse nella sua. «Se hai bisogno di silenzio e calma per scrivere e disegnare, possiamo stare vicini. Senza parlarci. Io faccio le mie cose e tu fai le tue. E intanto ci facciamo compagnia. Non è necessario parlare per stare bene assieme, no?»

Le sue parole mi commossero. Nessuno prima di lui aveva mai capito che io avevo bisogno proprio di questo. Stare da soli insieme... ma certo, così intanto avremmo passato del tempo assieme, sfruttandolo per gestire i nostri impegni. Era l'idea perfetta. E aveva ragione: ci bastava la presenza l'uno dell'altra per essere felici e sentirci bene. Anziché stare da soli isolati dal resto del mondo, saremmo stati isolati con la nostra dolce metà.

«Tu hai capito tutto di me» gli dissi, con un sorriso quasi divertito da quanto ero sorpresa, poi lo baciai di nuovo e ci avviammo per presentarci alla festa.

 

Ero stata fedele a me stessa. Avevo mantenuto le mie promesse e la serata era andata come dovuto. Ed era stata meravigliosa. Ero talmente felice che quasi mi venne l'impulso di invitare Warren a dormire da me quella notte, ma mi trattenni pensando che era meglio di no. Non avevo cattive intenzioni eh, sia ben chiaro (l'importante è essere convinti), ma eravamo così innamorati che non ero sicura che saremmo riusciti a pensare lucidamente... e poi i miei erano a casa, quindi niente da fare in ogni caso. Volevo comunque passare del tempo in sua compagnia, così lo invitai il giorno dopo, domenica, a venire in passeggiata con me al pomeriggio dopo pranzo. I miei erano andati a pranzo con i Bradford, i genitori di Joe, e con i Nightingale, i genitori di Scarlett. Essendo noi tre amici, lo erano diventati anche le nostre famiglie, e non erano rare le volte in cui si trovavano a mangiare assieme e poi per una partita a golf. Così, avendo il pomeriggio libero e voglia di stare all'aria aperta, ne volevo approfittare per portare in passeggiata Black e magari anche schiudere un uovo da dieci chilometri su Pokémon Go... ehehe. (ovviamente era questa la mia intenzione principale, ma shhh che rimanga un segreto fra di noi.)

Warren mi raggiunse verso le due. Era la prima volta che vedeva Black, il quale dopo un'attenta analisi olfattiva, gli saltò addosso e gli fece un sacco di feste.

«Gli piaci» dissi a Warren, ridendo.

Lui grattò la testa al Terranova. «Mi sono fatto un nuovo amico!»

Risistemai la pettorina a Black, afferrai il guinzaglio e ci avviammo tutti e tre per la nostra passeggiata quotidiana.

Durante il tragitto Warren mi raccontò un bel po' di cose su di lui, cose che io ancora non sapevo. Informazioni personali sul suo passato. E su suo padre.

Non so come fossimo arrivati a parlare di questo argomento così delicato, ma sembrava che Warren fosse determinato a parlarmene. Forse pensava che fosse arrivato il momento giusto.

Barron Battle era un famoso scienziato, il migliore alla Bradford Inc., l'azienda dei genitori di Joe. La Porsche e anche la moto, ora passate a Warren, erano entrambi regali ricevuti da loro proprio perché era il loro miglior dipendente, nonché amico di famiglia. Andava tutto bene, finché un giorno lui impazzì per motivi ancora ignoti e iniziò a compiere azioni crudeli, trasformandosi in breve tempo nel più pericoloso supercattivo che minacciava New York. Il resto era storia: sconfitto dal Commander e Jetstream, i genitori di Will Stronghold, e rinchiuso in isolamento all'Arkham Asylum. Warren non lo vedeva da quando aveva sei anni, e non voleva nemmeno sapere nulla di lui. Sua madre, reduce dall'orribile esperienza col marito, aveva iniziato a lavorare come psicologa nelle carceri, con i peggiori cattivi e pazzi in circolazione, con la speranza che almeno loro potessero redimersi, e con gli ex-cattivi che si erano pentiti, aiutandoli a reinserirsi in società. E ancora oggi lei serbava, in fondo al suo cuore, il desiderio di capire cos'avesse scatenato l'improvvisa follia distruttiva del padre di Warren.

Così lei era spesso via da casa per il lavoro, e Warren trascorreva i pomeriggi assieme a dei vecchi amici di sua madre. Dopo la scuola andava da loro e ormai erano diventati come una seconda famiglia per lui. Erano giapponesi, i proprietari del Sakura, ristorante dove Warren lavorava tutt'ora come cameriere qualche sera a settimana. Quando era piccolo, al pomeriggio faceva i compiti assieme a Hinata, il loro figlio, che ormai era come un fratello per Warren. I genitori di Hinata, essendo lui nato e cresciuto negli Stati Uniti, gli facevano lezioni di giapponese, e così l'aveva imparato anche Warren. All'età di dodici anni Warren aveva voluto iniziare a dare una mano col ristorante, e i proprietari lo aiutavano economicamente dandogli un salario. Era poco, ma essendo solo lui e sua madre in famiglia, era meglio di niente. Almeno così Warren poteva provvedere a sé stesso.

Mi commossi a sentirmi raccontare tutte queste cose. Era come se Warren volesse farmi entrare a far parte totalmente della sua vita, voleva farmi sapere tutto su di lui, che lo conoscessi a fondo. Lui era molto misterioso, raccontava poco o niente di sé in giro, quindi queste cose le sapevano sicuramente pochissime persone. Anzi, forse solo Joe. Strinsi di più la mia mano nella sua mentre camminavamo, e mi accoccolai al suo avambraccio.

«Che c'è, amore?» mi chiese, accarezzandomi il dorso della mano col pollice.

«Mi piace tanto che mi racconti queste cose di te. Che mi rendi partecipe, che vuoi che io sappia tutto. Non sai quanto mi faccia piacere». Lo strinsi ancora di più.

Warren si fermò dalla camminata, mi fece girare verso di lui e mi baciò. In un bacio così intenso che barcollai e dovetti reggermi a lui per non cadere.

«Madonna...» commentai quando mi lasciò le labbra, senza fiato. Black alzò il muso verso di me e inclinò la testa, per vedere se era tutto a posto.

Warren mi prese il mento, magnetizzando i suoi occhi con i miei. Che sguardo sexy. «Certo che lo voglio. Niente segreti fra di noi, no?»

«Ti amo» gli dissi, dandogli un altro bacio. Prima di staccarmi, gli morsi il labbro inferiore, poi risi.

Mi girai in avanti per continuare la camminata. Warren mi diede una pacchetta sul culo, rise, poi mi mise un braccio attorno al collo e mi diede un bacio sulla guancia.

Intanto che passeggiavamo, mi tornò in mente che avevo nella borsetta il cellulare in standby. Prima bevvi un sorso d'acqua, poi presi il telefono e riattivai lo schermo, controllando i progressi su Pokémon GO. L'uovo si era quasi schiuso, mancava poco meno di un chilometro.

«Oh, stai giocando?» chiese Warren curioso, sbirciando lo schermo.

«Ne ho approfittato» ridacchiai.

«Cavolo, almeno ci pensavo anch'io! Aspetta che apro la app.»

Rimisi il cellulare in standby nella borsetta, nei dintorni non c'era alcuna creatura interessante. «Se vuoi te lo tengo io in borsa». Lo mise accanto al mio. «Alla fine che squadra hai scelto?»

«Rossa, ovviamente.»

Io ero della squadra blu. E la rivalità fra i blu e i rossi era leggendaria. «Rossooooo...» soffiai minacciosa, guardandolo velenosa e allontanandomi repentinamente da lui. Poi risi. «Però che domanda stupida, era ovvio.»

Infatti, la squadra rossa era rappresentata da Moltres, uccello leggendario di tipo fuoco, mentre la blu da Articuno, di tipo ghiaccio. E rossi e blu erano alleati nella rivalità contro la squadra gialla, rappresentati da Zapdos di tipo elettro.

Arrivati al parco, acchiappammo i nostri cellulari e facemmo a gara per chi riusciva a conquistare per primo la palestra gialla lì presente, ma la competizione era abbastanza ridicola perché nessuno dei due riusciva a batterla e alla fine ci arrendemmo, scoppiando entrambi a ridere.

«Che cavolo però ahahah» rise lui, sedendosi su una panchina dopo che tutti i suoi Pokémon più forti erano andati KO.

«Certo che...» iniziai, sedendomi vicino a lui «un appuntamento così io me lo sognavo da una vita! Chi l'avrebbe mai detto che un giorno sarei andata in giro a caccia di Pokémon assieme a Warren Peace?!». Ridemmo di nuovo. Già, era proprio un appuntamento romantico ♥. Non convenzionale, ma romantico.

Ci comprammo un gelato al chiosco del parco (sì, lo so che eravamo a novembre, ma noi volevamo un gelato, ok?) poi tornammo a sederci sulla panchina. A Black diedi alcuni snack che mi ero portata dietro apposta per lui. Warren tornò a raccontarmi del suo rapporto con Hinata. Trovavo strano che non mi avesse mai parlato di lui, essendo una persona così importante nella sua vita, ma finora non avevamo mai avuto proprio un momento in cui raccontarci questa cose personali, quindi ero contenta che me ne stesse parlando ora.

Mi disse che lui gli aveva fatto scoprire un sacco di anime e manga, e che spesso guardavano assieme dei film giapponesi particolari. Suicide Club, Audition, Battle Royale. Tutti horror che solo accennandomene la trama mi stavano venendo i brividi. Lui capì che era meglio cambiare argomento, e mi parlò di alcuni film d'animazione. Ovviamente conoscevo già Hayao Miyazaki, che era uno dei miei registi preferiti, anche se a dire il vero molti film dello Studio Ghibli non li avevo ancora visti. Mi parlò anche di Satoshi Kon, altro regista d'animazione, e mi disse che dovevamo assolutamente guardare assieme Paprika – Sognando un Sogno.

Io gli raccontai che assieme a Joe avevo visto un sacco di film di fantascienza. Siccome eravamo entrambi appassionati del genere, gli anni scorsi ci eravamo trovati spesso dei pomeriggi a casa di uno o dell'altra per vedere le pellicole che ci intrigavano di più. Dai classici Matrix, Blade Runner, Tron, ai più moderni Inception, Limitless, Lucy, In Time, Pacific Rim e molti altri. Contro la mia volontà, mi aveva fatto guardare anche Donnie Darko, che mi aveva provocato gli incubi per circa una settimana. Ma di recente, spinta da non so quale istinto suicida, avevo voluto rivederlo, perché l'avevo capito molto poco, e ora era diventato uno dei miei film preferiti. I viaggi nel tempo, i paradossi spazio-temporali, i wormhole... erano cose che mi affascinavano un sacco. Ma la cosa che mi affascinava più di tutte erano proprio i sogni.

«Parlami di Paprika» dissi a Warren. Già il titolo mi ispirava.

«È troppo complicato da raccontare». Rise. «Devi vederlo. Sono sicuro che diventerà uno dei tuoi film preferiti.»

Annuii. Intanto avevamo finito il gelato, così ci alzammo e ci incamminammo per tornare a casa.

«A proposito, sai che molte scene di Inception sono ispirate proprio a Paprika? Come quella in cui la ragazza rompe lo specchio».

Cercai di ricordare la scena, ma proprio non ci riuscii. «Ho visto Inception troppo tempo fa, non mi ricordo quasi niente! Devo rivederlo.»

Warren mi sorrise. «Beh, potremmo guardarlo adesso, no?»

«Ce l'hai?»

«Joe lo ha, no? L'avete guardato assieme. Torniamo da te, intanto. Io vado un attimo da Joe a chiedergli il film, poi ti raggiungo, ok?»

E così facemmo.

Dopo mezz'oretta che ero tornata a casa e che Warren era andato via, suonò il campanello. Andai ad aprire e trovai Warren con un'espressione ben poco contenta in volto.

«Ho portato delle patatine» disse.

In mano aveva due sacchetti di patatine fritte.

«Perché quella faccia?» gli chiesi, confusa.

Lui sospirò, si spostò di lato e dietro di lui spuntò Joe.

«Ehilàààààà!!! Rosalie! Come va la vita??» esultò, come se non mi vedesse da un mese.

Lo ignorai e guardai di nuovo Warren. «E lui cosa ci fa qui?»

Sospirò una seconda volta. «Quando gli ho detto che volevamo guardare Inception, ha voluto a tutti i costi venire a vederlo anche lui. Non sono riuscito a farlo desistere. Sai com'è...»

Sì, avevo capito tutto. Il potere persuasivo di Joe era proprio una rottura di scatole.

E desistetti anch'io. «E vabbè... ormai non c'è modo di farlo tornare indietro, e non posso mica chiuderlo fuori di casa... e poi il film è suo... Dai, entrate». Feci un passo indietro in modo che potessero passare.

Black, che si era accoccolato sul tappeto del salotto, appena vide Joe gli corse incontro per fargli le feste, abbaiandogli felice.

«Ho fatto i popcorn» dissi, portando la terrina sul tavolino davanti al divano.

«È sempre un piacere venire a casa tua, Rose» fece Joe con un sorrisone «hai sempre cose buone da mangiare». Beh, tra questi e le patatine che aveva portato Warren, non potevo dargli torto.

Mi sedetti sul divano. Warren si avvicinò per accomodarsi ma Joe fu più veloce di lui e si sedette in mezzo, fra me e Warren. Si prese la terrina tutto contento.

Alzai gli occhi al cielo e con tutta la calma di cui ero capace dissi: «Joe... Penso che tu percepisca nell'aria l'istinto omicida che mi sta salendo nei tuoi confronti».

Lui con la bocca piena di popcorn fece: «...ah?» Mandò giù il boccone e mi rispose: «Ah no no tranquilla a me non dà fastidio!»

Lo guardai con lo sguardo più assassino di cui ero capace. Warren intanto stava ridendo.

Joe mise un braccio attorno alle mie spalle e l'altro attorno a quelle di Warren. «Che bello passare il tempo con i propri migliori amici!»

Io lo fulminai ma lui continuava a sorridere beato, così alla fine gli saltai addosso e lo picchiai per farlo spostare. Stavamo ridendo a crepapelle.

«Va bene va bene mi arrendo!» disse lui con le lacrime agli occhi a furia di subire il mio solletico. Si spostò e fece sedere Warren in mezzo, così potevo stare vicino a lui. Mettemmo su il film e ce lo guardammo gustando i popcorn e le patatine fritte.

Finita la proiezione, mi assentai per andare in bagno. Quando tornai trovai Joe e Warren impegnati in una discussione molto accesa riguardo al film.

«No cosa anch'io voglio sapere!» Mi affrettai a raggiungerli: mi intrippavano un sacco quel genere di discussioni. «Di cosa state parlando?»

Mi rispose Joe. «Del vero utilizzo dei totem. Secondo me nel film non hanno specificato bene l'utilizzo nei propri sogni... perché lo usano per capire se sei in un sogno o nel mondo reale, ma anche se sei nel sogno tuo o in quello di un altro! Ma allora qual è la differenza?»

Sgranai gli occhi, seduta a gambe incrociate sul mio posto sul divano. «Hai ragione! Non ci avevo mai pensato. Siete già giunti a una conclusione?»

Warren disse: «Secondo me, nel sogno di un'altra persona non funziona, invece nel proprio sogno e nella realtà sì. Quindi nel finale del film il totem funzionerebbe in ogni caso, sia che lui stia sognando oppure no. Quindi c'è un lieve plothole.»

Lo guardai ammirata. «Osservazione interessante. Mi tocca darti ragione.»

«Sì, anch'io» disse Joe «Non trovo altra spiegazione.»

Restituii il dvd a Joe e lui e Warren si diressero alla porta per tornare a casa, dato che Joe era venuto lì assieme a Warren. Sulla soglia, quest'ultimo mi disse: «Ti voglio fare una proposta. Dato che Joe mi ha privato del privilegio di guardare i film di fantascienza con te, ti va di guardare assieme tutti i film dello Studio Ghibli? Anche quelli che hai già visto, ce li rivediamo tutti. Che ne dici?»

Lo guardai con gli occhi a cuore. «Dico che è un'idea stupenda!!! Che bello! Sai che volevo proporti una cosa del genere anch'io?»

Mi baciò in fronte. «Siamo proprio fatti l'uno per l'altra».

«L'hai detto.» Mi alzai sulle punte e lo baciai sulle labbra, assaporando quel breve momento di intimità prima di salutarci.

  
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