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Autore: Martocchia    15/09/2017    0 recensioni
Ojos de Cielo è il racconto di un amore, di due ragazzi, ma anche la storia di una canzone e di quante sue simili essa possa contenere. Questo è il racconto di come la musica possa radicarsi così in profondità da diventare linguaggio e linfa vitale, legame di un amore fresco come le rose bagnate dalla rugiada.
I primi capitoli potrebbero lasciarvi un po' interdetti, ma vi invito a proseguire, ad andare oltre ciò che appare e ad immedesimarvi nei personaggi che ho creato, i quali non sono poi tanto lontani dalla realtà...
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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È già metà febbraio, in particolare il 14 febbraio, il giorno di San Valentino. Per me non è mai stata una giornata particolare, a parte quando avevo un ragazzo, ma riesco a sentire nell’aria un’atmosfera diversa, dolce e rilassata. Il profumo di rose pizzica il naso, nonostante il freddo delle ultime settimane d’inverno, il lago grigio e tetro, che riflette un cielo plumbeo, e gli alberi spogli e rachitici. Le coppiette a scuola si fanno ancora più evidenti del solito ai miei occhi e il solo dare loro del tutto casualmente un’occhiata, mi fa sentire in colpa e tremendamente in imbarazzo. È probabilmente l’unica occasione in cui mi piacerebbe avere qualcuno a cui fare un regalo. Non che normalmente disprezzi l’idea di avere un ragazzo, ma non mi ossessiona neanche: ho sempre pensato che quando sarebbe stato il momento il ragazzo giusto mi si sarebbe presentato davanti, senza bisogno che lo cercassi con foga o che volessi a tutti i costi qualcuno. Non riuscirei mai a stare con un ragazzo semplicemente perché è carino, no, voglio qualcosa di più… Voglio l’amore… Sembrerà troppo romantico e smielato, ma per me è alla base di tutto. Non posso baciare una persona senza la sicurezza di provare qualcosa, non posso forzarmi ad amare qualcuno, non funziona così! L’amore è spontaneo, imprevedibile, sorprendente… Non possiamo decidere razionalmente di chi innamorarci.
 In fondo anche da soli non si sta così male, la cosa importante è prima di tutto stare bene da soli, altrimenti non si può costruire una relazione solida. Se quest’ultima finisce e non siamo in grado di stare con noi stessi, è la fine…
Sono questi i miei pensieri mentre osservo le mie compagne di classe eccitate perché i loro fidanzati hanno lasciato dei regalini sui loro banchi: cioccolatini, rose, peluche, piccoli gioielli. Sorrido divertita guardando invece le single come me, le quali invece hanno portato sacchetti di cibo dolce e salato per consolarsi.
Sono così immersa nel mio mondo da non rendermi conto che Marco e Luca mi stanno facendo ormai i segnali di fumo dalla porta. Una mia compagna mi deve prendere per una spalla perché li degni finalmente di uno sguardo: - Ehi, Clara, qualcuno ti sta cercando… - dice, guardandomi maliziosamente. Come se potessi avere addirittura due fidanzati! Va bene tutto, ma poligama no!
-Oh, grazie! – la ringrazio gentilmente, nonostante i miei pensieri leggermente acidi. Mi alzo dal banco e mi dirigo verso i miei amici, non capendo per quale motivo siano davanti alla mia classe.
-Che ci fate qua voi due?! Fra poco suona la seconda campanella: se non siete in classe per allora vi beccherete una bella strigliata! – li rimprovero, anche se in realtà sono molto contenta di vederli e soprattutto curiosa.
-Tranquilla, non ci spaventa la cosa e poi ci metteremo un secondo. – ribatte placidamente Marco.
Poi mi porgono una scatolina, chiusa da un elegante fiocco rosso. La tengono entrambi, una mano ognuno.
-Buon san Valentino! -.
-Dovete piantarla di farmi regali! Sono io che dovrei farveli, visto quante volte mi avete aiutata! – esclamo travolgendoli in un abbraccio di gruppo.
-In effetti è solo un modo per farti venire i sensi di colpa. – dice Marco ridendo.
-Non preoccuparti, Clara. Se proprio vuoi ti sdebiterai in altro modo, ma a noi non interessa: ti stiamo accanto volentieri. Siamo amici, no? – dice invece Luca, più dolcemente e abbassando lo sguardo imbarazzato. Il suo atteggiamento inspiegabilmente mi scalda il cuore e mi fa arrossire di compiacimento.
-Ovvio che sì! Grazie mille, davvero, non so cosa dire. -.
-Ora dobbiamo andare sul serio. Ci vediamo alle prove del musical! – mi salutano ed io rimango appoggiata allo stipite della porta sorridendo alle loro spalle, stringendo fra le mani la scatolina di cioccolatini e proponendomi di aprirla con loro nel pomeriggio: in fondo se li meritano.

Il pensiero del dolce regalo ricevuto mi accompagna per tutta la mattinata, rendendomi decisamente di buon umore. La sensazione di poter contare su amici di questo genere è impagabile: è come trovarsi sul bordo di un crepaccio senza avere alcuna paura perché sai che pochi metri più sotto c’è una rete che ti salverà. Finché ho la fortuna di provare tutto ciò, non ho bisogno di nulla di più… Complicherebbe tutto e significherebbe molto probabilmente la fine di un’amicizia…
Scaccio con un gesto della mano questi pensieri, ormai sulla via per diventare troppo tristi, e mi concentro sul presente, sul tesoro che posso vantare di avere ora. Sorrido tra me e me, convinta che almeno per oggi nulla possa andare storto: è una giornata meravigliosa, ma sono proprio le giornate migliori quelle destinate a trasformarsi in incubi.

Le prove del musical sono appena terminate e mi dirigo tranquilla verso lo zaino per prendere la scatola di cioccolatini e condividerla finalmente con i miei amici, quando sento vibrare il mio cellulare: accelero il passo, tiro fuori il telefono, mi accorgo sorpresa che si tratta di mia mamma e rispondo immediatamente.
-Pronto… Ciao mamma… Come? Sei già qui? Ma oggi abbiamo anche finito presto. Volevo… - mia madre mi interrompe, proprio mentre stavo per dirle che volevo rimanere ancora un po’ con Marco e Luca, dandomi una notizia che sembra aver voluto fermare per un attimo infinito i battiti del mio cuore. – Arrivo subito. -.
Riattacco, prendo lo zaino e mi precipito verso l’uscita. Luca mi blocca prendendomi per un braccio: - Che succede Clara? -.
Prendo un grande sospiro, cercando di controllare il panico crescente dentro di me.
-Mia nonna è stata male, molto… Adesso è in ospedale. Devo andare da lei: non sanno neanche se supererà la notte. -.
-Vengo con te. -.
A parlare, con mia grande sorpresa, è Marco, il quale, senza aspettare una mia reazione, si mette la giacca e lo zaino su una spalla. Luca mi stringe la mano, stringendo le labbra in una linea sottile, segno di rammarico e stizza.
-Devo essere a casa fra dieci minuti o finirò in guai seri. Mi dispiace, vorrei poter venire anch’io con te… -.
Gli rivolgo un lieve sorriso.
-Lo so, non preoccuparti. Lo apprezzo comunque. -.

Un paio di minuti più tardi io e Marco saliamo in macchina. Mia mamma lancia uno sguardo sorpreso e sospettoso al mio amico, ma non fa commenti: ha cose più importanti a cui pensare ovviamente e il suo viso è carico di stanchezza e paura.
Guida in silenzio, guardando dritto davanti a sé e stringendo il volante così forte che i polpastrelli sono sbiancati. Appoggio dolcemente la mia mano sulla sua che sta cambiando rabbiosamente marcia: la mamma non mi guarda, ma sento la sua mano rilassarsi sotto la mia.
-Mi spieghi cosa è successo alla nonna, per favore? – chiedo piano, non lasciando la presa dalla sua mano.

-Ha avuto un violento attacco di cuore mentre ero in camera con lei… Adesso è in sala operatoria, ma è un intervento delicato e non si sa se riuscirà… - non riesce a terminare la frase e il suo volto è solcato da una singola, calda lacrima, che si asciuga immediatamente, prima di fare manovra per parcheggiare davanti all’ospedale.
Entriamo di corsa, cercando qualcuno che ci dia informazioni su mia nonna e troviamo un’infermiera che ci dice di aspettare in sala d’attesa: la nonna è ancora sotto i ferri e il medico verrà da noi alla fine dell’operazione.  Non ha saputo dirci quanto ci vorrà… Dobbiamo solo aspettare… Come se fosse facile…
Mia mamma mi lascia in una saletta triste e spoglia dicendo che sarebbe andata a prendere qualcosa da mangiare e da bere e a chiamare papà e mio fratello.
Mi lascio andare su una sedia prendendomi la testa fra le mani. Il magone che ho trattenuto fino ad adesso scoppia tutto in una volta, sorprendendomi con forti singhiozzi simili a dolorose convulsioni.
Marco, il quale è rimasto in silenzio per tutto il tempo, rimanendo semplicemente dietro a me e a mia madre, si siede accanto a me e mi accarezza con delicatezza la schiena.

-Non c’è bisogno che tu ti trattenga. Piangi quanto vuoi, in fondo non sarebbe la condizione peggiore in cui ti ho vista. –.
Sorrido lievemente fra le lacrime alle sue parole.

-Sei stata una delle poche persone che mi ha visto sclerare… Sì, direi che ero messa peggio di così. – ride piano, continuando ad accarezzarmi la schiena in modo regolare e delicato. – Ma quello che sto provando… Non so se avrei abbastanza lacrime nel caso in cui lei… -.

-No, non succederà, non adesso. Devi pensare solo al meglio, d’accordo? – mi interrompe bruscamente.
Ha ragione, ma mi manca il respiro, il bianco accecante della stanza mi dà la nausea e l’odore di disinfettante mi fa girare la testa. Chiudo gli occhi, espirando ed inspirando lentamente, mentre la presa di Marco si fa più forte sulle mie spalle.

-Clara, stai bene? Sei bianca come un lenzuolo. -.
-Tranquillo. Non ti sverrò tra le braccia… Non ti darò l’opportunità di fare il cavaliere eroico e senza macchia che mi prende in braccio e mi porta in salvo dai dottori. – replico con sarcasmo.

-Okay, stai bene. Così ti riconosco. – borbotta un po’ risentito, ma comunque senza lasciarmi.

-Scusami Marco… Solo che… Lei è la mia unica nonna, la sola che ho potuto conoscere e anche solo pensare di perderla mi distrugge. -. Ora Marco mi guarda in silenzio, lasciandomi spazio per sfogarmi.
-Un anno fa è caduta in casa. L’abbiamo trovata io e mio fratello che gridava, chiamando aiuto: era là da due ore e nessuno la sentiva. Noi andavamo tutte le domeniche a trovarla dopo messa… Ci accoglieva sempre contenta e non ho mai pensato che potesse andare diversamente. Quando l’ho sentita gridare io… Sono rimasta paralizzata dal terrore. È stata la prima volta che mi sono resa conto sul serio che lei non farà parte di tutta la mia vita. La sua esistenza è ormai così fragile… Adesso è nella casa di riposo dove lavorano i miei genitori e pur essendo la nipote più vicina sono quella che va a trovarla di meno… Sono imperdonabile! Non può andarsene prima che le dica quanto le voglio bene, prima di darmi un altro dei suoi baci sulle guance. – scoppio di nuovo in sonori singhiozzi. Marco mi accarezza la testa e mi tira indietro i capelli, bagnati di lacrime salate. – Ho paura. – dico infine in un soffio.

-Lo so, lo so. Ma andrà tutto bene, te lo prometto. -.

-Non fare promesse che non puoi mantenere. -.

-Se ti fa stare meglio le faccio eccome. Ora tua nonna ha bisogno di te e non puoi avere paura. Devi essere forte e lo so che è uno schifo… Ma qui con me puoi sfogarti, piangere, gridare, picchiarmi se ti fa stare bene. -. Detto ciò mi tira a sé e mi arrendo al suo abbraccio, stringendo forte un lembo del suo maglione con una mano. Piano piano i miei singhiozzi si fanno sempre più regolari, fino a calmarsi. Allora Marco mi sussurra divertito:
-Ammettilo che non ti dispiace stare tra le mie braccia. -.

-Taci, o ti becchi una gomitata nello stomaco. -.

Dopo un paio d’ore un dottore entra in sala d’attesa e viene dritto verso di noi con aria grave. Mia mamma è tornata insieme al resto della mia famiglia e Marco non ha voluto lasciarmi andare neanche per un secondo. Ora mi stringe una spalla cercando di rassicurarmi, mentre mia mamma mi tiene una mano. Appena vediamo il medico ci alziamo di scatto: ha ancora gli abiti da sala operatoria, sono visibili solo due occhi color ghiaccio sopra la mascherina, che viene rimossa dopo qualche secondo dall’ingresso nella stanza. Quegli occhi non penso che li scorderò molto facilmente…
-Scusate l’attesa… L’operazione è stata molto complessa, vista l’età della signora… È riuscita, ma ora lei è in coma. -.
Dopo queste parole non ho più seguito il discorso del dottore con i miei genitori. Tutti i suoni si sono attutiti, come se avessi un cuscino a tapparmi le orecchie. L’unica parola che mi risuona forte e chiara nella testa è “coma” … Non si sa se e quando si risveglierà, si può solo aspettare, ancora… A riportarmi alla realtà è la stretta più forte di Marco sulle spalle.
-Vuoi uscire? – mi chiede con un fil di voce.
Annuisco, poi dico qualche parola a mia mamma, la quale mi lascia andare senza obiezioni.
Dopo un tempo che sembra interminabile, passato a districarci fra i corridoi tutti uguali dell’ospedale, raggiungiamo l’uscita e una sferzata di aria gelida mi colpisce in viso. Si fa tutto ancora più chiaro, reale e doloroso, ma non riesco più a piangere, neanche a parlare. Mi stringo semplicemente fra le mie stesse braccia, in cerca di una briciola di calore che possa riempire il vuoto che sento.

-Vedrai che si sveglierà presto… - incomincia a dire Marco, ma con un gesto lo fermo. Mi guarda, con le braccia abbandonate lungo i fianchi, non sapendo più neanche lui cosa dire e cosa fare.

Dopo un lungo e imbarazzante momento di silenzio, mi si avvicina, mi accarezza dolcemente i capelli, ma senza guardarmi direttamente.
-Vorrei poter fare di più, ma non so davvero come comportarmi… - la sua voce è piena di rammarico e non posso fare a meno di addolcirmi.

-Hai fatto davvero più di quanto avresti dovuto fare. Stare così con me per tutto questo tempo, lasciare che piangessi sulla tua maglietta… -.

-Sì, beh, poi mi pagherai la lavanderia. – replica scherzosamente.
Sorrido.
– Davvero, grazie. Non so proprio come potrò sdebitarmi. -.

-Che ne dici di una chiacchierata a quattr’occhi, magari a cena? Dobbiamo parlare. Sai, quella conversazione alla festa di Capodanno… Dobbiamo finirla. – propone diventando più serio. Non posso dargli torto: sono tante le cose non dette in questi anni fra di noi: è ora di tirarle fuori.

-Va bene. Ora però vai a casa che è tardi. Io dovrò restare qui ancora per un bel po’… -. Marco tenta di ribattere, ma lo interrompo prima che possa dire qualcosa. – No, non dire niente. Vai a casa! Non discutere! -.

-D’accordo, ma se hai bisogno chiamami, a qualsiasi ora. - .
Lo abbraccio e lo guardo allontanarsi. Appena scompare dalla mia vista traggo un grande respiro e rientro nell’edificio.

   
 
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