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Autore: EffyLou    18/09/2017    2 recensioni
IN PAUSA - aggiornerò quando avrò alcuni capitoli pronti!
Las Vegas pullula di creature sovrannaturali e mostri.
Phoebe Montgomery ha ventitré anni e lavora come barista al casinò dell'hotel Mirage, sulla Strip. È una ragazza socievole, spigliata, c'è solo un problema: è schizofrenica. O almeno così crede di essere. Fin da bambina, si imbottisce di pastiglie per allucinazioni pur di non vedere mostri e creature spaventose che, dodici anni prima, uccisero suo fratello in un vicolo.
Esseri che la guardano come se fosse oro, che la inseguono, la braccano, la aggrediscono, solo se lei non prende la pastiglie. Devono essere allucinazioni per forza.
Tuttavia, Phoebe Montgomery è una cosiddetta Esper con il dono della chiaroveggenza.
Grazie al fortunato incontro con Damon Darden, la ragazza entrerà nell'Ordine degli Esper, organizzazione sottoposta al Vaticano che lavora per studiare e comprendere mostri e creature, e per mantenere in equilibrio quel mondo fatto di due realtà sovrapposte che mai devono incontrarsi.
È un mondo insidioso. Non si deve abbassare la guardia per nessun motivo.
Chi perde la concentrazione, chi si lascia corrompere, chi guarda in faccia il Male...
Cade.
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La storia tratta della percezione extrasensoriale.
Genere: Dark, Horror, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Esper'
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Capitolo quarto
Cattedrale dell'Angelo Custode


«Posso sapere almeno il tuo nome?» domandò Phoebe, seguendolo.
«Damon. – la guardò di sottecchi, mentre le teneva aperta la porta della parrocchia. – Darden.»
«Damon Darden. D’accordo. Parliamo.» annuì, incerta, prendendo un respiro.
Lui abbozzò un sorrisetto divertito distogliendo lo sguardo dai suoi occhioni smarriti.
Il poliziotto si aggirò nella chiesa come un bambino al parco giochi, toccando tutti gli affreschi e le statuette nelle nicchie, divertendosi persino a spegnere un paio di candele con le dita.
Phoebe lo seguì con un sospiro, lui si voltava a guardarla di tanto in tanto.

«Non sei schizofrenica. – esordì, distrattamente. – Anzi. La tua testa non ha proprio niente che non va, ragazzina.»
«Me l’ha detto anche Bane. E allora come spiegate ciò che vedo? – Phoebe frugò nella sua borsa i disegni dei mostri che aveva fatto. – Guarda, maledizione.»
«Li vedo anche io, identici. Eppure non sono schizofrenico. – le strizzò l’occhio. – Bel posto ti sei scelta per venire a lavorare. Las Vegas brulica dei cosiddetti mostri. Hanno molti nomi generici per essere definiti: creature sovrannaturali è troppo lungo. In gergo, di solito diciamo Hanga e Skrìmsli, l’uno significa “creature” e l’altro “mostri”, e bada perché sono due cose un tantino diverse.» le spiegò assottigliando lo sguardo torbido.
«Perché diverse? Perché non ti attaccano se sei come me? Perché questo posto è pieno di queste creature? E perché parli al plurale, usando il “noi”?» parlò a raffica e avrebbe continuato con le domande.
Damon le tappò la bocca con la mano, senza particolare attenzione, e inarcò le sopracciglia.
«Stai zitta un secondo e lasciami spiegare. Una cosa per volta, ragazzina! – allontanò la mano. – Las Vegas pullula di Hanga perché è la città del peccato, capisci? A loro piacciono queste stronzate, soprattutto ai demoni e ai vampiri. Sono così mondani, attivi partecipanti di rave e frequentatori di galà, casinò, discoteche.»

Adam li osservava da lontano, martoriandosi le dita per le parole di quell’uomo.
Era bello. Lo sguardo suadente e fanciullesco, il sorriso tenero e malizioso al tempo stesso. La voce magnetica, persuasiva, ipnotica, eppure così limpida e giovanile.

«Vedi, ragazzina. – riprese a parlare. – A volte nasce un individuo speciale. Persone diverse, con doti molto particolari, e sono tenute a portare avanti una missione che prosegue dall’alba dei tempi. Mi spiego?»
«No. Parla chiaro, per “dono” intendi la schizofrenia? Quel Bane ha cominciato a dire cose strane. Nostradamus, Solitari, ha detto che ci comportiamo sempre allo stesso modo con la clozapina e…» cominciò a parlare veloce, come quando era nervosa, a gesticolare e camminare avanti e indietro.
Damon le tappò la bocca di nuovo. «Non c’è un tasto per spegnerti? – gli occhi brillavano di divertimento. ─ Non è schizofrenia. Si chiama settimo senso. Viene erroneamente confuso per il cosiddetto sesto senso, che in realtà è l’istinto. – le spiegò alzando l’indice come un bravo studente. – Io e te siamo chiaroveggenti, vediamo le cose nascoste, celate, e per questo veniamo chiamati Nostradamus: quel tipo era come me e te. Hanno cominciato a chiamarci così per sfottere, ma poi è diventata usanza comune. Ma ci sono diverse manifestazioni della percezione extrasensoriale, oltre alla chiaroveggenza. Ci chiamano in molti modi. Sensitivi, medium, maghi… Il nome corretto è Esper. Siamo una branca della razza umana, siamo quelli con il DNA ancora primordiale.»
«Primordiale? Se sappiamo usare certi sensi non dovrebbe essere evoluto? Non ha senso.»
«Non mi va di farti una lezione di storia. Vedila così: i nostri antenati primitivi dovevano difendersi dai pericoli non visibili in qualche modo. Mentre qualcuno inventava la lancia, gli altri cosa hanno fatto? Hanno sviluppato l’ESP, la percezione extrasensoriale. Mentre qualcuno ideava una difesa concreta, gli Esper dicevano loro da chi e da cosa dovevano difendersi grazie alle loro facoltà mentali. Diciamo che un tempo quasi tutti eravamo Esper, al contrario di adesso erano rari i casi in cui non si sviluppava l’ESP. Ma con l’evoluzione queste cose sono andate perse. – si strinse nelle spalle. – Non in tutti. Siamo il tre percento della popolazione mondiale.»
«Tu sapevi la verità su di me, su quei mostri e le aggressioni. Perché non me l’hai detto da subito quel giorno in centrale?»
Damon la guardò con intensità tale che lei fu costretta ad abbassare lo sguardo. Si passò una mano sul viso, riflettendo. «Ho pensato di tenerti d’occhio prima. In effetti sei stata un po’ difficile da tampinare, visto che di notte prendi vita e durante il giorno vai praticamente in coma sul letto.»
«Aspetta cosa… Mi hai seguito e spiato?!»
«Per forza. Ah, e il tipo che si aggirava fuori casa tua era Michael Bane. Ma i vampiri non possono entrare nelle case se non sono invitati, perciò si teneva fuori. Poi tu hai souvenir scaramantici che tengono lontane anche bestiacce come fantasmi e spriggan, perciò casa tua non poteva essere violata.»

La osservò con la testa inclinata da un lato, gli occhi ridotti a due fessure. Le diede tutto il tempo per assimilare quelle informazioni. Per lui era quella la realtà, ormai neanche ci faceva più caso. Ma per quella ragazzina era tutto diverso. Aveva creduto per tutta la vita di essere schizofrenica, si era im
bottita di pastiglie per allucinazioni e aveva vissuto nell’ansia e nella paura, invece ora si scopriva una Esper. Quella testolina doveva essere più che confusa.
«Phoebe, noi Esper dobbiamo nasconderci. – le disse piano. – Dagli Hanga e gli Skrìmsli, intendo. Il nostro sangue per i vampiri, la nostra carne per licantropi e fantasmi, la nostra anima per i demoni… Siamo le migliori prede per loro, capisci? Non possiamo permetterci di perdere altri fratelli. Quelli come Bane sono bracconieri, vanno a caccia di Esper Solitari, che sono i più vulnerabili perché non sanno chi sono e non sono protetti da noi. Ci nascondiamo ma al contempo siamo in mezzo a loro. Abbiamo un Odore, noi Esper, ed è molto forte. La tattica che usiamo per mascherarlo, mantenendo le nostre facoltà, viene chiamata Carnevale e questo… - estrasse un amuleto dalla t-shirt. – È la Maschera. Uno strumento magico che sprigiona un profumo qualsiasi abbastanza potente da celare il nostro Odore. Ecco perché non mi hanno attaccato. E gli Hanga non ci tengono ad attaccare così apertamente un “Menomato”.»
Phoebe si sedette vicino a lui, sfiorò l’amuleto con le dita. Era un’agata viola limata per sembrare un dente ricurvo, con una placca d’oro sulla sommità che si legava ad un laccio di cuoio nero.
Come faceva quell’affare a emanare un odore? Aggrottò le sopracciglia, studiandolo e rigirandoselo tra le dita.
Damon glielo sfilò di mano con gentilezza, e lo infilò di nuovo sotto la maglia.
«Magia.» ammiccò con le sopracciglia, il sorriso furbastro.
«Fatine e folletti?»
«Quasi.» arricciò il naso con un sorriso.
«Posso averne uno anche io? Credo che quei mostri, gli… Hanga, mi farebbero meno paura se non mi aggredissero.»
Damon frugò nella tasca dei jeans, ne estrasse una catenina sottile d’oro a cui era agganciato una pietra di giada intagliata, con la punta rivolta verso il basso. Le chiese se volesse una mano a indossarla, ma Phoebe rispose di no, che l’avrebbe agganciata da sola.
La accarezzò con la punta delle dita, l’oro fresco sulla pelle del collo.
«Ho pensato che me l’avresti chiesta. – le disse Damon. – Perciò te ne ho portata una. Potrai averne quante vorrai, ognuna ha un odore diverso, naturale o chimico che va a ricreare i profumi… sai tipo Calvin Klein, Ugo Boss, quelli lì. Ecco la tua prima Maschera.»
«Grazie. – mormorò, seriamente riconoscente. – È stato gentile da parte tua.»
Lui fece un cenno col capo e abbozzò un sorriso. «Profuma di menta. – strofinò le mani. – Bando alle ciance, ragazzina: a casa non puoi tornare e qui dentro non puoi restare. Ora sai chi sei, perciò puoi venire con me. Raccogli le tue cose, ti porto nella tua nuova casa.»
 
 
 

Lungo il tragitto a piedi, Damon le aveva detto che le persone rapite da Bane non potevano essere recuperate perché erano ormai divenute vampiri oppure morti. La notizia non poteva essere diffusa per diversi motivi legati alle due realtà in cui era diviso il mondo. Tra l’altro, quello era periodo di caccia per i vampiri: durante l’anno vivevano come persone normali e non si nutrivano di sangue umano né potevano creare nuovi succhiasangue, ma era stato concesso loro un periodo di tre mesi in cui potevano farlo – anche se venivano comunque sorvegliati, non potevano fare stragi.
Le disse poi che lei era una Solitaria, come le aveva già detto Michael Bane.
I Solitari non avevano vita lunga: gli Esper erano portati a cercare un “branco” ma non potevano trovarlo perché erano troppo diversi dal resto della gente e, oltretutto, di solito venivano scambiati per schizofrenici. Soprattutto i chiaroveggenti. E i cosiddetti bracconieri, come Bane, cacciavano i Solitari anche fuori il periodo di caccia concesso dall’Ordine. Chi non trovava il branco, moriva.
Le disse che i non-Esper venivano chiamati Menomati, ma non con cattiveria. Solo per indicare che avevano qualcosa in meno nella sfera sensoriale. In realtà erano fondamentali: se gli Esper erano portati per spiritualità e istinto primordiale, i Menomati erano puntanti al progresso e le innovazioni tecnologiche di cui usufruiva l’Ordine degli Esper erano una loro invenzione. Loro avevano inventato la lancia, gli Esper avevano indicato loro da chi difendersi.
Infine aggiunse che qualsiasi informazione avesse voluto approfondire per capire meglio quel mondo, l’avrebbe trovato nella libreria del quartier generale del presidio dell’Ordine in Nevada.
Il concetto di “casa” di Damon Darden era la Cattedrale dell’Angelo Custode, lì a Las Vegas. Aveva una forma triangolare, il tetto nero, l’enorme dipinto di Cristo e gli apostoli sulla facciata, proprio sopra la porta.

Lui, vedendo la faccia di lei, le disse che la scelta di una chiesa cristiana era dovuta alla religione comune del posto in cui si trovavano, che nei Paesi islamici, ebraici, induisti e quant’altro, i quartier generale si trovavano nei rispettivi luoghi di culto. All’Ordine non importava molto della religione, nonostante fosse subordinata al Vaticano, ma quelle strutture erano gli unici posti sicuri perché erano territori consacrati.
Damon si piazzò di fronte la cattedrale, allargò le braccia.
«Ostensum est in oculis meis.» e le indicò la struttura.
Phoebe seguì con lo sguardo la direzione che indicava con il dito. Come per magia, come se fosse stato scoperto da un mantello dell’invisibilità in perfetto stile Harry Potter, un castello di piccole dimensioni con guglie, balconi e merletti, comparve come arroccato sul tetto della cattedrale.
La ragazza guardò quell’apparizione con la bocca spalancata e gli occhi sgranati. Poi emise un basso gridolino di sorpresa e scoppiò a ridere.
Tirò Damon per la manica, eccitata.
«Sei un mago. Sei un fottuto mago! Insegnami!»
Lui scoppiò a ridere, in una risatina che Phoebe trovò simpatica. «Collaboriamo con le Lamia, le streghe. Sono loro che ci hanno fornito le Maschere e tanti altri trucchetti, come questo. – indicò il castello. – È una formula che possiamo pronunciare solo noi Esper. Agli altri si brucia la lingua.» se la indicò come a voler marcare il concetto.
«Sono in un film.»
«Ti piacerebbe, ragazzina. Entriamo, vieni.»
«Tu vivi qui?»
«No. Qui ci sono solo i Saggi, i ricercatori Menomati e i novellini come te che devono essere addestrati. È il quartier generale però. È un punto di ritrovo e luogo fondamentale nelle nostre vite. Ti troverai bene, vedrai.»
Appoggiò entrambi le mani sulle porte della cattedrale e le aprì con una leggera spinta, spalancando le braccia nella sua entrata trionfale. Camminò lungo la navata.

Le finestre lungo le pareti ai lati erano triangolo e c’erano mosaici di vetro colorato; l’ambiente era così grande che c’entravano quattro file di panche. Il pavimento in lucido marmo bianco con piccoli rombi neri. Sulla parete in fondo c’era l’enorme statua di Gesù crocifisso con dietro affreschi di angeli che sembravano dipinti da Picasso, sotto c’era l’altare con una grossa Bibbia scritta in latino aperta su un tavolo con il merletto, e ai lati due statue di angeli con le ali spiegate.
Era una perfetta chiesa in stile Las Vegas, d’altronde.
Damon proseguì indisturbato lungo la navata, camminando con il suo passo rilassato e le braccia leggermente larghe a causa dei muscoli – che non era un palestrato, ma si vedeva che si allenava, ma a parte quello Phoebe pensò che camminasse così per fare un po’ di scena. Alzò gli occhi al cielo.
Damon spostò il pianoforte, posto nella parete in fondo in un angolo dove non si notava, e rivelò una porticina. Aprì anche quella e si ritrovarono in un breve corridoio, il budello che separava la chiesa dal castello.
Si voltò e le fece un cenno col capo. Phoebe si guardò indietro un’ultima volta.
L’ultima occhiata al suo passato, alla sua vita. Niente sarebbe più stato come prima, ormai. Aveva visto troppo, sapeva troppo.
Percorse il budello buio dietro Damon, che aprì l’ennesima porta.
Si affacciarono su una sala quadrata di medie dimensioni, il pavimento di marmo color bianco sporco e un tappeto rosso cremisi che guidava verso una rampa di scale proprio di fronte a loro. Ai lati della rampa ce n’erano altre due piccole che scendevano appena verso il basso e conducevano rispettivamente a due arcate strette.
C’erano lampadari eleganti ed elaborati, piccole applique alle pareti che imitavano le candele. Phoebe sollevò un sopracciglio quando vide che si trattava di lampadine.

Damon le indicò la prima arcata, quella a sinistra.
«Da lì, si arriva alla zona di allenamento: l’armeria, la palestra e il poligono da tiro interno.»
«Vi trattate bene.»
«Da di là, invece, si arriva ai laboratori di ricerca, alla zona computer, ai laboratori e si scende ancora fino alle Celle, dove conteniamo gli SCP in attesa di trasferirli nei centri specializzati. – le scoccò un’occhiata. – Domani ti farò fare un giro completo, soprattutto in palestra e in armeria.»

Le fece un cenno col capo, invitandola a seguirlo verso le scale che ad un certo punto si dividevano a destra e sinistra, al centro la statua di un angelo. Phoebe aggrottò le sopracciglia: c’erano tutte doppie scelte in quel castello.
Damon le spiegò che a sinistra si raggiungevano le zone comuni: il salotto, la sala da pranzo, la biblioteca, anche il giardino interno; invece a destra c’erano tutte le camere e altri bivi di scale.
Non andarono nella parte sinistra del castello, ma solo verso gli alloggi.
Le disse di fare attenzione al percorso fino alla sua camera, in quel labirinto da scale, corridoi e porte chiuse. Sembrava un albergo. Nel piano inferiore della sezione riservata alle camerate c’erano gli alloggi dei Menomati che lavoravano lì dentro: gente normale proveniente da tutto il Nevada che era data per morta in passato ma che invece era stata salvata dall’Ordine per le loro qualità intellettuali ed erano state condotte al quartier generale. Poi c’era il secondo piano, dedicato agli alloggi delle nuove reclute, esattamente come Phoebe, ma anche agli Esper veterani che – per qualche motivo – non potevano fare ritorno alla loro dimora e venivano nascosti lì a tempo indeterminato. Non c’erano molte reclute, acciuffate nel Nevada, erano una decina di ragazzi circa ed era un numero davvero minuscolo se si considera che lo Stato vantava un’altissima densità di popolazione, soprattutto giovanile.
Al terzo piano c’erano gli alloggi dei Saggi, coloro che tenevano le redini di ogni zona di presidio dell’Ordine, coloro che controllavano gli Esper del Nevada. Erano sempre quattro, uno per ogni tipo di ESP e prendevano decisioni solo dopo essersi consultati.

Damon si piazzò di fronte alla porta bianca, intagliata e decorata, di una camera lungo il corridoio.
Estrasse dalla tasca una piccola chiave che girò due volte nella serratura. Con un cenno della mano e un’alzata di sopracciglia, le indicò l’interno.
«La tua nuova casa. – abbozzò un sorriso. – Domani facciamo un giro turistico, anche per presentarti gli altri. Ma dopodomani cominciamo l’addestramento.»
«Va bene, vecchio.»
«Non sono vecchio.» borbottò.
«E io non sono una ragazzina.» replicò lei, piccata, con le braccia incrociate al petto.
«Uno a zero per la ragazzina.» le fece un mezzo sorriso, lo sguardo assottigliato che la sfidava.
«Che allenamento faremo?»
«Fisico. Un’anima forte, risiede in un corpo forte e in una mente forte. Perciò ci concentreremo sul corpo per il momento. Ti allenerò seguendo gli addestramenti generici della S.W.A.T., ci sono delle cose che devi saper fare e che posso insegnarti, come a sparare ad esempio. Quando migliorerai, imparerai ad usare al meglio la tua chiaroveggenza, e anche in questo ti guiderò io.»
«Ci sarà un’occasione in cui non ti avrò tra i piedi, Damon Darden?» lo provocò con un sorrisetto furbo.
Lui si morse un labbro. «Una ce n’è. Nella difesa contro i telepatici ti seguirà un’altra Esper, Brianna. Mente forte. – si tamburellò la tempia con l’indice. – Viviamo in un mondo molto più pericoloso di quel che sembra, Phoebe. La nostra anima è continuamente messa alla prova e in pericolo, anche se spesso non ce ne accorgiamo neppure. Per questo è importante avere un’anima forte, e per ottenerla bisogna prima lavorare sul corpo e la mente.»
«Devo dire la preghierina prima di dormire?»
Sbuffò una risatina. «Un paio di Padre Nostro e sei espiata da tutti i tuoi peccati.»
«Grazie, prete
«Buonanotte, simpaticona.» 



ANGOLO AUTRICE
Capitolo molto discorsivo, ho lasciato che fosse Damon a spiegare - a grandi linee - la situazione a Phoebe. Andando avanti, però, inserirò alla fine dei capitoli una parte dedicata alle "scoperte della protagonista che pensavo di chiamare appunto "Diario di Phoebe", in modo da rendere più chiara e riassuntiva la situazione, senza la distrazione dei dialoghi.
Btw... TADAN, oggi abbiamo conosciuto Damon, un altro protagonista! Il prossimo lo conosceremo nel prossimo (?) capitolo, e gli altri man mano, per un totale di sei personaggi principali!
Che ne pensate? È troppo confusionario o vagamente comprensibile? Lasciatemi un appunto se volete! 
Grazie a tutti, alla prossima ♥
   
 
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