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Autore: NicolaAlberti    16/09/2017    0 recensioni
Prima parte cap. 1-10 "PURGATORIO" - Seconda parte cap. 12 - 21 "INFERNO"
Una storia d’amore impossibile immersa in un’ambientazione surreale dai tratti cyberpunk e dai richiami danteschi. Una minaccia robotica che spinge il protagonista alla paranoia e alla fuga tra i meandri di una labirintica e utopica costruzione babelica che ha sostituito l’antica città di Parigi. La ricerca della verità tra le intricate illusioni di una nuova era tecnologica che ha stravolto il mondo, mentre qualcosa di oscuro e insondabile, un dubbio perenne nella mente del protagonista, continuerà a modificare la sua percezione del reale, costringendolo ad esplorare il dedalo della propria coscienza.
Genere: Introspettivo, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Vivevo in un mondo nel quale il sonno non era mai esistito. Sinceramente non riuscivo a ricordare quando fosse stata l'ultima volta in cui avevo dormito. Attesi, avvilito e svuotato, le cosiddette ore della veglia, anche se, nelle atmosfere simulate di questa metropoli, non esisteva veramente un giorno e una notte. Tutto poteva variare da un piano all'altro secondo delle regole e delle consuetudini che mi erano del tutto oscure. Il tempo era incalcolabile. Forse ero lì da un solo giorno, forse ero lì da alcune settimane. Mi sovvenne il terribile sospetto di essere nato in quel luogo e di non essermi mai mosso. Materialmente parlando non era un affermazione falsa: mi ero materializzato nella nuova Parigi e in tal modo ero come rinato in essa, sebbene totalmente reincarnato nel mio sé preesistente.

Attesi a lungo una risposta dall'olofono che non arrivò mai. Poi decisi di vagare, nell'improbabile speranza di incontrare Amal o, per lo meno, di coglierne un immagine sfuggevole tra gli assembramenti di giovani, più incoscienti che spensierati, che si raggruppavano attorno a un locale alla moda o si sparpagliavano più semplicemente nelle piazze a fare baldoria.

I rumori scivolavano su di me, mescolandosi in un concerto di cacofonie incomprensibili. Le luci imprimevano, su asfalti e ciottolati fittizi, l'ombra dei miei passi incalcolabili.

Ti ho inseguito, in un paese d'illusioni. Così vicina e irraggiungibile, tu sei il mio sangue. Ombra della Senna che non è più, volevo affogare nei tuoi flutti. Ti ho cercato, disperandomi in silenzio e tu eri lì: dove le mie orme s'erano appena estinte. La tua immagine mi perseguitava, come uno spettro. Eri le mille donne che mi davano le spalle. Così vicina e irraggiungibile, ombra. Dalle cime di false vedute, la mia vista spaziava su fluorescenti lumi, cercando la luce oscura dei tuoi occhi.

Densi sbuffi di fumo mi accompagnavano, mentre la pipa bruciava, arancio brace, lenta e intermittente. La speranza si allacciava a questi sbuffi di nebbia, lentamente dissipandosi, di giorno in giorno, di minuto in minuto... Mi portasti via le tue mani, mi portasti via il tuo viso... Il silenzio rimbombava dentro di me, come un grido terrificante che aveva il sapore di morte. Da dove veniva questo terribile presentimento? Questo annichilimento che non era mai stato parte di me, prima che tu lo inventassi di proposito?... solo per me.

Ero sbucato in una larga piazza ad impianto medievale. Tutto il lato sud era occupato dalla replica di una chiesa in stile novecentesco con tanto di affreschi esterni. Nella strada contrapposta c'erano una serie di edifici semi-restaurati, al di sotto dei quali scorreva un lungo porticato a volte. Ovviamente era un ambiente completamente simulato, ma il sistema dava un tale effetto d'immersione che ci si abituava quasi subito a vagare nelle sue illusioni.

Sentii un urlo esagerato di euforia. Appena dietro un largo incrocio, vidi un ragazzo di colore slittare su un hoverboard: una sorta di tavola volante. Il ragazzo saltò all'indietro in maniera goffa, lasciando scivolare in avanti la tavola che andò a urtare violentemente un passante. Dietro di lui c'era una compagnia mista di ragazzi e ragazze che ridevano chiassosamente. Il passante protestò irritato e in cambio ottenne una risposta scurrile. Alcuni dei ragazzi seguivano la scena, mentre altri continuavano le loro futili e spensierate conversazioni. Non potevo sapere se fossero felici, ma lo sembravano, o almeno davano l'impressione di divertirsi, come se non ci fosse questione o problema che li potesse sfiorare. Erano belli nella loro spontaneità e semplicità. Mi sovvenne che anch'io avrei potuto essere stato così, in un tempo che non ricordavo, anche se non troppo lontano. Sentii una fitta al cuore. Tra di loro c'era Amal! La si vedeva completamente a suo agio in quel contesto. Non era finzione. Si sentiva bene e il suo stato d'animo traspariva, palesandosi nel suo modo di ridere, sempre esagerato, a bocca spalancata, ma che le donava una simpatia singolare.

Mi trovavo ad una certa distanza, sul lato opposto della larga piazza che mi separava dall'incrocio e, in mezzo a tutta la gente, potevo non essere notato. Non mi sfiorò nemmeno l'idea di provare ad avvicinarmi, era come se vedessi una scena completamente dall'esterno, una scena alla quale non appartenevo. Emisi uno sbuffo con la pipa e dietro il bocchino le mie labbra si allungarono in un sorriso sincero e un po' malinconico. Vidi un osservatore avvicinarsi al ragazzo di colore, probabilmente per riprenderne il comportamento. Il ragazzo sbuffò scocciato, ma non si permise di contraddire la macchina. Amal stava dietro al gruppo, coprendosi la bocca aperta con la mano, ma gli occhi le ridevano ancora. Stetti ancora qualche istante a godere dell'immagine e poi mi allontanai fingendo indifferenza. «Così vicina e irraggiungibile», pensai. Decisi che sarei tornato alla mia abitazione a piangermi addosso. La situazione non poteva cambiare e venire nel Dedalus era stato un errore. Non ricordavo però quando avevo preso quella malsana decisione e per qualche strano motivo gli avvenimenti che l'avevano preceduta apparivano sbiaditi e disordinati nei miei ricordi, un po' come se non fossero dei ricordi totalmente miei. Nella mia mente sembrava che tutto ciò che precedeva il mio arrivo al Dedalus fosse in realtà il ricordo del racconto di un'altra persona.

Non passarono più di trenta secondi dal momento in cui decisi di muovermi, quando esplose il suono acutissimo di un allarme. Improvvisamente tutto il sistema di simulazione ambientale si spense, rivelando gli sfondi metallici e squadrati della vastissima sala in cui ci trovavamo. Il tetto emetteva una fortissima luce bianca che pioveva dall'alto, cancellando le ombre dei presenti. Una voce femminile si diffuse dagli altoparlanti, alternandosi al suono dell'allarme. «Anomalia rilevata! si pregano i presenti di rimanere stazionari per un controllo genetico». Molti, incuranti dell'avviso, fuggivano in varie direzioni. Io rimanevo al centro di quella che pochi istanti prima era la piazza, completamente spaesato e paralizzato dall'evento. Mi sentivo come denudato, come se fossi stato scoperto in un atto perverso che non avevo commesso, ma che per qualche ragione di origine inconscia mi faceva ugualmente sentire in colpa. Lanciai un'occhiata in direzione dei ragazzi, voltando rapidamente la testa. Li vidi di schiena mentre se la davano a gambe, ma ebbi per un istante l'illusione di cogliere uno sguardo fuggevole di Amal, un po' come se nella fuga fosse riuscita a catturare ugualmente la mia immagine con la coda dell'occhio. D'altronde era quasi impossibile non notarmi, ero praticamente l'unico rimasto in mezzo a quella lastra metallica. Poche altre anime stavano immobili vicino alle pareti esterne. Tutti, per qualche strana ragione, stavano guardando me. Due osservatori, palle fluttuanti di un lucido color giaietto, si avvicinavano silenziosamente. «Verifica genetica Monsieur», disse il primo con una voce cordiale che lo rendeva ancora più inquietante. Io rimanevo immobile senza sapere cosa fare. La palla ripeté, sempre cordialmente: «verifica genetica Monsieur. La prego di allungare l'arto superiore sinistro». Pensai per un momento che volesse verificare la mia identità tramite la chiave genetica da polso. Quando allungai la mano verso la macchina quasi mi cedettero le gambe: avevo sei dita!

L'osservatore emise una luce rossa e con una voce fredda e robotica, completamente differente dalla precedente, squillò: «anomalia genetica rilevata, identità non confermata!». Non avevo la minima idea di quello che mi sarebbe successo o cosa mi avrebbero fatto, ma, a questo punto, mi sembrava evidente che le mie paure, legate a un qualche difetto nel trasferimento avvenuto al Materializzatore, fossero fondate.

«Procedo con verifica di approfondimento», un fascio di luce verde smeraldo uscì dal centro della sfera nera e mi scansionò a partire dalla testa. Mi sentii svenire. Quando raggiunse il livello delle braccia guardai ancora quella deformità... No... com'era possibile? era svanita! La mia mano era perfettamente integra e normale! Credetti di stare impazzendo. L'osservatore terminò la scansione ed annunciò il responso: «identità confermata, anomalia non rilevata». La voce dell'osservatore riprese il tono cordiale precedente: «grazie per la collaborazione Monsieur! Mi scusi per il disagio».

Ma non era ancora finita. Il secondo osservatore si avvicinò al primo e cominciò a scansionarlo: «controllo di routine». Il fascio verde di scansione cambiò improvvisamente colore divenendo di un intenso rosso lampeggiante. «Anomalia rilevata! Macchina difettosa, si procede con la disattivazione». Ci fu come un sibilo liquido nell'aria, seguito da un'onda d'urto in direzione della sfera. Questa volò a mezz'aria per qualche metro per poi schiantarsi a terra, come se si fosse improvvisamente spenta. L'involucro esterno si infranse in migliaia di pezzetti di vetro nero, rivelando all'interno una serie di circuiti e schede elettroniche. Un liquido di raffreddamento color blu fluorescente si diffuse sulla pavimentazione grigiastra. L'osservatore si rivolse a me in tono pacato, con la stessa formula del precedente: «grazie per la collaborazione Monsieur! Mi scusi per il disagio». Dalle pareti laterali si aprirono delle fessure dalle quali uscirono dei piccoli robot simili a dei ragni meccanici. Il bulbo posteriore di questi esseri era costituito da una specie di involucro, formato da fasci incrociati di laser, che andavano a creare una rete atta a raccogliere i pezzi rotti dell'osservatore. Mentre questi ripulivano il terreno, ripresi la mia strada con una camminata nervosa. Dove diavolo ero capitato? Era tutto troppo assurdo!

Mi diressi senza indugio verso il mio cubiculum seguendo le indicazioni vocali della mia chiave da polso. Intanto, il simulatore ambientale aveva ripreso a funzionare e le persone affollarono nuovamente la piazza, come se non fosse successo niente.

   
 
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