Capitolo 6
“Quindi
hai idee?” chiese Isabella.
“Beh, in realtà no. Oramai è un
po' di tempo che l'universo non ci sta dicendo nulla.” disse Møbel,
ignorando di avere in mano un uccello arrivato su un furgoncino
mentre stava davanti a una lavagna con tutti gli indizi possibili per
risolvere il caso.
“Forse dovremmo andare all'IKEA.” continuò
lui, dimostrando non solo di saper camminare brevi distanze senza
morire, ma anche di saper leggere.
Isabella era oramai rassegnata
a farsi muovere come gli escrementi dalla corrente del mare, e ancora
non sapeva quanti escrementi ci potessero essere in questa trama.
Arrivati
a Corsico col pandino, i nostri due coprotagonisti e il volatile si
persero nel parcheggio.
“Dovevi proprio portarti dietro la
gallina?”
“Credo abbia un nome, sai? Ha la faccia di un
animale che ha un nome.”
Isabella respirò nel modo più
rumoroso che il buon dio delle trame campate per aria e delle
reazioni esagerate dei testi le permetteva.
“Quale sarebbe il
suo nome?”
“Rosit*.” Møbel schivò così una denuncia per
copyright infringement, grazie ad un asterisco.
“Rositasterisco.”
Il nome comunque rimaneva Rosita Sterisco, ma questo non lo si
nota se si parla velocemente, e il narratore conviene che è meglio
non calcare su questa battutaccia.
Come ogni volta in cui si
sentiva perso, Møbel decise di provare a contare le persone ferme
per stabilire dove e quando girare. Essendo in un parcheggio, le
poche persone che c'erano stavano o andando verso l'IKEA, o andando
verso le macchine.
La
mancanza di persone ferme da contare mandò in crisi il povero Møbel,
obbligato a trovare altri modi per trovare l'entrata nel negozio,
dimenticandosi che se la gente si stava dirigendo verso l'ingresso,
molto probabilmente sarebbe bastato seguirle.
Eppure così non
avrebbe rispettato una delle sue tante regole create in mesi di dura
crisi mistico-spirituale.
Questa
era partita per caso, quasi per sfizio, quando decise di levare tutti
i soprammobili dal loculo in cui viveva: meno oggetti c'erano, meno
avrebbe dovuto spolverare. Una logica di fondo in realtà ce l'ha
sempre avuta.
Nel frattempo, Isabella, annoiata dall'aspettare
che un coprotagonista in piena epifania si svegliasse, decise di
cominciare a trascinarlo verso la porta del negozio.
Mentre
la nostra locomotiva delle trame poco elaborate trascinava il nostro
protagonista ossessionato dagli articoli sul digiuno intermittente e
da James Joyce, la stessa locomotiva sentiva di dover riempire il
silenzio, con un insulto o una domanda chiarificante, un po' come se
il narratore glielo stesse dicendo con una prefazione chilometrica.
“Ma te lo dice l'universo di fare il rincoglionito?”
Lui,
scosso dalla sua epifania neanche il suo nome fosse Molly Bloom,
tentò di spiegare perfettamente ciò che stava succedendo.
“L'universo ha delle regole molto semplici.
-
Mai mangiare la neve gialla
-
Mai abbandonare il proprio bagaglio
-
Rimanere sempre in vita
-
Guardare sempre il sole con gli occhiali
Adesso,
se mi consideri come il tuo bagaglio, allora entrambi abbiamo
rispettato le regole del gioco. Tu non hai abbandonato il tuo
bagaglio e entrambi siamo rimasti in vita, e non mi pare sia stagione
di neve. In più, siamo a Milano. Non si vede il Sole dal 1931,
quindi non c'è neanche il rischio che tu lo possa fare.”
“La
tua famiglia non ti ha mai voluto internare?”
A questo punto il
nostro coprotagonista, oramai sulla soglia del superstore, aveva
un'espressione molto confusa. Lui, tra tutti, un'espressione confusa.
Indubbiamente era relativa alla sua backstory tragica di cui ancora
non si sa nulla, ma che si comincia a delineare come un qualcosa su
cui si possa speculare nelle menti dei pochi lettori.
Entrati
nel negozio di mobili, cibi, stili di vita e lampadine a
incandescenza, i nostri protagonisti si trovarono di fronte al solito
labirinto di arredamenti minimal e lavoratori part-time con poca
voglia di vivere senza una vera e propria strada da seguire: certo,
in una qualsiasi IKEA la strada è sempre una sola e l'oggetto che si
sta cercando è sempre l'ultimo prima delle casse e della conseguente
uscita, ma loro non sapevano ancora cosa stessero cercando.
“Dici
che le vendono le lampadine?” chiese lei.
“Se ti impegni e
metti i soldi nelle tasche giuste puoi trovare gli organi. E gli
strumenti musicali hanno una sezione propria.”
Lui era
stranamente informato su cosa succedesse all'interno del superstore,
come se fosse parte della sua backstory tragica.
“Lavoravi qui?”
chiese Isabella, invitando il nostro coprotagonista distratto a
condividere il suo passato.
“No, no. Mai lavorato in vita
mia.”
“Come sarebbe a dire che non hai mai lavorato? Come
sopravvivi?”
I casi erano due: o la famiglia che non l'ha mai
internato gli pagava tutte le spese, o avrebbe partorito un'altra
delle sue stronzate sull'universo.
“L'universo provvede a
me”
Ovviamente, la risposta più ovvia è sempre quella giusta.
Isabella, stranita, cominciò a non dargli più tanto peso e si
diresse, con un finto fare indaffarato per evitare che Møbel
decidesse di continuare con le sue dissertazioni sull'universo.
Era
principalmente colpa della nostra protagonista, comunque: dopo che
uno ti dice di non mangiare la neve gialla e di non abbandonare mai
il tuo bagaglio non gli chiedi di parlarti della sua vita.
Mentre
i nostri protagonisti ragionavano, in rigoroso silenzio come erano
soliti tenere, con una gallin* sotto l'ascella, su cosa dovessero
fare lì, a Isabella venne in mente una cosa, proprio mentre guardava
il custode del volatile.
“ Møbel,
come scrivi il tuo nome?”
“Con una penna, o con una
tastiera.”
“Dico, come lo scrivi?”
“Prima la M, poi la
O, poi la B, poi la E, poi la L, poi aggiungo la sbarretta alla
O.”
“E perché questo nome?”
“Beh, perché è la prima
cosa che mi è venuta in mente.”
“In che senso?”
“Mi
sono svegliato senza ricordarmi nulla, e la prima cosa che ho visto
era una cassettiera Møbel.”
“Come sarebbe a dire?”
“Che
mi sono svegliato qua all'IKEA, davanti ad una cassettiera Møbel.
Credo che sia tu quella da internare. Continui a farmi domande
stupide.”
“Tu ti sei svegliato qui e non sapevi dove fosse
l'entrata?”
“A mia difesa, io mi sono svegliato all'interno
del negozio, non avevo bisogno di sapere come entrare.”
Pur non
avendo torto, il nostro protagonista si rivelava avere sempre meno
senso.
“Perché non mi hai detto che hai avuto un'amnesia o che
ti sei “risvegliato” proprio qua?”
“Non è che ci
conosciamo così bene da dirti cose così intime.”
Proprio
mentre gli animi si scaldavano su una backstory tragica campata per
aria e non detta al momento opportuno, perché quando mai è spiegata
nei modi e nei tempi adatti, la gallin* decise di scendere
dall'ascella del suo custode per andarsene per i fatti suoi,
ovviamente con la velocità di una gallina normale, il tutto per
dirigersi, col passo di una gallina normale, nel posto in cui tutte
le galline normali dovrebbero andare, almeno una volta ogni tanto.
In bagno.
Il nostro protagonista, pur avendola prelevata,
si era dimenticato che questa era un animale vero e proprio, con
bisogni corporali ben precisi.