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Autore: rocchi68    15/09/2017    4 recensioni
“La giovinezza è sia una bugia, che un male. Quelli che elogiano la giovinezza stanno solo ingannando se stessi e chi gli sta vicino. Credono che quelli che gli stanno attorno approvino sempre gli atti che compiono.
Usando la parola giovinezza, loro alterano e stravolgono il buonsenso e qualsiasi cosa ci sia di logico.
Per loro bugie, segreti, peccati e insuccessi non fanno altro che aggiungere pepe alla loro giovinezza.
Se il fallimento è il simbolo dell’essere giovani come dicono, allora qualcuno che non è riuscito a farsi degli amici dovrebbe essere all’apice della sua giovinezza, giusto?
Ma di certo, nessuno di loro lo ammetterebbe mai perché tutto deve andare come più gli torna comodo.
Per concludere: gli idioti che si godono la loro gioventù dovrebbero suicidarsi”.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dawn, Scott, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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In quella breve giornata aveva spesso fatto avanti e indietro.
Si era diviso tra la sala dell’albergo, le piste e la sua stanza e ora finalmente poteva rilassarsi con pieno merito su una delle tante poltroncine rosse che riempivano la hall.
Mancavano pochi minuti alle 19 e su tutti spiccava l’assenza di una figura che Scott non vedeva da un pezzo.
Credeva che fosse in stanza, impegnata magari a darsi una sistemata e incurante di una qualche minaccia assurda che i prof avrebbero smosso prima di ordinare il classico rompete le righe.
Buona parte dei suoi compagni era elettrizzata per la prima sera fuori casa, anche se Scott  aveva già premeditato di abbandonarsi a guardare la televisione.
Una breve occhiata alla fitta nevicata e rientrò, aspettando che Chris e Chef uscissero allo scoperto.
“Ci siamo tutti?” Domandò Chris, sbucando all’improvviso e guardando la classe.
“Perché non fa l’appello?”
“Perché credo, Duncan, che voi siate abbastanza maturi per essere puntuali.”
“Sembra che qualcuno sia in ritardo.” Sbuffò Chef, fissando l’orologio che portava al polso.
“Qualcuno sa dove sta la signorina Dawn?” Chiese Chris, rivolgendosi alle compagne di stanza.
“È da qualche tempo che non la vediamo.” Rispose Zoey.
“Potrebbe essere in camera.” Intervenne Mike, facendo negare le ragazze.
“Impossibile: l’unica chiave ce l’ho io.” Affermò Bridgette, togliendosi i guanti e sistemandosi i capelli.
“Se non è in stanza, forse è impegnata con l’ultima discesa.” Tentò Duncan, fissando i professori preoccupato per la loro possibile reazione.
Di per sé Chef sembrava nervoso, ma non rasentava lo sguardo iracondo assunto dal collega che sembrava incenerire ogni persona destinata ad entrare nella hall.
Il suo intento era di far capire alla ritardataria che non era da persone mature far aspettare qualcuno in quel modo.
Alcuni già ridacchiavano tra loro, pensando a cosa l’amica dovesse subire, ma l’unico che non si capacitava di quel ritardo era Scott.
Osservava la lancetta dei secondi che rincorreva quella dei minuti e per ogni ticchettio aumentavano i suoi dubbi.
Perché, ad essere sinceri, Dawn non era mai stata in ritardo. Poteva anche crollare il mondo, ma lei sarebbe sempre stata puntuale.
Scott senza prestare particolare attenzione si avvicinò al camino e poi rivolse un’occhiata stralunata alla montagna.
Era rimasto fermo a fissare quelle vette per molti minuti, prima che la mano gelida di Chris lo risvegliasse. Non aveva nemmeno sentito il loro ultimo ordine ed era rimasto lì, conteso nel fissare un istante il panorama innevato e un altro attimo l’ingresso dell’albergo.
“Cosa ti turba?”
“Non lo so.” Rispose sinceramente il ragazzo.
“Forse è andata in centro.”
“Forse.”
“Non ne sembri convinto.”
“Che ore sono?” Domandò il rosso.
“E questo cosa centra?”
“A seconda dell’ora potrebbe essere in un luogo o in molti altri.”
“È già passata mezzora.” Borbottò Chris, assecondando il discorso dell’allievo.
“Non è mai stata in ritardo.”
“Esiste sempre una prima volta.”
“Forse ha ragione.” Sbuffò il rosso, staccandosi dal vetro quasi appannato e avviandosi verso le scale.
“Guarda che la cena è pronta.” Gli fece notare l’uomo, facendolo annuire.
“Non ho fame.” Scott salì, quindi, i gradini e si avviò preoccupato verso la sua stanza.
 
Nel percorrere il lungo corridoio dell’albergo, tornò a riflettere su ciò che aveva sentito: Dawn era in ritardo.
Gli sembrava impossibile e anche Chris aveva fallito nel tentare di portarlo verso quella direzione.
Volevano fargli passare degli elementi che non riuscivano a incastrarsi in modo logico tra loro.
Perso nel silenzio e nell’oscurità della stanza, Scott iniziò con il fare mente locale.
L’ultima volta che l’aveva intravista era quando si era messa a parlottare sulla funivia e poi a sciare con Bridgette e Zoey.
Poi tutte quelle ore di vuoto.
Non era da lei svanire senza motivo e non era da lei andare per negozi da sola, senza avvertire nessuno e sapendo che poteva sfruttare l’ultimo giorno di vacanza.
Il giovane si rimise in piedi e si avviò verso la finestra, dove constatò che la regina delle nevi sembrava divertirsi un mondo con quella tempesta.
Come se avesse sciolto tutti i dubbi su quella leggenda.
Non metteva in dubbio la morte orribile del figlio del gestore, ma non era convinto che fosse dettata dalla presenza della strega.
Lui sarebbe sempre stato convinto che si trattava di una triste casualità e che quella tempesta fosse frutto di una natura troppo ribelle per essere domata.
In tutto questo, riusciva a scorgere solo una minima parte del panorama che si stendeva davanti ai suoi occhi.
Fu nell’osservare l’innevata vetta, ancora parzialmente visibile, che un’idea lo colpì.
Senza pensarci, raccolse i vestiti più pesanti che aveva e li indossò.
Scese nuovamente le scale e, senza farsi vedere, scivolò fuori dall’albergo.
Era solo una possibilità remota che lui voleva controllare per sicurezza.
Anche se l’avesse riferito ai professori, poi i soccorsi si sarebbero mossi con ritardo e lei sarebbe potuta morire.
Inoltre se era vero che lei era solo in ritardo e in giro per negozi, non avrebbe disturbato il lavoro prezioso dei soccorsi.
Se lei non era laddove lui pensava, allora sarebbe tornato indietro senza colpo ferire.
Spavaldo e senza timore si avviò in mezzo alla tormenta, sprofondando già dopo qualche metro.
Il solo contatto gli gelò il sangue e gli pareva di sentire i piedi pesanti come piombo.
Sicuramente era passato parecchio dalla sua partenza, ma alla fine era riuscito a raggiungere il luogo dove la rete era stata distrutta.
Prima di scendere, respirò profondamente e s’immerse nel bosco.
Il destino aveva scelto la nottata perfetta per mettere nei guai Dawn, anche se non era propriamente colpa sua.
La colpa, Scott, era propenso a scaricarla contro di sé.
L’aveva lasciata da sola. Di nuovo.
Non era bastato il festival a dividerli e ora si era messa di mezzo anche quella sfortunata gita.
Dawn era sempre stata al suo fianco e lui, da perfetto ottuso, non solo non se ne era accorto, ma aveva sorvolato su tutto ciò.
E ora quel problema che sembrava insormontabile.
Con la neve che lo faceva sempre più sprofondare e con i sensi di colpa che gli riempivano il cuore, aveva difficoltà ad andare avanti.
Avrebbe dato la vita pur di trovarla e di salvarla.
Se l’avessero saputo in giro, gli avrebbero detto che quello era il suo problema.
L’avrebbero considerato strano solo perché, desiderando che tutti fossero felici, era pronto a compromettere anche la sua felicità.
 
Con difficoltà scese e raggiunse una zona priva di intralci.
Aveva assoluto bisogno di un segno che lo spronasse a continuare in una determinata direzione.
Dawn aveva avuto un po’ di forza per strisciare o camminare, ma quelle tracce erano state ormai nascoste dalla recente nevicata.
Almeno tra tutti quegli alberi la tempesta si era placata e poteva avere una visione più lineare rispetto a quella delle piste.
Senza aver ben chiaro la vastità del bosco, si preparò per scendere. Era inverosimile che lei avesse cercato di risalire verso la vetta, dato che l’albergo e, quindi, i soccorsi si trovavano molto più a valle.
La disperazione avrebbe potuto influire sul suo senso d’orientamento, ma Scott sentiva che quel percorso era la via di fuga che Dawn aveva scelto.
Un paio di passi e si ritrovò ad affondare nella neve fresca e, qualche metro più avanti, uno strano cumulo attirò la sua attenzione.
Quella piccola montagnola era auspicabile solo se realizzata con un intreccio di rami oppure con un corpo raggomitolato.
Senza ripensarci si avvicinò, quasi correndo. Subito liberò il corpo tremante che si trovava sotto la neve e lo girò verso di sé.
Era coperta dallo strato di gelo, bianca come un cencio e fredda come il ghiaccio stesso.
Il suo respiro ormai flebile alimentava le scarse speranze di Scott, il quale la strinse il più possibile e le baciò appena la fronte.
“Dawn…Dawn…” La smosse, cercando di risvegliarla.
“Sono…caduta.”
“Dawn.”
“Sono…stanca.” Ammise, sbattendo gli occhi.
“Non puoi dormire, sono qui...” Mormorò il rosso, ben sapendo che se si fosse appisolata sarebbe stata la fine.
“Io…”
“Resisti piccola.” Sussurrò il giovane, togliendosi il giubbotto per metterglielo addosso.
“Aiutami…” Sospirò diverse volte.
“Ci sono io Dawn: andrà tutto bene.” La rassicurò, carezzandole il volto e caricandosela con fatica in spalla.
Con quello che aveva passato e con tutte le ore passate al freddo era già un miracolo che non fosse morta. Aveva un principio d’ipotermia, tremava come una foglia scossa dal vento e ogni secondo poteva esserle fatale.
Scott, comunque, non se la sentiva di uscire dal bosco e di affrontare la tempesta.
Non era nelle giuste condizioni per farlo e pertanto avrebbe usato la stessa strategia adottata da Dawn: scendere dal bosco.
Quella fitta vegetazione, sconosciuta anche ai più esperti, era la loro unica scorciatoia.
A essere positivi, Chris doveva aver già allertato i soccorsi e pertanto Scott si sentiva sicuro: prima o poi, qualcuno con cani e torce li avrebbe trovati.
Probabilmente sarebbero partiti per cercare una ragazza e non si sarebbero aspettati la sua figura, ma poco gli importava.
I rimproveri di Chris e Chef gli sarebbero scivolati addosso e non lo avrebbero scalfito neanche un po’.
Sapere di potersi beare del sorriso di Dawn per ancora molti anni era un premio più che sufficiente per vincere contro le condizioni avverse.
La sua fuga, così poteva chiamare quell’uscita furtiva dalla sua stanza senza che nessuno fosse riuscito a scorgerlo, non sarebbe stata punibile.
Riflettendo su questo e tanto altro e con volontà incrollabile continuò per la sua strada, sperando che le condizioni migliorassero. Non solo quelle atmosferiche o del tragitto, ma anche di Dawn che spesso si zittiva, facendolo cadere nello sconforto.
In questi casi si fermava, la appoggiava un attimo, la fissava preoccupato, l’abbracciava e poi ripartiva.
Dopo alcune volte era riuscito a farle capire cosa doveva fare: parlare, ridere se ci riusciva e restare vigile.
Doveva discutere, sorridere per la nenia che Scott ripeteva e che lo spronava a continuare e vaneggiare per darsi una possibilità. Era difficile, ma sentiva che doveva combattere contro il suo corpo che le ordinava di chiudere gli occhi, di rilassare i muscoli, d’immaginare la schiena del ragazzo come un comodo materasso cui adagiarsi del tutto, di rallentare il respiro pesante e di dormire.
“Un altro passo.” Mugugnava per farsi forza.
 
La neve continuava a cadere, pesava sempre più sul terreno e sui loro corpi carichi di vestiti ormai inzuppati.
Scott, nonostante la stanchezza, continuava imperterrito a seguire il suo istinto.
Prima di darsi una scrollata per risvegliare i muscoli un po’ intorpiditi per via del freddo, aguzzò la vista e intravide poco lontano una figura.
Era vestita di bianco, sembrava leggera come una nuvola e lo precedeva di qualche passo.
Fu nel voltarsi che la leggenda prese forma.
Era lei…la regina che aveva immaginato con il racconto del gestore.
I suoi occhi erano così freddi che sembravano ancora più gelidi di quella nevicata e il suo ghigno affilato e troppo spaventoso per essere descritto.
Prima che riuscisse a dire qualcosa, lei gli andò incontro.
Scott si sorprese e, per un breve attimo, pensò di scappare lontano, incurante della stanchezza e del terreno infido.
Un debole soffio lo riscosse e si ritrovò quel fantasma a un palmo di naso.
Non sembrava più una megera. Il suo sguardo si era trasformato in una carezza e il suo ghigno era diventato un sottile sorriso.
“Non devi essere cattivo, lei ti vuole bene.” Mormorò quella donna, facendo tremare il ragazzo.
“Io…”
“Dove sei stato finora?”
“Cosa…”
“Le vuoi bene, vero?”
“Sì.”
“Anche se affermi il contrario, tu non sei così vuoto come appari.” Soffiò, rinfrescandogli il volto arrossato.
“Cosa vuoi…da me?”
“Sei tu il tesoro che stavo cercando: mi hai dimostrato che gli uomini possono essere buoni e che meritano fiducia.” Sorrise, svanendo in un fascio di luce che lasciò di stucco Scott.
Rimasto solo, Scott si sfregò intensamente gli occhi e si chiese se non fosse diventato pazzo.
Di certo non avrebbe fatto parola con nessuno di quella strana visione.
L’avrebbe tenuta solo per sé e non avrebbe menzionato quella leggenda che aveva appoggiato ai suoi piedi un piccolo scialle che Scott sfruttò per coprire ulteriormente Dawn.
Per quel breve istante si era fermato, ma poi riprese a muoversi, ben sapendo che doveva continuare.
Con qualche nuovo chilometro sulle spalle e con gli occhi ancora più pesanti credette di essere perduto.
Dinanzi a sé vedeva solo alcune immagini sfocate che apparivano veloci come lampi e che lo deridevano.
Fino a quando non vide quella che sembrava una capanna.
Credeva di sognare e infatti si passò una mano davanti al viso per essere sicuro d’essere sveglio.
Fu quando sentì il rassicurante legno tra le mani che si sentì salvo. Si appoggiò alla porta ed essa si aprì. Subito la richiuse alle sue spalle, bloccandola al meglio delle sue possibilità e studiò ciò che lo circondava.
A prima vista sembrava la capanna di un cacciatore e per una notte di solo riposo sarebbe stata più che sufficiente.
Scott adagiò subito sul letto la ragazza, si sedette sull’unica sedia presente e cacciò un profondo respiro.
Dopo essersi riposato per pochi minuti, si concentrò sul camino e con fatica riuscì ad accenderlo, ben sapendo che non era ancora finita.
Sapeva i rischi che avrebbe corso, ma non poteva esimersi dal farlo: era necessario per la sua salute.
Il suo corpo era coperto da un maglione zuppo e non osava immaginare le condizioni di Dawn che aveva passato chissà quanto tempo sotto la neve.
Quel poco di calore che lei emanava quando era andata fuoripista aveva sciolto lo strato superficiale che si era insinuato sotto i suoi vestiti.
La situazione di certo non era delle migliori e lei era troppo stanca per liberarsi di quel peso.
“Mi dispiace.” Bofonchiò Scott, avvicinandosi.
Sapeva che era da pervertiti, ma doveva farlo.
Se avesse dormito in quello stato non solo avrebbe passato l’intera nottata insonne, ma poteva ammalarsi gravemente.
Pregava che Dawn capisse che lo faceva per il suo bene. Avrebbe tanto voluto chiederle il permesso per insinuare le sue mani laddove non poteva e per toccare il suo corpo che sembrava un cristallo di ghiaccio.
Con delicatezza iniziò a toglierle i vestiti e a gettarli sul pavimento.
Prima il giubbotto che le aveva prestato, poi quello con cui era uscita, il maglioncino pesante, la maglietta a maniche lunghe e infine gli scarponi, i pantaloni e le calze.
La fece rimanere solo in biancheria intima, convinto che non fosse necessario vederla completamente nuda.
Era talmente spaventato che in un batter d’occhio lei si ritrovò sotto le coperte per farle recuperare dalle fatiche di quella giornata.
Aveva afferrato, quindi, i vestiti che aveva gettato al suolo e li aveva posti vicino al camino per fare in modo che si asciugassero.
Stesi per bene, era tornato alla porta e ne aveva controllato la solidità, facendogli sorgere un sorriso accennato.
Seppur fossero al sicuro, non poteva comunque mettersi a dormire.
Era da folli pensarlo, ma in quella nottata doveva sincerarsi che le condizioni di Dawn non peggiorassero.
Se si fosse anche solo appisolato e lei fosse peggiorata, non se lo sarebbe mai perdonato.
Si accontentava di rimanere disteso sul letto a riposare gli arti indolenziti o la schiena malridotta, tenendo sempre un occhio aperto per sicurezza.
Prima di ammalarsi e di complicare il programma dell’indomani, Scott si spogliò del tutto e alimentò il fuoco con della legna.
Il maglioncino nero che si era tolto sembrava fosse stato immerso in una vasca, tanto era pesante. La stessa maglietta verde a maniche lunghe che portava sotto era umida da far schifo e pertanto dovette farne a meno.
Gli scarponi non erano nemmeno da considerare, tanto era affondato in quelle distese innevate, e i pantaloni, oltre ad essere destinati all’asciugatura, erano lacerati poco sotto il ginocchio destro a causa dell’urto con un albero.
Rimasto praticamente nudo ad esclusione dei boxer che coprivano la sua intimità, stese i suoi abiti, allineati a quelli di Dawn, e si mise a fissare le fiamme, sentendosi impotente.
Avvertiva i morsi della fame, era stanco morto e dinanzi alla furia della natura si sentiva insignificante.
Sperava almeno che Dawn non gli facesse pesare la cosa, o forse l’avrebbe fatto solo per la questione dello spogliarello cui era stata obbligata.
Scott, nel riflettere su quanto avrebbe voluto essere tranquillo nella sua baracca, anche con quella rottura di sua sorella, sospirò deluso.
Anche da sotto le coperte era evidente che Dawn soffrisse terribilmente.
Perfino le coperte tremavano per quel movimento disperato alla ricerca della posizione migliore per ottenere calore. Scott, nel vederla così sofferente, si sentì struggere dal dolore e iniziò a cercare disperatamente qualcosa.
Qualsiasi cosa che fosse di stoffa e che fosse asciutta poteva aiutarla a farla stare meglio.
Una coperta magari dimenticata da un cacciatore nello sgabuzzino dei viveri, una tovaglia come quella a quadrettoni rossi che sua madre usava di solito per il pranzo domenicale, anche un paio di tende potevano andare bene.
Per 10 minuti aveva cercato, rovesciando scatole e arrampicandosi su cartoni, qualcosa che potesse alleviare il fastidio di Dawn.
Inutile: quella struttura fatiscente, ingobbita dagli anni e dal peso della neve sul tetto, non aveva niente da offrire per gli sventurati che si perdevano tra i sentieri.
Sconfitto da quel pessimo risultato, ritornò in sala e gettò altra legna nel fuoco.
Iniziò a brontolare e imprecare sul senso di tenere una casetta sperduta in mezzo al bosco se poi si rivelava inutile per la contemporanea mancanza di viveri, kit medici e generi di prima necessità come coperte e altro.
E Dawn continuava a tremare.
Quelle che coprivano il suo fragile corpo sembravano le vesti della regina del gelo.
Soffriva, piangeva e pregava: Dawn non si dava pace.
Il gelo la stava uccidendo sempre di più e la stava allontanando sempre più.
Scott non riusciva a sopportarlo e si convinse che quella era l’unica soluzione possibile per farla star bene.
Tanto, almeno in teoria, l’aveva spogliata e l’aveva intravista quasi nuda e quello era solo il passo successivo. Era un discorso valido per una relazione solida e con ampie possibilità di stare insieme un giorno, ma a lui bastava.
L’autosuggestione vinse sul buon senso e lo spinse ad avvicinarsi al letto.
Lei tremava ancora.
Per quanto bruciasse e quanto sentisse l’adrenalina scorrergli in corpo, era ancora restio.
“Perdonami.” Borbottò in un attimo di ripensamento.
Prima di ripensarci e di vederla ancora soffrire, Scott s’inserì sotto le coperte e si attaccò a lei.
Con la poca luce presente, proveniente dal fuoco del camino, poteva vederne il volto piegato dalla fatica e dalla stanchezza.
Il gelo di Dawn cozzò contro il calore emanato dal corpo di Scott e per un attimo prese il sopravvento.
Prima d’essere sconfitto, però, la fece girare su un fianco e l’avvolse totalmente.
Dawn, avvertendo quella nuova fonte di calore, aprì gli occhi.
All’inizio fece fatica, li sgranò confusa, cercando di stropicciarli con una mano, poi sussultò: non aveva mai sentito che esistessero angeli così dolci e corporei, né che avessero i capelli rossi e un viso così famigliare.
Le sue braccia risposero ai suoi ordini e ricambiò la stretta ferrea dell’amico, sorridendo debolmente.
“Scott…”
“Ti chiedo scusa…non avercela con me.”
“Io…”
“Pensa a riposare, ne riparleremo domani.” Sussurrò il giovane.
 
Sapere di averla salvata, lo faceva star bene, anche se in quella lunga notte poté solo vegliare su di lei.
Ne avevano passate tante insieme, risolvendo problemi su problemi.
Erano diventati amici, cosa impossibile a detta di Scott che l’aveva sempre considerata una piattola fastidiosa.
Quanto si sbagliava: lei era solo una fragile creatura, da cui un giorno si sarebbe dovuto allontanare per forza.
Scott era convinto che lei non avesse guadagnato nulla da quell’amicizia e che ci avesse solo rimesso.
Se lui non fosse stato presente, quella brutta avventura non si sarebbe mai presentata.
Si sentiva colpevole di un qualcosa che non aveva commesso e questo solo perché per lui rappresentava qualcosa di unico.
Era stata la prima ragazza capace di scalfire la sua corazza e lui non solo l’aveva ferita, ma l’aveva anche abbandonata.
Come se non fosse già accaduto.
Anni prima aveva compreso quanto le volesse bene, ma poi si era allontanato in silenzio.
L’aveva dimenticata proprio quando aveva capito d’amarla.
Dentro di sé sentiva che non sarebbero bastate le scuse più accorate per ottenere il suo perdono.
Il ragazzo poteva solo coprirla e sperare che tutto tornasse come un tempo.
Una volta al sicuro avrebbero continuato come se nulla fosse successo: l’avrebbe aiutata con il club, avrebbe ascoltato i suoi sogni, progetti e preoccupazioni e le sarebbe stato vicino il più possibile, senza mai compiere il passo successivo.
Lui sarebbe rimasto solo ad osservare.
Un giorno poi avrebbe udito qualche promessa che non lo riguardava appieno.
Si sarebbe ritrovato con l’annuire per evitare problemi e non si sarebbe sbilanciato. Poi sarebbe svanito e avrebbe perso ciò che stava faticosamente creando.
Ne avrebbe sofferto, ma poi anche quella ferita si sarebbe rimarginata.
“Dormi.”
“Scott...” Borbottò lei, rincorrendo il sogno che stava svanendo.
“Andrà tutto bene.” La rincuorò, allentando leggermente il contatto.
Nonostante fosse sfinito, l’ascoltò per tutta la notte e solo verso mattina, si staccò dal suo corpo ormai ristabilito e tornò vicino al camino.
Fissò brevemente il paesaggio dalla finestra appannata e vide che finalmente aveva smesso di nevicare.
Entrambi, però, avevano due idee divergenti su quell’avventura.
Per Scott quello era solo l’inizio della fine e ciò li avrebbe portati solo ad una faticosa e giusta divisione.
Per Dawn, invece, sanciva la rinascita di un legame perduto nel tempo.





Angolo autore:

Capitolo extra long questa sera, ma non sarà sempre così.
Sono successe tante cose.
Dawn è caduta nel bosco, Scott è partita per salvarla, hanno incontrato la regina del gelo (che fino a qualche settimana fa non doveva nemmeno apparire), si sono nascosti in una capanna e hanno dormito insieme.

Ryuk: Tanta roba sto capitolo.

E con le recensioni delle scorse volte ho superato il mio vecchio record.
Un ringraziamento sentito a Dawn-Scott, Tirene, Face of fear, Charly e Anown per aver reso possibile tutto ciò.

Ryuk: Oggi siamo di buonumore.

Spero che questo momento Dawn-Scott vi sia piaciuto, ma vi avverto: la storia non è ancora finita.
Ci sono ancora molte cose da risolvere, ma questo lo noterete nel prossimo capitolo.

Ryuk: Ora possiamo anche andare.

Alla prossima!
   
 
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