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Autore: Chiisana19    17/09/2017    5 recensioni
“Stai ferma, in silenzio, e ascolta il tuo cuore. Quando poi ti parla, alzati e va’ dove lui ti porta”.
Kagome, giovane ragazza che vive tutti i giorni la propria vita, si ritroverà catapultata in un luogo da sempre ritenuto leggendario, con un importante compito da portare a termine. Per farlo, dovrà contare sulla bontà del proprio cuore, fiducia verso nuovi amici e la protezione di un ragazzo dagli occhi color ambra che, diversi anni prima, era protagonista dei suoi sogni, o meglio.. incubi.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3 – Demone della vita
 



Era passata una settimana da quando Kagome aveva fatto nuovamente quell’incubo. Per due giorni era rimasta a casa, senza alcuna intenzione di scendere dal letto. Aveva paura, sia a dormire, che a rimanere al buio, mentre la fame era l’ultimo dei suoi pensieri.

Sua madre si era raccomandata di chiamare il signor Hayashi, chiedendogli alcuni giorni di malattia che lui acconsentì malvolentieri.

Fortunatamente il sogno non infestò più il suo sonno, mentre gli occhi di quel ragazzo divennero un ricordo lontano. Sembrava fosse tornato tutto come prima e Kagome non poteva esserne più che felice.

«Buongiorno» salutò Kagome, una volta entrata in cucina, con indosso un paio di jeans chiari e una maglietta a maniche lunghe grigia. Sua madre, raggiante, si voltò verso di lei, regalandole uno dei suoi soliti sorrisi.

«Buongiorno tesoro, come ti senti?» domandò, finendo di pulire un piatto sporco.

Kagome alzò lievemente le spalle, per poi scompigliarsi la frangia ribelle «Molto meglio, credo che tornerò a lavoro» ammise, sorridendo.

«Sei sicura?» domandò preoccupata la donna, asciugandosi le mani e avvicinandosi a lei premurosa. Kagome annuì, serena.

«Si, altrimenti il signor Hayashimi mi sgriderà per un mese» scherzò, uscendo dalla cucina, per poi afferrare la borsa. Poco prima di uscire tornò da sua madre, che la stava ancora guardando preoccupata. Senza pensarci Kagome posò un lieve bacio sulla sua guancia.

«Grazie mamma» mormorò, riconoscente, per poi uscire di casa. La signora Higurashi non poté fare a meno di sospirare. Anche se Kagome stava bene, aveva comunque paura per la sua sorte e il ritorno di quell’incubo non era un buon segno...
Cercando di non pensarci tornò in cucina, dedicandosi alle sue faccende.
 



Kagome arrivò puntuale al market, dove un seccato e agitato signor Hayashi la stava aspettando, con le braccia incrociate e il piede che sbatteva intensamente sul pavimento. Ahia, non era un buon segno...

Kagome sorrise appena «Buongiorno Signor...»

«Buongiorno un corno Higurashi!» la interruppe bruscamente il piccolo uomo, alzando le mani al cielo e attirando l’attenzione della clientela «Con la sua bravata questa settimana è stato un inferno! È toccato a me stare dietro le casse e mi creda, è fortunata che sia abbastanza paziente perché altrimenti l’avrei messa a lavorare il triplo del tempo!»

Kagome si strinse nelle spalle. Paziente, si certo, come no! Non sapeva neanche cosa volesse dire quella parola. Decise comunque di mordersi la lingua, non voleva beccarsi un ulteriore sgridata davanti a tutti.

«E ora vada a cambiarsi! Per tutta la settimana si dedicherà interamente al controllo, conteggio e spedizione dei prodotti!»

Fatto un leggero inchino Kagome si allontanò velocemente. Indossò il grembiule e si legò come sempre i capelli. Odiava quel tipo di lavoro... per tutta la giornata, anzi, un’intera settimana, le toccava contare quanti prodotti erano rimasti sia sugli scaffali che negli sgabuzzini, controllare che non fossero scaduti e chiamare tutte le ditte per farsi dare in consegna i prodotti a rischio consumo.

E pensare che lei era sempre stata un’incapace a matematica, motivo per cui odiava fare i conteggi. Con passo lento e strisciante decise di cominciare dal reparto numero 1, tanto aveva un’intera settimana per farli tutti e quindici!

Dopo aver preso carta e penna cominciò il lavoro, iniziando a controllare le scadenze del cibo istantaneo. Quanto le faceva schifo quella roba! In realtà qualsiasi cosa che fosse già cotta e messa dentro un sacchetto di plastica non poteva sopportarla. Nessuno poteva mai competere con le meravigliose pietanze che preparava sua madre con le sue stesse mani.

Per tutta la settimana era rimasta accanto a lei giorno e notte, pronta a soddisfare una qualsiasi sua richiesta, trascurando addirittura il suo lavoro. Sospirò; si sentiva così in colpa...

«Perché ti fai trattare così da quell’insignificante umano

Spaventata, Kagome si voltò, trovando a pochi passi l’ultima persona che sperava di vedere. Il ragazzo dai lunghi capelli neri e gli occhi scuri la stava scrutando, con una punta di curiosità, mentre il sopracciglio destro era leggermente alzato.

In quei giorni Kagome aveva pensato molto a lui, ricordando perfettamente un dettaglio molto importante: i suoi occhi non erano color oro, ma neri. Quel giorno si era semplicemente sbagliata, quindi, non aveva alcun motivo di temerlo. Lui non era il ragazzo del sogno, solo un pazzo che forse si era fissato con lei.

«Tu che ci fai qui?» mormorò, allontanandosi di un passo e tralasciando il bizzarro termine ‘umano’ che aveva utilizzato per nominare il signor Hayashi.

Lui non ci fece caso, e piegò lievemente il capo, intenerendo, solo per un attimo, la fanciulla «Non hai risposto alla mia domanda» la richiamò, utilizzando lo stesso tono di voce, duro e sensuale. Kagome per un attimo percepì un brivido.

«Perché è il mio capo, e come tale devo portargli rispetto» rispose atona, alzando lievemente il mento, fiera della sua risposta, però lui non si scompose, anzi, sembrava leggermente divertito.

«Però lui non lo porta a te» a quelle parole Kagome aprì la bocca pronta a rispondere, ma si rese conto che non sapeva cosa dire, perché aveva perfettamente ragione...

Lo guardò un attimo, indecisa, notando solo ora che il ragazzo era nettamente più alto di lei di almeno quindici centimetri. I muscoli delle braccia erano particolarmente sviluppati e dalla sottile maglietta nera poteva intravedere gli addominali scolpiti.

In difficoltà, Kagome balbettò appena, cercando di cambiare argomento «Non hai risposto alla mia domanda» disse, utilizzando le stesse parole che aveva usato qualche minuto prima lui.

Questo alzò cinico le sopracciglia, incrociando le braccia e permettendo a Kagome di osservare ancora meglio i muscoli dei suoi avambracci; ma non aveva freddo con le maniche corte?

«A te cosa importa?» rispose, con tono prepotente e allo stesso tempo superiore. Questo fece innervosire un poco Kagome, che strinse lievemente il pugno libero, dato che con l’altra teneva ancora il foglio e la penna.

«Perché mi segui?» domandò, fulminandolo con lo sguardo.

Kagome vide la sua espressione mutare, divenne molto più seria e forse... minacciosa «Io non ti seguo, ti controllo»

A quelle parole la leggera rabbia che si era impossessata di lei si scemò del tutto «Cosa?» mormorò, confusa. La stava... controllando? Oh Kami, allora aveva ragione, era uno stalker!

«Senti, per colpa tua, o almeno in parte, ho vissuto una settimana abbastanza difficile, perciò se hai qualche fissazione con me mi dispiace, ma non sono interessata. Vattene se non vuoi che ti denunci alla polizia» lo minacciò, allontanandosi il più in fretta possibile da lui, che rimase fermo e calmo.

«Se non fosse stato per me ti saresti rotta l’osso del collo» Kagome si bloccò, per poi voltarsi. Parlava di quando l’aveva afferrata al volo mentre era sullo scaleo?

«E infatti ti ho ringraziato, ma questo non significa che tu mi debba seguire in ogni luogo in cui vado!» rispose brusca, cercando di mettere in chiaro una volta per tutte quella situazione. Perché questo improvviso coraggio non lo tirava fuori anche con Hojo?

Perché Hojo è gentile, mentre lui uno sbruffone.

Ben detto vocina!

«Te l’ho detto non ti sto seguendo, ma controllando» cavolo non lo sopportava... ma chi si credeva di essere?

«Basta, mi hai stancato. Lasciami in pace!» gridò, e senza attendere risposta se ne andò, raggiungendo la porta in cui si trovavano gli armadietti. Stressata si mise a sedere su una scatola imballata, guardando senza alcun interesse davanti a sé.

Controllando... la stava controllando, perché? Cosa diavolo voleva quel tipo da lei? Il quel periodo troppe domande rimbalzavano dentro la sua testa e, se doveva essere sincera, si era stancata.

Ad un certo punto la maniglia della porta di legno si abbassò e si aprì lentamente, da cui sbucò una testa dalla capigliatura a caschetto «Kagome tutto bene?» domandò la sua collega, entrando del tutto dentro la stanza e osservandola preoccupata.

«Si Eri, scusami» rispose la mora, scuotendo lievemente il capo e stirandosi il grembiule verde, simile a quello che indossava l’amica.

«Meglio tornare a lavoro, prima che il capo ci becchi qui dentro» consigliò, afferrando la sua mano con un sorriso. Kagome, ricambiò il gesto, facendo un gesto col capo.

«Eri ti dispiacerebbe aiutarmi con i conteggi?» domandò, uscendo dalla stanza. Sperava con tutto il cuore che la ragazza accettasse, così che quel ragazzo non tornasse nuovamente a tormentarla. Per sua fortuna, la collega annuì, felice.

«Certo! Adoro la matematica» esclamò, entusiasta, mentre Kagome tirò un sospiro di sollievo. Non vedeva l’ora di tornare a casa.
 



***
 



Ormai erano le sette passate e il sole era quasi del tutto scomparso dietro gli alti grattacieli della capitale. Kagome respirò a pieni polmoni un po’ d’aria, che sfortunatamente non si poteva dire che fosse fresca, ma sicuramente molto più rilassate rispetto all’odore di cibi e detersivi che infestava il market in cui lavorava.

«Higurashi, mi raccomando: puntuale» sottolineò il signor Hayashi, che in quel momento stava abbassando la saracinesca interamente ripiena di graffiti fatti diverso tempo prima da qualche ragazzino. E pensare che l’ultima volta le era toccato a lei pulirla con tanta fatica; quella roba non si toglieva neanche con l’acido!

«Non si preoccupi, buona serata» lo salutò, avviandosi verso casa e alzando lievemente la mano. Naturalmente il piccolo uomo non ricambiò il gesto, ma a Kagome importava poco, era troppo stanca per pensarci.

Si abbottonò meglio il cappotto lungo, cercando di nascondere le mani dentro le maniche. Quel giorno era stato molto più caldo rispetto a quelli passati, ma il venticello serale era sempre pronto a raffreddare il suo povero volto bianco.

Girato l’angolo di un alto edificio grigio consumato si ritrovò circondata da un’innumerevole quantità di persone che sicuramente, come lei, avevano finito di lavorare ed erano pronte a tornare a casa. Stando ben attenta a non calpestare o urtare nessuno, raggiunse finalmente l’attraversamento pedonale, dove il semaforo era ancora rosso.

«Dici sul serio? E quando è accaduto?» due giovani donne si fermarono vicino a lei, che, in attesa del verde, continuavano dispiaciute la loro conversazione.

«Ieri sera. La polizia ha trovato la poverina con un enorme buco nello stomaco» rispose l’altra. A quelle parole il sangue di Kagome si raggelò e, nonostante fosse sbagliato, si mise ad ascoltare attenta quel terrificante dialogo.

«Chi potrebbe mai fare una cosa del genere? Povera ragazza» sospirò l’amica, scuotendo il capo consolata.

«Non lo so. E pensare che era molto giovane...»

Le due donne ripresero a passeggiare e solo in quel momento Kagome si accorse che il semaforo verde era scattato. Risvegliandosi, prese a camminare tra la folla, senza smettere di pensare a quello che aveva appena udito. Un brivido colpì la sua schiena e istintivamente si fermò sulle strisce, alzando in avanti il volto.

Quella sensazione... era la stessa di quando quel ragazzo la stava guardando, però questa volta, era diversa; più tenebrosa, più... pericolosa. Per un attimo pensò, o forse, sperò, di trovarselo davanti a sé, ma si sbagliò, perché quello che le si presentò davanti, non era lui, ma il parco.

«Muoviti ragazzina, stai bloccando la fila» una voce scontrosa le arrivò all’orecchie, scoprendo che dietro di lei alcune persone non riuscivano a passare perché si era fermata. Arrossendo leggermente riprese il passo.

«Mi scusi...» mormorò.

Una volta raggiunto il marciapiede tornò a guardare nuovamente i folti alberi dietro la ringhiera verde con un cancello aperto, che limitava l’entrata del parco. Rimase ad osservarlo a lungo e per la prima volta dopo tanti anni non percepì il solito malessere che l’assillava ogni volta che vi passava accanto.

Cos’era quella sensazione, curiosità? No... sembrava che qualcuno l’avesse ipnotizzata. Non riusciva a staccare i suoi occhi dall’oscurità degli alberi, nonostante l’area fosse illuminata dai lampioni. Era come se qualcuno la stesse osservando e guidando... voleva che entrasse lì?

Sapeva che era sbagliato; sapeva che qualcosa non quadrava, ma non era più in grado di controllare il suo corpo. Le sue gambe si mossero da sole e non appena varcò il cancello percepì uno strano solletico lungo il corpo.

Col cuore in gola raggiunse il luogo centrale in cui c’era unicamente sabbia e costruzioni per i bambini, che, durante il giorno, venivano a giocare con le proprie mamme. Attorno a lei solo alberi illuminati dalle luci dei lampioni. Ormai il sole era quasi del tutto sparito, lasciando quel piacevole colore azzurro in cielo.

Una volta arrivata Kagome si fermò, guardandosi in giro. Tutto in torno a lei taceva. Le altalene si muovevano leggermente per via del vento, come se in quel momento ci fosse sopra un fantasma. Quella sensazione non le piaceva, voleva tornare a casa, ma allora perché non si muoveva?

Strinse gli occhi, e, lottando contro se stessa, riuscì finalmente a muovere le gambe. Si guardò ancora una volta attorno, poi, decise di andarsene. Il suo unico pensiero era quello di tornare il prima possibile dalla sua famiglia.

Girò i tacchi pronta ad andarsene, ma ad un certo punto, un rumore sospetto la bloccò. Sembrava come se qualcosa avesse strisciato per terra. Che cos’era?

Poi, lo percepì: un respiro. Un minaccioso e inquietante respiro colpì le sue orecchie, facendola sudare freddo. Lentamente si voltò verso il parco giochi, ma lì non vi vide nulla.

Ingoiò con difficoltà un po’ di saliva, cercando di inumidire la gola diventata improvvisamente secca. Forse si era sbagliata, era solo frutto della sua immaginazione. Chiuse gli occhi e ispirò col naso, cercando di darsi una calmata, ma per la seconda volta, percepì qualcosa... dietro di lei.

«Notevole, sei riuscita a liberarti dal mio sortilegio» una voce mostruosa arrivò dritta alle sue orecchie, facendola raggelare. Un fiato caldo e disgustoso le colpì la nuca, costringendola a voltarsi nuovamente e per poco, Kagome non si sentì morire «Ma questo non ti basterà a salvarti»

Una figura gigantesca, di un colore viola scuro, si trovava a pochi metri da lei. In testa aveva delle possenti corna appuntite, mentre dalla bocca usciva della bava verde bagnando il terreno, che al suo tocco bruciava, come se fosse acido. Le sue iridi rosse, proprio come il sole che era appena tramontando alle sue spalle, la studiavano famelici. Che fosse quello lo sguardo che aveva percepito pocanzi?

L’immonda creatura si avvicinò pericolante a lei, che non aveva il coraggio di muoversi «Dammi la sfera» mormorò la creatura, con una voce gutturale.

Kagome, con gli occhi sbarrati percepì a malapena quello che le aveva detto «Dove si trova?» domandò ancora, minaccioso, muovendo appena le lunghe braccia armate da pericolosi artigli. Kagome sentì le mani e le ginocchia tremare «Quanto ho voglia di assaggiarti... chissà sei hai lo stesso sapore di quella umana di ieri»

La ragazza morta. Era stato lui ad ucciderla? Questo pensiero la risvegliò e nel momento in cui i suoi occhi vennero abbagliati dal luccichio di quelle che sembravano zanne si risvegliò. Si voltò di scatto, dando le spalle a quella mostruosità e iniziò a correre dall’altra parte dell’entrata del parco.

«Torna qui! Dimmi dove si trova!» gridò il mostro, iniziando ad inseguire senza difficoltà la ragazza «Dammela!»

Kagome percepì chiaramente il mostro avvicinarsi a lei e con gli occhi lucidi superò un albero «Io non ho niente!» esclamò, disperata, sperando che la sua risposta bastasse a lasciarla in pace. Nuovamente superò un altro albero mentre il frastuono di un grande ramo spezzato ricoprì l’aria.

Sentì chiaramente uno di quei pericolosi artigli toccarle i capelli e poi infilzare la sciarpa svolazzante. Senza pensarci, forse spinta dal proprio istinto di sopravvivenza, la sciolse, lasciando così il mostro a mani vuote.

Kagome, con un balzo, superò un piccolo cespuglio, per poi riprendere la strada che l’avrebbe portata all’uscita del parco, ma improvvisamente, una figura umana le si presentò in avanti. Non avendo tempo di fermarsi si scontrò con questa, avvertendo piacevolmente un calore lungo le braccia.

Alzò lo sguardo umido e grazie alla luce dei lampioni riconobbe il suo volto. Il ragazzo dai capelli neri! Cosa ci faceva lì?

«Tu...» sussurrò, confusa, ma allo stesso tempo felice di averlo lì. Ma ora non aveva tempo di pensare a quelle cose, dovevano trovare un modo per andarsene da quel parco prima che quel mostro li raggiungesse.

Agitata iniziò a spingerlo con le sue mani, ma la sua presa ferrea la bloccò, facendole alzare lo sguardo. Gli occhi di lui guardavano dritto davanti a sé, fieri e coraggiosi, mentre con una delicatezza infinita, spostò Kagome dietro il suo corpo, come per proteggerla, mentre l’essere deforme si bloccò, non appena vide la nuova figura sopraggiunta.

«Resta qui» sussurrò lui. Kagome, senza neanche rendersene conto annuì, facendo come richiesto, mentre lui si avvicinò di qualche passo al mostro.

«Come hai fatto a raggiungere per tempo questo luogo?» sbraitò la creatura, mostrando minaccioso le sue poderose zanne, che avrebbero trafitto qualsiasi cosa.

«Potrei farti la stessa domanda, disgustosa emanazione» rispose a tono lui, mentre il suo sguardo si indurì ancora di più.

Le parole del ragazzo fecero infuriare ancora di più la figura immonda, che ringhiò minacciosa «Porterò al mio Padrone la tua testa!» gridò, iniziando a correre ad una velocità esorbitante, che Kagome, faceva fatica a seguire.

Immediatamente la grande mano artigliata fu subito davanti a lui, bloccandolo con una presa ferrea. Soddisfatta, la creatura aprì ancora di più la bocca e fece fuoriuscire le zanne, mentre i suoi occhi si dilatarono.

Nel momento in cui Kagome vide quella bocca avvicinarsi al suo collo non poté fare a meno di gridare spaventata.

«Attento!»

Nello stesso istante il ragazzo ghignò appena «Sei troppo ottuso...» e senza neanche dare il tempo al mostro di avvicinarsi ancora una luce biancastra ricoprì interamente il corpo del ragazzo, accecando sia Kagome che il proprio avversario.

Non appena riaprì gli occhi, Kagome tornò a guardare preoccupata e spaventata verso di loro e quando si rese conto di cosa aveva davanti, o meglio.. di chi aveva davanti, sentì il proprio cuore sobbalzare.

I suoi lunghi capelli neri si erano improvvisamente schiariti, fino a diventare bianchi. Sulla testa invece, vide quelle che sembravano orecchie da cane che si mossero a scatti. Spostò poi lo sguardo sulla sua mano, che aveva alzato minacciosa verso il mostro, mostrando degli artigli lunghi e affilati. Il ragazzo sospirò appena, soddisfatto, poi scrocchiò le ossa del collo.

Colpito da una furia cieca, il demone strinse ancora di più il corpo del giovane, che rimase fermo a guardarlo divertito, poi, rise sguaiatamente, mostrando le zanne «E anche debole» senza neanche dare il tempo al mostro di fare altro, con un veloce movimento dei suoi artigli distrusse in mille pezzi il suo lungo braccio, sporcando la sabbia di un liquido nero, simile ad inchiostro.

Urlando dal dolore, il rivale osservò sdegnato il suo arto amputato, e pochi secondi dopo, il giovane raggiunse la sua elevata altezza con un balzo, tagliando questa volta la sua testa, che rotolò poco lontano. Il corpo rimase un attimo in piedi, poi, cadde in avanti, con un tonfo sordo, mentre il giovane osservava serio il nemico appena sconfitto.

Kagome, a quella scena, trattenne un conato di vomito. Senza alcuna difficoltà aveva ucciso quella cosa. Tremò appena quando le sue spalle si mossero e la sua attenzione venne riportata su di lei. Non solo i capelli, le orecchie e gli artigli, ma pure gli occhi erano mutati... color ambra.

Non era possibile, non poteva essere lui!

«Stai bene?» domandò freddo e avvicinandosi di un passo e questo bastò a Kagome di girare i tacchi e correre via il più lontano possibile da quel luogo, ma soprattutto da lui.

«Ehi, ferma!» gridò, e con un semplice salto la raggiunse, bloccando la sua corsa.

«Lasciami andare!» gridò la ragazza nel panico, mentre lui la tenne ferma senza alcuna fatica. Si mosse come un leone in gabbia, ma quando capì che non c’era nulla da fare si calmò all’istante, abbassando lo sguardo impaurito «No.. ti prego» sussurrò, con voce tremante.

Le orecchie di lui, al suono del suo ammonimento impaurito, si mossero, mentre lui, lentamente la lasciò andare lentamente per poi lasciarla andare, ma senza staccare i suoi occhi da lei «Non voglio farti male» disse grave, ma allo stesso tempo rassicurante.

Al suono di quelle parole Kagome alzò lievemente lo sguardo, osservandolo poco convinta. Un lampione posto vicino le permetteva di osservare chiaramente ogni suo minimo particolare. I suoi lunghi capelli non erano bianchi, ma argentei, come la luna. Le sue orecchie invece erano ricoperte da una deliziosa peluria, sembravano così morbide...

«Che cosa sei?» bisbigliò, non appena capì che forse non c’era più niente di cui aver paura.

Il ragazzo tirò un sospiro, per poi abbracciare le sue spalle con il braccio e obbligandola ad incamminarsi fuori dal parco.

«Vieni, ti accompagno a casa» aggiunse solamente. Uno strano calore, misto a protezione, impadronì immediatamente il cuore di Kagome. La sua stretta era così delicata, ma allo stesso tempo forte. Non appena superarono il cancello Kagome aggrottò le sopracciglia scoprendo che le persone continuavano a camminare tranquillamente, come se nessuno avesse percepito tutto il trambusto che quel mostro aveva fatto fino ad un attimo prima.

Il giovane lasciò andare, con suo sommo dispiacere, le sue spalle, portando entrambe le mani dentro le tasche della felpa nera, non prima di aver coperto la testa e i capelli dal cappuccio «Mi dispiace, ma mi ci vorrà del tempo per poter riprendere le mie sembianze umane» spiegò brevemente, iniziando a camminare e Kagome non poté fare a meno di seguirlo.

Per tutto il tragitto rimasero in silenzio. Kagome era confusa, aveva così tante domande da porgergli...

Ogni tanto lanciava uno sguardo curioso, cercando di capire che cosa stesse pensando, ma per colpa del cappuccio che gli copriva più di metà volto, le risultava difficile.

Quando si trovarono ai piedi della lunga scalinata si fermarono.

«Forza andiamo» disse sbrigativo, iniziando a salire, sotto lo sguardo sbigottito della fanciulla. Prese a correre, per poi seguirlo con difficoltà. Una volta raggiunta la cima, vide il giovane avviarsi verso la sua casa.

Una sensazione di disagio si impossessò di lei.

«Aspetta, che vuoi fare?» domandò, mentre lui, senza arrestare la sua camminata, rispose ovvio.

«Semplice: entrare»

Kagome sbarrò gli occhi. Come un fulmine scattò verso di lui, portando una mano sul suo petto e arrestando così le sue intenzioni «Non con questo aspetto, la mia famiglia potrebbe spaventarsi, o peggio, a mio nonno verrebbe un infarto!» ipotizzò la ragazza, immaginando il suo povero nonno a terra con la mano sul cuore.

Questo alzò gli occhi al cielo e sbuffò «Sciocchezze, tanto prima o poi dovrai raccontargli tutto» disse, cercando di spostarla, ma lei non demorse.

«Raccontargli cosa?» disse seria. Già cosa doveva raccontargli se pure lei non aveva idea di quello che stesse succedendo? Ispirò col naso, tentando di calmarsi.

«Tu resta qui fuori, capito?» lo ammonì, come se stesse parlando con un bambino e senza dargli il tempo di ribattere aprì la porta, sfoderando il sorriso più falso che potesse fare.

«Sono a casa» avvertì. In un attimo sua madre apparve dalla cucina, mentre suo nonno dal piano di sopra; Sota come al solito giocava con quel dannato aggeggio.

«Kagome dove sei stata? È tardi!» la rimproverò preoccupata la signora Higurashi, avvicinandosi a lei.

Kagome, in difficoltà, si grattò la nuca, cercando di essere il più naturale possibile «Scusate, ma ho voluto fermarmi in biblioteca» disse la prima cosa che le passò per la testa. Improvvisamente la porta d’entrata si spalancò, colpendo con violenza la sua schiena, mentre una nuova figura si presentò in casa Higurashi.

«Non sei per niente brava a fingere» borbottò il ragazzo, incrociando le braccia, mentre Kagome, non appena realizzò cosa fosse accaduto, spalancò gli occhi scioccata.

«Ti avevo detto di restare fuori!» lo sgridò, alzando come una pazza le braccia al cielo, mentre lui la guardava.

La signora Higurashi, dopo aver scrutato il nuovo arrivato, piegò un poco il capo, osservando curiosa la figlia «Chi è il tuo amico, tesoro?» domandò subito. Anche Sota aveva smesso di giocare.

In difficoltà, Kagome si morse il labbro inferiore «Emh... nessuno, anzi stava giusto andando via. Vero!?» disse minacciosa, guardando in cagnesco il giovane che continuava a essere tranquillo.

«No»

Maledizione, perché doveva essere così scontroso? Meno male che teneva almeno in testa il cappuccio..

«Questo coso mi sta facendo soffocare maledizione» disse, togliendosi con un gesto secco il copricapo nero.

Ok, ora poteva anche morire...

I membri della famiglia, non appena focalizzarono l’aspetto abbastanza fuori dal comune del nuovo arrivato, rimasero in silenzio per diversi secondi. Kagome si tappò gli occhi della mano.

«Per tutte le divinità celestiali, un demone!» tutti si voltarono spaventati verso il nonno, che stava indicando spaventato il ragazzo dai capelli d’argento, che alzò scettico un sopracciglio.

Kagome cercò subito d’intervenire, mettendosi tra lui e il giovane «Calmati nonno!»

«Vattene orripilante creatura e lascia andare mia nipote!» sbraitò ancora il vecchio, guardando minaccioso la losca figura per nulla impaurita. Sotto lo sguardo preoccupato di tutti, il nonno di Kagome corse su per le scale e dopo aver percepito una serie di strani rumori dal piano di sopra, tornò in salotto, con in mano una serie di fogli rettangolari bianchi.

«Grazie a questi talismani anti-demone brucerai tra le fiamme dell’inferno!» strepitò, attaccando sulla povera faccia del ragazzo una serie di fogli. Soddisfatto incrociò le braccia e chiuse gli occhi, pronto a ricevere le acclamazioni meritate dalla propria famiglia.

«Nonno non sta funzionando» disse tranquillamente Sota, che continuava a guardare l’amico di sua sorella staccare come se nulla fosse un foglio dal suo naso.

«Com’è possibile?!» berciò, portandosi entrambe le mani sulle guance.

«Sono falsi vecchio» spiegò brevemente lui, con un sopracciglio alzato e strappando a metà il talismano, sotto lo sguardo abbattuto dell’uomo di casa.

Cercando di mantenere la calma, riportò il suo sguardo ambrato su Kagome, che era rimasta per tutto il tempo a guardare. L’afferrò per un braccio, iniziando a trascinarla «Su andiamo, dobbiamo parlare...» disse, iniziando a salire le scale.

Kagome si ritrasse appena, cercando di liberarsi «Cosa? Ehi aspetta non...»

«Un momento!» entrambi i ragazzi si voltarono verso la signora Higurashi, che osservava torva il giovane che stringeva con forza il braccio della figlia.

«Che c’è?» disse scontroso.

Immediatamente la donna allungò le mani e prendendolo in contro piene afferrò le sue orecchie, tastandole curiosa «Sono vere queste orecchie?» domandò, senza smettere di toccarle.

«Falle toccare anche a me mamma, falle toccare anche a me!» gridò Sota, che iniziò a saltellare entusiasta vicino alla madre.

Kagome osservò tutta la scena sbigottita, costatando che la sua famiglia doveva essersi ammattita. Ma cosa le saltava in mente a sua madre di toccare delle orecchie... da cane di un ragazzo, non aveva paura? Beh, se doveva essere sincera ci aveva pensato pure lei a quella piccola idea...

Con uno strattone il ragazzo si liberò dalla presa della donna, osservando tutti i presenti seriamente «Non abbiamo tempo per queste cose, vostra figlia è in pericolo!»

Per la seconda volta, la famiglia di Kagome rimase in silenzio.

«Pericolo?» sussurrò allarmata la signora Higurashi, che osservò confusa il giovane «Chi sei ragazzo?» domando.
Lui, dopo aver osservato la donna, l’uomo e infine Kagome, risposte «Quello che ha detto il vecchio: sono un demone, il demone della vita»
 
 


***

 
 

Sbuffando rumorosamente, il giovane ragazzo guardò fuori dalla finestra, mentre il cielo oscuro ricopriva l’intera zona. Con un movimento leggero, mosse la sua testa, permettendo così alla sua lunga chioma scura legata da una coda alta di muoversi liberamente.

Ormai era diverso tempo che se ne stava lì a non far nulla per tutto il tempo.

«Byakuya!» la voce tuonante del suo Padrone lo richiamò, obbligandolo a staccare i suoi occhi scuri, circondati da sfumature simili al viola, dal panorama macabro «Goshinki è stato sconfitto... a quanto pare sono stato battuto sul tempo» continuò l’uomo, con voce dura, ma allo stesso tempo ironica.

Byakuya lo guardò serio, tenendo entrambe le mani nascoste dentro le larghe maniche del suo kimono azzurro e violaceo «Ma almeno ora sappiamo dov’è» commentò, freddo.

Il suo Padrone, senza guardarlo ridacchiò, confermando perfettamente le sue parole con un cenno del capo «Esatto, per questo motivo voglio che vada tu» tuonò, mentre i suoi occhi rossi lo scrutarono.

Il ragazzo non si fece intimorire, anzi, una piacevole sensazione abbrancò il suo corpo. Finalmente un po’ di divertimento; aveva proprio bisogno di sgranchirsi le gambe.

Ghignò «Cosa vuoi che faccia?»

«Prendi la sfera e portala da me» una smorfia infastidita sfigurò il suo volto, mentre con rabbia, strinse entrambe le mani in un pugno, muovendo e facendo tintinnare le catene che bloccavano i suoi polsi «Ormai manca poco e finalmente sarò di nuovo libero»








A.A. (Angolo Alieno):
 
Ed ecco il terzo capitolo, a rilento, ma eccolo!
È la prima volta che mi “metto alla prova” nel genere azione, che naturalmente in questa ff non mancherà. Boh, io ho qualche dubbio, ma come al solito la carissima Manuela, la mia mentore, è sempre pronta a sostenermi 
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, mi scuso per non aver risposto alle ultime recensioni, ma per ora il mese di Settembre è stato devastante. Tecnicamente da oggi in poi dovrei essere più libera dalla vita universitaria per almeno due mesi quindi incrociamo le dita!
Un bacione a tutti e a presto!
Marty

   
  
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