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Autore: theprophetlemonade_    18/09/2017    3 recensioni
«Alexander, non ti spaventa — dice Magnus alla fine — sapere che puoi provare dei sentimenti così forti per qualcuno che una parte di te ancora crede di conoscere a malapena? Perché a me spaventa da morire. Qualcuno che un giorno spunta nella tua vita, all'improvviso, e ti lascia senza alcuna possibilità di scelta a riguardo».
Alec incontra, nello specchio del suo bagno, un uomo che afferma di essere dall'altra parte del mondo. Da quel momento in poi la situazione s'impenna.
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Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Clary Fairchild, Jace Wayland, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera ciurma! 
Come va? Io sono stanchissima, non vedo l'ora di andare a letto a dormire, gli esami mi sfiancano. E pensare che dopo domani ho un altro esame mi manda in depressione. A tal proposito, è molto probabile che anche giovedì pubblichi sul tardi, possibilmente anche dopo cena, dal momento che l'appello dell'esame è mercoledì ma ho ragione di credere che la prof mi interrogherà giovedì. Ma non preoccupatevi, il capitolo arriva. Dopotutto non posso mica lasciarvi a bocca asciutta proprio sul finale (ma ci pensiamo? No io mi rifiuto di essere già arrivata alla fine). 
Mi scuso per eventuali errori nel capitolo. L'ho riletto ieri, ma al momento non ho le forze per un ulteriore rilettura: sono sveglia dalle 5.30 e ho un mal di testa orribile. Vi sarei grata dunque se mi segnalaste miglioramenti o correzioni da apporre. Detto ciò, vi lascio alla lettura. Non credo che un capitolo come questo necessiti di essere da me commentato: dirà tutto da sé. 
Buona lettura e buona serata! Un abbraccio forte, a giovedì. 
Starsfallinglikerain

 


Capitolo 12
 
 
«Sai, è buffo» dice Jace, respirando a fatica, con le mani sui fianchi. Il sudore fa luccicare la sua pelle e ha un baluginio selvaggio negli occhi, quello che ha sempre dopo un allenamento intenso. «Tu e Magnus».
Alec è con Jace e stanno svolazzando fra l'appartamento di Alec e la palestra di Jace, in un pomeriggio di domenica che nessuno dei due, avevano deciso, doveva essere ozioso. Jace aveva chiesto ad Alec di mostrargli la sua routine di riscaldamento e Alec era stato propenso a fare qualsiasi cosa pur di non pensare ad Izzy che se ne sta per andare e, così, avevano trascorso l'ultima mezzora fra esercizi addominali e sollevamenti e vedere chi durava più nei plank, perché entrambi sono a dir poco competitivi.
Ogni inspirazione di Alec è esagerata mentre cerca di riprendere fiato. La sua mano scivola sulla fronte madida di sudore e poi tira indietro i capelli, appiattendoli contro il capo.      
«Cosa c'entriamo io e Magnus?».     
«Beh, insomma» dice Jace, roteando le spalle, prima di abbassarsi a toccare i propri piedi, sciogliendo i muscoli delle braccia e della schiena. «Io e Simon viviamo insieme e non passiamo così tanto tempo l'uno con l'altro come voi due».  
Alec aggrotta le sopracciglia.
«Ci hai spiato, per caso?».    
Jace alza gli occhi al cielo, un'abitudine che ha preso da Alec.       
«Amico, no. È solo che — sai. Lo sento. Nel mio petto, nello stomaco, come ti pare. Quando tu sei felice, o quando lui lo è, o quando siete entrambi felici e, spesso e volentieri, lo siete nello stesso momento. Tanto per dire».      
«Beh, piantala» borbotta Alec, sentendo le guance avvampare.     
«Senti, non devi nasconderlo, Alec» continua Jace, stupido. «So di aver detto quelle stronzate sul narcisismo, tempo fa, ma... Era prima. Prima, sai, di Simon e Clary. E prima, quando Magnus era più un melodrammatico».
«Penso sia ancora un po' melodrammatico» dice Alec, piano, ma sente di poterlo affermare in modo positivo.
«Già» concorda Jace. «Ma non ho intenzione di dirglielo in faccia. Inoltre, non è più com'era prima. Era solito essere confuso — non incasinato, o qualcosa del genere. Ma era solito fare così tante cose, tutto il tempo, concentrandosi su tutte queste cose tutto in una volta; era caotico. Mi faceva male la testa per tutto il tempo, cazzo. Ma ora è come se — come se fosse più focalizzato».   
Quando Alec non commenta, Jace lo fissa con uno sguardo carico d'aspettativa.
«Su di te».     
La giornata peggiora quando appare Clary, proprio mentre Alec sta preparando la cena per sé e per Izzy. I suoi capelli rossi sono raccolti in una coda e c'è della vernice sulle  sue braccia, all'attaccatura dei capelli, spruzzata sulle sue guance.  Alec alza un sopracciglio nella sua direzione, ma non si aspetta davvero una spiegazione.
E lei, a sua volta, non ne fornisce una.         
«Sai, Alec» dice, appollaiandosi al ripiano della cucina, facendo sì che Alec debba strascicare i piedi da un'altra parte. «Penso che l'amore all'interno di un cluster debba essere la forma d'amore più pura che esista».
Alec alza gli occhi al cielo, girandole attorno per raggiungere i piatti nella credenza. Li appoggia sul piano di lavoro con un po' troppa forza e trasale al forte rumore.     
«Ascolta, Fray, ci sono un luogo e un momento per i tuoi drammi amorosi, e non mi interes—».
«Penso che dovresti provarci» continua, ignorando le proteste di Alec. «Solo perché tu lo sappia. So che sei concentrato su Isabelle ultimamente, ma credo che —».     
«...Hai parlato con Jace» dice Alec, con tono piatto, stringendo gli occhi.            
Clary gli sorride in modo carino e Alec decide che oggi gli piace ancor meno del solito. Specialmente quando convoca dal nulla Lydia, vestita con dei pantaloni della tuta e una canotta, che la fanno apparire alla buona in modo allarmante. Alec ha imparato la lezione.       
«Non devi mentirci, Alec» dice, sorridendo a sua volta. Alec decisamente non si sente di sorridere. «Possiamo percepirlo tutti. Ti meriti di essere felice».   
«Io sono felice» borbotta Alec e quella non è una bugia. «Izzy ha ottenuto un buon lavoro, io otterrò una promozione entro la fine dell'anno e i miei genitori a quanto pare non mi odiano. Felice».       
Un pensiero che non gli appartiene filtra nella sua testa. Non è sicuro di chi sia, ma punge:  Dubito saprebbe cosa significa essere felici anche se la felicità stessa gli desse una sberla sulla nuca.     
Jace, probabilmente. O Maia. O Raphael. È infastidito da tutti loro e tenta di immaginare di erigere delle mura attorno alla sua mente per tenerli al di fuori. Non è bravo a farlo quanto Raphael.
«Vogliamo che tu sia felice, Alec» insiste Clary. Allunga un braccio, accarezzandogli una spalla, ma Alec la ignora. «Ti prendi sempre cura di tutti gli altri, anche se non vuoi ammetterlo. Ma notiamo le piccole cose, Alec. Sappiamo tutti cosa fai per noi. Assicurandoci che noi siamo felici».  
«È ora che tu ti prenda cura di te stesso» dice Lydia, incrociando le braccia. Ricorda qualcosa che gli aveva detto Maia in precedenza e Alec si sente abbastanza collaborativo da accettarlo. «Lascia che ricambiamo il favore».
«Impicciandovi negli affari miei?» rimbecca Alec, permaloso. Lydia lo ignora.    
«Esattamente» dice. «Ne hai passate tante, negli ultimi anni».       
Non ha torto. La vita di Alec sembra una giostra perenne di alti e bassi, e quei bassi gli hanno davvero scorticato le ginocchia quando ha toccato il fondo. Ma gli alti —.         
«Avrò una bella cena tranquilla con mia sorella prima che si trasferisca» dice Alec sommessamente, le spalle che ciondolano. «Questo mi renderà felice stasera».      
«Va bene» dice Lydia e poi scompare, e qualcosa nella testa di Alec gli fa sapere che è andata dritta, dritta da Magnus.
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Izzy si trasferisce in primavera e Alec si prende un weekend intero di malattia al lavoro per accompagnarla dall'altra parte del Paese, trasportando tutte le sue cose a Los Angeles, verso il suo nuovo lavoro e la sua nuova vita.     
Quando torna a New York l'appartamento sembra vuoto e non aveva mai realizzato quanto spazio Izzy occupasse nella sua vita prima d'ora. Ci sono buchi nella libreria dove erano posizionati i manuali di Izzy e l'armadietto del bagno è stato completamente ripulito di tutti i suoi trucchi, e quando vaga nella sua stanza, dove resta ancora una scia del suo profumo, gli fa male fissare il materasso nudo e i segni della carta da parati sul muro.         
Non si è sentito solo per un po', ma ora sì, si sente solo.     
«Dio è con te» dice Raphael, seduto nuovamente sulla sua poltrona. «Vieni a parlargli».
E Alec non ha mai creduto in Dio, non ha mai sentito il bisogno di credere in Dio, considerato tutto ciò che ha passato e che sembra iniquo e ingiusto, ma accetta comunque l'offerta di Raphael, e si siede negli ultimi banchi di una chiesa nei sobborghi di Città del Messico mentre la notte si avvicina, fitta e calda e asfissiante, e ascolta un sermone in una lingua che Izzy amava.        
Quando il sermone termina e Raphael sta parlando a bassa voce con le signore anziane sedute al primo banco, Magnus scivola sulla panca accanto ad Alec. «Alexander» dice. La sua voce è in qualche modo più musicale del solito, qui, sotto i soffitti a volta e nelle ecoiche stanze di una chiesa.  
«Sì» risponde Alec, con un sospiro. È difficile essere freddo e brutale in un posto come questo; è ancor più difficile con Magnus. Decide di non mentire. «Sto bene. Capita. Solo che pensavo — Non lo so. Forse pensavo che non sarebbe successo così presto».          
«Sei preoccupato per Isabelle?» chiede Magnus.     
«Già. Siamo stati solo noi a lungo. Abbiamo sempre vissuto insieme. Io — Non sa nemmeno come farsi da mangiare, Magnus». La risata di Alec è ansimante e sconfitta, ma Magnus continua a sorridere.     
«Starà bene. Isabelle è una donna formidabile. Sei tu quello di cui mi preoccupo, Alexander».   
Alec lancia un'occhiata a Magnus e scrolla le spalle, un cosa puoi farci. Alec ha trascorso parecchie notti, nel suo viaggio di ritorno a Los Angeles, sveglio alle tre del mattino nel letto di un qualche motel del cazzo sentendosi decisamente blu, e sa che anche Magnus l'ha condiviso. Ma Magnus non lascerà perdere.
«Alexander, guardami».       
Una qualche parte di Alec non vuole fare quanto gli è stato chiesto: vuole continuare a guardare davanti a sé, cocciuto come sempre, con un peso immobile sulle sue spalle. Vuole che il mondo sappia che è triste e stanco e vuole solo sentirsi scoraggiato per un solo dannato momento.      
L'altra parte di Alec vuole essere felice. Ha avuto gente sconosciuta nella sua testa, i suoi genitori l'hanno abbandonato a sé stesso per aver fatto coming out, gli hanno sparato sul lavoro, è arrivato a tanto così dal perdere le persone a cui tiene in così tanti modi... e ne ha avuto abbastanza di scappare dall'unica cosa buona che ha ancora a portata di mano.        
Un'altra parte ancora di Alec è innamorata di un uomo nella sua testa e sa implicitamente cosa significa ardere per  il desiderio che sente nel petto.
Si volta verso Magnus, in quella chiesa, e mette le mani a coppa attorno alle sue mandibole. Gli occhi di Magnus si spalancano, e, nella luce serale che filtra attraverso le vetrate colorate, Alec si vede riflesso.
Bacia Magnus dolcemente.   
Le labbra di Magnus si aprono in preghiera per lui, arrendevoli e morbide e gloriose mentre tracciano il contorno della bocca di Alec, e le sue mani si chiudono contro i polsi di Alec, stringendolo delicatamente.
Il suo respiro è caldo e umido,  e lui sa di legno di sandalo e caffè e tutte le cose buone, giuste e desiderate, e il cuore di Alec martella come il ritmo di un tamburo nel suo petto.           
In un bacio, pensa Alec, Magnus saprà tutte le cose che egli ha messo a tacere.  Deve saperle.    
Il bacio termina sommessamente, così com'è iniziato, ma non si separano, mentre Alec appoggia la propria fronte a quella di Magnus e si limita a respirare. Non è certo di dove finisca il suo respiro e inizi quello di Magnus, ma non importa davvero. Gli occhi di Alec si chiudono, ma sa che Magnus lo sta ancora guardando, lo sta contemplando, non disposto a perdere nemmeno un istante.           
Il calore della notte messicana bagna la loro pelle, e la pioggia di Seattle li inzuppa fino al midollo, e la musica da discoteca di Tokyo filtra nel loro sangue, ma Alec non si è mai sentito più presente in tutta la sua vita.
Magnus sospira, sollevato e deliziato, e risuona nelle ossa di Alec.            
«Continui a sorprendermi».  
«In senso buono, spero».      
Magnus sorride, e poi sorride anche Alec, sporgendosi di nuovo per premere delicatamente la propria bocca all'angolo del labbro di Magnus, i suoi polpastrelli che si spostano, cullando le guance di Magnus fra le sue mani. Le dita di Magnus si librano sulle costole di Alec, trovando lentamente il loro percorso sulla sua camicia, sui bottoni, sul distintivo di metallo appeso al suo petto, arrivando su fino ad indugiare alla base della gola di Alec, per poi scendere sulle sue clavicole. Alec sente il sangue pulsare sotto la pelle, perché lo sente Magnus. Vede come le ombre pesanti ricadono sul suo volto, perché le vede Magnus. Sa che alcune cose sono inevitabili, perché lo sa Magnus.         
Loro.  Loro sono inevitabili — ecco ciò che pensa Magnus,  ecco ciò che Magnus ha pensato per lungo tempo, da prima di quella telefonata fuori dal distretto, da prima che si incontrassero, da molto prima che Alec realizzasse il motivo per cui il sentimento che persiste quando è vicino a Magnus è così sommessamente differente dal sentimento che prova per il resto del cluster.      
«Magnus».
Non è Alec a parlare. È Raphael, e Magnus non nasconde il suo sospiro di sconforto mentre si allontana da Alec. Gli occhi di Alec si aprono e il mondo è caliginoso mentre torna furtivamente ai colori. Lascia cadere le proprie mani dal volto di Magnus, appoggiandole ora sulle sue spalle ampie.           
«Cosa c'è, Raphael?» chiede Magnus, visibilmente infastidito. Alec sente la pressione dei polpastrelli di Magnus sulla sua pelle dove Magnus rifiuta di lasciarlo. Lo riscalda, dorato.      
«Si tratta di Lydia».   
Alec diventa lentamente consapevole di un ronzio nelle sue orecchie. Incomincia piano, a malapena udibile, ma più vi si concentra, più rumoroso diventa. Anche Magnus lo ode chiaramente, perché si arraffa diritto, con le mani che lasciano il petto di Alec, e si volta a guardare la navata laterale fra i banchi della chiesa.
«Oh no». È a malapena un sospiro, ma ad Alec si gela il sangue nelle vene.          
C'è una donna che giace al suolo, con i capelli biondi sparpagliati e il corpo spiegazzato, completamente immobile, se non fosse per la debole respirazione. Un momento è lì, quello dopo — scomparsa.         
«Cos'è successo?» chiede Alec, balzando in piedi. La chiesa diventa il loft di Magnus, le luci di Brooklyn soffocate dalle tende pesanti che sommergono le finestre. Alec è in piedi in mezzo alla stanza, e Jace, Clary, Simon e Maia sono sul divano, con gli occhi spalancati ed irrequieti.        
Magnus sta camminando avanti e indietro attorno alla scrivania, i suoi passi sono lunghi, temibili e decisi, con Raphael al suo fianco.           
«Che succede?» chiede Raphael di nuovo. Cerca di mettersi in contatto con Lydia attraverso il legame, ma la risposta è debole, come se la sua coscienza stesse sfarfallando. «È il Circolo?».   
«Probabile» dice Magnus, piano. La sua voce è pericolosa, il crepitio di un tuono sulla sua lingua. «Deve aver lasciato qualcosa tramite cui sono riusciti a rintracciarla. Sapevo che eravamo superficiali. Dannazione!».
Un violento movimento della mano fa volare il contenuto della sua scrivania al suolo, il clangore li fa trasalire tutti.            
«Stava ancora cercando di rintracciarli?» chiede Simon. «Oh no».
«Sì, Simon» risponde seccamente Magnus. «Stava cercando di farlo. E questo non sarebbe dovuto succedere».
«Che cosa dobbiamo fare?» chiede allora Alec, prima che Simon si faccia strappare la testa — non che Alec non sarebbe la prima scelta. «Come la salviamo?».         
Magnus si schiaccia il setto nasale, chiudendo gli occhi per un momento. Quando li riapre, Alec non può fingere di non averci visto una piccola esitazione.        
«C'è qualcuno che può raggiungerla?» dice Magnus. «Io sono bloccato, ma se uno di noi riuscisse a mettersi in contatto —». 
«Io non riesco proprio a sentirla» si preoccupa Simon. «Non c'è niente, lei è proprio — lei non è — è...?».
«Io credo di avere una traccia» dice Jace, con gli occhi serrati, la bocca contratta in una linea rigida e determinata. «È debole, ma sembra un ospedale dall'odore. È tremolante». 
«Bene, bene» dice Magnus. Gira sui tacchi, estraendo il proprio pc dal cassetto della scrivania, aprendolo. «Nient'altro? Simon, Clary, uno di voi si renda utile e si metta in contatto col suo ufficio. Vedete quando se n'è andata — se se n'è andata. Dove stava andando».  
Dove Simon è ancora pallido e brancolante, Clary annuisce con decisione, e all'improvviso c'è un cellulare premuto contro il suo orecchio e sta ascoltando minuziosamente il segnale di centrale.      
«È decisamente un ospedale» afferma poi Maia. «Riesco a vedere una flebo e un elettrocardiogramma».
«Riesci a vedere un nome?» chiede Magnus.          
«St. Vincent» dice Alec e Magnus lancia un'occhiata ad Alec oltre la propria spalla, le dita si bloccano sulla tastiera del computer. «Un medico ha appena lasciato la stanza. La targhetta sul camice diceva St. Vincent».
«Alexander, riesci a vederla? Sei lì?».          
È strano: tutte le altre volte in cui Alec ha visitato qualcuno, è stato semplice discernere fra qui e lì, scegliendo se dovesse saltellare avanti e indietro fra qui e dove si trovano gli altri. Non questa volta, comunque,  con il loft di Magnus e una sala operatoria in un ospedale a Sydney che esistono fianco a fianco, estendendosi l'uno nell'altro.  Alec  sente simultaneamente l'odore di antisettico e di legno di sandalo. Percepisce il tappeto  sfarzoso sotto ai piedi e allo stesso tempo trasale sotto le luci fredde e artificiali che rifrangono le pareti bianche e sterili.        
Ma sì, è lì, in piedi accanto al letto di Lydia, a fissare le manette d'argento che ancorano i suoi polsi alla struttura del letto, a contare i suoi respiri impercettibili che si contorcono nel suo petto, a guardare con orrore mentre gli occhi di lei si rovesciano.        
«Lydia» dice. Cerca di scuoterla per svegliarla e lei mormora qualcosa che potrebbe essere il suo nome. «Lydia, mi senti? Sono Alec. Mi senti?».           
«L'ufficio ha detto che se n'è andata quasi due ore fa» sta dicendo Clary, nel loft. «È uscita per il pranzo e non è più tornata».        
«Okay» replica Magnus. «Sto estraendo la lista delle operazioni programmate per oggi al St. Vincent, a Sydney. Questo è il loro modus operandi, l'ho già visto prima. Vediamo cosa sta succedendo».
Lydia geme, mentre cerca di sollevare le mani per portarsele al volto, ma le manette tintinnano e tirano. Le mani di Alec volano immediatamente verso di esse — e se c'è una cosa che sa fare, è aprire un paio di manette con la sola forza delle dita. Non è inutile.          
«Lydia» ripete risolutamente. Lotta per mantenere la voce ferma. «Lydia, sono Alec. Ti aiuterò a uscire di qui, ma devi svegliarti».         
Cerca di non pensare alla logistica della situazione — come non sia nemmeno lui, in realtà, a gettare le manette al suolo e poi ad armeggiare con la sua flebo prima di strapparla dal suo polso — e magari dopo si meraviglierà della forza di Lydia, che incespica mentre scende dal letto mentre è ancora mezza sedata, ma ora tutto ciò che deve fare è afferrarla prima che le sue gambe cedano e lei cada al suolo.         
«Alec» riesce a dire, è un peso morto fra le sue braccia. La solleva contro il suo petto, agganciando un braccio attorno alla sua vita e cercando disperatamente di farla stare in piedi. L'adrenalina sta scorrendo nelle sue vene, è un dolore lancinante su per le sue braccia e giù lungo la sua spina dorsale, e stringe i denti, lo sopporta, come gli è stato insegnato di fare da tutta la vita.      
«Ti tireremo fuori da qui» le dice, mentre lei biascica un qualcosa che potrebbe essere un sì e per lui è più che abbastanza.    
I suoi occhi si affrettano nel vagare per la stanza, cercando qualcosa, qualsiasi cosa che possa aiutare, e alla fine opta per un bisturi, che è meglio di nulla, ma sembra troppo leggero stretto nel suo pugno. Non è una pistola, questo è certo, e la sua mano è troppo grande e goffa attorno ad esso.        
«Magnus» sibila. «Aiutami». 
«Ci penso io» dice Magnus, dentro la sua testa. «L'unica operazione chirurgica che inizia fra mezz'ora è una craniotomia. Che suona sospettosamente come una copertura per una lobotomia, per quanto mi riguarda. È esattamente ciò che quei bastardi hanno fatto a Ragnor. Come sta Lydia?».        
Alec abbassa lo sguardo su Lydia, crollata contro il suo petto, ma si sta sforzando di tenere gli occhi aperti e concentrati su un modo che deve star fluttuando.   
«Non è lucida, ma è sveglia» dice Alec, sollevandola più in alto, contro il suo fianco. «Come usciamo da qui, Magnus?».
«Devo trovare le planimetrie, tu intanto dirigiti verso l'uscita più vicina. Simon, puoi piantarla di farti prendere dal panico e renderti utile e chiamare un taxi o qualcosa che li aspetti fuori dall'ospedale? Grazie. Alec — sei nella sala operatoria numero tre. È al secondo piano e l'uscita più vicina è una scalinata a cinquanta piedi lungo il corridoio che porta ad un'uscita di sicurezza».       
«Okay» dice Alec. Zoppica con Lydia oltre la porta, sbirciando attraverso la finestra circolare che conduce alla sala del lavaggio chirurgico.  Fortunatamente è vuota e quindi Alec impiega tutto il proprio peso — che è molto meno di quello che si aspettava — per spingere la porta e aprirla. Si sforzano di attraversare la stanza e Alec afferra un camice bianco da un gancio vicino al lavandino, gettandolo sulle spalle di Lydia come meglio può.
La respirazione di Lydia è più profonda ora, più penetrante, più rude, ed Alec non è sicuro che sia una cosa positiva, ma non ha il tempo di pensarci, basandosi sull'istinto. Appiattisce entrambi contro le successive porte e accosta l'orecchio alla plastica. Le voci sono smorzate, non vicine, e quindi si azzarda a spingere un po' e a sbirciare attraverso la fessura.       
«C'è la polizia» sibila, quando intravede due uomini in un'uniforme blu simile alla sua. «No — Non sono poliziotti. La pistola che portano appesa al fianco non è della polizia. E l'uniforme non è loro, perché non si adatta».
Sotto il suo braccio, Lydia si contorce, un gemito di dolore le sfugge dalle labbra serrate con forza. Si affloscia contro Alec e Alec la sente come un'esplosione alla tempia. L'ospedale poi tremola e Alec per poco non perde l'equilibrio, trovandosi gettato di nuovo nel suo stesso appartamento, a fissare il letto vuoto di Izzy. Gli gira la testa e le ginocchia minacciano di non sostenerlo. È solo e il silenzio è assordante.
«No» dice Alec con ferocia. «No».  
Pensa a Magnus e torna immediatamente nel loft, gli altri lo stanno fissando. Simon è al telefono e Maia e Raphael sono raccolti attorno al pc  di Magnus, mentre Magnus cammina avanti e indietro per la stanza. Si congela sul posto quando vede Alec.    
«Alec» dice. Si incontrano a metà stanza, le mani di Magnus trovano i gomiti di Alec, stringendolo con forza.
«L'ho persa» dice rapidamente. «E ci sono delle guardie armate nel corridoio. Ce ne sono due. Alte un metro e ottanta ciascuna, di ottanta chili, entrambi con armi da fuoco, almeno una, probabilmente di più. Dobbiamo oltrepassarle».
Alec sente di nuovo l'odore di antisettico, e c'è uno strattone nelle sue tempie, ma non è abbastanza forte da riportarlo indietro.     
Sul divano, Jace sussulta.      
«Alec, l'hai sentito?» dice.    
«Sì, è Lydia» replica Alec. Chiude gli occhi e cerca di concentrarsi. Pensa alla prima volta che ha incontrato Maia, che è apparsa dal nulla nel suo salotto, e poi pensa a Simon, che l'aveva cercato nell'auto di pattuglia quella sera, con una supplica sulle labbra. «Okay. Dobbiamo solo provarci. Probabilmente riesco a metterli fuori gioco entrambi se abbiamo l'elemento sorpresa».          
«Alec» dice Magnus, strizzando il braccio di Alec. Il suo sguardo va ancora a fuoco, ancora tagliente e intenso e  terribile, ma ora c'è anche il dolore. Magnus sta pensando a Ragnor e agli altri e non riesce a trattenere l'ondata di paura che cresce bruscamente nel petto di Alec. «Se dovesse succedere qualcosa a te... A lei. Possono entrarti nella testa e se sei lì, Alec, non so —».     
«Non mi succederà nulla, Magnus. Ho tutto sotto controllo».        
Non è sicuro se credersi o meno, e Magnus è ben più perspicace di lui, quindi probabilmente ci crede anche meno. Ma Magnus non protesta, non discute, si limita ad annuire, una sola volta e in modo grave, e Alec lo ringrazia per la sua forza.       
L'ospedale torna a riprendere forma attorno a lui e il peso di Lydia è presente fra le sue braccia ancora una volta.
Ma non è solo.           
Anche Jace è lì.         
«Jace» dice Lydia con voce stridula, allungando il capo verso Alec. «Alec».        
«Non preoccuparti, Lydia» dice Jace, increspandosi di una selvaggia sorta di energia. Le sue dita si stanno contorcendo,  c'è un sorriso sghembo impresso sul suo volto e sta spingendo di nuovo la porta della sala operatoria, osservando il corridoio. Le guardie armate non si sono mosse, ancora prese nella loro inconsapevole conversazione. «Alec è un bravo poliziotto. Probabilmente  riuscirebbe a farcela ad occhi chiusi. Praticamente sono qui per godermi lo spettacolo».           
Alec riesce a sentire il sangue martellargli nelle orecchie e sotto a quello percepisce Simon agitarsi e Raphael borbottare preghiere e Magnus mormorare cose di cui, crede Alec, potrebbe non essere nemmeno consapevole. Il respiro si fa pesante nel suo petto; si sente nervoso, irrequieto, disorientato. Le sue mani sono a stento le sue. Le sue gambe tremano.         
Non sa come siano giunti dallo specchio del suo bagno a questo punto. Non sa cosa stia succedendo, o chi sia davvero il Circolo, o perché questa gente voglia far del male a lui e alle persone con cui condivide la testa. Sa solo che farà qualsiasi cosa dovrà essere fatta per tenere le persone a cui tiene al sicuro.
Ruzzolano nel corridoio ed Alec può concedersi solo un pensiero riguardo a cosa debba sembrare alle due guardie che si voltano per fronteggiarli, già urlando. Lydia, da sola, con addosso una vestaglia d'ospedale, che incespica sui suoi stessi passi.         
Ma non è sola. È mille miglia lontano dall'essere sola.        
Jace si lancia alla carica contro il primo uomo come un elefante in una cristalleria e l'uomo perde l'equilibrio all'istante, colpendo il suolo con un rantolo. L'altra guardia balza contro Lydia, ma Alec lo legge come se fosse un libro aperto, portando sé stesso e Lydia fuori dalla sua portata e dandogli un colpo basso alle ginocchia. Stramazza al suolo, afferrando il camice ospedaliero di Lydia e dandogli uno strattone, ma poi c'è Jace lì, a torcergli il braccio dietro la schiena.       
«Quello te l'ho insegnato io» dice Alec.       
Jace sorrise.    
«Me l'hai insegnato tu» concorda.    
Jace spinge l'uomo in avanti e il suo naso urta il pavimento, mandandolo al tappeto. Il respiro si sta facendo veloce e doloroso nel petto di Alec, ma Jace si sente vivo, irradiando trionfo. Alec vede il primo uomo lottare per rimettersi in piedi, poi, e sta per toglierli dalla sua traiettoria, quando compare Raphael, che calpesta le dita dell'uomo fino a che non strilla e poi gli dà un colpo alla testa. L'uomo non si rialza.
Jace fischietta.           
«Ma che razza di prete sei tu?».       
«Uno di quelli buoni» dice Raphael, secco. Guarda Alec e poi Lydia, che sta in piedi un po' più diritta, anche se le sue gambe tremano e c'è del sangue sulle sue mani e si trova ad un passo di distanza da ciò che loro tre hanno fatto. «Vieni. Prima che qualcuno senta questo trambusto. La tromba delle scale è da questa parte».
Alec e Lydia ruzzolano attraverso la porta  fino alla tromba delle scale e Alec è grato che sia vuota perché le scale costituiscono abbastanza di per sé un problema e quasi perde la presa su Lydia molte volte quando inciampa. Raphael se n'è andato, ma Jace è ancora lì, sta correndo davanti ad Alec, facendo gli scalini due alla volta; si getta contro l'uscita di sicurezza quando la raggiunge, e Alec respira l'aria aperta, proprio lì, giusto ad un passo — ma la porta  non cede.  
«Merda» sibila Jace. «È chiusa a chiave. Magnus!».           
«Aspettate» dice Magnus, nel suo loft. Qualcosa si irrigidisce all'altezza dello sterno di Alec, serrando la sua trachea, i suoi respiri si fanno più tirati e irrequieti uscendo dai polmoni. Jace dà un'altra spallata alla porta, ma non accade nulla. Freneticamente, Alec guarda di nuovo le scale, aspettandosi che dei dottori, delle infermiere o delle altre guardie armate arrivino ammassandosi  attraverso la porta per trascinare Lydia su quel tavolo operatorio ancora una volta — lui e Jace probabilmente hanno ancora pochi secondi — e poi —.
«Questo non è un problema» dice Maia, apparendo in cima alle scale con un sorriso perfido ed esplosivo. Scende le scale con una corsetta, facendosi largo attraverso Alec e Lydia. «Dammi il bisturi. Guardate e imparate, ragazzi».           
Jace fa un passo indietro e Alec allunga il bisturi a Maia, che si accovaccia vicino alla porta, forzando  l'oggetto nella serratura, l'orecchio premuto lì vicino. Alec trattiene il respiro, ma si rende presto conto che non è una buona idea quando Lydia si accascia addosso a lui un'altra volta.        
Si morde le labbra fino a farsi male — ma poi la porta fa uno scatto. Maia si rimette in piedi, facendo un passo indietro, e sembra orgogliosa, il suo sorriso è lupesco. Spinge la porta con le mani e questa oscilla, aprendosi su un vicolo fra gli edifici, la luce del sole sgorga.            
«Come facevi a sapere come fare?» chiede Jace, stupito. Il sorrisino di Maia è sghembo.            
«Ciò che non sai non può farti del male, Wayland».           
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Il ronzio  nelle orecchie di Alec non termina fino a che non sono tutti ammassati nei sedili posteriori di un taxi: lui, Jace e Lydia. L'autista lancia a Lydia un'occhiata strana, ma lei è abbastanza lucida da aggredirlo verbalmente e dirgli di farsi gli affaracci suoi e di limitarsi a guidare, per poi crollare nuovamente sul sedile con gli occhi chiusi e le dita che schiacciano il suo setto nasale.        
Le strade di Sydney sono un turbinio e per un po' non c'è nessun rumore se non quello del respiro affannoso. Le nocche di Alec prudono, il che significa che le nocche di Lydia  prudono a loro volta, e ora avverte un dolore lancinante alle tempie, che è qualcosa che lei deve star condividendo.      
Jace è il primo a rompere il silenzio. 
«Dove stiamo andando?» dice, guardando Alec oltre la testa di Lydia. «Immagino che non possa semplicemente andarsene a casa?».   
I sedili del taxi diventano un divano e tornano nel loft di Magnus, ma questa volta c'è Lydia fra loro. Simon e Clary si lasciano andare a un udibile sospiro di sollievo quando la vedono, e Raphael, che se ne sta in piedi,  si lascia cadere su una sedia, sembrando più provato di quanto Alec abbia mai visto.        
«Magnus ha un'amica» dice Raphael, prima di dettare ad Alec e Jace un indirizzo che per loro non significa nulla, ma che sicuramente significherà abbastanza per il loro tassista. «Può rimanere lì nel frattempo».
«Maia si sta già dirigendo all'aeroporto» aggiunge Clary. «Magnus le ha trovato un volo, lei è la più vicina, quindi... Penso che sarà lì in nove ore, grossomodo».
Alec si guarda attorno e aggrotta le sopracciglia.    
«Dov'è Magnus?».    
«A fare le valigie» dice Simon. «Parte anche lui per l'Australia. Sono davvero contento che uno di noi sia inspiegabilmente ricco. Questa situazione sarebbe stata un incubo altrimenti».     
Il divano sembra andarsene sotto il corpo di Alec, che sente il taxi a Sydney svoltare un angolo bruscamente, sia lui che Jace ondeggiano con esso. Alec avverte un vago mal d'auto.   
Magnus emerge dalla sua stanza, con una valigia fra le mani e il cellulare premuto contro l'orecchio, ma si blocca a metà di una falcata quando li vede tutti collassati sul divano.        
«Grazie a Dio» sospira, abbandonando la valigia e attraversando la stanza a grandi passi. Si accuccia di fronte a Lydia e preme una mano sul suo punto di pressione, poi sulla sua fronte. Schiocca la lingua, ma non sembra troppo preoccupato. Il controllo gli si addice.         
«Parto dal JFK fra due ore» annuncia poi alla stanza. Ottiene la loro attenzione senza sforzo alcuno. Non che Alec oserebbe mai distogliere lo sguardo. «Non fate stupidaggini mentre sono via. Chiamate in caso d'emergenza. Tornerò a controllare una volta che l'ho raggiunta e poi andrò a fondo della questione, una volta per tutte».       
Raphael annuisce e scompare senza dire una parola. Maia riappare brevemente per  informarli che è arrivata all'aeroporto e poi sparisce di nuovo, seguita subito da Simon e Clary. Jace dice che rimarrà nell'auto con Lydia, ma uno scambio di sguardi fra lui e Magnus gli dice che non è necessario che rimanga nel loft.        
E poi ci sono solo Alec e Magnus.    
Si guardano a lungo in silenzio. Il cuore di Alec sta ancora martellando nel suo petto e l'irrequietezza nei suoi arti non è diversa dalla sensazione di non raffreddarsi dopo un allenamento intenso. I muscoli sono tesi e iniziano a dolere. I suoi occhi ricercano il volto di Magnus per un indicazione a riguardo di ciò che dovrebbe fare, ma non trova nulla che riesca a decifrare.            
Vorrebbe che fossero di nuovo in quella chiesa. Vorrebbe che fossero di nuovo in autunno, quando Alec si stava ancora abituando al pensiero di condividere la propria testa, il proprio cuore e la propria anima con qualcun altro. Vorrebbe la tranquillità delle tre del mattino e la graduale scoperta di ciò che tiene Magnus sveglio la notte.    
Le cose non saranno mai così facili. Alec deglutisce.          
«Il tuo gatto starà bene?» è la prima cosa che gli viene in mente, perché ovviamente lo è. Ma porta un sorriso stanco sulle labbra di Magnus, che riduce la domanda di Alec con un gesto della mano.
«Starà bene. Ho già chiamato Catarina perché si prenda cura di lui. Ma grazie per aver pensato a lui».
«Certo» dice Alec, alzandosi in piedi. Barcolla un po', mentre si lascia il taxi e Lydia alle spalle, ma si rimette in equilibrio appoggiandosi al dorso del divano. Una basso borbottio gli sfugge dalle labbra.         
«Stai bene?» chiede Magnus, facendosi immediatamente vicino. Le sue mani incontrano le braccia di Alec, scivolando per tutta la loro lunghezza, su fino alle spalle, tenendolo saldo. «Alexander?».          
«Sto bene» borbotta Alec. Gli occhi di Magnus vagano sul suo volto e ciò lo fa sentire frastornato. «Sono solo contento che Lydia sia al sicuro».    
Magnus allunga una mano a scostargli i capelli dalla fronte; Alec inala il suo profumo.  Desidera essere più vicino, più vicino di così, più vicino di un finto tocco. Le dita di Magnus scorrono sulle guance di Alec, sulla sua mascella, giù lungo il suo collo; distende il suo palmo piatto sullo sterno di Alec, catturato dal sollevarsi e l'abbassarsi della gabbia toracica ad ogni respiro. Lo osserva per un lungo istante e poi scuote la testa, impercettibilmente.
«Come stavo dicendo, prima che fossimo interrotti così bruscamente» dice, delicato. Solleva il suo sguardo verso Alec e i loro occhi si incontrano. Nessuno dei due distoglie lo sguardo. È la vicinanza più prossima che possono ottenere oggi.  «Continui a sorprendermi, Alexander».       
«In senso buono, spero» sorride Alec, deliberatamente.  Magnus avvolge le dita nella camicia di Alec e stringe con forza.  
«Oh, nel miglior senso possibile». 
   
 
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