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Autore: Kat Logan    15/09/2017    4 recensioni
Esiste realmente la quiete dopo la tempesta?
C'è chi cerca di costruirsi un nuovo futuro sulle macerie del passato e chi invece dal passato ne rimane ossessionato divenendo preda dei propri demoni.
[Terzo capitolo di Stockholm Syndrome e Kissing The Dragon].
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Rei/Rea, Un po' tutti | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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- Questa storia fa parte della serie 'Mondo Yakuza'
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Cut my life into pieces
This is my last resort
 
Last Resort – Papa Roach
 
 
 


«A noi due».
Un guizzo chiaro sorvolò i fili d’erba che contornavano il lago del parco Ueno.
Jadeite, con gesto deciso, arrotolò le maniche della felpa sino ai gomiti per poi assumere una posizione accucciata col busto sporto tutto in avanti.
Il cielo tinto di un cupo grigiore e l’aria carica di umidità preannunciavano l’arrivo di un temporale. Era il momento ideale quello per trovarsi faccia a faccia con un corvo.
Era il suo giorno libero per tanto era arrivato di buon’ora.
Il suo giro di ricognizione era stato compiuto a passo di jogging. Aveva corso sotto ai rami semi spogli dei ciliegi e dei ginkgo biloba, ma s’interruppe subito dopo aver constatato la poca affluenza di cittadini nell’area verde.
Un battito d’ali fece cadere una manciata di foglie color ocra ai suoi piedi e in quel momento il suo sguardo captò l’immagine del corvide.
L’animale aprì il becco gracchiando sonoramente per poi svolazzare sul prato alla ricerca di cibo. Fu allora che Jadeite assunse quella che per lui era la posizione da predatore da tenere.
Braccia distese, corpo ricurvo in avanti e passo felpato.
Compì mezzo metro e l’uccello voltò nuovamente in sua direzione il capo ricolmo di piume nero pece.
«Fermo, da bravo…» sibilò.
Gli occhi del volatile puntati su di lui.
Jadeite deglutì. Un altro passo. Si drizzò appena e poi scattò in avanti.
Le dita afferrarono aria, il corvo balzò qualche metro più in là deciso a non farsi catturare mentre il ragazzo si ritrovò faccia a terra.
Sentì il gusto del terriccio sulle labbra, la pesantezza dell’aria prima della pioggia e quasi ringhiò. L’uccello lo stava fissando di nuovo e Jadeite ne era più che certo, stava ridendo di lui.
 
Il ragazzo soffiò. Palmi a terra fece forza sulle braccia rialzandosi per poi sedersi a gambe incrociate.
Forse doveva assumere un atteggiamento meno aggressivo ed essere più passivo.
Il corvo sembrò infischiarsene nuovamente della sua presenza e il biondo inspirò a fondo quasi fosse in meditazione.
Per Rei.
A Rei piacevano i corvi e lui gliene avrebbe procurato uno.
Perché mi sto prodigando in questo modo?
Il pensiero fu un fulmine a ciel sereno.
Al suo arrivo in centrale era stato snobbato alla grande dalla ragazza e il seguito non era stato dei migliori.
Un “cra cra” insistente lo distolse dalle proprie supposizioni. Non aveva importanza il motivo dei suoi gesti, sapeva solo di volerlo fare.
Un altro corvo al richiamo del primo atterrò nelle vicinanze del compagno.
Jadeite si scrollò un po’ di terra di dosso per poi alzarsi sulle caviglie e molleggiarsi sulle ginocchia, a metà tra la posizione eretta e quella seduta.
Il secondo arrivato, più diffidente del primo, abbandonò immediatamente il territorio mentre il primo si diresse verso lo specchio d’acqua. Fu allora che il cacciatore biondo passò nuovamente all’attacco.
Il ragazzo corse in direzione dell’ammasso di piume nere che si alzò da terra pronto a spiccare il volo. Riuscì a toccarlo e il corvo si voltò pronto a beccare la mano che aveva osato passare fra le sue penne.
Jadeite non si arrese, non sarebbe stato  nel suo stile. Saltò più in alto senza perdere la speranza di afferrarlo per la coda ma non badò a dove stava mettendo i piedi.
Fu un attimo. Perse l’equilibrio ritrovandosi ad affondare dentro al lago con tra le dite un altro fallimento.
 
 
 
***
 
 
«Michiru, credo dovresti prendere proprio questa!» Minako indicò con entusiasmo una culla tutta fronzoli dalle sfumature sul pesca.
Michiru non l’aveva mai immaginato così. Sin da ragazzina aveva creduto che un giorno si sarebbe ritrovata in un negozio per bambini, alle prese con un pancione ingombrante e il padre dei suoi figli a tenerle la mano.
Non era pentita di quel brusco cambio di rotta. Non era dispiaciuta che l’uomo alto della sua fantasia un giorno fosse stato sostituito da un’affascinante, giovane, donna dai capelli color grano.
Era grata ci fosse l’amica con lei, ma una punta di malinconia continuava a tormentarla.
Sarebbe stato perfetto con Haruka al suo fianco. Magari lei avrebbe storto il naso per il completino color rosa dicendo che anche una bambina aveva diritto ad essere una tosta sin dai suoi primi giorni.
«Ė tutto okay?».
Lo sguardo chiaro di Minako entrò in collisione con il suo. Doveva aver notato un cambio di espressione sul suo volto che probabilmente rivelava quanto le mancasse l’altra.
«Si» sorrise gentile Michiru. Tirò forse un po’ più del dovuto gli angoli della bocca ma non voleva apparire triste. In fondo aveva avuto una grande notizia. Era risultata idonea per fare la madre di quella che avrebbe ufficialmente chiamato Hotaru.
«Lei come sta? L’hai vista in questi giorni?» indagò sotto voce, carezzando la sponda in legno chiaro del lettino.
La bionda le portò una mano sulla spalla carezzandola piano.
«Se la cava. E sono certa che il muro d’orgoglio che ha tirato su tra poco si sgretolerà. A volte funziona davvero come un uomo…» ridacchiò per poi assicurarsi che anche Michiru tornasse serena.
«E il nuovo arrivo è previsto per…?».
«Settimana prossima. Mancano solo una manciata di giorni».
Michiru sospirò.
«Tu credi sia stata un’egoista ad andare avanti?».
L’altra si strinse nelle spalle.
«A volte bisogna esserlo per le cose giuste».
Il pensiero andò nuovamente ad Haruka. Avrebbe mai ceduto? Avrebbe mai accettato la cosa o il loro prossimo incontro avrebbe decretato la fine della loro storia una volta per tutte?
La faccenda aveva quasi dell’inverosimile. Era come se le cose si fossero complicate in maniera esorbitante da quando tutti erano riusciti a mettere le fondamenta per una vita normale.
«E quello non lo prendi? Avrai bisogno anche di un seggiolino tra qualche tempo!». Minako la strappò ancora una volta dai suoi pensieri facendola tornare con i piedi per terra.
«Dovrei?».
«Oh sì».
«E tu?» indagò Michiru. «Non dovresti prendere qualche vestito più largo?».
Minako arrossì violentemente.
«Non sono ancora incinta!».
«Ma magari accadrà presto e dovrai essere pronta con qualcosa di comodo!».
«Oddio...e se esploderò un giorno senza rendermene conto?».
«Ma cosa stai dicendo?» Michiru rise di gusto. «Sarai bellissima».
«E tu un’ottima mamma» ricambiò l’amica.
Michiru sperò ardentemente che quelle parole si rivelassero la più giusta delle profezie.
 

 
***
 
 
«Vorrei mi dicessi com’è stato tornare a casa».
Rei accavallò le gambe domandandosi la cosa giusta da dire.
Non aveva paura di vuotare il sacco, solo che le sue parole venissero giudicate come una sfilza di “sbagliato” e che non si potesse assicurare il proprio posto in centrale.
«Non saprei cosa dirle…» borbottò con poca convinzione alla terapista che aveva preso a fissarla da dietro un paio di occhialetti dalle lenti sottili e circolari.
«Potresti cominciare col dirmi come ti sei sentita».
«Come fossi entrata in un cimitero» sputò senza doverci troppo pensare sopra.
Ricordava perfettamente la sua mano sul pomello dopo aver girato le chiavi nella toppa. Il freddo del metallo tra le dita e lo sguardo fisso di Sadao su di lei che non accennava a far un passo né tanto meno a scostare la porta per intravedere la soglia del corridoio.
“Non ce la faccio” aveva esalato.
Sadao si era concesso di metterle una mano sulla spalla e lei si era ritratta di scatto perché per un momento aveva creduto si trattasse da Setsuna.
Una sensazione sinistra alla bocca dello stomaco.
Era stato come desiderare fosse vero e allo stesso tempo come se invece si trattasse solo di una persecuzione.
«Non ho dormito».
«Solo la prima notte?».
«No, tutte e tre le notti non ho chiuso occhio» puntualizzò la mora decidendo di non guardare direttamente l’altra donna.
Il letto non era solo troppo grande ma anche freddo. E ogni volta che si girava dalla parte di Setsuna era come ritrovarsi sulla lastra gelida di un obitorio e da lì una serie di macabri pensieri le offuscava la mente senza darle tregua.
«Il sonno è importante; ancor più nel tuo caso» la terapista lo disse strappando un foglietto per poi sporgersi verso Rei e porgerglielo.
Sonniferi che si aggiungevano alla lista di pastiglie entrate a far parte della sua dieta.
«Solo per questo primo periodo» sembrò cominciare un’opera di convincimento con quella frase e lo sguardo rassicurante.
La ragazza non proferì risposta. Era strano sentirsi costantemente esausti e non riuscire a riposare. E dentro di lei si combatteva una guerra ai limiti della follia. Una piccola parte credeva che ridursi sino allo stremo l’avesse portata a vedere Setsuna ancora una volta, mentre quella razionale s’imponeva di non cedere e reagire una volta per tutte per tornare in carreggiata.
«Parlami di ciò che è accaduto durante il tuo ricovero».
«Ho già deposto alla polizia la mia versione».
«No, Rei. Non voglio il racconto dei fatti o l’identikit di qualcuno. Vorrei capire cosa ti ha fatto scattare. Ė stato istinto di sopravvivenza, difesa o qualcosa di autodistruttivo? A cos’hai pensato quando hai reagito?».
«Ho fatto ciò che richiede il mio mestiere».
«Balle».
Rei si accigliò. Da quando in qua uno strizza cervelli sputava sentenze.
«Menti finché vuoi. Fallo con gli amici o a te stessa, ma non con me. Di gente come te ne passa a bizzeffe nel mio studio. E credimi, questo non ti aiuterà a tornare più velocemente al lavoro».
«E va bene» il tono della mora si fece grave e dovette sforzarsi per rimanere seduta e non scattare in piedi come una furia.
Le si stava gelando il sangue nelle vene al solo pensiero di dire palesemente quello che sulla punta della lingua spingeva contro le gengive.
«Lo cataloghi come vuole…» Rei lo ricordava bene cos’aveva provato. Si era quasi spaventata a ripensarci a mente lucida. «Non era autodifesa, né nient’altro di nobile…».
Puro istinto omicida. Follia.
«Era giustizia». Vendetta.
«Ma giustizia è già stata fatta. La responsabile si trova in pri-».
«Non mi parli di giustizia, di galera o di pena da scontare…». L’unica in gabbia era la stessa Rei e perdita e dolore erano i suoi peggiori carcerieri.
«Non l’avresti avuta comunque indietro. Nulla la riporterà indietro» la donna le presentò su un piatto d’argento la verità nuda e cruda.
A Rei mancò il respiro nel prendere consapevolezza di quelle parole.
Era uno schiaffo in faccia senza precedenti e se solo fosse stata in piedi e non ancorata ai braccioli della poltrona si sarebbe sentita mancare la terra sotto ai piedi.
«Ė come riprendere a camminare dopo che si è persa una gamba, Hino. Quella parte di te non esiste più, non ti verrà mai restituita eppure alle volte l’avvertirai. Sarà come se non se ne fosse mai andata, sentirai un dolore lancinante laddove prima c’era il polpaccio o la caviglia…».
E anche Setsuna sarebbe stata come la sindrome dell’arto fantasma.
«Non sarà facile. Non lo è mai. Sarai arrabbiata, triste, disperata. Cercherai di afferrare quello che non c’è più una, due, tre, quattro, cinque volte. Poi passerà. E senza che tu possa farci niente riprenderai a camminare anche senza la gamba che ti ha tenuto in piedi per tutto il tempo. Lo farai. A volte ti guarderai allo specchio e la cercherai…ma andrai avanti. Senza».
 
 
***
 
 

Haruka era stata a Chiba.
Aveva cercato di mettere a tacere quell’idea ma la convinzione che di lì a poco sarebbero stati tutti nuovamente sotto scacco era stata più forte del resto.
Era arrivata davanti al carcere nel quale Sadao aveva detto di aver scortato Eudial, per poi sostare a fissare le cancellate rinforzate col filo spinato.
Aveva l’aria di una fortezza inespugnabile e ben presto si rese conto che introdursi lì dentro era pressoché impossibile. E a uscire? Era a prova di evasione così come lo era entrare?
 
Alla bionda, arrivata alla guardiola del cancello vennero chieste le credenziali.
Mostrò il distintivo, ma non fu sufficiente e venne rispedita indietro di qualche metro.
Così studiò il perimetro, attese il cambio della guardia e provò una volta ancora spacciandosi per la parente di un detenuto. Scoprì in quel modo che nemmeno essere inserito in una lista era sufficiente, nessuno dei prigionieri poteva ricevere visite se non dal proprio legale che comunque doveva essere autorizzato da una documentazione infinita di cui lei non sapeva nemmeno l’esistenza.
 
Avrebbe dovuto sentirsi rincuorata. Tranquilla.
Eudial non poteva aver contatti con alcuna forma di vita proveniente dall’esterno e sarebbe marcita lì dentro.
Eppure la sensazione che potesse essere pericolosa e inarrestabile anche in quelle condizioni non l’aveva abbandonata.
Si era immaginata al di là di un vetro con la cornetta di un telefono all’orecchio a minacciarla e a sedare ogni barlume di persecuzione nei loro confronti, ma nulla di tutto ciò sarebbe avvenuto.
Lì dentro ci entravi solo se eri un detenuto. E fu in quel momento che Haruka ebbe la risposta a portata di mano.


 
***
 


«Akira dobbiamo attuare un piano. Solo tu ed io, come una volta!».
Ad Haruka sembravano passati secoli dall’ultima scorribanda fatta con l’amico. Poco tempo prima non dovevano nemmeno pensarci che erano direttamente i guai a trovare loro e non il contrario.
«Non dirmi che sei diventato un pappa molle» rincarò la bionda allo sguardo ricevuto in risposta dall’amico.
Il ragazzo teneva un coltello in mano ma più che l’aria da tipo pericoloso emanava un aura simile a quella di una casalinga disperata.
«Ho come un presentimento» disse annusando l’aria e sventolando la lama affilata prima di affondarla nella petto di un pollo spellato a dovere.
«Del tipo?» domandò Haruka appoggiandosi al mobilio della cucina con le braccia conserte.
«Che ti caccerai nei guai».
«Non ci sei forse abituato?».
Silenzio. Il moro speziò e pepò la carne dopo di che ripose il coltello al proprio posto e lavò le mani sotto il getto di acqua calda del lavandino.
Spesso aveva visto l’acqua che scorreva divenire rossastra e adesso le mani erano solo unte e piene di erbette aromatiche. Un cambiamento drastico, quasi innaturale. Akira dovette ponderare se fosse un bene o un male e si ritrovò distrattamente ad asciugarsi per poi abbandonare il grembiule macchiato sulla sedia di fronte a lui.
«Credo sia questo il problema. Forse non è più normale come un tempo far certe cose».
Haruka si morse il labbro inferiore.
«Abbiamo un conto ancora aperto».
«Per quanto mi riguarda i nostri debiti son stati più che saldati con quello che abbiamo passato l’ultima volta».
L’immagine di Minako sanguinante fra le sue braccia tornò a turbarlo. Forse fu proprio quell’evento a cambiarlo maggiormente senza nemmeno che se ne rendesse conto consciamente.
«Io…non sono tranquilla» rincarò la dose Haruka.
«Lo vedo. E il tuo calmante a un nome e comincia con la “M”».
«Non mettiamo in mezzo Michiru!» sbottò. Anche se sotto sotto era poco convinta di non voler entrare in argomento.
«Sul serio. Dovresti mettere a posto le cose».
«Lo dici perché hai paura torni a dormire sul tuo divano?».
«No, lo dico perché la cosa sta diventando ridicola, Haru».
«RIDICOLA?!».
«Vuoi la verità? Perché un amico è questo che fa te la dice anche quando ti farà incazzare e non vorrai sbatterci contro i denti». Akira lasciò perdere i fronzoli per essere diretto. A volte con Haruka sapeva volerci il pugno di ferro per farsi ascoltare.
La bionda fece per ribattere ma lui la zittì puntandole un mestolo sotto al naso.
«Senti. Michiru avrà sbagliato. Tu hai le tue convinzioni e va bene così. Ma questo silenzio, l’orgoglio e il rancore sono una cazzata bella e buona. Mi hai capita?! Perché se vuoi farla funzionare questa storia allora devi prenderti la briga di parlare a cuore aperto e vedere se si può aggiustare. Ma almeno devi provarci. E se è vero che l’ami allora passerai sopra anche agli errori e la perdonerai, così come lei ha fatto con te».
Lo sguardo grigio violentò quello azzurro di lei.
«Puoi abbassare quest’affare?» chiese in un brontolio Haruka.
Akira ubbidì e rimescolò del brodo in ebollizione.
«Quindi. Il tuo cruccio?» chiese come nulla fosse il moro.
«Lo sai ho un sesto senso per i guai. Non siamo ancora al sicuro. Per questo ci serve un piano» rispose criptica la bionda.
«Spiegati meglio ti prego e assaggia questo. Manca di sale?».
Haruka lo guardò incredula per poi mettersi in bocca il cucchiaio che lui le porse.
«Sei veramente diventato un uomo noioso. E’ ottimo. Mi domando perché ancora ti fai dei problemi sulla tua cucina. Sapevi cucinare bene persino un topo di fogna…».
«Wow, quanti complimenti. Continua».
«Con i complimenti?».
«No con il piano».
«Ha qualcuno all’esterno. Quando sono rimasta intrappolata nell’edificio quel tizio mi ha fatto capire chiaramente che siamo dei bersagli. Perciò Eudial deve aver preso sul personale il fatto che l’abbiamo sbattuta dietro alle sbarre o qualcosa di simile». Haruka prese fiato e ripensò alla sua non visita al carcere di Chiba.
«Sono andata dov’è rinchiusa».
Akira si bloccò. Un brivido gli percorse la schiena e non poté fare a meno di fissarla rigido come un blocco di marmo.
«Le hai parlato?».
«No. Il fatto è questo. Non sono nemmeno riuscita a varcare la soglia di quel posto. Non sono permesse visite».
«Io però sono confuso. Perché vuoi andarci?».
«Perché voglio tenerla d’occhio».
«Quindi è per questo che ti serve un piano? Per entrare?».
«Più o meno» Haruka mostrò un sorrisetto poco rassicurante per poi abbassare lo sguardo sui suoi indici che avevano preso a scontrarsi l’uno contro l’altro.
«So già come fare…».
Akira sospirò pesantemente.
«Non posso entrare come poliziotta. Non ho l’addestramento necessario né tanto meno le autorizzazioni per farlo. Quindi l’unica soluzione è…».
«Entrarci come detenuta».
La bionda asserì con un cenno del capo.
«Devo commettere un reato e farmi spedire nel carcere di massima sicurezza di quella bastarda».




Note della scrittrice:
Mi spiace perché il capitolo non è pregno di avvenimenti ma ho deciso in ogni modo di pubblicarlo visto che avete già atteso abbastanza e in questi giorni non avrò modo di continuarlo.
Dovevano succedere tre cosette ma le risparmio per il prossimo e non ce le perdiamo per strada. Rassicuro anche chi ha paura di non rivedere Michiru e Haruka assieme. S'incontreranno state tranquille.
Grazie a tutti voi che avete la pazienza di leggere, commentare e spesso e volentieri quella di aspettare.
 

 
 
 
 
 
 
   
 
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