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Autore: Yellow Canadair    18/09/2017    3 recensioni
Kaku cercò di incoraggiare Rob Lucci: « Andrà tutto bene, anche se ti hanno portato via le mani. Caro Vegapunk è dalla nostra parte, sta aiutando Hattori, ha aiutato me e Jabura, e aiuterà anche te. Ci deve la vita, e sta collaborando. Andrà tutto bene »
Al ritrovamento del One Piece, i poteri dei Frutti del Diavolo sono scomparsi e i possessori sono svenuti. Il Governo Mondiale è caduto, e i suoi membri sono stati usati per degli osceni esperimenti.
Il CP0, smantellato e separato, a fatica si riunisce, e trova riparo fra le montagne, dove nessuno può udire le grida di dolore di coloro ai quali gli esperimenti hanno portato via parti del proprio corpo.
[Futuro distopico] [Post-One Piece] [Arti che saltano] [Vegapunk... Caro Vegapunk]
Questa storia partecipa al contest “Humans + (prosthetic kink contest)” a cura di Fanwriter.it!
Genere: Angst, Science-fiction, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jabura, Kaku, Kumadori, Rob Lucci, Vegapunk
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dal CP9 al CP0 - storie da agenti segreti'
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Iniziativa: Questa storia partecipa al contest “Humans +” a cura di Fanwriter.it!
Numero Parole: 2350
Prompt/Traccia: (5) A si risveglia e il suo corpo non è più lo stesso. BONUS Protesi multiple.

 

Risveglio

 

Jabura trascinò Lucci per le strade deserte della campagna, cercando di forzare l’andatura per allontanarsi dal bunker che stava collassando su sé stesso. Strinse i denti e masticò bestemmie per i poteri che non c’erano più, perché in quel momento la visione notturna dei lupi sarebbe stata provvidenziale, e invece doveva affidarsi solo alla sua memoria e al suo senso dell’orientamento. Tutta roba di prima qualità, sicuramente, ma in quella situazione così difficile ogni aiuto era vitale.

« Non ti addormentare! » latrò all’uomo « Ehi! Sveglio! »

Rob Lucci era frastornato, aveva a mala pena la percezione del braccio di Jabura che lo trascinava sul terreno irregolare. Sentiva sul petto il calore di Hattori, il suo sangue, il piccolo becco che si apriva in cerca di aria.

Non aveva più le mani per aiutarlo. Non aveva un drappo, un vestito, per avvolgerlo e stringerlo. Non aveva più le braccia per farlo.

Quel pensiero gli mozzò il respiro, sentì le gambe cedergli.

« No, no, no. »

E la voce irritante di Jabura non smetteva di tormentarlo.

Il Lupo si fermò, assecondando la caduta per non fargli male.

Jabura lo sapeva, cosa provava, quel bastardo di Lucci. Lo sapeva che in quel momento stava rimpiangendo di non essere morto, che quei figli della merda avevano passato il limite prendendosela con il povero Hattori, che quel piccione era l’unico vero punto debole del collega e probabilmente svegliarsi senza un braccio e senza una mano era stato un trauma da cui non si sarebbe risollevato per parecchio.

Lo afferrò per le spalle (la spalla, una era andata) e gli piantò gli occhi in faccia. « Senti » ruggì basso, imponendosi « Sei salvo. Manca poco, siamo quasi arrivati alla macchina »

La macchina?” pensò annebbiato Lucci. “Che macchina?

In lontananza echeggiarono dei richiami, una lugubre sirena d’allarme risuonò nel buio, balenavano luci di torce: li stavano cercando.

Jabura non poteva perdere tempo. « Devi alzarti, altrimenti ci troveranno. E tu non vuoi tornare là sotto e rimetterci anche le gambe come Kaku, vero? »

Le gambe di Kaku…?” l’ex prigioniero del bunker si sentiva debole, stordito. Doveva avere delle schifezze in circolo, per stare così… non riusciva a coordinare i movimenti, voleva vomitare.

« Devi salvare Hattori, idiota! Ti muore in braccio, se non ti muovi! » imprecò Jabura.

Era il tasto giusto. Barcollando, sentendo la mancanza delle braccia, Rob Lucci si rimise in piedi e Jabura continuò a trascinarlo tra gli sterpi, nella notte senza luna.

 

~

 

« Mettilo dietro, sulla coperta » ordinò una ragazza aprendo il portello di un furgone bianco.

« E Hattori? » avversò Jabura, guardando l’ammasso di piume stretto al petto del sopravvissuto.

« Dobbiamo portarlo da Caro »

Jabura fece salire Rob Lucci sul furgone e poi sputò fuori un: « Figurati se quella… »

« È l’unica » si voltò verso di lui la ragazza, tesa e pallida. « Hai visto in che condizioni sta…? Se perdesse Hattori… »

Jabura sospirò, chinò lo sguardo verso l’uomo che aveva appena deposto nel cargo del furgone; l’ex leader del suo reparto era stato usato per quasi un anno come cavia sperimentale per chissà che cosa, e il fatto che un uomo del suo calibro non avesse nemmeno la forza per parlare o tenere gli occhi aperti faceva capire quanto grave fosse la situazione.

Come se averlo trovato senza un braccio e senza una mano non lo rendesse più che evidente.

« Metti in moto quest’arnese » ordinò spiccio « e vedi di far perdere le tracce a quegli stronzi »

 

~

 

Sentì il vento soffiare e sferzare la casa.

E l’odore forte, penetrante, del caffè. Caffè corretto con qualcosa che avrebbe bruciato nello stomaco.

« Starà abbastanza al caldo? » una voce di donna.

« E mettigli un’altra coperta » la voce di Jabura quando perdeva la pazienza, ma era troppo stanco per arrabbiarsi.

Jabura?

Qualcosa di pesante gli venne adagiato addosso.

« Va’ a riposarti » era Kaku « rimango io qui vicino »

Dov’è Hattori?

Rob Lucci aprì gli occhi di una fessura. Vide brillare un piccolo fuoco, che appariva e scompariva. Era semibuio, doveva trovarsi in una stanza molto piccola. E molto scomoda, considerò notando che sotto di sé aveva sì delle coperte, ma non un materasso, e doveva trovarsi sulla roccia.

Che diavolo stava succedendo?

Lentamente mise a fuoco il profilo inconfondibile di Kaku. Era voltato e parlava sottovoce con qualcuno alle sue spalle.

L’uomo si mosse sotto le coperte, i moncherini sfregarono contro la stoffa.

Con uno scatto Rob Lucci si tirò a sedere, guardò inorridito lo scempio sul suo corpo.

Kaku gli fu immediatamente vicino. « Calmo, sta’ calmo! » lo pregò.

Rob nemmeno lo ascoltava. Dominio delle emozioni, lucidità mentale, addestramenti martellanti e una vita intera spesa a diventare un’arma da massacro… non aveva le mani.

Sentiva gli ordini che partivano dal suo cervello e dicevano alle dita di serrarsi, ma non c’erano pugni da stringere. Il sudore lo avvolse, freddo, mentre la mente cercava furibonda di non lasciarsi sopraffare dalla disperazione più nera.

« Hattori… » disse rauco.

« Hattori è vivo, è da Caro Vegapunk, lo sta aiutando lei » disse subito l’agente più giovane.

« Fammi passare, Kaku, fammi passare… » la donna.

« Tu…? » la segretaria, Lilian. La piccola factotum della Torre di Catarina. Che ci faceva lì? Erano in missione per recuperarlo? Ma lei non era un’agente, non avrebbe dovuto uscire dalla loro sede. Non aveva nessuna qualifica per occuparsi di una missione, era un soldo di cacio piccolo e con un nugolo di capelli neri e spettinati, il suo posto era in ufficio a badare che Spandam non facesse guai!

« Boss » lo salutò lei, sorridendo. « Beva questo. La aiuterà, si deve fidare. »

Rob Lucci non riuscì a replicare, sentì la mano di lei sulla nuca e l’altra gli avvicinò alle labbra una scodella di legno piena di un liquido caldo, dal sentore alcolico. Bevve perché il suo corpo glielo impose, la debolezza era troppa e… e non aveva le mani.

Non aveva le mani.

« Kaku, lo lascio a te » disse la ragazza. Poi si rivolse verso qualcun altro nella stanza: « Andiamo fuori, sbrigatevi, mettete i giacconi »

Da quando la factotum aveva tutto questo potere decisionale? Che era successo?

« Ma è notte! Fa freddissimo fuori! » Jabura. Jabura che aveva sempre da protestare.

« Muoviti, lasciamolo tranquillo. »

E Califa? Kumadori? Fukuro? E Blueno?

 

~

 

Lassù tra le montagne, dove il vento soffiava tra le rocce e i ruscelli scendevano gorgogliando dai ghiacciai, c’era un rifugio di pietra. Era impossibile da notare, salvo se si sapesse già dove fosse; sembrava solo l’ennesima cunetta fra le rocce, ma aggirando un anonimo sperone calcareo si vedeva una fenditura, una porticina. E, osservando con attenzione, si sarebbe visto che quelle macchie scure non erano licheni, ma minuscole finestrelle; ce n’erano tre, e a volte erano otturate dalla paglia.

Lì si erano annidati gli agenti del CP9, lì si erano nascosti agli occhi di un mondo che nel giro di pochi mesi era stato messo a ferro e a fuoco dal colpo di stato più disastroso della Storia. La Giustizia Oscura non esisteva più. Lo stesso concetto di giustizia era messo in dubbio.

Ma lassù, a oltre tremila metri di altitudine, tutto perdeva significato quando l’inverno mordeva le ossa, e non esistevano più pirati, né agenti, né Marine: solo un gruppetto di disperati che cercava di sopravvivere.

Il rifugio di pietra era composto da una sola stanza, che correva circolarmente attorno a una sorta di pilone naturale che sorreggeva la volta; tre aperture permettevano di sorvegliare l’esterno, e dentro era un susseguirsi di coperte, di vestiti, di giacconi, di bottiglie di birra e di razioni di cibo per resistere a quei duri giorni. C’era un bel tepore, il fuoco scoppiettava in un angolo e illuminava tutto di arancio tenue.

Rob Lucci era stato sistemato in un angolo tranquillo, vicino al fuoco dove, solo di notte per non far notare il fumo da nessuno, veniva preparato da mangiare.

« Dove sono? » riuscì ad articolare Lucci, sdraiato su un giaciglio di coperte in un angolo.

Kaku era preparato ad assolvere quel compito, aveva le risposte pronte da settimane. Era lui l’agente con cui Rob Lucci aveva più confidenza, sarebbe spettato a lui dargli il bentornato, spiegargli perché il mondo non era più quello di prima, che loro erano stati usati come cavie per esperimenti folli, che avevano portato loro via pezzi di corpo e di anima.

« Sei sulla Red Line. In un vecchio rifugio di pietra in alta montagna. Impossibile da localizzare, lontano chilometri dal primo villaggio. Kumadori è di guardia. Sei al sicuro. » snocciolò le informazioni rilevanti.

« Che cos’è successo? »

« Il One Piece è stato ritrovato » ammise subito Kaku.

Alla luce della lanterna gli occhi ambrati di Rob Lucci sfavillarono, per quel poco che erano aperti, e si corrucciarono in un’espressione di ira e di risentimento.

« Ed è successo qualcosa. I poteri dei Frutti del Diavolo non esistono più. Tutti i proprietari, io, tu, Jabura, Califa, tutti in tutto il mondo, sono svenuti e sono rimasti svenuti per mesi… »

Rob Lucci lo guardava con il suo solito sguardo austero e serio, ma la bocca schiusa tradiva un respiro più affannato del solito. Kaku immaginava che doveva essere sconvolto, ma sapeva che mai l’avrebbe dato a vedere. Tanto più con Jabura ancora nei paraggi!

 

« Quanto tempo… da quanto tempo dura questa situazione? »

« È cominciato tutto un anno e due mesi fa »

Diede qualche secondo al collega per assorbire la notizia, e poi continuò: « Quando siamo svenuti, naturalmente la segretaria ha chiamato i medici; qualche giorno dopo, però, sono venuti dei governativi a prelevarci, per portarci in una struttura dove, a loro dire, avrebbero fatto delle indagini su di noi. Ma mentre eravamo in viaggio, sempre svenuti, il Governo è caduto. »

Rob Lucci aspettava il seguito.

« Un’organizzazione antigovernativa, in assenza di potere, ha fatto un colpo di stato. Il Governo Mondiale non esiste più. La Marina non esiste più. E siamo stati usati come cavie per esperimenti da quest’organizzazione per tutti questi mesi. »

Rob Lucci capiva quello che diceva Kaku, ma era un incubo. Era sicuramente un incubo, si sarebbe svegliato. Aveva bisogno di aria, si alzò in piedi di scatto. La testa immediatamente gli girò, Kaku lo sostenne prendendolo per il braccio superstite.

Lucci cercò di appoggiarsi a una parete con l’altro, ma inutilmente.

« Calmo, rimettiti seduto » lo pregò Kaku. Decise di dargli la zolletta di zucchero, dopo tutto quell’amaro: « Sono stati Kumadori e Fukuro, con la factotum, a recuperarci. Andrà tutto bene, anche se ti hanno portato via le mani. Caro Vegapunk è dalla nostra parte, sta aiutando Hattori, ha aiutato me e Jabura, e aiuterà anche te. Ci deve la vita, e sta collaborando. Andrà tutto bene. »

L’uomo rimase in silenzio, a metabolizzare quelle risposte. Stava cercando di rimanere lucido, di non lasciarsi andare a reazioni avventate, a controllarsi. Anche se ti hanno portato via le mani.

« Hattori è vivo? »

« Hattori è vivo, l’hai salvato. » ripetè pazientemente Kaku, per nulla seccato dalla domanda.

« Tu… quando ti hanno trovato? »

« Cinque mesi fa » sospirò piccato il ragazzo « E quando mi sono svegliato, non avevo più le gambe »

 

~

 

« Boss » sussurrò commossa Lili « è bellissimo vederla, ho avuto così paura… »

« Piantala, figurati se ci rimaneva secco! La mala erba non muore mai! » la rimbeccò Jabura.

« Basta, tutti e due » li sgridò Kaku. « Andate a dormire, è notte fonda. E tu » si rivolse a Lilian « devi riposarti, domani dovrai guidare »

« Va bene » mormorò obbediente la ragazza. Mosse qualche passo, e si rannicchiò sotto un giaciglio di coperte simile a quello di Rob Lucci, a poca distanza da lui.

L’uomo la guardò mentre si abbracciava al cuscino e si muoveva alla ricerca di una posizione per prendere sonno, come se attorno a lei non ci fosse mezzo CP0. Doveva essere routine, dormire così.

« Che c’è? » notò Jabura quell’espressione « Ti aspettavi il grand hotel? Dormiremo tutti insieme qui! Quindi se non ti dispiace… » disse sedendosi su un altro cumulo di coperte a poca distanza da quello dove si era coricata la signorina.

Rob Lucci squadrava il rivale, cercando di indovinare cosa gli avessero preso. Le mani erano le sue, non aveva dubbi. Le gambe, anche se coperte dai pantaloni, sembravano stare a posto, lo intuiva dai movimenti decisamente più fluidi di quelli di Kaku.

« A te non hanno tolto niente? Nemmeno la lingua? » attaccò.

Kaku e Lilian sorrisero: stava grosso modo bene, se voleva litigare con Jabura.

Jabura si aspettava quella domanda, glielo si leggeva in faccia, e si posizionò in piedi davanti a Lucci, dandogli le spalle. Piano, come se stesse facendo uno streap-tease, si sfilò la felpa nera e, man mano che la stoffa saliva verso l’alto, brillavano alla luce della lanterna delle placche di metallo chiaro impiantate lungo tutta la colonna vertebrale, in fila come un treno, contornate da cicatrici irregolari, e spiccavano tra la massiccia muscolatura dell’uomo.

« La spina dorsale…? » indovinò Lucci, mascherando lo stupore.

« Oh, che bravo, hai studiato anche anatomia? Dieci e lode, gattaccio » commentò il Lupo rimettendosi la felpa.

« Cercate di dormire, domani dobbiamo andare fino al paese di Caro e dobbiamo essere in forze » li pregò Kaku.

Il giovane agente si alzò dal capezzale di Lucci, mettendo in mostra delle superbe protesi decisamente futuristiche, tanto che Lucci non potè fare a meno di pensare se, nel cambio, non ci avesse guadagnato: erano lucide, in alluminio, e non somigliavano a classiche gambe umane quanto piuttosto all’evoluzione tecnologica di quelle delle gazzelle. Il piede però, invece di un precario zoccolo, era un tutt’uno col resto della gamba e aveva la forma della punta di uno sci. Erano spettacolari e Kaku vi si muoveva con disinvoltura. Degna invenzione della famiglia Vegapunk.

« Domani mattina andremo da Caro, riprenderemo Hattori e vedremo cosa c’è in serbo per te » promise Kaku.

 

 

 

Dietro le quinte...

Ciao a tutti e grazie per aver letto! Ma un grazie grandissimo va a Fanwriter.it e a Eneri Mess per questa iniziativa che mi ha dato un'altra scusa per scrivere ancora del CP0! 

Sarà una raccolta breve, 4-5 storie al massimo, e si concluderà nel giro di una decina di giorni :) il tema del contest sono le protesi e gli impianti di supporto, quindi tutto girerà attorno alle sensazioni e alle situazioni che Kaku, Lucci e Jabura dovranno affrontare riguardo questa problematica.

Caro Vegapunk e Lilian, la segretaria: sono state introdotte nella storia "La lunga caccia alla Mano de Dios"; la prima è la geniale e dispotica figlia di Vegapunk, la seconda è una segretaria assunta per errore da Spandam, che aiuta il CP0 in tutte le mansioni da "ufficio", risponde a telefono, innaffia le piante, fa la differenziata ed era una pilota alle dipendenze di Caro Vegapunk, prima di essere radiata dal dipartimento scientifico. 

Il piccolo rifugio di pietra esiste davvero, si trova nei pressi del Passo Gavia sulle Alpi. Lo usavano gli Alpini durante la Guerra, per difendere l'Italia. L'ho visitato quest'estate e ci tenevo tanto a inserirlo in una storia, è un posto speciale.

Spero vi piacerà, per favore lasciate una recensione e lasciate gli oggetti contundenti al loro posto, per farmi capire cosa pensate della storia la frutta e gli ortaggi saranno più che sufficienti ♥ 

Arrivederci a presto,

Yellow Canadair

 

  
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