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Autore: Echocide    19/09/2017    3 recensioni
[Sequel di Miraculous Heroes e Miraculous Heroes 2]
La minaccia di Maus è stata sventata, ma non c'è pace per i nostri eroi: il mistero dell'uccisione degli uomini del loro nemico non è stato risolto e un nuovo nemico trama nell'ombra...
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quantum Universe'
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Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.436 (Fidipù)
Note: Finalmente! I capitoli di Miraculous Heroes sembrano essere maledetti dato che, ultimamente, non riesco mai a essere puntuale con gli aggiornamenti. Ad ogni modo, finalmente, eccolo qua! E con questo si entra nella parte finale della storia: ormai le fila vengono tirate e presto ci sarà il temuto faccia a faccia.
Parte di questo capitolo si svolge nei pressi del Canale Saint-Martin: un canale di Parigi lungo oltre 4 km, che collega il Bacino della Villette e il Canal de l'Ourcq, di cui ne rappresenta il prolungamento cittadino, al Port de l'Arsenal e dunque alla Senna. Il canale attraversa i quartieri orientali di Parigi, in particolare il X e XI arrondissement, e fu fatto costruire per volere di Napoleone ad inizio 1800 ed inaugurato nel 1825.
Quasi la metà del corso del canale è al coperto e corre sotto un tunnel in mattoni molto suggestivo illuminato in parte da luce artificiale e in parte da luce naturale; è stato bonificato e restaurato tra il 1999 e il 2002, diventando così un luogo rilassante ed estremamente piacevole, ideale per trascorrere qualche ora all’aria aperta tra passeggiate e giri in bicicletta. E' inoltre possibile effettuare anche delle crociere del canale in battello.
Passeggiando lungo il canale costeggiato da platani e adornato da deliziosi ponti e passerelle, o navigando lungo il suo corso, scoprirete una Parigi insolita e rétro e un'infinità di scorci suggestivi e poetici.
Vi mancavano le mie informazioni su Parigi, vero?
Vengono poi citate un po' di popolazioni tribali di cui non vi tormento (alla fine non sono importanti ai fini della storia) e passo anzi alle solite chiacchiere di rito, ricordandovi come sempre la pagina facebook dove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi.
Come sempre, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate (lo so, sono un mostro perché non rispondo mai, però se mi mandate mp o mi contattate su facebook lo faccio, eh!) e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!
 

 

Wei inspirò profondamente, aggrappandosi al bancone della cucina, lasciando poi andare l’aria trattenuta: «Lila» sibilò fra i denti, socchiudendo le palpebre e cercando di non abbandonarsi al piacere, per cui la ragazza stava lavorando alacremente: «Lila, ora basta» dichiarò con più decisione nella voce e posandole una mano sulla spalla, osservando lo sguardo chiaro alzarsi e posarsi su di lui.
Lila si allontanò, passandosi la lingua sulle labbra e Wei socchiuse gli occhi, inspirando profondamente mentre si risistemava i pantaloni della tuta, osservandola mentre si rialzava e si poggiava al tavolo poco distante: «Apprezzo tantissimo queste attenzioni» iniziò Wei, voltandosi verso i fornelli e cominciando a preparare la colazione, aprendo la moka e dosando il caffè da metterci.
«Ma?»
«Ma cosa?»
«Il tuo discorso aveva un ma, Wei.»
Il giovane sorrise appena, continuando in silenzio nel suo lavoro e, dopo aver acceso il fornello e poggiato sopra di esso la caffettiera, si voltò verso la ragazza: «E’ da ieri che sei strana» mormorò, allungando una mano e carezzandole delicato lo zigomo, vedendo immediatamente lo sguardo verde imbrunirsi: «Lila, comprendo che ciò che abbiamo dedotto ti abbia…»
«Non me ne sono accorta» bisbigliò la ragazza, inspirando e lasciando andare l’aria: «L’ho accusata, l’ho allontanata e non mi sono accorta che invece c’era qualcosa di sbagliato in lei» si fermò, portandosi indietro i capelli con una mano e scuotendo la testa: «Dovevo essere più attenta, dovevo fare…»
«Non potevi saperlo. Neanch’io ho notato niente.»
«Tu non la conoscevi, Wei.»
«No, è vero. Però non toglie che nessuno si è accorto di nulla, neanche Ruggero» continuò Wei, passandole un braccio attorno alla vita e tirandola verso di sé: «Nessuno aveva notato qualcosa, Lila. Non addossarti la colpa e, per quanto mi sia piaciuto, non penso che cercare l’oblio del sesso possa servire a cambiare la situazione.»
«Oblio del sesso?»
«Sono migliorato, non è vero?» dichiarò Wei, facendole l’occhiolino e sfiorandole le labbra con le proprie, assaporando i loro due sapori uniti: «Un anno fa non avrei saputo mettere insieme due parole in croce…» Lila annuì, un sorriso triste che gli piegava le labbra e lo sguardo che seguiva ogni movimento di Wei: «E’ incredibile come la mia vita sia cambiata da quando sono arrivato a Parigi» continuò il giovane, storcendo le labbra in un sorriso divertito: «Arrivo qua e, a parte il momento iniziale, divento un supereroe, trovo un gruppo di amici, la donna della mia vita, imparo il francese…»
«Ricevi avances da mia madre, rischi la vita ogni volta che metto mano a un elettrodomestico…»
«A proposito, che cosa è successo al phon?»
«Niente.»
«Lila, anche quello adesso!»
«E’ lui che ha deciso di non funzionare.»
«Da quando in qua i phon decidono di non funzionare?»
«Il nostro è un phon intelligente.»
«Ma l’hai sempre usato.»
«Diciamo che, accidentalmente, l’ho appoggiato sul lavandino e, sempre accidentalmente, ha avuto un incontro ravvicinato con il rubinetto.»
«Ecco spiegato il motivo per cui la mia sveglia era impazzita.»
«Sempre detto che non dovevi comprarla elettrica» commentò Lila, incrociando le braccia e sorridendo: «La mia non è impazzita perché c’è stato un piccolo blackout.»
Wei rimase in silenzio, continuando il proprio lavoro e osservando con la coda dell’occhio Lila al suo fianco: nuovamente lo sguardo di lei era perso nel vuoto, puntato contro le mattonelle di ceramica che adornavano il pezzo di muro fra il piano di lavoro e i pensili, salvando così la tinteggiatura dagli schizzi della preparazione dei pasti.
Due voci allegre spezzarono il silenzio dell’abitazione, segno che i due kwami si erano svegliati e li stavano raggiungendo: «Buongiorno» esclamò Vooxi, entrando nella stanza e fluttuando fino alla ragazza: «Lila, dobbiamo tornare in Italia.»
«Prego?»
«Bisogna andare in un supermercato italiano perché stanno dando dei gadget di Harry Potter.»
Lila rimase in silenzio, osservando il kwami per una buona manciata di minuti, prima di scuotere la testa e incrociare le braccia al petto: «Stai scherzando, vero?» domandò con la voce leggermente acuta per via dell’incredulità: «Hai veramente detto di tornare in Italia per…»
«Ehi! Sono gadget di Harry Potter!»
Wei rimase in silenzio, ascoltando la risposta per nulla pacata di Lila e la nuova replica di Vooxi, continuando a preparare la colazione con il sottofondo dell’ennesimo litigio fra Portatrice e kwami della Volpe: forse Vooxi non aveva pensato o forse era stato proprio intenzionale, ma sembrava che il suo intervento avesse distratto Lila dal pensiero della madre.
Poggiò la caffettiera sul fornello, accendendolo e osservando le fiammelle azzurre le cui punte, di tanto in tanto, guizzavano in una colorazione arancio: Vooxi stava riuscendo dove lui aveva fallito, nonostante la ricerca dell’oblio per mezzo di lui, sapeva benissimo che Lila aveva reiniziato a pensare, una volta che il piacere era scivolato via.
Vooxi, invece, la stava mantenendo costante sul loro litigio e poteva vedere la luce che accendeva lo sguardo di Lila in quel momento, battagliera e decisa a vincerla sul kwami.
Kwon avrebbe pagato, Wei se l’era promesso nel momento esatto in cui aveva visto la consapevolezza sul volto di Lila, in cui quella ragazza orgogliosa e decisa, si era adombrata e le cui ombre sembravano ancora avvolgerla; strinse i pugni, rimanendo concentrato sulle fiammelle azzurre e promettendo a se stesso la sconfitta di Kwon e la liberazione di Ada Rossi.


Adrien chiuse il libro di economia, inspirando profondamente e lasciando andare poi l’aria, socchiudendo gli occhi e piegando il capo all’indietro: «Ricordami perché ho scelto questa facoltà» mormorò a bassa voce e aspettando la risposta del suo vicino di lezione: «Ohi, Pennuto?»
«Sto cercando di ricordare perché io ho scelto questa facoltà» borbottò Rafael, calcando la voce sul pronome personale e fissando la cattedra: «Non potevo andare a fare archeologia? No, figurarsi. Perché facilitarmi così la vita? No, dovevo infilarmi a Economia.»
«Sarah ti ha per caso contagiato con l’isteria da ciclo?» domandò Adrien, poggiando il gomito contro il banco e poi la testa contro il pugno chiuso: «Oppure è chiusa per lavori e quindi sei in astinenza?»
«Il boss non ti ha ancora ucciso?»
«Marinette mi ama e quei giorni è solo dolorante, ma ha imparato…»
«Volpe, zittiscilo» sbottò Rafael, voltandosi verso la ragazza che, seduta alle loro spalle, stava ascoltando tutto in religioso silenzio: «Perché quando devi parlare a sproposito, non lo fai mai?»
«Perché mi stava dando materiale per ricattarlo, piumino» sbottò la ragazza, scuotendo la testa e fissando male l’amico: «Insomma, sua moglie lo uccide se sa cosa va raccontando in giro, e poi ero curiosa di sapere cosa ha imparato la dolce, piccola e innocente Marinette.»
«Non lo farebbe mai…»
«No, ucciderti forse no» Lila inclinò la testa, catturando una ciocca di capelli castana e rigirandosela fra le dita: «Però appenderti a testa in giù da qualche parte con lo yo-yo…» si fermò, piegando le labbra in un sorriso per nulla angelico: «O quello sì, quello lo farebbe.»
«Ama farlo violento, che posso farci?» Adrien sorrise all’amica, alzando le spalle in un gesto a mo’ di scusa e poi spostò l’attenzione sui due che si erano avvicinati ai loro posti: «Possiamo aiutarvi?» domandò, osservando la ragazza dall’atteggiamento sbarazzino, che sembrava divertirsi a tormentarsi le ciocche dei capelli corti e si muoveva accanto all’amico che, stoico, li osservava uno a uno.
«Questo sabato ci ritroviamo con alcuni compagni a Le Palace…» iniziò la ragazza, regalando un sorriso a tutti loro: «E mi chiedevo se volevate venire.»
«Posso portare mia moglie?»
«Posso portare la mia fidanzata?»
«Posso portare il mio compagno?»
La ragazza che li aveva invitati aprì la bocca, richiudendola e osservando dubbiosa il ragazzo al suo fianco: «Sapevo di Adrien…» mormorò, portandosi una mano all’orecchio e scacciando una ciocca: «Ma non pensavo che anche voi…» si bloccò, scuotendo il capo e alzando le spalle, mentre in volto le si dipingeva un sorriso incerto: «Beh, se volete. Perché no? Più siamo, meglio è.»
Adrien sorrise, annuendo e mettendo mano al cellulare, scrivendo velocemente poche parole e poi alzando la testa, regalando uno dei sorrisi da modello alla compagna: «Mandato il messaggio a mia moglie, appena so qualcosa ti informo.»
«Ok. Ottimo» mormorò la ragazza, sorridendo loro con fare impacciato e spostando il peso da un piede all’altro: «Noi andiamo, ok? Ci sentiamo per sabato.»
Adrien annuì con la testa, osservandoli raggiungere il resto del gruppo con cui seguivano le lezioni, notando come la ragazza stava parlando con le altre, voltandosi poi nella loro direzione e sobbalzando quando notò che era al centro della loro attenzione: «Penso che qualcuno ci stesse provando con voi due» cantilenò Lila, facendo sospirare Adrien: «Insomma, era palese che vi voleva al loro incontro, possibilmente senza moglie e fidanzata.»
«Non sono più sulla piazza» dichiarò Adrien, sorridendo appena: «In verità non penso di esserci mai stato, dato che Marinette è stato il mio primo e unico amore.»
«Ed io mi sono ritirato e quelle non valgono neanche l’unghia del mignolo di Sarah.»
«Siete così adorabili quando decantate in questo modo l’amore per le vostre donne…»
«Disse quella che ha marchiato Wei come compagno.»
«Convivente mi sembrava brutto.»


Marinette sorrise, riponendo il cellulare nella borsa e carezzando il capino di Tikki nell’operazione: «Qualcosa di interessante?» le domandò Sophie, facendole riportare l’attenzione sulla donna che, dall’altra parte del tavolo, la fissava con la tazza fumante fra le mani e lo sguardo verde molto simile a quello del figlio.
«Solo Adrien che mi chiede di andare in un posto, sabato sera.»
Sophie si portò la tazza alle labbra, sorridendo sopra il bordo: «Sono contenta che abbiate anche una vita normale» dichiarò, sorseggiando il caffè e poi posando nuovamente la tazzina: «Non va bene concentrarsi sulla missione, ma questa non deve diventare l’unico scopo della vostra vita…» si fermò, intrecciando le mani in grembo e abbassando lo sguardo, le spalle che si abbassavano sotto il peso del passato: «Non come ho fatto io, abbandonando la mia famiglia per seguire la mia missione.»
«In verità io spero di non dover mai prendere una decisione simile» mormorò Marinette, con il sorriso velato dall’amarezza: «Non saprei veramente cosa sceglierei: darei più importanza alla mia missione, al motivo per cui sono Ladybug, o diventerei egoista e lascerei che tutto crolli attorno a me? Alle volte me lo domando, guardo Adrien e mi chiedo se sarei capace di abbandonarlo, di lasciare che lui…»
«Basta» Sophie alzò una mano, il palmo rivolto verso la ragazza: «Non è una scelta che devi fare, tu devi solo vivere felice con il tuo amore e prendere a calci nel sedere Kwon.»
«E’ in questi momenti che capisco da chi ha preso Adrien» mormorò Marinette, scrollando le spalle e lasciando che la propria battuta alleggerisse l’aria che si era creata attorno a loro: «Vedevo Gabriel e non comprendevo come potesse essere venuto fuori Adrien, poi ti ho conosciuta e…»
«Da Gabriel ha preso il senso dell’umorismo. Pessimo.»
Marinette annuì, ridacchiando appena e voltandosi, osservando il locale all’interno dell’edificio dell’IFM, dove era solita andare dopo le lezioni, notando solo in quel momento la presenza del finanziatore cinese che sembrava trovarla interessante: «Kun Wong…» mormorò, notando che anche l’uomo si era accorto di lei e l’aveva salutata con un gesto della mano, dirigendosi poi verso di loro.
«Chi?»
«Mi aveva fatto una proposta di lavoro» spiegò brevemente Marinette, prima che l’uomo si fermasse al loro tavolo e le guardasse entrambe dall’alto: «Monsieur Wong.»
«Madame Agreste» la salutò cordiale l’uomo, con un sorriso sereno in volto e lo sguardo scuro che quasi brillava: «E…»
«Sophie Agreste» si presentò Sophie, allungando elegantemente una mano e stringendo quella dell’uomo: «Sono la suocera di Marinette.»
«Oh. Incantato» dichiarò l’uomo, portandosi la mano della donna alle labbra e sfiorandole le nocche: «Ho avuto il piacere di conoscere suo marito e Nathalie. Donna incantevole.»
«Conosce Nathalie?»
Kun Wong annuì, sorridendo e spostando il peso da un piede all’altro: «Ho avuto il piacere di fare la sua conoscenza quasi un anno fa, poco prima della settimana della moda. Sa, stavo cercando di ampliare il settore moda del mio marchio e sono venuto qui a Parigi, culla della moda, per informarmi…» si fermò, massaggiandosi il mento mentre lo sguardo si perde nel vuoto: «Sì, è stato allora che ho fatto la conoscenza di Nathalie.»
«Capito» mormorò Sophie, scambiandosi uno sguardo dubbioso con Marinette e sorridendo: «Volevate qualcosa, monsieur Wong?»
«Fra qualche giorno farò una festa nella villa che ho preso qui a Parigi…»
«Non sabato, per favore, non sabato.»
«Ha già un impegno, madame Agreste?» domandò Wong, sorridendo affabile e dedicando la totale attenzione a Marinette: «In ogni caso, non è sabato ma la prossima settimana: sarà un evento molto interessante e vorrei invitare voi e ovviamente anche i vostri amici. Come dico sempre è ottima cosa espandere la propria cerchia…»
«Beh, abbiamo un po’ di persone che potrebbero essere interessate» dichiarò Sophie, sorridendo e battendo le mani: «Voi ragazzi sono certa che vi divertirete molto.»
«Appena possibile fatemi avere la lista allora, ogni nome che mi darete sarà mio gradito ospite.»


Thomas strinse gli occhi, infastidito dal riverbero del sole sull’acqua del canale che, placido e stagnante, si snodava in quella parte della città, collegando la Senna a uno dei bacini della reta idrica parigina: «Mi chiedo quante malattie potrei prendere se cadessi qui dentro» bofonchiò, allungandosi un poco oltre il bordo e osservando la figura della sua ombra sull’acqua torbida e di un bel colore verdognolo.
«Sicuramente le stesse che prenderesti con un bagno nella Senna» gli rispose Manon, rimanendo all’ombra di uno dei platani che costeggiavano il canale e osservando il battello che, lento, scivolava lungo le acque del canale: «E’ lontano l’ospedale dove lavora tua madre?» domandò, attirando su di sé l’attenzione dell’amico che, negando con la testa, rispose alla sua domanda.
«No, qui vicino» Thomas indicò un punto, abbassando poi il braccio e fissandola: «Non capisco perché sei voluta venire anche tu» dichiarò, non riuscendo a comprendere ancora come mai Manon si era offerta di accompagnarlo quando aveva saputo che sarebbe dovuto andare all’ospedale Saint-Louis per recuperare la propria paghetta e poter poi andare a fare rifornimento di caramelle per Nooroo: «Potevi tranquillamente aspettarmi al negozio.»
«Non avevo voglia di stare ferma come un’idiota» bofonchiò la ragazzina, alzando lo sguardo e fermandosi, mentre cercava di capire cosa stava succedendo davanti a lei: un uomo stava correndo verso di loro, un’andatura e un abbigliamento ben lontani da quelli di un habitué dell’attività fisica, ma ben deciso a correre la maratona di Parigi.
L’uomo li superò, facendoli voltare entrambi e seguire con lo sguardo quello strano individuo, prima che alcune urla attirarono la loro attenzione sul ponte di metallo che si ergeva poco lontano da loro: altri stavano correndo via, lungo i due lati del canale mentre alcune figure iniziarono ad arrampicarsi sulla struttura: «Ma che cosa…?» mormorò Thomas, facendo un passo avanti e fermandosi, la mano ferma a mezz’aria e il respiro trattenuto: «Ho bisogno di un posto dove trasformarmi» sibilò a denti stretti, facendo scattare la testa a destra e a sinistra, prendendo poi la piccola strada alla loro destra, quasi correndo lungo il marciapiede alla ricerca di un punto nascosto a occhi indiscreti.
Manon lo seguì, osservandolo mentre recuperava il cellulare dalla tasca della felpa e se lo portava all’orecchio: «Alex?» domandò la voce di Thomas, dopo una manciata di secondi: «Sono vicino all’ospedale di mia madre, a quanto pare c’è un attacco. Sì, sì. Io sono già qua e mi trasformo, chiama tutti gli altri.»
Thomas annuì, fermandosi davanti la porta aperta di un condominio e osservandone l’interno, prima di annuire con la testa, quasi come se avesse deciso il punto dove diventare Hawkmoth: «Starò di guardia» mormorò Manon, vedendolo mentre infilava nuovamente le mani in tasca e tirava fuori un piccolo auricolare, che le passò: «Trasformati subito.»
«Lo faccio» mormorò Thomas, scivolando all’interno dell’androne del palazzo mentre Manon si piazzava davanti la porta aperta, osservando la gente che continuava a correre, scappare in ogni direzione mentre una luce improvvisa come un lampo la illuminò da dietro: Hawkmoth comparve al suo fianco, lo sguardo scuro rivolto verso il punto in cui erano comparsi i nemici.
«Hawkmoth» Manon lo vide voltarsi e sorrise al volto coperto dalla maschera viola: «Potresti akumatizzarmi?»


«Allora, siamo tutti in linea?»
Alex digitò velocemente sul pc, osservando il monitor e sistemandosi poi meglio le cuffie con la mano destra: «Ok, il nostro amico Raincomprix ha delimitato la zona tra Boulevard de Magenta e Boulevard de la Villette» si fermò, inspirando profondamente: «Ragazzi, c’è un ospedale nelle vicinanze. Facciamo in modo che qualsiasi cosa sia, non ci arrivi.»
«Sappiamo niente del nemico?» domandò Ladybug, mentre Alex zoomava la zona di Parigi interessata: «E’ una creatura di acqua, terra, che sparaflasha roba strana…»
«Hawky ha detto che sono indigeni locali» rispose prontamente Alex, poggiandosi contro lo schienale della poltrona: «Non chiedetemi cosa significa. Non lo so.»
«Indigeni locali? Ma che…»
«Sono tipi bassi, con il gonnellino di bambù e hanno delle lance in mano» commentò la voce affannata di Hawkmoth: «E sono tanti! Ma tanti tanti tanti!»
«Definisci il tanti tanti tanti, farfallino» dichiarò Chat Noir: «Quanti tipi bassi con il gonnellino di bambù mi troverò davanti?»
«Una ventina. Forse trenta. Non lo so, spuntano come funghi questi qua.»
«Come sta andando, Hawkmoth?» domandò Ladybug, mentre Alex continuava a seguire gli spostamenti di tutti sul monitor del pc: «Ce la fai a resistere finché…»
«Sì, sì. Nessun problema. Ma sbrigatevi!»
«Stiamo arrivando!»


Manon poggiò le mani sul muro di pietra, respirando profondamente e si affacciò nel vano della porta: Hawkmoth era in piedi davanti a lei, la schiena rivolta nella sua direzione e i due boomerang in mano, impegnato a tenere lontani i nemici dalla porta nella quale lei si era nascosta: «Se tu mi akumatizzassi» iniziò Manon, cercando di riportare l’attenzione su un particolare che Hawkmoth non aveva voluto prendere in considerazione: «potrei darti una mano.»
«No.»
«Ma perché?»
«Ma puoi fare la fanciulla in difficoltà senza rompere tanto?» dichiarò l’eroe, lanciando uno dei boomerang e colpendo tre indigeni con questo, voltandosi verso di lei e fissarla con astio: «Non è complicato: stai lì e lasci che il combattimento lo facciano altri.»
«Sono una ragazza. Sono in difficoltà. Potrei cavarmela da sola.»
«Oh, certo. Come no?»
«Stai veramente…» Manon si fermò, aprendo la bocca e sentendo la voce mancarle mentre osservava uno degli indigeni tirava su il braccio, calibrando il peso della lancia e la scagliava nella direzione di Hawkmoth; boccheggiò, mentre cercava di avvertire l’amico del pericolo che stava correndo ma nulla usciva dalle sue labbra: immobile osservò la lancia avvicinarsi come se fosse al rallentatore, ogni secondo scandito, finché qualcosa di verde non si intromise fra Hawkmoth e l’arma.
«Tortoise!» esclamò il giovane portatore della Farfalla, osservando il compagno che, scudo avanti a sé, aveva bloccato l’attacco nemico: «Siete arrivati» continuò, osservando il resto del gruppo atterrare vicino a lui e puntare nella direzione degli indigeni locali.
«Si direbbero Korowai, ma non ne sono certo» commentò Peacock, poggiando le mani sui fianchi e inclinando la testa: «Forse Asaro?»
«A me ricordano quelli nella Mummia 2» dichiarò Bee, mordendosi il labbro inferiore: «Hai presente quando vanno nella foresta, vicino alla tomba del Re Scorpione e ci sono quei nanetti piccoli e letali?»
«Vero.»
«Beh, quei cosi sono piccoli e letali» dichiarò Hawkmoth, riprendendo il proprio boomerang che era caduto poco distante da lui: «E molto attivi.»
«Ragazzi!»
«Che c’è Mogui?» domandò Chat Noir portandosi una mano all’orecchio e fissando il resto del gruppo: «Hai notizie sui nostri piccoli amici del cuore?»
«Ho appena realizzato che la Mummia 3 è realizzata su di me.»
«Cosa?»
«Pensaci Chat, il protagonista si chiama Alex e si mette insieme alla tipa millenaria che proviene…» Alex si fermò un po’, battendo le mani sulla scrivania: «Indovina un po’? Da Shangri-la.»
«Tu e Mogui state assieme?» domandò Chat Noir, voltandosi verso Jian e vedendola scuotere il capo: «Mogui, Jian dice che non state assieme.»
«Per ora, mio felino amico.»
«Possiamo concentrarci sugli…» Ladybug si fermò, osservando il gruppo di nemici che era fermo davanti a loro: «Indigeni locali? Come li sconfiggiamo? Non possiamo usare il cataclisma di Chat Noir su ognuno di loro…»
«Userò il mio potere e vedrò se c’è una soluzione» dichiarò Peacock, balzando all’indietro e avvicinandosi a Manon che, ancora nel suo nascondiglio, era rimasta in silenzio e aveva ascoltato il tutto: «Salve, signorina.»
«Salve, Ra…volevo dire, Peacock.»
«Tortoise, puoi occuparti di Peacock e Manon?» domandò Ladybug, osservando l’amico annuire e posizionarsi vicino ai due, lo scudo ancora ben saldo in mano: «Mentre noi teniamo occupati gli indigeni locali in attesa di avere qualche notizia…»
Chat Noir sorrise, roteando il proprio bastone e mettendosi in posizione di attacco; al suo fianco Bee alzò entrambe le braccia, prendendo la mira e iniziando a scagliare pungiglioni verso i nemici che, con un grido di guerra collettivo, avanzarono verso di loro: Ladybug lanciò il proprio yo-yo, colpendone due sulla fronte e spedendoli indietro, mentre Volpina usava il proprio flauto a mo’ di bastone ne atterrò altri, sorridendo divertita.
Peacock osservò la scena per una manciata di secondi, chiudendo poi gli occhi e attivando il proprio potere speciale: l’oscurità l’avvolse, ghermendolo con le proprie spire e subito si rese conto che non stava vedendo ciò che voleva: non c’era una soluzione a ciò che stavano affrontando.
Era in una stanza, la polvere che si adagiava su ogni cosa e una pozza d’acqua vuota avanti a sé: fece un passo, poi un altro, muovendosi in quell’ambiente estraneo, senza comprendere ciò che stava vedendo e come potesse tornargli utile nella lotta contro il nemico; una porta cigolò, aprendosi leggermente e Peacock si diresse immediatamente nella direzione di questa, facendo capolino all’interno e osservando ciò che la stanza conteneva.
Quattro monoliti di uno strano cristallo aranciato dominavano l’intero ambiente e lui poteva vedere benissimo le quattro figure umane che erano all’interno, come insetti immersi nell’ambra preistorica quattro persone erano imprigionate e non sapeva se erano vive o morte.
Fece un passo, avvicinandosi al primo monolite e poggiò la mano guantata di blu sulla pietra: subito immagini confuse gli attraversarono la testa, costringendolo a staccarsi e indietreggiare.
Peacock riaprì le palpebre, trovandosi nuovamente nella strada dove si stava svolgendo il combattimento, senza capire cosa avesse visto.
Cosa era successo in quella visione?
Che cosa…?
«Peacock?» la voce di Ladybug, l’urgenza che sentì nel suo nome, lo riscosse e calamitò l’attenzione sull’amica, negando con la testa: «Non ho visto niente…» si fermò, inspirando profondamente e scuotendo per la seconda volta il capo: «Io…»
«Proverò a usare il Lucky Charm» mormorò Ladybug, sorridendogli e inspirando profondamente, lanciando poi in aria e invocando il proprio potere speciale: una maschera di legno, grande quasi quanto lei si materializzò in aria e la coccinella faticò non poco quando la prese fra le mani, sbuffando sotto al peso: «Ma che cosa…?»
«Sembrerebbe una maschera tribale» mormorò Peacock, avvicinandosi e aiutandola a sostenere il peso dell’oggetto: «In alcune culture africane, chi la indossa abbandona la propria identità e viene trasformato nello spirito che la maschera rappresenta.»
«E questa cosa rappresenta?»
«Non ne ho la più pallida idea.»
Chat Noir colpì al ventre uno degli indigeni, vedendolo saltellare all’indietro e riunirsi ai suoi simili: «Stanno per fare qualcosa» commentò il felino, osservando i piccoli saltare l’uno sulle spalle dell’altro, iniziando a fondersi assieme e a dare vita a qualcosa di più grande e più pericoloso: «Ma che cosa…» mormorò Chat, osservando a bocca aperta gli indigeni diventarne uno più grosso e poi protendere la mano verso la maschera sostenuta da Ladybug e Peacock.
«Lasciamogliela» commentò il pavone, osservando il nemico prendere il Lucky Charm e assicurandoselo in volto: «Chat Noir…»
«Direi che è il momento del micio» dichiarò il felino, attivando il proprio potere e approfittando del momento di distrazione del nemico, impegnato a indossare la maschera tribale e per nulla attento a ciò che lo circondava: Chat Noir corse in avanti, la mano pregna di forza distruttrice pronta e toccò un angolo della gamba della creatura.
Un solo tocco e la creatura si dissolse, diventando polvere come tutte quelle che avevano combattuto fino a quel momento e venire portata via dal vento: «E’ stato facile» dichiarò Chat Noir, osservando la maschera tribale cadere per terra e indicandola a Ladybug: «Ce la fai a lanciarla per ripristinare tutto?»
«Proverò.»
«Doveva esserci mio padre dietro» commentò Peacock, mentre la coccinella si avvicinava al Lucky Charm: «Troppe cose che riguardano il suo lavoro per non essere lui il generale dietro a questa creatura.»
«Ne sei sicuro?»
«Sì, Bee» mormorò Peacock, alzando lo sguardo verso il cielo mentre sprazzi della visione che aveva avuto gli balzano nuovamente davanti agli occhi: cosa aveva visto? Che luogo era quello? Chi erano le persone intrappolate nei monoliti di cristallo?
Troppe domande, poche risposte.

 

   
 
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