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Autore: Momo Entertainment    19/09/2017    2 recensioni
[And... we are back on air.]
Unima, un anno prima degli eventi di Pokémon Nero 2 e Bianco 2.
Cinque bellissime ragazze sono state scelte, ma solo una di loro diventerà la nuova Campionessa della regione.
Insieme combatteranno e soffriranno, rideranno, piangeranno vivendo insieme l'estate della loro vita: la loro giovinezza.
Essere il Campione non significa solo lottare.
Significa anche vivere. Amare. Credere. Sognare. Proteggere.
Genere: Avventura, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri | Personaggi: Anemone, Camelia, Camilla, Catlina, Iris
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Anime, Videogioco
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ESGOTH 3



A story by: Momo Entertainment
Main concept and characters: The Pokémon Company
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Early Summer Girls

Capitolo 18

Io desidero

 

La casa del Campione di Unima, la sua dimora in cui viveva quando non si occupava delle faccende da Campione ed era semplicemente il solito vecchio, saggio Nardo dall'aria bonaria, si trovava nella cittadina rurale di Venturia, nella parte continentale della regione.

Era un posticino tranquillo, fondato da una comunità di pionieri puritani i quali pregavano tre volte al giorno e digiunavano il venerdì, convinti che il loro rigore e l'assidua pratica dell'agricoltura avrebbero nobilitato il loro animo laborioso una volta giunti al cospetto di Dio.

La calma della vita agreste e la ridotta affluenza di persone la rendevano un idillio per l'allenamento, vi erano boschi di larici in cui si potevano fare straordinari incontri con Pokémon selvatici abbastanza potenti, campi di diversi ettari per lottare in libertà e soprattutto nessuna mollezza che inebetisca gli allenatori, come avviene nelle grandi città.

La casa dell'uomo che veniva additato come il più forte della regione dava di sicuro nell'occhio, la ragione per cui avesse deciso di costruirla in stile orientaleggiante era ignota a molti contadini del luogo.

Le altre abitazioni consistevano quasi tutte in larghi casolari muniti ciascuno del proprio ranch e di un fienile per conservare il grano, di un silo e di uno o più recinti in cui i Miltank e i Mareep pascolavano placidi.

Questo tipo di allevamento era principalmente volto alla sussistenza degli abitanti locali, tuttavia l'innata estroversione della ragazzina dai capelli viola le aveva fruttato una mutuale amicizia con i vicini, fra di loro si era instaurata una simpatia tale per cui avevano deciso di omaggiarla con un paio di bottiglie di latte Mumu fresco, munto quello stesso mattino che lei aveva passato ad allenarsi in una vasta distesa erbosa.

Quel delizioso premio, si disse, sarebbe di sicuro andato a genio ai suoi due draghi perennemente affamati; le era costato di lasciar giocare con i suoi Pokémon i bambini di quella coppia di mezzadri, con la preoccupazione che si potessero ferire anche solo accarezzando la scagliosa pelle di essi.

Tante volte lei si era tagliata facendo le coccole ai Druddigon di suo nonno, sebbene lui la ammonisse di continuo sulla pericolosità della loro Abilità, Cartavetro.

Quel ricordo nostalgico la distraeva da qualcosa di più reale, un timore molto più sensato che una piccola Allenatrice sopravvissuta ad un attacco di un team assetato di vendetta poteva avere nel suo animo: Iris non riusciva neppure a sentire il sapore vellutato del latte sulla lingua se ripensava cosa aveva vissuto solo due giorni prima.

Immaginava terrorizzata la metamorfosi della bianca bevanda in sangue rosso e viscoso, che le entrava in bocca e lei lo ingoiava, riluttante, finché esso non le corrodeva lo stomaco e le interiora si contorcevano per liberarsi da quel flagello tossico.

E allora, mossa dall'angoscia insopportabile si sventrava l'addome come fa un macellaio con l'agnellino immolato e sperava che il veleno che ora traviava la sua mente tanto da spingerla a quelle macabre fantasie non avesse inquinato pure il cuore di Georgia.

Alla giovane vennero i brividi. Si fermò a circa cento metri dal sentiero in terra battuta che conduceva al giardino antecedente la dimora del Campione, osservando davanti a sé.

Che strano. C'erano delle persone lì davanti, parecchie persone stazionavano lì.
La ragazzina si mise a scrutare quel gregge di individui come se il suo sguardo possedesse poteri telecinetici e riuscisse a rimuovere la loro presenza dal paesaggio.

Già destavano leciti sospetti con il loro andirivieni frettoloso, come i Durant nei formicai si acquattavano dietro i loro furgoncini e ne uscivano con in mano attrezzatura audio-visiva parecchio ingombrante e, a quanto pareva, nessuno aveva avuto la brillante idea di coprire i giganteschi loghi delle reti televisive stampati sulle vetture.

Giunta alla realizzazione di non avere assolutamente voglia di un'intervista lampo che mettesse ancor più in ridicolo l'esito sfortunato della loro missione, Iris si decise a fare un giro più lungo per entrare a casa di Nardo passando dal cortile sul retro, dove si trovava l'onsen.

Aveva sentito parlare alla televisione degli eroi che nelle altre regioni avevano salvato la comunità da catastrofi naturali, sventato i piani di organizzazioni temibili e catturato i Pokémon Leggendari come se fosse il loro hobby.

Per lei invece, la nipote acquisita di un Capopalestra, era stato un dono del cielo il solo essere sopravvissuta, in che modo potevano i media nazionali considerare la sua missione un fallimento?

Poi speculare sul dolore altrui le sembrava la peggior forma di mercificazione: se quegli eroi da fumetto senza un minimo di sentimenti avevano come passatempo salvare la Terra, che si divertissero pure nel farlo tutte le volte che volevano.

Lei era una ragazza normale, con limiti e debolezze, e così erano anche le sue compagne.
E non c'era bisogno di ammetterlo in ogni canale perché gli abitanti di Unima se ne rendessero conto.

Fu sicura di aver eluso la barricata di giornalisti solo una volta entrata all'interno, non appena l'Emolga di Camelia le venne incontro come a suggerirle che le due diciassettenni erano sveglie.
Abituata ormai a trattare tutti i Pokémon delle sue amiche come fossero i suoi, le fece una carezza sulla testina, facendole abbassare le orecchie.

Una volta giunta nella loro stanza, Iris cercò di spiegare la situazione meglio che poté, non tralasciando di aggiungere la sua opinione più onesta che mai.

«Avete visto fuori? Ci sono giornalisti per tutta Venturia, e indovinate chi cercano?
Si è sparsa la voce di quello che è successo alla Lega, non ci voleva.
Adesso il Team Plasma ci ha veramente fregate, anche se non ci ha uccise...»

«Grazie Iris che ci sei tu a tirarci su il morale, altrimenti qui ci saremo già suicidate tutte.»

Quell'acida interruzione distolse l'attenzione della giovane dal condividere la sua depressione con le altre, sebbene non si aspettasse davvero tanta indifferenza di fronte a una notizia del genere.
Rotolò la testa in direzione opposta e diede un occhio a cosa stessero facendo le sue compagne durante la sua assenza.

Lei si era svegliata relativamente presto quel giorno, aveva il bisogno impellente di uscire a prendere una boccata di aria fresca dopo quei giorni di lutto e reclusione, per la mancanza delle due compagne più vecchie le tre rimanenti allenatrici si erano lasciate allo sbando.

O almeno, a quanto sbando si potessero lasciar andare sotto la supervisione rigida di Nardo.

Iris non rispose e si accostò alle due, senza contenersi molto nella curiosità: in effetti era una settimana che Camelia ripeteva come un mantra di dover assolutamente fare una manicure alla sua ragazza, volente o nolente ella fosse.

Pur di rendere duttile al suo proposito la sua dolce metà trovava in ogni occasione il modo migliore per sminuirla e farla sentire in colpa con frasi del tipo "Anemone potrebbe pugnalarmi un giorno o l'altro con quegli artigli che si ritrova".

Dall'altro lato però era da altrettanto tempo che doveva sorbirsi lei in maniera un po' meno plateale le lamentele della rossa riguardo la scarsa cultura della sua fidanzata, del fatto che non riuscisse a tenere una conversazione con lei senza che quella non la pregasse di evitare i suoi insulsi riferimenti alla matematica e alla fisica, agli anime e ai manga.

Per questo perfino una di poche parole come Anemone riusciva ormai ad esaurire il suo buon senso, quando le domandava se fosse possibile che l'altra non sapesse cosa volesse dire un qualcosa che neppure lei aveva mai sentito nominare, ma si trovava costretta a darle ragione per evitare di sentirsi dare dell'ignorante dal genio di turno.

Dunque la situazione che le si presentava non poté non strapparle un genuino sorriso.

Sapeva dell'esistenza di un Capopalestra artista dalle strane tendenze pseudo-astrattiste con un tocco di dadaismo, ma nel suo piccolo riteneva un vero capolavoro quello che la sua compagna modella aveva dipinto sulle unghie della sua ragazza con una mano ferma da fare invidia.

Non solo le aveva colorato le unghie con delle adorabili sfumature di smalto rosa, viola ed immancabilmente azzurro, le aveva anche ricostruite e limate.

Senza dubbio la più giovane si stupì di come la sua anima di ragazza cedesse così facilmente al senso del dovere per concentrarsi su tali frivolezze come lo smalto, ma avrebbe barattato la sua integrità morale per avere anche per sé una manicure così carina.
E fu al settimo cielo quando Camelia acconsentì, aspettandosi una risposta negativa.

La restante mezz'ora passò tranquilla.

Niente invasione di domicilio da parte di paparazzi muniti di fotocamere dai flash abbaglianti, niente discussioni amareggiate sullo stato della loro compagna assente, le due Capopalestra riferirono che Nardo aveva accertato il suo ritorno presto o tardi quel giorno, Iris fece assaggiar loro il latte regalatole dai vicini e tutte concordarono sul quanto si mangiasse bene lì.

«Dai, amore, voglio sentirti dirlo un'altra volta, davanti ad Iris, per favore...»

La rossa si era messa in una sottospecie di posizione di preghiera, congiungendo le mani per ottenere compassione, mentre Iris la guardava stranita, in senso comunque buono.

«Ma fammi un piacere, - Camelia era così intenta nel suo lavoro con il pennellino in mano da non degnarla neppure di contatto visivo - se penso che hai un fetish per queste cose mi viene mal di stomaco.»

«Ti prego... - Anemone insistette - È tutta prima che me lo hai detto giusto, se lo rifai anche adesso sarà la cosa più bella che tu abbia mai fatto per me... Insieme alle unghie, ovvio.»

«Okay, ma non mi ricordo bene...» La mora fece una pausa dal suo lavoro per pensare.
Intanto le due ragazze di colore la fissavano con alte aspettative.

«Allora... Il volt è l'unità di misura... - la ragazza si sforzò un poco, poi riprese - ...del potenziale, che è... - rallentava ogni volta che era incerta sul passaggio successivo, abbozzava quello che voleva dire con le labbra ed Anemone le faceva cenni per continuare, tutta esaltata - uh, il prodotto fra...

La costante kappa-zero, che è nove per dieci alla nona newton per metro quadro su coloumb, e il diviso, cioè, scusa, intendevo il rapporto fra la carica e la distanza e tutto questo fa venire fuori joule su coloumb che da... Sì, il volt.»

Ci furono alcuni istanti di silenzio dettati dall'ammirazione, mentre la ragazza che aveva parlato così scioltamente di una materia a lei del tutto sconosciuta come l'elettronica era bloccata in una specie di trance intanto che rifletteva su ciò che aveva detto.

Aveva formulato una frase, ma se le avessero chiesto di spiegare cosa fossero il potenziale, il joule o i newton per metro quadro su coloumb avrebbe fatto scena muta.

Tuttavia non ebbe motivo di disperare, visto che la sua insegnante privata la stava abbracciando con una forza esagerata, neanche avesse pronunciato chissà che confessione d'amore.

«Da quando stiamo insieme sei diventata il triplo più intelligente.» Fece quella, convinta.

«E tu almeno dieci più presentabile.» La risposta di rimando della mora la fece sussultare.  

«E io almeno cento più... Niente, accendo la tv.»
Iris premette il tasto sul telecomando e gettò lo stesso in disparte, pur di troncare sul nascere una scena degna della più smielate commedie romantiche.

Certo, non aveva nulla contro qualche dimostrazione di affetto anche fra ragazze innamorate.
Ma per Giove, che non fosse sotto i suoi occhi di innocente single di quindici anni.

Il Campione aveva concesso alle sue ragazze di tenere la televisione nella loro stanza alla stregua di un padre conservatore del millennio passato, considerandola una macchina che distrugge l'immaginazione, rattrappisce il cervello dei giovani e porta solo brutte novità.

«Ma perché qui la tv è sempre sintonizzata sul canale delle news?»
Iris prese un sorso di latte, a cui aveva aggiunto un cucchiaino di Baccacao in polvere per renderlo ancora più gustoso e dolce.

«Infatti, - Anemone aveva fatto accomodare Camelia fra le sue gambe, divaricandole dietro di lei - guardiamoci un anime, ne dovrebbero essere usciti di belli nella stagione estiva.»

La voce in sottofondo sovrastò ogni rumore presente nella casa, tanto che Iris recuperò pure il telecomando per alzare il volume: dalle immagini che comparivano sullo sfondo intuirono che si parlava, purtroppo, di Unima.

Quello era un telegiornale nazionale che copriva gli eventi di tutte e sei le regioni del mondo Pokémon, abbastanza famoso da attirare gli ascolti indipendentemente dalla qualità dei servizi.
Lo studio con il grosso banco coperto da schermi su schermi venne inquadrato prima nel suo aspetto generale, poi la telecamera puntò dritta al cronista, impeccabile nella sua giacca e cravatta abbinate l'una all'altra.

Non avendo seguito tutta la trasmissione, alle ragazze giunse solo questo spezzone del discorso.
«...che deriva dalle passate attività con il famigerato Team Plasma.»

Ammutolirono tutte, lasciando che il servizio vero e proprio cominciasse: furono mostrati loro immagini riprese da diverse angolazioni delle quattro sale dei Superquattro, ognuna appariva distrutta in parte, con calcinacci sul pavimento, cavi spezzati e altri danni ingigantiti dallo zoom eccessivo.

«Quando sembrava che il panico di due anni fa fosse stato debellato con la cacciata di Natural Gropius Harmonia - partì una voce narratrice, con estremo pathos - il Team Plasma rinasce dalle sue ceneri, come il simbolo che ora lo rappresenta, l'Araba Fenice.»

Passarono poi in rassegna una serie di graffiti su di un muro diroccato, rappresentavano tutti un corpo informe attorno al quale fiamme rosse divampanti si alzavano, abbastanza stilizzate nel disegno, mentre la carcassa che ne era circondata veniva carbonizzata.

«In questi ultimi mesi sono stati segnalati alcuni casi isolati di vandalismo da strada, che non hanno preoccupato le autorità fino al fatale assalto alla Lega Pokémon di mercoledì sera; purtroppo in quell'occasione le forze di difesa della regione non hanno potuto impedire danni irreparabili alla millenaria struttura...»

«Ma dai! - lo riprese Anemone, indicando lo schermo con fare sdegnato - Sono delle cavolo di statue, un po' di colla e si risolve tutto!
Grazie telegiornale, adesso sembra che le "vandale" siamo noi!»

Nonostante la reazione esagerata, la rossa aveva ragione nell'evidenziare la frivolezza di quel commento: la plebe tende sempre a cercare un colpevole ed ora la collera generale si sarebbe riversata sui servizi di protezione, e più specificatamente su di loro e su di Nardo.

«Pensate che adesso la Polizia Internazionale interverrà sul caso?» Domandò Iris.

«Probabilmente sono solo i notiziari a fare scandalo su quattro lampadine rotte... - Camelia le rispose così, essendo la più esperta nel settore - Adesso che si inventeranno?
Chiamano Ghecis e gli fanno chiedere scusa in mondovisione?»

«...ma l'ex Capo del Team Ghecis Harmonia - il telecronista proseguì il suo discorso capitando proprio a fagiolo alla fine della precedente affermazione della modella - nega il proprio coinvolgimento nell'imboscata dell'altra notte e in tutte le attività illecite intraprese a partire dallo scioglimento del clan.»

«Basta, io non voglio più vivere in questa regione.»

La scena rappresentata si spostò in un'ampia aula per conferenze, addobbata con festoni e decorazioni nere e bianche, la bandiera di Unima sventolava alle spalle della tribuna oratoria.
Un vociare confuso diffondeva un brusio eccitato: i tecnici mostrarono il pubblico seduto sulle tribune, uomini e donne vestiti con il bicolore regionale e il fervore patriottico nelle loro espressioni.

Iris, Camelia ed Anemone erano tutte e tre originarie di Unima, forse per la terza potevano esserci varie ipotesi sulla provenienza della sua famiglia natia, però comunque conoscevano la loro terra come un Allenatore conosce la propria squadra.
Dunque non potevano fare a meno di essere in ansia per chi stava per presentarsi sul palco.

L'uomo dalla folta chioma verde nonostante l'età avanzata fu accolto con un fragoroso scroscio di applausi, mentre si sollevavano striscioni e urla in suo onore.

Quel bizzarro individuo vestiva quale un monarca orientale, una tunica riccamente ricamata con i motivi rossi, arancio e d'oro della fenice, dell'arabesco e della Mano di Fatima: l'ultima, segno di fortezza e coraggio, figurava in un ingombrante pendente tempestato di gemme.

Ghecis alzò una mano e la puntò verso il suo pubblico, il quale subito tacque e fu come risucchiato nella spirale ipnotica delle parole di quell'oratore provetto.

«Cittadini, - decise di pausare per un secondo, l'atmosfera si era fatta bollente - è facile lodare la regione di Unima davanti agli abitanti di Unima.
Non lo è, quando bisogna difenderla dallo squallore e dal degrado di cui ci accusano le altre regioni.

Nel secolo in cui viviamo, la nostra terra non è più una penisola di selvaggi vestiti di pelli che allevano Pokémon ed ignorano le vicende del mondo esterno.
I nostri padri, i nostri antenati che combatterono nella guerra fra i due eroi al fianco di Reshiram e Zekrom, essi posero le basi per la vita in comunità, cessarono le ostilità, la guerra civile che aveva devastato la regione e straziato la popolazione per anni ed anni...

Eppure io, ormai anziano, io che credevo di aver visto tutto, oggi vedo con i miei occhi a che aberranti gesti e malevole intenzioni si sono lasciate andare le nostre generazioni!»

Gridò e si prese la fronte in una mano, con la testa bassa in segno di delusione.
Nessuno fiatò.

«Secondo me ci crede tutti scemi...» Commentò Iris, senza ostacolare l'ascolto.

«Questo atto, oserei dire, blasfemo, questa irrispettosa blasfemia di... Dissacrare un edificio come la Lega Unima, simbolo delle lotte Pokémon di generazioni di Allenatori concordi uniti sotto il saggio governare dei sapienti... - si interruppe, ma poi tuonò, battendo il pugno - È imperdonabile!»

«Okay, ci crede definitivamente scemi.»
Si rispose da sola, riprendendo a fare un altro po' di coccole ad Emolga.

Invece di tirarla ulteriormente per le lunghe, Ghecis decise di sfoderare subito il suo asso nella manica, la sua argomentazione vincente.

«Ho sentito dire da fonti, direi, "attendibili", che la mia persona sia responsabile di tale ingiuria.
Secondo questa tesi, l'unico collegamento plausibile risiede nell'associare il nome del Neo Team Plasma, a quello dell'organizzazione che io stesso, ripeto, io stesso ordinai di sciogliere.

E non posso spiegare la rinascita di questo aborto, il quale pretende di essere il figlio degli ideali innocui e puri della vecchia organizzazione, se non domandandovi, come starete facendo anche voi, amici: chi sono i membri di codesta malfamata organizzazione?»

«Le tue scaldaletto, tesoro, molto semplice.»
Gli ribatté la mora, salace come non mai.
Le altre due risero divertite, era in quelle situazioni eccessivamente esagerate che le battute della loro compagna diventavano particolarmente efficaci.

Dopo un leggero sussurrare del pubblico generato dalla domanda spinosa, l'uomo si pronunciò.
«I membri di tale organizzazione sono, in fede vi dico, gli scarti, gli inetti, i rifiuti umani della nostra società!»

Chiunque, sia fra i presenti in quella sala, sia gli spettatori da casa rimasero basiti, alla modella, del tutto risoluta a non ascoltare una parola che uscisse dalla bocca di quel delinquente, cadde il pennellino dello smalto e per sbaglio si rovesciò un bicchiere.

«Le tendenze del nuovo millennio indeboliscono i giovani e li portano sulla cattiva strada.
Si atteggiano con superficialità e dimenticano i veri valori che hanno reso grande questa regione.

E mi sento in dovere, cari signori, di portare esempi concreti in sostegno della mia teoria: gli immigrati, i disabili, i poveri, i figli della strada, i neri, i gay e le minoranze deboli in generale rallentano lo sviluppo della regione e danneggiano il buon sangue dei suoi cittadini.»

In quell'esatto momento la storia dell'umanità si bloccò. Vi furono mille secoli di involuzione del tutto compressi in pochi secondi, quelle parole erano la vera blasfemia che distruggeva il labile orgoglio del genere umano.

Ghecis Harmonia, il quale si faceva portatore delle verità incommensurabili della regione, un aristocratico definito di buona famiglia si era messo a spergiurare contro le fasce più deboli della popolazione, quelle più pregiudicate ed emarginate, ma che in toto non nuocevano affatto alla società nel modo che sosteneva lui e che comunque rappresentavano pur sempre una parte della popolazione.

Le tre ragazze rimasero senza parole, senza commenti.
Era come un'esecuzione pubblica, ognuna si sentiva piena di vergogna per ragioni non meritevoli del loro rimorso, offese davanti a tutti, in diretta nazionale.

Ogni sillaba di quel discorso era sbagliata. Chiunque lo avrebbe potuto notare.
Ma quel bastardo senza gloria volle comunque perseverare nel suo seminar zizzania.

«Con la mia candidatura a Campione, entro il mese prossimo vi garantisco che la nostra amata Unima sarà libera da queste piaghe, la nostra società imparerà ad isolare ed eliminare questa categoria di individui deviati, e la giustizia e la felicità trionferanno.

Ora ci troviamo tutti in un regime di terrore, in cui regna lo ius omnia e la legge non è più pietra miliare. Ma io, Ghecis Harmonia, mi propongo di cambiare la situazione.
Il vostro consenso, concittadini, sarà la chiave per una regione più giusta, più bella, più grande!»

Ed una marea di battiti di mani esaltati, di grida infervorate, di febbrile eccitazione si diffuse fra la folla e il sovrano già pregustava la sensazione della corona d'alloro sulla sua testa, mentre ringraziava con falsa umiltà i suoi nuovi sostenitori.

La ragazzina dalla pelle color caramello, i capelli viola, proveniente da un villaggio sconosciuto e il cui orientamento sessuale era ancora da definirsi pienamente, andò ad abbracciare le sue due compagne, non riusciva neppure a far uscire dalle labbra il disgusto abominevole che quell'individuo le procurava.

Non era preoccupata per sé. Non lo era.

Lo era bensì per le persone diversamente abili, straniere, omosessuali, di colore e in condizioni economiche precarie che lei conosceva, con cui si svegliava, mangiava, si allenava e andava a dormire tutti i giorni.
Le stesse persone che le avevano insegnato ad abbattere le sue barriere mentali per non finire a predicare l'odio come individui così rivoltanti.

Iris aveva paura, quasi quanta gliene aveva data il pensiero che esse stesse potessero morire sotto l'attacco del Neo Team Plasma, per Anemone, Camelia, Catlina e Camilla.

Quel giorno di luglio, Unima aveva subito un duro, durissimo colpo alla sua dignità.

 
Quando, circa mezz'ora dopo, comparvero sulla soglia della loro camera la leader insieme alla giovane che da due giorni infestava le loro più nefande preoccupazioni, tutte e tre fecero del loro meglio per nascondere i volti di pietra, scolpendovi sopra dei sorrisi il più accoglienti possibile.

E, tutto sommato, non si dispiacquero troppo di fingere la loro felicità: rivedere Catlina tutta intera, viva, vegeta, ma soprattutto sveglia dal coma, riscaldò i cuori congelati di tutte.

Ma non solo. La biondina, nonostante fosse reduce da una dolorosa lobectomia, appariva in pace con se stessa e con l'universo intorno a lei: non si dimostrava recidiva agli abbracci e ai baci gioiosi delle due Capopalestra, anzi, si sporgeva sull'orlo della sua sedia a rotelle per contraccambiarli, al settimo cielo all'idea di lasciare quel tetro ospedale una volta per tutte.

Era un ciclone di affetto e calde interazioni che non poté non far intenerire la protagonista, la quale si ripromise di aiutare la loro amica nei momenti di precarietà fisica, il tutto di propria spontanea volontà, imparando come soccorrerla qualora le fossero venuti, per esempio, altri attacchi di epilessia, adesso aveva imparato il nome di quella malattia.

Poi le propose, cercando sempre di non assillarla troppo, di farsi rifare le unghie di nuovo, mostrandole il variopinto design di una galassia blu scuro, piena di brillantini che sembravano stelle, che sfoggiava con fierezza sulle sue.

«Se ve lo chiedono - fece Camelia, andando alla ricerca della base trasparente - io non sono una delle candidate al posto di Campionessa. Io sono la loro estetista.»
Scatenò così un altro momento di spensierata ilarità per il gruppetto di nuovo riunito.

Se c'era una cosa di cui Iris era certa, essa risiedeva negli istanti in cui le cinque sorridevano tutte assieme, nasceva una specie di magia, un arcobaleno illuminava la loro stanza buia ed i brutti pensieri si volatilizzavano come le bollicine frizzanti nella Gassosa e nel Lemonsucco.

Perfino Nardo, il quale non osava mettere piede nei locali adibiti alle ragazze neanche a pagarlo, volle dare il bentornato alla biondina, sinceramente grato di poterla contare fra i suoi Superquattro ancora, sperava per un altro po' di tempo, prima che la malattia peggiorasse.
Per lui, i suoi dipendenti alla Lega erano come dei nipotini, il trattamento che destinava loro era lo stesso.

«Invece, - disse, più serio - desidererei delle spiegazioni per quanto riguarda la signorina dal cellulare inesistente...»

«Ti darò tutte le spiegazioni, - Camilla gli si parò davanti, sicura e grintosa com'era da lei - quando tu ci dirai, una volta per tutte, quando potremmo avere la nostra sauna.»

Tutte le allenatrici in kimono espressero il loro supporto alla protesta della Campionessa.

«Credevi ce ne fossimo dimenticate?» Gli ripeté la donna, mettendolo alle strette.

«Non mi pare il caso, comunque, di parlarne adesso. - L'uomo dalla folta chioma arancione diede loro le spalle - La Professoressa Zania mi ha chiesto un appuntamento in privato con voi, per discutere la situazione del Neo Team Plasma senza che i media creino altro panico.»

Partì una lunga espressione vocale di generale malcontento, le pupille che volavano al cielo, chiedendosi perché dopo tanti tormenti alle giovani non spettasse neppure un giorno di pausa.
Dopodiché una sfilza di occhioni miserevoli pregavano il vecchio Campione di concedere loro un premio, una ricompensa che le spronasse a fare bene il loro lavoro, come quando avevano scacciato i ladri dal centro commerciale.

Infine si stabilì un compromesso: Nardo le avrebbe lasciate libere un altro giorno per svagarsi, a patto che non tornassero a casa ubriache o deturpate in alcun modo.
E, cosa più importante, avrebbe assunto lavoratori professionisti per completare la sauna una volta per tutte, ovviamente.

Tutte applaudirono e i Pokémon fecero festa, con questo allettante proposito riuscirono a distrarsi dalle loro manicure per concentrarsi su ciò che la Professoressa aveva da dire.

In concomitanza con il congedo di Nardo, entrò nella stanza una giovane donna in camice da laboratorio, dai lunghi capelli nero pece e la frangetta corta sorretta da due mollette. Sorrideva timidamente, al suo fianco un piccolo Munna fluttuava come un palloncino, Catlina lo cercò di attirare con dolcezza verso di sé per accarezzarlo, appassionata com'era di Pokémon Psico.

La ricercatrice era leggermente impacciata nei movimenti, ma le ragazze non glielo fecero notare.
«Ciao ragazze, - si presentò - Sono Zania Yumei e sono una collega della Professoressa Aralia, che immagino conosciate bene.»

Tutte annuirono ed essa proseguì.
«Insieme a lei e ad altri studiosi mi sono offerta volontaria per aiutare il Campione sulla questione del Neo Team Plasma, mettendomi a disposizione per evitare la catastrofe degli anni scorsi.
E credo di avere qualcosa che possa interessarvi.»

Zania estrasse un pc portatile e le ragazze fecero spazio sul tavolo, radunandovisi intorno: esso rappresentava una schermata verde, in cui un diagramma rappresentava alcuni valori inseriti in dei grafici.

«Come sapete, fino a poco tempo fa il Team Plasma, quando ancora era guidato da Natural Harmonia, voleva persuadere gli allenatori a liberare i loro Pokémon.»

«È vero, - constatò la rossa - era questo il tema dei loro discorsi in pubblico.»

«Ecco, quando l'anno scorso il Team è stato sciolto sotto ordine di Ghecis, alcuni allenatori che in precedenza avevano liberato i loro Pokémon, li hanno ritrovati... Diversi.

Questi Pokémon abbandonati venivano recuperati in orde radunate tutte nello stesso posto.
Quando rientravano in contatto con i loro vecchi allenatori si dimostravano molto aggressivi, intrattabili e disobbedienti.

In questi mesi ho voluto fare delle analisi su alcuni campioni di questi Pokémon "liberati".
Quelli che vedete sullo schermo sono i valori basilari che regolano la vita di un essere vivente: battito cardiaco, frequenze nervose, pressione sanguina...
Ed i risultati delle analisi su questi Pokémon sono aberranti.»

«Poverini.» Commentò la nobile di Sinnoh, paragonando la propria situazione di malessere a quella di tali creature innocenti.

«È ovvio che ci fosse qualcosa sotto. - Zania cambiò interfaccia ed si fece più cupa - Così ho chiesto ad Aralia di analizzare il sangue, o qualsiasi tessuto connettivo questi esemplari possiedano, ed ho scoperto questo.

Tutti i Pokémon liberati sotto ordine del Team Plasma sono stati drogati con una neuro-tossina artificiale.»

Seguì un breve silenzio di riflessione. Ora era chiaro come mai quei farabutti predicassero la parità fra uomini e Pokémon ed il ritorno allo stato naturale di questi ultimi, e razzolassero male utilizzandone loro stessi per lottare senza il bisogno di allenarli.
C'era sotto un veleno, un veleno letale.

«E che cosa fa questa tossina?» Domandò subito Camilla.

«Non possiamo saperlo esattamente, questa tossina non si trova in natura. - Zania sospirò - Andarlo a scoprire... Significherebbe fare esperimenti ed iniettarla su altri Pokémon sani e allo stesso tempo negare le cure a quelli intossicati...
La legge della nostra regione proibisce la vivisezione.»

L'etica morale poneva un ostacolo ai chiarimenti della scienza, ma nessuna di loro fu così cinica da voler aggirare un tabù tanto indecoroso.
A quel punto una domanda sorse spontanea alla più piccola fra le Allenatrici.

«Che il Neo Team Plasma la utilizzi ancora questa droga?»

«Spiegherebbe perché i Pokémon di quelle pazze in tutina ci abbiano attaccate senza pensarci due volte.» Aggiunse la mora.

Zania mostrò loro una mappa della regione, con le città principali segnalate da puntini gialli connessi da segmenti dello stesso colore, per rappresentare i percorsi e le strade che le univano.
Indicò con l'indice un'area definita, a sud del territorio ed ingrandì su di essa.

«A differenza degli altri clan malavitosi, il Team Plasma non ha mai posseduto un vero e proprio quartier generale. I suoi membri si spostavano di città in città accompagnati da uno dei Sette Saggi.
Quindi, anche sul dove andare a localizzare dove nasca questo fantomatico contrabbando risulta un problema...»

«Aspetta, - le fece la mora, spostandosi col cursore su una parte differente della mappa - ci sono due posti a Unima dove gira un sacco di droga: a Sciroccopoli ed ad Austropoli.
Non guardatemi male... N-Non ne faccio uso o cose del genere, sono solo informata...»

Ci tenne a discolparsi, tanto contraria era agli stupefacenti che facevano impazzire la sua generazione. Quell'informazione inoltre, innescò la risposta repentina della sua fidanzata, la quale se la sentì di esprimere il suo umile parere.

«Già. Se la droga gli arriva da altre regioni non può di certo passare per via aerea.
Il servizio cargo nazionale infatti vieta il trasferimento di questo tipo di merci.
O arriva nei container, e ne dubito, visto che la frontiera è quasi impossibile da passare ora che i Saggi sono in libera circolazione, oppure...»

«Via nave. - Concluse Camilla - È l'unico modo per raggiungere Kanto, Hoenn o Sinnoh.»

«Siete piuttosto unite - commentò la Professoressa - per essere...»

«Avversarie? - la interruppe Catlina, che aveva trovato ottima compagnia in quel docile Munna così aperto alle coccole - Sì, lo sappiamo, ce lo dicono tutti.»

Nessuna di loro aveva davvero capito se ciò fosse un qualcosa di bello o una stranezza riprovevole, tanto da spingere Anemone a chiedere conferma, essendo ormai entrate in confidenza con la donna e non necessitando più di onorifici e formalità.

«Secondo lei è sbagliato il fatto che non ci odiamo ancora a vicenda? Stiamo cominciando a preoccuparci, visto quello che ha detto anche Ghecis in tv...»

Zania ripose il computer e si sentì un po' a disagio in quella piccolissima comunità: non le pareva di aver mai visto delle Allenatrici così legate, da quando tre Allenatori che lei ben conosceva avevano cominciato il loro viaggio dalla cittadina di Soffiolieve...

Non le sembrava affatto corretto utilizzare quelle ragazze così simpatiche, così fragili, per combattere dei criminali al posto della polizia o degli altri codardi, che solo al sentir pronunciare la parola "Team Plasma" se l'erano data a gambe.

Stava per andarsene e riferire a Nardo quanto quella missione fosse pericolosa ed infattibile, quando, di punto in bianco, Iris si alzò in piedi ed attirò l'attenzione di tutte.

«Ma allora è facile! Basta andare ad Austropoli, comprarci un po' di quella droga e lasciarla alla Professoressa, così può analizzarla senza far soffrire gli altri Pokémon.»

La ragazzina dai capelli viola subì su di sé quattro occhiate completamente confuse.
Alla fine però, Camilla smorzò un ennesimo sorriso e si alzò pure lei, parlando dritta alla donna.

«Uhm. Si potrebbe fare.
Anche entro oggi se vogliamo, tanto non avete allenamenti, ragazze, vero? - E fece l'occhiolino al gruppo affinché ricordassero chi aveva disdetto la loro sessione di fatica giornaliera - E poi non dobbiamo neanche spendere i soldi del trasporto, possiamo andare in macchina mia.»

«Se hai la macchina - la riprese Camelia - perché non l'abbiamo usata fin da subito?»

«Ovvio che non potessimo usarla... - La bionda si coprì la bocca con la mano, in segno di imbarazzo - Mi hanno ridato la patente questa settimana.»

«C-Come!? Ti sei fatta ritirare la patente? Hai preso sotto qualcuno?» Sbottò la rossa.

«Cosa importa, erano solo un paio di multe per eccesso di velocità, devo abituarmi che qui si guarda prima a destra e poi a sinistra...» Si difese la Campionessa.

Non le pareva il caso di drammatizzare sulle proprie piccole mancanze quando crimini molto peggiori accadevano in giro per la regione.
E, se proprio non si fidavano di lei, non c'erano stati né morti né feriti, poteva giurarlo sulla triade divina di Dialga, Palkia e Arceus.

«Ve la sentireste? - domandò preoccupata la ricercatrice - È pericoloso e potreste rischiare ancora di più di quanto non avete già fatto con l'attacco alla Lega...
Avete già pensato a come fare? Avete un piano?»

Subito Iris le pose una mano sulla spalla, trasmettendole sicurezza attraverso i suoi occhi nocciola.

«Un piano ci verrà in mente lungo la strada. Le posso assicurare che ce la faremo.
Alla fine, siamo noi le Campionesse della regione, mica quel Ghecis Harmonia.»

 

Il fuoristrada cachi guidato dalla Campionessa sfrecciava imperterrito verso la piazza centrale: nonostante le numerose vetture dai colori accesi che affollavano la strada, il procedere ad una velocità sostenuta amplificava il senso di libertà in ciascuna delle ragazze, potevano sentire il vento fra i capelli e godersi la vista sui cartelloni pubblicitari senza incombere nell'impiccio dei finestrini.

L'aria cittadina non trovava lo spazio fra il pesante odore di fritto emanato dal cibo comprato pochi minuti prima ad uno dei tanti fast-food seminati ad ogni angolo, anch'essi avvolti nello stesso contenitore di carta unta con cui erano brillantemente impacchettati i loro hamburger e le loro bevande frizzanti.

Iris alzò le pupille verso l'alto, mentre succhiava la cannuccia con tanta veemenza da far sembrare che la sua anima fosse stata assorbita sul fondo del bicchiere in plastica; Austropoli non era come tutte le altre città, la capitale della regione disponeva perfino del suo zodiaco personale.

Era uno spettacolo singolare; se ne poteva discutere la valenza estetica, visto che non erano le sfumature del cielo o la forma delle nuvole a renderlo, se non bello, almeno notabile.
Grattacieli sempre più imponenti si sfidavano a quale fra questi colossi di cemento avrebbe per primo bucato la volta celeste, un esercito di torri di Babele spuntava dal suolo e spostava la prospettiva dall'orizzonte verso l'alto.

Li rivestivano cartelloni pubblicitari dai pixel grandi come lo schermo di un televisore, gli ultimi prodotti per la cura dei Pokémon litigavano per il loro spazio vitale con gli ultimi modelli di Interpoké e le collezioni primavera-estate dei più rinomati stilisti.

I cartelli stradali, le persone formicolanti sulle strisce pedonali, gli uffici e i negozi ghermivano di vita a quell'ora: se ciò fosse il degradante ritratto della globalizzazione che annichilisce l'uomo o il benevolo volto del progresso è un'opinione del tutto soggettiva.

Camilla rallentò progressivamente di fronte al semaforo, incolonnandosi in una fila piuttosto lunga di vetture parallela ad altre tre o quattro identiche. Si fece infilare in bocca dalla sua coetanea, la quale le sedeva accanto, una patatina fritta coperta di salsa rossa, leccandole la punta del dito in segno di implicita dimostrazione di affetto.

«Okay. - Iris si protrasse in avanti, verso l'incavo fra i due sedili anteriori - Voi quattro avete già trovato il Team Plasma una volta, potete farlo di nuovo.
Qual è il piano, allora?» Disse con voce intrisa d'impaziente aspettativa.

La sua domanda, per quanto lecita fosse, si disperse nel rumore fastidioso del traffico.
Si guardò intorno, ma le altre non le diedero l'impressione di non averla ascoltata, bensì di non avere la risposta giusta da darle.

«Niente piano, va bene.»

«Una cosa è un centro commerciale, una cosa è una metropoli di sei milioni di persone.»
L'affermazione semplicistica di Anemone si ridusse a ciò, mentre ella mangiava tranquilla un medaglione di pollo dorato, torturandosi i bordi sfilacciati dei jeans strappati con le unghie così ben curate.

«Finché restiamo qui bloccate in coda mi sa che fanno in tempo a cambiare regione.»
La mora allungò il braccio davanti al petto della ragazzina, seduta verso la portiera di destra, e mentre imponeva alla sua ragazza a suon di pizzicotti di smetterla di riempirsi di cibo-spazzatura, l'autista spense il motore.

I tempi di attesa di fronte ad un incrocio di Austropoli si misuravano in lustri, apparentemente.

Camilla e Catlina intanto presero a discutere anche in maniera piuttosto accesa sulla direzione da prendere una volta superato il loro purgatorio stradale, indicando punti nella cartina con un una potenza direttamente proporzionale alla loro convinzione sul dove si dovesse svoltare.

Percependo il classico momento in cui la sua presenza non serviva a granché, Iris prese in mano il telefonino e, intenta a non farci nulla di particolare, toccò l'icona lampeggiante dei messaggi.

Le capitava di rado un buco libero nelle loro intense giornate di allenamenti per appartarsi ed intrattenere una conversazione, ma le faceva piacere ripassare gli ultimi argomenti di pettegolezzo avuti lungo la settimana, una frivolezza che si sarebbe potuta concedere solo a quell'età.

Fece scorrere lo schermo velocemente, ai suoi occhi giungevano solo mozziconi di parole, emoticon colorate, un gruppo di qualche mese prima dal quale non era ancora stata rimossa, cancellare le chat le faceva male ad una parte indistinta del cuore, era come eliminare un ricordo, uno futile, ma pur sempre un ricordo.

Tutt'un tratto però, le capitò di vedere un messaggio in particolare che cominciava con "ciao, sei libera sabato sera". La data non risaliva a meno di tre giorni prima, cosa che la incuriosì.

Subito diede un'occhiata al mittente, o meglio, alla mittente.

Sebbene le sue labbra si fossero curvate in un sorriso compiaciuto, la assalì di nuovo il brutto pensiero fatto prima di raggiungere la chiassosa città, riempiendola di ansia.

Quel numero poteva appartenere ad una persona morta.
Morta dissanguata, o di infezione, più probabilmente.

«So - alzò tantissimo la voce, facendosi sentire anche dagli altri automobilisti forse - come trovare il Neo Team Plasma. Ho un piano, io.»

Dopo che la sua mossa le aveva permesso di non venire trascurata ancora, Iris per la prima volta tergiversò nel regalare per la milionesima volta la sua gentilezza a prezzo stracciato alle sue compagne.

Riguardare quel messaggio aveva risvegliato un'insofferenza ai trattamenti subiti nel corso di quei due mesi, nessuna delle quattro ragazze più grandi era esclusa da questo astio recondito.
Era inutile che la più piccola continuasse a ripetersi in testa "vi odio" e "vi detesto" se non dava mai le prove concrete, non poteva aspettarsi che esse capissero sempre tutto da sole.

«Aspettate… ma perché dovrei?»
Non si risparmiò, viaggiò nel tempo fino alla notte del temporale, alla giornata in cui sarebbero dovute andare in spiaggia, fino allo spiacevole episodio dei Magazzini Nove.

«Non vi ho mai sentite dirmi "grazie" o farmi vedere che ci tenete un minimo.

E poi mi lasciate sempre da sola con le scuse più stupide, pensate che io non ci stia male…
Non dico starvi simpatica, so che non ce la faccio, ma almeno non trattatemi come se non fregasse niente! Scusate… ma non è giusto… io non vi ho mai fatto niente…
Voglio che almeno mi chiediate scusa, me lo dovete tutte!»

Fu quasi contenta di essere riuscita a schioccare per cinque secondi, ma il loro esame di coscienze non durò troppo.

«Ma questo sarebbe un ricatto?»
Le fece Camelia, fissandola in cagnesco attraverso le ciglia allungate dal mascara.

«Un po' è vero… Non hai tutti i torti.
Io ti chiedo scusa da parte di tutte, davvero, non pensavo stessimo ferendo i tuoi sentimenti…»

Credette di averla scampata liscia la rossa, per quanto fosse sincera e ricercasse sempre il perdono altrui Iris la riprese subito, con tono ancora più concitato.

In fondo le dispiacque di non comprendere a fondo le accuse rivolte a lei, ma come mai la ragazzina avesse deciso di parlare dei propri problemi con loro in una situazione così inadatta le sfuggiva.

«No! Non ha senso che me lo diciate così, per farmi stare zitta!»

«Iris, - La cercò di tranquillizzare anche Catlina, per nulla favorevole a cominciare una lite nel bel mezzo di una missione - se vuoi possiamo parlarne dopo, quando torniamo…»

«O "scusa" me lo dite sinceramente e mi promettete che d'ora in poi almeno ci provate a rispettarmi, altrimenti io scendo qui e me ne vado una volta per tutte, ci si vede.
Non mi faccio problemi, eh.»

Ed in gesto di accesa provocazione, si slacciò la cintura ed accavallò le gambe abbronzate quasi del tutto scoperte da pantaloncini corti.

Quella era la sua soluzione finale, dopodiché non avrebbe mai e poi mai rimesso piede a casa di Nardo, si sarebbe ritirata dalla competizione ed avrebbe sperato di non incontrare quelle quattro neppure per caso per la strada: non avrebbe retto l'affronto.

Era incredibile come ogni singolo momento di negligenza fosse riemerso a galla d'improvviso e le facesse provare anche più furore di quando tali episodi si erano realizzati nella realtà.
La ragione di ciò non fu il fatto che Iris non riuscisse più a contenersi. Ne era ben capace.
Si era temprata ed era ormai indifferente alle prese in giro e alle mancanze di tatto.

«Okay, ciao allora.»

La mora le sorrise, ondeggiando la mano ed indicandole il marciapiede con il pollice.
Le altre rimasero zitte a guardarla, con i loro classici sguardi vuoti, senza significato.

Iris non osò piegare il proprio orgoglio, per quanto fosse stato abusato, alle pretese di quelle…
Come poteva definirle? Il termine "compagne" a quel punto le faceva venire le afte sulla lingua.

Aveva trovato l'emblema di tutto quello che odiava incarnato in esse.
Potevano calmare i suoi bollori con abbracci e carezze quando lei le supplicava e cercare di coinvolgerla nelle loro pazzie, ma quando si trattava di dimostrarle di cosa fossero capaci, erano capaci solo di esigere, e mai di desiderare.

Avrebbero fatto bene a sperare che la regione fosse piena di ragazzine sottomesse ed emotive con le quali rimpiazzarla, ma che fossero abbastanza docili da non stufarsi del loro trattamento da zerbino entro una o due settimane.
La giovane si posizionò con le scarpe sopra il sedile, pronta ad uscire con un balzo.

Georgia quindi aveva avuto ragione per tutto il tempo.
Ora doveva sbrigarsi, prima che il prossimo complimento le azzerasse di nuovo il buon senso.

«Buona fortuna e addio, Campionesse.»
Fu teatrale nella sua uscita, ma non per questo sollevata dai suoi tormenti.

A questo punto, la storia delle precoci Campionesse si sarebbe potuta concludere qui, con la sfortunata dipartita della più giovane e la rottura definitiva dell'equilibrio iniziale.
Sarebbe stata, più che una prosa, una vera tragedia, il finale che non lascia spazio all'immaginazione o a un seguito, solo un enorme punto di domanda aperto sotto ai titoli di coda.

Purtroppo però, per garantire una narrazione il più oggettiva ed impersonale possibile, non ci è possibile parlare di "e vissero felici e contente" o di frasi ad effetto strappalacrime.

Non finché l'automobile di Camilla non aveva ancora passato il semaforo nonostante la luce verde.

La donna pestò il freno con tale allerta da riuscire a vedersi i punti della sua povera patente rosa calare di almeno una decina, mentre lo schiamazzo dei clacson impalati dietro di lei la esortava ad investire il bizzarro individuo che si era lanciato come un kamikaze davanti al suo parabrezza.

L'Allenatrice dai capelli violetto scivolò inevitabilmente in avanti, vista la sua posizione instabile, ed insieme al suo cuoricino spezzato avrebbe dovuto ammendare pure il naso dalla sua bella morfologia, così piccolo e delicato, se Anemone non si fosse subito adoperata come airbag umano.

Iris sospirò: non trovava la forza di arrendersi ed accettare il fatto che il destino gliele ponesse ogni giorno sotto i suoi occhi innocenti, settimanalmente le toccava con mano, ed era proprio giunta l'ora di rinnovarle l'abbonamento mensile al finire con il viso contro un paio di morbidi, grandi e prosperosi seni.

«Scusate! Scusate!»
Il tizio che avevano rischiato di investire rimase accanto alla vettura, gesticolando in maniera maniacale.

«Non compriamo niente, grazie ed arrivederci.»
Provò a liquidarlo la Campionessa, ma egli non si decideva a sparire.

«Non sono qui per questo! - L'uomo rise, sistemandosi un ciuffo azzurrognolo in cima al capo platinato, poi consegnò alla leader un biglietto - Voi siete le Allenatrici scelte da Nardo: il mio capo mi ordina di riferirvi questo messaggio, ascoltate bene:

Dirigetevi entro oggi alla sala congressi del Palazzo del Governo, avete l'indirizzo nel biglietto da visita; c'è da discutere su questioni importanti, e come potremmo farlo senza di voi?
Vi consiglio inoltre di non riferire la faccenda ad esterni, sapete… Sono affari di Stato.

Capito, signorine?»

Le cinque annuirono basite. Solo Camilla si sforzò di dare un consenso vocale, esortando inoltre il bizzarro ceffo in camice da laboratorio a sbloccare il traffico prima che toccasse loro una multa.

Dunque l'albino sparì dalla loro vista, lasciandole confuse come un Basculin in mezzo al deserto.

Era tutto intricato, ma l'unica soluzione fattibile per iniziare almeno a sciogliere un capo di quel groviglio fu decidere se andare alla misteriosa conferenza o proseguire nel loro intento precedente, ossia procurarsi la droga ed acciuffare il Team Plasma.

Le due operazioni sarebbero costate alla polizia due o tre giorni di lavoro, alle nostre eroine avrebbe richiesto il doppio, se non il triplo del tempo.
E già l'indomani avrebbero di sicuro dovuto faticare negli allenamenti il quadruplo pur di recuperare anche quella giornata persa, Nardo purtroppo era fatto così.

Una coincidenza giocò tuttavia a loro favore, quando ogni speranza sembrava esser stata abbandonata.

Camelia si permise, sfrontata com'era, di sfilare dalla tasca posteriore il telefonino della ragazzina distesa di traverso, mentre quella dimenava le gambe per impedirle di rapinarla a mani basse.
La mora, d'altro canto, era conscia di quanto i suoi trucchetti viperini aggiungessero carburante alla frustrazione infiammata della sua vittima, ma non aveva altra scelta.

Avevano una missione, dopotutto. L'aveva Iris, come ce l'avevano lei e le altre tre.

«Zero tre zero quattro?» Domandò alla sua fidanzata, sbloccando il touch screen.

«No, il contrario. - La rossa si rivolse poi alla ragazzina distesa su di lei - Dovresti cambiare password, ormai questa la sappiamo tutte.»

«Anche lo facessi - le rispose, sollevandosi dal suo soffice supporto e rimettendosi seduta - non smettereste di spiarmi il telefono.»

Subito però l'atmosfera mutò, portando l'accusatrice dalla parte dell'imputato.
Iris non poteva prevederlo in alcun modo.

«Ma… questo numero chi è?»
Le domandò la modella, non esitando a mettere a disposizione di tutte il contenuto della conversazione, (di una sola battuta, ad essere pignoli).

«E perché ti chiede di uscire sabato?»
Anche Anemone si accigliò, assumendo la stessa perplessità confabulante della sua compagna.

«Ma ti ha messo pure un cuore… un cuore, dico…»
La indicò la biondina, neanche ci fossero fotografie o filmati pornografici all'interno di quella chat.

Le quattro giovani saffiche potevano aver formulato un'unica ipotesi, e Camilla, ancore inebriata dai dolci baci sulle cosce della sua amica di letto, le formulò il quesito finale.

«Iris. Parla chiaro.
Ti senti con un ragazzo per caso?»

Silenzio di tomba. Poi ad Iris sembrò che le fosse venuto un embolo.

«Ma se sono due mesi che sono bloccata qui con voi, cavoli!
Mi avete pure minacciata di morte se anche provavo a pensare ai maschi neanche fossimo in un convento, non sono così scema da farmi altri problemi oltre a quelli che ho già…»

Ad interrompere la più giovane fu sempre il desiderio di chiarimenti della bionda. Non credeva di essersi persa così tanto del carattere di Iris, quando in realtà era convinta fermamente di conoscerla come le sue tasche.
«Allora chi era? È tuo dovere dircelo, che tu ci voglia bene o male.»

Questa sbuffò, riguardando il riquadro contenente il testo, e si spiegò una volta per tutte.

«Questo messaggio me lo ha inviato la leader del Neo Team Plasma. Ecco, l'ho detto!
S-Si chiama Georgia Korishima e ha quindici anni come me, ci siamo incontrate quando voi mi avete piantata in asso quando dovevamo andare in spiaggia.

E sapete una cosa? Non era niente male come persona, se ieri l'altro non avesse cercato di ammazzarmi!»

Aggiunse seriamente dispiaciuta ed in assoluta sincerità: non mirava a far sentire le compagne in colpa, solo non riusciva a dimenticare i bei momenti trascorsi con un'amica che riusciva a capirla al volo e condivideva le sue stesse passioni.

O almeno sperava, visto che la stima che la teppista le aveva giurato di serbare nei suoi confronti si era rivelata una farsa, magari i giochi arcade e le lotte le facevano pure schifo, per quanto ne sapeva.

«Se ti consola, - Anemone disse - noi non proveremo mai ad ucciderti.»

Le altre tre ragazze annuirono, compiaciute da quell'affermazione.
Non credeva che fossero scema, più scema, ancora più scema e relativamente la più scema, erano solo affette da una classica forma di dabbenaggine e compassione tipica dei membri anziani di un gruppo.

«…Confortante.» Rispose loro, atona.

«Però non ha più l'immagine sul profilo - e fece vedere loro il riquadro vuoto, in cui una sagoma bianca senza volto si contrapponeva a uno sfondo bigio, blando e spersonalizzato - e non è online… da quando ci siamo scontrate alla Lega.»

Decise di sua spontanea volontà di sorvolare sul sanguinoso squartamento a cui aveva assistito. Non lo aveva causato lei, non lo avrebbe augurato neppure al peggiore dei suoi nemici, ma sperava nel fatto che vedere una ragazzina uguale a lei soffrire in quel modo atroce l'avrebbe resa insensibile ad altre eventuali carneficine.

Non era stata uccisa, quindi in teoria ne era uscita più forte.

«Aspetta! Quindi tu hai avuto per, tipo, più di un mese il numero di una criminale ricercata in tutta Unima e non ci hai detto niente?! Ma di che droghe ti fai?!?»

La mora prese la notizia piuttosto male, non trovando la minima coerenza fra il discorso precedente pieno di spergiuri e denunce dei loro difetti e quella mancanza inspiegabile di fiducia che la ragazzina si permetteva di custodire anche dopo tutti i monologhi a effetto placebo pronunciati da ella.

Le due litiganti fecero per iniziare una di quelle faide a base di graffi e schiaffi innocui sulle mani, senza la vera intenzione di farsi del male a vicenda, Camilla quindi intervenne.

«Non è importante adesso. Parlando di droga, piuttosto, credo di avere un'idea che potrebbe funzionare: se hai il suo numero di cellulare, Iris, puoi telefonarle e provare a contrattare…»

«Camilla, questa era la mia idea! - Iris si batté la fronte - Secondo me comunque non ci risponderà mai, figuriamoci poi se ha voglia di parlare con noi.»

«Tanto vale la pena di fare un tentativo, a meno che non sia diventata irraggiungibile.»

Catlina era girata di centottanta gradi, per comunicare con le ragazze sedute dietro.
La modella e la pilota diedero il loro consenso mendicante un cenno convinto all'unisono.
Insicura sulle proprie azioni, mentre Camilla accostò nel primo posto di parcheggio libero e gratuito, Iris premette sull'icona della cornetta verde.

Il loro coretto si zittì, con il lento tubare della chiamata al vivavoce affinché potessero tutte sentire.
«Sta suonando.» Fece Iris, sottovoce.

Nessuna di loro credeva che qualcuno avrebbe per davvero risposto: non vi erano dati certi, né tantomeno probabili; che serial killer terrebbe mai il cellulare acceso in modo da diventare rintracciabile dalla polizia in men che non si dica?

Eppure, dopo qualche minuto di insistenza, qualcuno doveva essersi stancato dello squillo assillante della suoneria e aveva avuto l'audacia temeraria di far scorrere il dito sul tasto verde.

Si scambiarono diverse onomatopee per auto-invogliarsi a fare silenzio, stupefatte della fortuna appena avuta: ora il problema rimaneva cosa dire alle loro peggiori avversarie.

Niente "pronto, chi parla?" o convenevoli.
Quelli si adattavano alla borghesia, non al gergo di chi si trova costretto ad unirsi ad un'organizzazione criminale, spinto da chissà che squallido passato.

Sentirono un grugnito secco e insospettito, a tal punto che non sembrava neanche una voce femminile quella che aveva risposto, ma un automa senza sentimenti.

«Uhm?» Se ne uscì, alle sue spalle un certo rumorio di sottofondo.

Le cinque protagoniste caddero ancora più nel panico, biasimarle non è possibile, data la repentinità con la quale il loro tuffo nel vuoto le aveva fatte atterrare su un letto di piombo.
Si scambiarono sguardi terrorizzati, spingendo la mano della Campionessa che reggeva il cellulare  alla bocca delle diverse giovani, alla ricerca della coraggiosa che parlasse prima che la chiamata fosse terminata.

Il fardello toccò a Camelia, essendo lei la più sfacciata doveva provare a dire almeno qualcosa.
Il tempo correva contro di loro, la recluta avrebbe presto perso la pazienza.

«T-Team Plasma…?» Si avvicinò al microfono, con aria incerta, attendendo un riscontro.

Dall'altro capo del filo, partì una richiesta deittica ad una delle seguaci lì presenti.
«Ohi, ci vogliono! Mi senti? Ci sta una tipa, ci sta una cliente.»

Clienti? Il Neo Team Plasma vendeva merce via telefonica adesso? Che razza di scherzo era?
Ma le nostre eroine non si persero d'animo e la modella seppe già come attaccare bottone.

«Si dice… - disse, un po' presuntuosa - Che avete della… roba, piuttosto buona...»

Ci fu un breve silenzio, in cui tutte si stupirono dell'astuzia dimostrata dalla giovane: ora le reclute avrebbero percepito il loro agire da latitanti e si sarebbero sentite meno intimidite dal rivelare loro qualche succoso segreto.
Andò così. La seconda delle due si fece avanti.

«Avete sentito bene. - Ringhiò, già ubriacata del profumo di soldi - Dateci un luogo e un tempo…»
La sua compagna la bloccò subito nella sua precipitosa imprudenza, afferrando l'apparecchio e gridandovi contro qualcosa del genere, più farcito di intercalari e volgarità.

«E chi ci dice che non siete della polizia e volete beccarci in bomba? Non siamo stupide, oh!»

«Hey, - l'altra seguace parlò con la contrabbandiera, in tono abbastanza amichevole - guarda che la leader ha salvato 'sto numero con un cuore. Deve essere una cliente affezionata, 'sta "Iris".
Di solito faceva sempre fuori i numeri di quelli che compravano, così se le scrollavano la rubrica poteva farla franca coi debiti e non entrare nei casini.»

Inutile riferire che la ragazzina dai capelli violetto sorrise soddisfatta della sua operazione di spionaggio involontaria. Dopotutto la sua amicizia con Georgia non si era rivelata poi così tanto vana. Stava per iniziare una trattativa in suo nome.

«Giusto, giusto! - Anemone partì a parlare, più disinvolta ed infervorata nella parlata gangster che lei si era immaginata esistere solo nei thriller - Siamo state mandate per conto suo.
Quindi vi conviene dirci dove ci si becca e darci la maria, non abbiamo tutto il giorno razza di sfigate del…»

Prima che potesse sputare chissà quali altre assurdità, la sua ragazza le mollò un leggero colpo dietro la nuca, incredula di come quella che definiva una persona intelligente in grado di ricordare formule di lunghezza chilometrica si riducesse a quelle cadute di stile.

«Calma, calma… - La recluta levò un respiro affaticato, confusa da quante persone stessero attivamente partecipando ai loro affari in incognito - Più o meno, dove state?»

«Austropoli, zona Nord. - Camelia si sentì in dovere di specificare dove la sua fidanzata aveva creato solo imbarazzo - Questo pomeriggio.»

«Buon per voi, siamo al primo vicolo di Via Stretta passando dalla piazza.
Fatevi trovare là fra un'ora e non provate a farvi seguire. Spegnete i telefoni e copritevi la faccia.»

«Vi faremo un test, state scialle, sarà facile facile, infatti la risposta ve la diciamo noi subito.
"Ghecis Harmonia rex Unovae", ditelo chiaro, una volta sola.
Capito? Non ripetiamo.»

Pur sapendo di non poter essere viste, le giovani annuirono comunque.

«A posto, ci si vede, alle quattro.
Fatevi trovare, o vi denunciamo, abbiamo il vostro numero, ricordatevi, eh.»

La recluta infine buttò giù, non dubitando della fedeltà ai loro giuramenti, le sue minacce erano state più che convincenti.

Finita la chiamata, Camilla restituì il cellulare ad Iris, la quale tirò un sospiro di sollievo nel riceverlo allo scopo di liberarsi di tutta l'adrenalina accumulata.

Georgia, in conclusione, non era più la proprietaria del suo telefonino e ciò la preoccupò.
Era finito in mano a quelle bestie umane, adesso lo usavano per le loro attività illecite e lei vi trasse alcune ipotesi alquanto sgradevoli sul cosa potesse esserle successo.

«Alle quattro, allora.»
Camilla si sistemò il ciuffo scomposto, osservandosi sullo specchietto retrovisore.

Intanto sulle strade si erano radunati sempre più pedoni, l'ora di punta si stava avvicinando mentre il sole scottava il cofano dell'auto rendendolo incandescente, il cemento era così caldo da poterci friggere un uovo sopra.

«E l'appuntamento alla sala congressi? - Domandò Catlina, rigirandosi fra le mani il biglietto da visita finemente decorato di arabeschi e stampato con gran classe - Abbiamo solo un giorno, e già mi sta venendo mal d'auto.»

Gestire in parallelo due operazioni così complicate implicò la più pericolosa delle decisioni, quella che già due volte aveva messo nei guai le Allenatrici, dimezzandone la forza ed esponendole a perdite anche gravi.

Computarono alcuni paradossi, come nell'enigma della capra, del cavolo e del lupo da portare dall'altra parte di un fiume immaginario senza che una mangiasse o sbranasse l'altra.

La macchina di Camilla le avrebbe trasportate sul posto grazie al navigatore satellitare fino ai
bassifondi della città, per poi sfrecciare via nella parte benestante, fra gli uffici amministrativi, per il loro singolare colloquio e, in qualità di guida, stabilì ciò.
 
«Adesso vi dirò una cosa ovvia e degna dei peggiori film del Pokéwood: dobbiamo dividerci.»


Le giovani generazioni, essendo nell'età della scapigliatura e in balia della spirale bohémien, almeno una volta sentono l'impellente desiderio di associare con concretezza il loro caos interiore ad un qualcosa di empirico, che lascia il segno.

Le due Capopalestra e la loro amica della Lega camminarono in gruppo compatto per quella via imbarbarita dalla fervente attività nella quale stavano per infilare anche loro il naso.

Un oggetto, un gesto, un luogo... Specialmente l'ultimo.
Inspirare attraverso i propri polmoni l'aria di degrado rinvenibile soltanto nei bassifondi riempie i ragazzi di una sorta di squallido timore reverenziale: possono ammirare le macchie sul manto candido della civiltà, ma senza per forza doversi sporcare le mani.

«E basta! Questi sono lividi…»
Lì c'era l'eco, data la desolante vuotezza della zona, altrimenti la voce della biondina non si sarebbe affatto sentita.

Infatti non ci volle molto alla sua compagna modella per ribatterle con tutta calma.
«Cat, non dire stupidate, quelli sono succhiotti.»

Intanto che si dirigevano al luogo dello scambio, Catlina aveva avuto modo di pentirsi a dir poco amaramente di aver voluto indossare una maglia così scollata, quel giorno.
Non era nulla di osé, ma il fatto che non riuscisse a nascondere con efficacia i segni cutanei dell'amore di Camilla l'aveva gettata in una pruriginosa situazione con le altre due.

Difettando di realismo, non avrebbe mai rimproverato alla sua amante di averle stampato con le labbra la propria dichiarazione di proprietà sulla sua pelle chiara.

«Ma non devi vergognartene, - Anemone le si stagliò accanto, cercando di sembrare rassicurante - anche io ne sono piena, solo che non si vedono.»

«Vi ho detto che sono i segni delle botte che ho preso dalla recluta del Team Plasma!»
Si continuò a difendere.

Una volta venute a conoscenza dell'odio infondato di coloro che stavano per incontrare e restie al voler correre ulteriori rischi legati alla mobilità, avevano deciso di mettere da parte la sedia a rotelle almeno per quel pomeriggio e di utilizzare i poteri psichici di Gothitelle come esoscheletro al fine di permettere all'Allenatrice di Sinnoh di deambulare da sé.

L'impressione del movimento delle gambe sembrava apparire in completa autonomia, o almeno è quello che speravano i loro nemici avrebbero creduto alla cieca.

«Hai preso proprio delle brutte botte… - Camelia non si perse la sua bella occasione di prendere in giro quella vergine pudica - ...sul collo e sulle tette, poverina.»

E le fece una carezza faceta sulla testa, battendo poi sulla visiera del cappello che le avevano chiesto di mettere per nascondere l'antiestetico bendaggio presente fra i folti capelli.
Nessun tipo di delicatezza e di sensibilità avrebbe impedito, si disse, alla mora di trattenersi una delle sue freddure, le fosse cascato il mondo in testa quella le avrebbe sempre e comunque riso in faccia.

«Bene, ci siamo.»

Tutte e tre cambiarono subito pensiero una volta svoltato l'ultimo angolo, quello che divideva Via Stretta da tutte le altre Avenue di Austropoli.
Si fermarono un attimo e, stringendo i pugni come a voler arraffare al filo invisibile di forza che rappresentava il loro legame, procedettero.

Oltre alle truppe ausiliarie nelle Poké Ball, Anemone, ancor prima di mettere piede in quella discarica a cielo aperto, aveva messo a disposizione i suoi Pokémon volanti in qualità di vedette, i tre uccelli sorvolavano la zona e coprivano le spalle delle ragazze.

Più che per gentile disposizione d'animo, la rossa aveva concesso loro quel piacere un po' per mettersi in mostra; contava infatti sull'allenamento disciplinato della sua squadra per proteggere la sua fidanzata e quasi quasi ci sperava in qualche attacco da poter sbaragliare.

Quell'ambiente di ghetto le metteva una carica incredibile, non sapeva spiegarsi il perché.

Mordendosi le labbra per non pensare al pericolo, trovarono subito strano che in quel tugurio non ci fosse anima viva, proprio l'area che doveva essere piena di gente aveva intenzione di lasciarle così, nelle grinfie di una banda di malfattori.

Beh, se due persone e basta sono sufficienti a creare una "banda".

Sembravano gatti neri. Una sedeva a terra, addossata ad una rete in ferro battuto, rotta in alcuni punti, dava su un campo da basket cementato; l'altra vi si era appoggiata mollemente.

Come chi ha paura di beccarsi il malocchio incrociando le creature di compagnia delle streghe, Anemone, Camelia e Catlina si fermarono ad alcuni metri di distanza.

Non sentendosi certe nel procedere per induzione e quindi azzardare il fatto che ogni individuo vestito di nero con pendagli in oro posticcio facesse parte del Team, provarono a seguire le istruzioni.

«Che scemata unica, chissà che non siano loro e si chiedano "ma cosa vogliono queste sceme che parlano arabo"?»

Camelia aveva intenzione di sottrarsi in ogni modo a questa figura irrimediabile. Non voleva allungare il suo curriculum di esperienze da suicidio un mese prima del TRUF.

«Frega niente, lo dici con noi. Dai Cami, fammi questo piacere…» La supplicò la rossa.

«Comunque questo è latino. - La corresse la più grande, poi ritornò seria al massimo - Ho la frase da dire qua sul telefono, pronte a dirla?»

Attraverso i suoi occhioni verde giada rivolse uno sguardo un poco sfiduciato alle due, che ricambiarono con molta empatia quel sentimento di essere semplicemente spacciate.
Non avevano altra scelta, alla fine, e si rassegnarono alla loro missione.

Gli andarono vicino ed un membro di quella coppia, incappucciata, con lo sguardo basso, le rivolse queste parole.
«Quis reget Unovam regionem et suis civites ac suis honores praestat?»

Dopo un respiro profondo ed aver deglutito a forza, le nostre eroine risposero.
«Ghecis Harmonia rex Unovae.»

«Stupida, dovevi dirlo con noi, io ti ammazzo!»

A dirla tutta, a pronunciare questa solenne formula furono solo le due povere ingenue; Camelia aveva sì partecipato alla loro ansia, ma pur avendo davanti a sé il supporto bibliografico con su scritto ciò che doveva dire non aveva comunque aperto bocca.
Per questo se la stava ridendo sonoramente in disparte, una volta che la sua ragazza, ormai presa da quell'atmosfera l'avrebbe anche picchiata per quel tiro mancino, sempre in senso figurato.

Era troppo facile lasciar fare il lavoro sporco agli altri, non era mica giusto, pensava quella.
Tuttavia le due randagie non sembrarono turbate dalla mancanza di rispetto per il loro motto.

Quella accovacciata si alzò, con movenze lente e scoordinate, sembrava tirata su da fili, come un pupazzo rotto ed abbandonato in un cassonetto.

Si tolse il cappuccio. Da esso sbucava una coda di cavallo alta, che sfociava in una serie di sfumature tendenti al gradiente rosso, partendo dall'arancio e dall'ocra. Il resto del manto era biondo sporco e pieno di forfora, alle radici faceva capolino il colore castano naturale di quella ragazza, se fosse stato possibile definirla tale.

La sua compare non era diversa. Aveva il suo stesso taglio e la sua stessa tinta, forse ancora più rovinata della sua (aveva infatti i capelli nero pece e li aveva sfibrati tutti per decolorarli).

La femminilità sembrava essere colata via da quei due corpi secchi, dai visi smunti, quattro linee di ombretto e di fondotinta in croce; una aveva un piercing arraffato alla sua narice come un'amo da pesca, attraverso i lobi dell'altra ci sarebbe potuta passare una moneta.

Erano agghindate come vittime sacrificali, secondo quello stile tribale per cui il loro sovrano dimostrava tanta passione.
E tutto quel nero non rendeva certo giustizia alla carenza di igiene di quel postaccio in cui erano segregate.

«Cacchio, io ti conosco, a te… Te sei una modella, t'ho visto una volta in un reality…
Voi altre due però, boh, cioè, chi siete?»
La prima parlò, attraverso le palpebre sbarrate esibì un sorrisetto sornione, deformando la bocca.

«Queste sono Capopalestra e una dei Superquattro. - La riprese la seconda, approcciandole anche lei con una camminata scimmiesca - E sono anche tre drogate luride, a quanto pare.»
Ridacchiava alla sua stessa battuta, vicino a lei due esemplari di Grimer.

Nessuna delle giovani osò ribellarsi a quelle accuse infondate. Erano lì per far scena e la loro bella pantomima non doveva venir smascherata per nessuna ragione al mondo.
La cosa che faceva storcere il naso fu il perché, nonostante le avessero riconosciute, ai membri di rango più basso al gruppo eletto non fosse pervenuto l'ordine di eliminarle.

«Bada come parli, - le fece l'aviatrice, stizzita - siamo qui per conto di terzi.»

«'Sta Iris è il vostro capo?» Le reclute non la smisero di far loro domande per un po'.
Magari erano pure più agitate delle false acquirenti.

Camelia stava già per lacerarsi la faringe a suon di risate.

«S-Sì… Oh, sì, è lei il nostro capo, la nostra "boss", la nostra mittente, proprio una tosta come lei!»

E né la nobile né la sua compagna poterono impedirglielo: davvero le credevano subalterne di una bambina proveniente da una landa sperduta con complessi di inferiorità allucinanti?
Si trattennero comunque, piuttosto nolenti, annuirono anche.

«Sbatte se siete Allenatrici o Capopalestra o quel che siete. Siete qua per la roba, no?
Io sono R. Questa è la mia socia, Z.»

«Aspetta… ma quindi i vostri nomi si scrivono, tipo, come le consonanti?
O a lettere, "Erre" e "Zeta"? Come fate per la Scheda Allenatore, per la carta di identità…?
E quando finite le lettere dell'alfabeto? O ci sono solo ventisei reclute, anche se dubito?»

Iniziò a domandar loro Anemone, assai confusa da quegli strani pseudonimi: N, R, Z… cosa gli era saltato in mente a quel pazzo di Ghecis? Questo sistema di nomi era la manifestazione del male puro.

Ovviamente nessuno si degnò di rispondere a quelle sciocche domande.
C'erano questioni molto più importanti di cui discorrere in quel momento.

Z, quella più sciatta, predispose davanti alle allenatrici un bidone della spazzatura vuotato e capovolto, da usare come banco per esporre la sua mercanzia; ci distese sopra una vecchia felpa bucata per non insozzare la stessa e la sua compare vi aprì sopra una ventiquattr'ore.

Fu quasi simile alla dischiusa di uno scrigno del tesoro, perché il valore di ciò che la misera valigetta conteneva poteva eguagliare la bramosia di chi ricercava tali rarità: buste di plastica erano piene di polveri bianche, gialle e grigiastre, siringhe e aghi sterili ancora impacchettate nei contenitori medici, poi carte, filtri, scatolette di metallo per oltrepassare indenni i controlli.

Potevano scommetterci mettendo la mano sul fuoco: il Team Plasma non era più l'organizzazione che il vecchio leader aveva lasciato. Quello era acqua passata.
Ora il Neo Team Plasma, il suo discendente, spacciava droga di ogni genere a delle ragazze, fra cui due minorenni.

«'Sta roba - partì la seguace - è la migliore di tutta Austropoli. Non è solo per le persone, sorelle.
Questa roba la dai ai tuoi Pokémon e quello ti vince la Lega in quattro regioni diverse, oh.»

Le "sorelle" dovettero tacere tutto il loro stupore. Non erano più le giovani pulite di buona famiglia.
Ora dovevano calarsi nella loro parte, meglio di delle attrici, dovevano recitare il ruolo delle tossicodipendenti, solo per comprare per sé un po' di quel ben di Dio.

Faceva fatica Camelia soprattutto, lei era a dir poco schifata. Le era giunta voce di alcune sue colleghe, le cui carriere erano state stroncate da scandali che coinvolgevano proprio quelle sostanze stupefacenti.
Non le avrebbe mai considerate come alternativa per combattere lo stress lavorativo, meglio piangere e soffocare nella tristezza piuttosto che soffocare nel vero senso del verbo.

R in seguito prese in mano una sacca di nylon, sventolandone il contenuto con orgoglio.

«Polvoenergia purissima. È cocaina naturale per i Pokémon, una volta la vendevano in tutti i mercati, ma da quando hanno cominciato a usarla nelle lotte è praticamente scomparsa.
La fai tirare a un tuo Pokémon e quello ti passa da sbornia totale a che ha più energia di non so cosa.»

«Sono sessanta Pokédollari al grammo. Abbiamo pure la coca normale per voi perdenti, eh.»

Non era una strategia di marketing molto astuta quella di rinfacciare ai clienti il loro vizio capitale, ritennero tutte, ma non erano possibili i commenti.
Soprattutto perché quella Polvoenergia non era quello che cercavano.

«Che altro avete?»
La rossa lanciò uno sguardo di intesa alle compagne, facendo notar di essere per nulla interessate a quell'articolo.

Le reclute Plasma dunque si spicciarono a cercare un qualcosa di più leggero, se così si può dire.
Una aprì e rovesciò sulla sua mano il contenuto di una scatoletta di metallo, una poltiglia verdastra dall'odore piuttosto acre.

L'altra invece adibì una serie di rettangoli di carta, piccoli cilindri bianchi e cominciò a sistemare un grumo di quella roba su una di esse, arrotolandogli la carta tutt'attorno, per fare una dimostrazione.

«Noi due - iniziò a presentare Z, ponendo il braccio sulla spalla dell'altra in segno di complicità - abbiamo la Vitalerba migliore della città. Mica come quello schifo che ti vendono a nord!
E non dovete neppure farla fumare per forza, ci stanno Pokémon senza bocca, basta respirare il fumo e, tipo, cioè… ti manda all'altro mondo…»

«Sentite, non è quello che cerchiamo, cioè, che il nostro capo cerca.»

La biondina troncò quella pubblicità spicciola sul nascere, risistemandosi quell'ingombrante cappello che per nulla si addiceva al suo stile, la faceva sembrare una poveraccia a suo parere.

Rammentarono di avere solo un pomeriggio per completare il loro obiettivo, non potevano aspettare che le due spacciatrici ci arrivassero da sole, bisognava trovare la droga. Quella droga.
Era una strana ingiustizia il non poter sbattere loro in faccia le cose come stavano e dover lavorare solamente per allusioni. Una situazione da veri drogati.

«Sentite. - La modella si atteggiò più minacciosa, avvicinandosi e incupendo la voce - Gira voce che voi abbiate una cosa… Una cosa grossa. Che non si trova da nessun'altra parte.»

«Cosa spari, sorella…» Si allarmò R, sempre mantenendo un'aria di indifferenza.

«Non fare la finta tonta, fattona sfigata - Anemone decise di disattivare il freno alla sua lingua - sappiamo che avete una droga che è peggio dell'hashish, ti sballa di brutto.
Ti rende insensibile al dolore e ti fa diventare, tipo, super forte…
Quindi poche storie e usciteci la roba buona!»

La top model ebbe il fortissimo impulso di strapparsi i capelli dalla frangia, tanto imbarazzata si sentiva. In quei pochi istanti nei quali la pazza con cui si era fidanzata aveva sparato tali scemenze tutte d'un fiato riconsiderò da capo la propria relazione.

Altro che fine estate, le sarebbe servita pazienza per superare almeno il mese corrente.
Rettifica: le sarebbe servita se nelle teste bacate delle due reclute non fosse improvvisamente suonato un campanello, dopo tutto quel tempo speso a ciarlare.

Si guardarono un attimo, circospette. Non si aspettavano una richiesta del genere, a quanto pare.
Controllarono la totale assenza di eventuali testimoni. Poi Z ridiventò ancora più seriosa.

«R, queste qua vogliono il Sangue del Drago.»

Silenzio. Neanche il loro respiro emetteva suoni, per quanto la tensione fosse percepibile.

«Che nome stupido per una droga.» La mora alzò le spalle.

«Sapete che se vi beccano con questa nel sangue alle analisi finite in galera per la vita?»
Quando mai le spacciatrici tentano di dissuadere le clienti dall'acquisto, che strano.

«Non solo a voi, ma anche ai Pokémon, - precisò la sua collega - vi squalificano da tutte le gare, questo è peggio del doping.»

Le tre non si lasciarono intimorire. Mica dovevano farne uso, erano innocenti al cento per cento davanti ai controlli.

«E secondo voi perché siamo qua?» La rossa gli lanciò un'altra provocazione.

Intanto Catlina estrasse una mazzetta abbastanza spessa dal suo portafogli, implorando il perdono dei suoi genitori per aver usato i soldi del suo vitto mensile per comprare della droga.
«Siamo disposte a pagare: quanti volete? Duecento, trecento?»

Erano esterrefatte. Quei due topi di fogna stavano vedendo più denaro concentrato fra le mani di quelle tizie dalle tette enormi di quanto ne avessero mai incontrato da quando si erano inserite nel giro.

Però si trattava di allenatrici autorevoli. Magari volevano solo gabbarle. Avevano qualche telecamera nascosta all'interno del seno, o un microchip, o gli volevano affibbiare un cimice.
E poi erano vestite troppo bene, profumavano pure di pulito.

Magari quelle non erano le guardie del corpo della loro boss, quella Iris.
Magari si trattava delle sue amanti, semplici membri del suo harem, delle sue escort personali con cui si intratteneva alle feste, inconsciamente scelsero quell'ipotesi.

Inoltre sapevano che a drogarsi non sono solo i figli della strada e gli straccioni depressi.
Addirittura le superstar facevano largo uso dei loro prodotti, certo, avevano dei negozianti migliori, ma quando bisogna staccare la spina della ragione non c'è norma sociale che tenga.

Z quindi si decise: trafficò per un attimo con la combinazione e rivelò la valigetta avere un doppio fondo, piuttosto spesso. Poi prese a togliere carte, rimuovere sacchetti, fino al cuore di quella matriosca.

C'era un cubo. Il cubo a sua volta era composto da tanti piccoli cubetti, ciascuno diviso in altrettante fratture sempre più minuscole. Era la Spugna di Menger del vecchio principe Harmonia, ne erano sicure.

Il tutto era grande quanto una Pokéball. Infatti una delle due reclute premette sul centro, dove per definizione doveva esserci stato il vuoto lasciato dal quadrato mancante in realtà vi era un pulsante nero, camuffato con l'ambiente,

E dentro là eccola, la preziosa fiala, neanche cento millilitri, il cosiddetto Sangue del Drago.
Nelle loro teste, Catlina, Anemone e Camelia esultarono "missione compiuta".

Stavano per completare la transazione e andarsene a bere un bel cappuccino, quando Z ritrasse la mano, un gesto che causò nelle ragazze grande sconforto, ma ancor più grande sorpresa.

La stessa fece segno alla socia, la quale aprì una delle buste precedentemente mostrate loro e versò un po' di quella farina bianca su del loro tavolo. Con un pezzo di plastica la divise meticolosamente in alcune strisce lunghe e sottili in un batter d'occhio.
Poi fece qualche passo indietro, esponendo contenta la preparazione sopraffina alle tre Allenatrici.

«Prima di darvi il Sangue del Drago però, - R si dipinse un sorrisetto demoniaco in volto - lasciate che noi del Neo Team Plasma vi dimostriamo la nostra gratitudine, non ci capitano tutti i giorni affari come questo…»

«Su! - Le invitò l'altra, ancora più insistente - Cosa aspettate? Offre la casa.»

Le giovani rimasero come paralizzate. Le avevano colte alle spalle, come nell'assalto alla Lega.
Allarme rosso.
Allarme rosso. Erano finite in trappola.

«Allora, non volete favorire? »

«Dai, non abbiate paura… - Infine la recluta cambiò tono, suonando inaspettatamente molto aggressiva - Perché così ci dimostrate di non essere tre deficienti che volevano solo provare a fregare il Neo Team Plasma.»

 

Gettando di tanto in tanto l'occhio attraverso lo specchietto retrovisore, Camilla, oltre al riflesso dei suo ciuffo scompigliato dal vento, riusciva a scorgere ben poco dello sguardo di colei che adesso le sedeva accanto, nel sedile del passeggero.

Iris non aveva più aperto bocca e non sapeva spiegarsi il perché.

Fallendo nel concentrarsi esclusivamente sulla guida, la Campionessa si domandò more geometrico le ragioni che avessero spinto la sua piccola amica a scoppiare in quel modo, a traboccare di astio in un momento che richiedeva la loro unità, ma alla fine era chiaro che la ragazzina aveva deciso di tenersi per sé molti pezzi della storia.

Come per esempio il fatto di essere stata costretta a cercare amicizie esterne al loro circolo pur di trovare un briciolo di accettazione. Come era potuto succedere?

Negligenza, sillabò nella sua testa. Che non fa mai male, sia chiaro, è naturale per gli uomini sovrascrivere i dati nel database perfetto del nostro cervello ed eliminarne; però, indubbiamente, tale colpa non era mai trascurabile per gli esseri più giovani.

Camilla comprese il concetto, ricordandosi di essere stata anche lei un'adolescente.
Una farfalla non può rimproverare ad una larva qualche contumelia quando anch'essa ha dovuto patire la strettezza del bozzolo e l'inadeguatezza agli occhi degli altri.

Perciò la bionda sorrise per tutto il tragitto verso la zona finanziaria, guadagnandosi in risposta diverse occhiate confuse dalla sua compagna, che si domandava il motivo di quella tranquillità.
Ma neppure quando parcheggiò e cominciarono a salire i gradini in marmo ella le rivolse la parola.

Il complesso era un capolavoro di architettura contemporanea, i materiali sembravano leggerissimi ma al contempo resistenti, il clima soleggiato divergeva la luce al di sotto dei portici e creava disegni con le ombre, il tutto alimentato ad energia sostenibile, ovviamente.

Nonostante il Palazzo del Governo fosse un posto abbastanza affollato, un paio di credenziali minime bastarono alle due per oltrepassare l'ala destinata al pubblico ed accedere ai locali amministrativi attraverso corridoi bianchi, quadri astratti e uomini in giacca e cravatta.

Intanto si interrogava sul perché avessero deciso di convocarle inviando come araldo quel buffo individuo suicida; era comunque abituata, dopo cinque anni, a ricevere incarichi burocratici nell'interesse della regione, era parte dei doveri del Campione.

Dunque immaginò si trattasse di qualche formalità legata all'acquisizione dei titoli, un corso accelerato per dirigere le imprese di lotta, una o due conferenze sulla direzione della Lega.
Insomma, un mucchio di cose inutili, ma dalla bella organizzazione strutturale.

Riferì ciò che aveva pensato alla ragazzina, che ancora si limitò ad annuire, muta: suppose che le sarebbe toccato ascoltare anche per lei, non essendo quella molto disponibile a sentire discorsi su argomenti che non conosceva né era in vena di provare a comprendere.
Fece un sospiro sonoro, ma non si scompose.

Una delle tante impiegate dalla stretta gonna a tubino le scortò infine all'interno di un'ampia sala irradiata dalla luce naturale, dalle ampie finestre il cielo azzurro si sposava perfettamente con la colorazione minimalista del luogo, che tuttavia non poteva essere più azzeccata: bianco e nero.

Uno alle pareti, l'altro sul tavolo e sulle sedie, era presente addirittura un quadro piuttosto grande del mito della fondazione, con Reshiram e Zekrom pronti a rilasciare tutta la loro potenza, intenti ad usare le loro mosse peculiari per imporre il loro predominio sulla regione.

Le due Allenatrici si accomodarono vicine l'una all'altra per prendere parte alla seduta, sui loro posti le immancabili bottigliette d'acqua che Iris non osò neppure aprire.

Accavallò le gambe, conscia che i suoi vestiti estivi non fossero all'altezza di un incontro tanto importante, e si mise a guardare altrove, verso l'esterno, dove faceva caldo.
Li dentro si gelava a suo parere, l'aria condizionata le aveva riportato alla mente i Pokémon di tipo Ghiaccio, la bufera di neve e la sensazione di freddo legata alla sua sconfitta contro Georgia.

Chissà se avrebbe mai potuto chiedere sue notizie, si tenne il dubbio per evitare di peggiorare la situazione.
Chissà se questa atroce domanda l'avrebbe potuta porre direttamente a Ghecis Harmonia, già che c'era.

Non le fecero aspettare molto, non lasciarono loro tempo di assorbire il disagio che aleggiava in quell'ampia stanza dal pavimento cerato: le porte si spalancarono ed apparve, in maniera piuttosto plateale, il tizio che le aveva guidate lì in carne ed ossa.

Si misero ad analizzarlo meglio, ora che non trovavano altro con cui distrarsi. Era un uomo di età verde, molto curato nell'aspetto, non capivano però che cosa avesse a che fare con il Governo di Unima uno con tutta l'aria di essere uno scienziato od un ingegnere.

Stringeva con galanteria le mani a tutti i partecipanti alla riunione, seminando il suo buonumore come una malattia contagiosa e la sua affabilità aveva in breve conquistato il locale, era seguito da un esemplare di Klingklang mansueto.

La bionda lo credette solo un intermediario, un segretario del partito: costui tradì le sue aspettative, andando a prendere posto a capotavola, poi iniziò a parlare con lei ed Iris, quindi calò un solenne silenzio.

«Ah, puntualissime, le nostre allenatrici! Ma… sbaglio o ne manca qualcuna? Non importa!
Sarete ben liete di riferire il contenuto della convocazione di oggi alle vostre compagne, dico bene, Campionessa Kuroi?»

Camilla diede educatamente il suo consenso, ma le sfuggì come mai quel tizio si riferisse solo a lei. E poi, chi lo conosceva? Voleva qualcosa da lei o voleva qualcosa da loro?

«Ottimo, ottimo! Lasciate che mi presenti: sono il Professor Acromio e mi occupo prevalentemente di studi nella ricerca del potenziale dei Pokémon, sebbene io abbia anche un posto di tutto rispetto anche qui alla sede governativa della nostra regione.»

L'eclettismo di quell'uomo poteva forse spiegare la sua bizzarria, tuttavia sembrava ancora esserci del marcio in quella faccenda. Non avevano mai sentito parlare di costui, tantomeno Nardo aveva mai menzionato loro un suo collaboratore nei rami alti dell'amministrazione.
Dovettero aspettare di ricevere il succo del discorso, non c'era altra scelta.

«Prima di tutto, - proseguì il Professore, sempre molto vivacemente - vi voglio ringraziare non solo per essere giunte qui con un preavviso dell'ultimo minuto, ma soprattutto per il vostro lavoro svolto finora: io, personalmente, ho ritenuto un atto molto coraggioso da parte vostra il voler intervenire nell'attacco alla Lega, non tutti gli Allenatori si assumerebbero una tale responsabilità…»

Non era possibile che si fossero scomodati solo per far loro questo encomio spicciolo.

Comunque non è che le cinque avessero concordato di lanciarsi fra le braccia del pericolo solo per una decisione condivisa. Non era una decisione, ma un obbligo.
Erano loro a dover difendere la regione, in qualità del titolo per cui concorrevano, non avevano alcuna possibilità di tirarsi indietro, quindi quei ringraziamenti erano piuttosto inutili.

«…ma vi sarà di sicuro giunta voce della terribile situazione in cui si trova la nostra regione: da un anno il tasso di criminalità si è alzato del due virgola nove percento, con ripercussioni sul commercio e sull'industria competitiva, i Pokémon selvatici sono in diminuzione mentre il traffico di droga ha raggiunto anche le zone più sensibili del Paese…»

«…l'Apocalisse è vicina, moriremo tutti e io ho fame, potete dirmi qualcosa che non so? 
Voglio andare a casa, che noia.»

La ragazzina dai capelli violetto fece ruotare le sue iridi verso il soffitto, stremata da quegli artefici retorici privi di un qualsivoglia senso.

Se voleva sorbirsi i moralismi di qualcuno sul quanto Unima fosse ridotta male, suo nonno era un maestro, magari era anche più interessante di quel saltimbanco, il quale continuava ad elencare numeri, percentuali e conseguenze che la crisi aveva fatto abbattere sulla regione come le dieci piaghe dell'Antico Testamento.
Chissà se ci sarebbe stata anche un'invasione di Sewaddle, prima o poi.

Camilla invece ascoltava con attenzione, appuntandosi i punti più importanti nella sua mente, lasciando la pagina della sua testa ancora vuota, però.
Se le avessero dato una penna era sicura l'avrebbe mordicchiata come un Patrat affamato.

«…e come voi potete capire, non solo voi ragazze, ma tutti i gentili ospiti di questo concilio, quattro ragazzine così giovani, totali novizie in questo campo non possono permettersi di essere esposte a una tale minaccia, come quella del Neo Team Plasma! È inaccettabile.
È il frutto di una scelta affrettata, incosciente di quello che ormai possiamo definire l'ex-Campione Nardo.»

«Uh?»
Iris si risvegliò immediatamente dalla sua trance distratta.

Cercò di riprendere subito il filo, apparendo un po' confusa: ma Acromio non poté essere più chiaro.

«Non è possibile che delle ragazzine, ripeto, delle ragazzine si assumano il controllo della regione.
Sono ancora troppo inesperte per prendere in mano le redini in una situazione così delicata…
Non è assolutamente plausibile che Unima subisca ulteriori danni, non credete?»

Gli intendenti borbottavano fra di loro, ma nessuno ebbe il coraggio di fare una qualsiasi affermazione. Allora il Professore continuò, a cuor leggero.

«Quindi, Campionessa Kuroi e… - rimase a fissare per una manciata di secondi la più giovane, che distolse lo sguardo, infastidita - come ti chiami tu, tesoro?»

Oh, sperava costui che lei gli rispondesse, ora che aveva provato a chiamarla "tesoro"!
Iris rimase in silenzio, impallidì, per quanto la sua carnagione scura le premettesse, a quell'appellativo, costringendo la leader a spiegarsi per lei.

«Iris. Calfuray Iris.»

«Iris, sì, certo! - Quindi Camilla era la "Campionessa Kuroi", mentre a lei rimaneva la scelta fra "tesoro" o "Iris" - ho un'importante, importantissima, fondamentale richiesta da fare a voi, in rappresentanza anche delle vostre colleghe assenti.»

A questo punto estrasse un foglio bianco, in carta raffinata, una penna stilografica.
Lo porse loro, facendolo strisciare sul tavolo, e le fissò ognuna negli occhi, con una fiducia che credeva insormontabile.
Poi sorrise, e finalmente avanzò la sua richiesta, la quale credeva irrefutabile.

«Firmate qui, e ritiratevi definitivamente dalla competizione per diventare Campionesse.»

Quelle parole impattarono così forte nell'atmosfera del momento da fermare la respirazione delle due allenatrici, che si fissarono a vicenda, sconvolte.
Non osarono toccare la penna, ma non avanzarono neppure qualche critica: volevano sapere cosa il Governo, ammesso che quel patto fosse legale, avesse pianificato.

«Vi prego di non pensare tutto questo come un affronto alla vostra dignità; ampliate il vostro orizzonte e cercate di guardare al bene comune: nessuna delle quattro aspiranti Campionesse potrebbe reggere il confronto contro tutti i problemi che abbiamo, fra cui soprattutto la minaccia del Neo Team Plasma.

Serve una guida salda, esperta, che ha un progetto concreto.
E, se permettete, il nostro Consiglio ha già nominato un futuro candidato alla carica, assieme al suo partito, del tutto legalizzato.
Ci libereremo della delinquenza e garantiremo alla vostra generazione un futuro più roseo.

Ah, ovviamente mi auguro che voi avevate tenuto un piano di riserva nel caso non foste riuscite a diventare Campionesse! Confido nella vostra previdenza, mie care.
Ora dovete solo firmare e siete libere di andare.»

Ognuno di noi abbraccia con l'animo due Stati: uno è grande e davvero pubblico, in cui sono contenuti sia le divinità sia gli uomini, non prendendo in considerazione questa città o quel villaggio, ma misurando i confini della propria regione con il sole.

E l'ordine appena imposto loro proveniva appunto da questo stato, dai suoi più alti rappresentanti, coloro che in teoria dovrebbero mirare al benessere di tutti il meglio possibile.
Iris pregò fosse così; il suo amore per la patria era l'unica scusa che mai l'avrebbe spinta a gettar via la più grande occasione della sua vita.

«Ma non era quello che volevi dieci minuti fa?» Una vocina la martellò sulla coscienza.
La soppresse. Si sarebbe risposta da sola "certo che no".
Voleva ben altro.

Se fosse diventata lei il capo assoluto (ma contava che anche Catlina, Camelia ed Anemone non avrebbero esitato) pensava di estirpare lei stessa il male e di bonificare le paludi del degrado.

Più lavoro, più istruzione, più servizi, più modernità. Per uomini e Pokémon.
Non era forse questo il sogno condiviso da tutti?
Perché non poteva essere per definizione una di loro ad avverarlo?

Ma c'era un territorio più ristretto, tuttavia non meno influente di quello disegnato sulle cartine e sugli atlanti geografici: quello dell'interiorità. Lo spazio che un individuo occupa si estende non oltre il limite da dove la sua ombra riesce a stagliarsi, però è piccolo perché è estremamente concentrato.

E la somma delle parti costituiva l'intero. Un governante non può vedere il suo regno come una grossa macchia indistinta di plebaglia spersonalizzata.
Ognuno degli Allenatori, degli Allevatori, dei bambini, delle madri e dei padri, dei ricercatori, degli attori, dei dipendenti salariati e degli studenti meritava di esprimere se stesso, di far sentire la propria voce, ma a quanto pareva il Consiglio aveva avuto la brillante idea non di tapparsi le orecchie e basta, ma di staccargli la spina al microfono, direttamente.

Uno spirito di altruismo fece straniare la ragazzina di Boreduopoli da tutti quegli aspetti che riguardavano lei e solo lei: aveva forse perso un mese ad allenarsi per niente? Poco le importava, ne avrebbe buttate via tonnellate di tempo della sua vita. Si sentiva meno importante così? Già lo era poco di suo.

A motivarla e a portare all'esaltazione il suo buon senso era effettivamente la persona che Acromio, il Governo, che i sostenitori di quel partito volevano incoronare di alloro gettando invece il giovanile volto delle sue compagne nel fango solo per il non avere una fondazione alle spalle…

Il discorso alla televisione… non aveva nulla a che fare con il Team Plasma, no… Nero e bianco, ideali e verità… le girava la testa solo a pensarci.
Quelli non erano i pensieri ai quali una quindicenne doveva darsi.

«…Mi permette una domanda?»
Camilla portò il palmo della mano all'altezza della tempia, come una scolara timorosa di interrogare l'istruttore, il quale nascondeva la canna per le botte dietro un sorriso smagliante.

«…Chi sarà il nuovo candidato… - deglutì, era nervosa - alla carica di Campione allora?»

Ma questa era un quesito del tutto retorico: la risposta era già stata scritta negli annali della storia, mentre lo scienziato si toccò puntiglioso il ciuffo, in segno di sormontante autorità.
Senza davvero volerlo, Iris sedeva sull'orlo della sedia, la plastica le irritava le gambe, l'aria fredda aveva intirizzito le sue spalle e quel freddo si era esteso anche al suo cuore.

«Mi pare ovvio, Campionessa Kuroi: al potere salirà, entro la fine di agosto, il partito nazionalista-liberale - e qui si infiammarono gli animi - guidato dal suo nuovo re Ghecis Gropius Harmonia.»

Non potevano mica lamentarsi: quel colpo di scena era prevedibile, almeno quanto il fatto che il partecipare a quella riunione era stata una fregatura vera e propria.

Però ciò non le autorizzava comunque a prenderla alla leggera. C'era un complotto alle loro spalle.
In realtà c'era sempre stato, solo che loro erano state troppo occupate a colorarsi le unghie e a dibattere dei loro drammi adolescenziali per accorgersene.

Mentre le future Campionesse di Unima sperperavano il loro tempo ad inseguire dei teppisti da quattro soldi e ad attaccar battaglia contro le forze dell'ordine, il pretorio di Ghecis, quell'uomo era riuscito a riscattarsi dalla sua infima posizione di ricercato salendo la scala sociale fino ad ottenere un consenso popolare, un vero e proprio partito di orientamento… che orientamento era quello?

Oltre alla sete avida di potere quel depravato non sembrava incarnare alcuna saggezza, pur essendo vecchio, pur essendo un eletto, a quanto si divulgava sui giornali egli vantava di provenire dalla casata reale dal sangue da cui discesero i due eroi gemelli della leggenda.

E fosse stato solo quello, sarebbe stato un reato, ma un reato passabile.
Il fatto era che tutti quei bei manichini in tartan grigio, quegli impresari e quei senatori dalle facce di cera ignoravano che quella non era la prima, ma la seconda volta che quell'uomo viscido e senza principi ascendeva all'Olimpo di prepotenza.

«Quindi, - Acromio si fece sottile, già pregustava l'ottenimento della sua vittoria - una firmetta qui…»

Ma che cosa importava a cinque ragazze? Non avevano niente di meglio da fare?
Uscire col fidanzato? Studiare per gli esami? Andare a fumarsi una canna?

«Io non firmo proprio niente!»

Lo stridio della sedia strascicata indietro con uno scatto repentino gracchiò insopportabile nelle orecchie di tutti i presenti, costringendoli a dedicare la loro scialba attenzione alla persona che ritenevano meno degna di essa.

«Ragazzina… - l'uomo ribadì, innervosito leggermente - non ci pensi al futuro del tuo paese?»

Ormai però la giovane dai capelli viola si ergeva sulla punta dei piedi, batté i palmi chiari delle mani facendo risuonare la superficie del tavolo e quei tonfi amplificavano l'acutezza della sua voce, rendendo ineludibile ciò che onestamente aveva da dire in merito già da un bel po'.

Solo che voleva assicurarsi di essere ascoltata, quella volta.
«Appunto perché ci penso non firmerò questo contratto.»

«Cosa fa? - Si chiedevano gli altri, sbalorditi da tale insolenza - Ma è pazza?»

«Un po' teatrale… non trovi?» La canzonò lo scienziato, senza mostrare traccia di vacillamento.

«Se ci ritiriamo dalla competizione farete salire Ghecis al potere, ma siamo pazzi?!
Io, per quanto mi riguarda, non lascio Unima a marcire nelle mani di quel… quel tizio.

Uno che ha provato l'anno scorso, l'anno scorso dico, a risvegliare i Leggendari per il suo tornaconto personale, che vende la droga per comprarsi le elezioni e che manda ad ammazzare cinque Allenatrici neanche ventenni da altrettante Allenatrici neanche ventenni!

E io dovrei prendere ordini da una persona del genere?! Dovrei chiamarlo "Campione"?
Perché è questo che fa un Campione ora: si comporta come un tiranno e vuole fare pulizia etnica delle persone che a lui non vanno bene solo perché non gli possono offrire supporto!

Ghecis Harmonia pensa solo ai ricchi e ai potenti; ma ai gay, ai diversamente abili, ai bisognosi e alle persone di colore chi ci pensa?

Ma perché invece di predicare l'odio in televisione non provate ad aiutare chi si trova in difficoltà? E perché invece di rubare denaro non condividete quello che avete per migliorare la regione?
Potreste anche parlare con la popolazione dei vostri progetti al posto di discuterne da bravi egoisti solo in segreto!

Questo non lo dico come aspirante Campionessa, ma come persona umana che vive da quindici anni in questa regione…»

Dopodiché le andò via il fiato. Iris dovette per forza fermarsi e respirare per sedare il bruciore che le aveva tappato la gola: tuttavia anche se le sue corde vocali le avessero concesso altro tempo non avrebbe aggiunto molto altro.

Aveva centrato il punto senza troppa falsa retorica. Aveva espresso chiaramente cosa pensava.
Intanto Camilla aveva abbassato l'occhio non nascosto, coprendo l'altro con il ciuffo e la mano simultaneamente, non riuscì ad individuarvi una visibile reazione.

Presa dalla foga momentanea e dallo stress cumulato in quel giorno, non aveva davvero pensato alle conseguenze di quello sbotto repentino. In primis ne era stata orgogliosa.

Farsi mettere i piedi in testa e una mazzetta di banconote in bocca era il modo migliore per farla sentire una debole, una perdente e nessuna di tali apposizioni si adeguava alla sua, per quanto precaria, sempre presente autostima.
Immaginò quindi che magari neppure al resto della gente piacesse poi così tanto.

Lei era umana e non considerava alieno a sé nulla che concernesse gli uomini.
Ghecis Harmonia, il Neo Team Plasma, quell'Acromio, non erano definibili "umani", a parer suo.

Infatti il professore attraversò la sala avvolta nella costernazione, probabilmente qualcuno dei magistrati si sentiva pure un po' toccato da quelle parole gridate in un normale pomeriggio afoso.
Passò oltre l'imponente quadro e si piazzò accanto alla piccola seccatrice, la costrinse a voltarsi sempre con deliberata gentilezza e le parlò con un tono molto più freddo e distaccato di quello usato per convincerla a firmare la resa.

«Signorina Calfuray… lei dispone per caso di conoscenza approfondita della politica e dell'economia del Paese?»

Tale domanda spiazzò non poco Iris, che indietreggiò intimidita.
«N-No…»

«Ha forse frequentato gli alti ambienti della Lega? Ha qualche qualificazione come Allenatrice?
Ha mai sostenuto un Esame di Lotta?»

Si fece più veemente nella sua inquisizione, non guadagnandosi alcuna risposta affermativa che permettesse all'avversaria di riscattarsi dalla propria posizione di inferiorità.

«No, ma questo è perché…»

«Ha presente il codice civile e penale? Sa la differenza fra socialismo e capitalismo? Conosce la storia della regione a partire dalla fondazione? Lei possiede questo tipo di competenze?»

Tuonò, alla fine. Dopo rimase silente, aspettando che la poco temibile pulce ammettesse definitivamente di non essere altro che una sempliciotta, una qualunquista ed un'ignorante sulle questioni di attualità.

Ella sospirò, senza scomporsi.
«…No.» Concluse.

«La sua ostinazione, se permette, è immotivata ed indubbiamente dettata da una recondita forma di frustrazione. Un complesso di inferiorità molto aggravato, oserei dire clinicamente.
È un atteggiamento tipico di chi è impotente, la storia ci insegna così: lotta di classe e rivoluzione.
Lei vuole difendere gli inetti facendosi loro portavoce: l'ho visto anche dal suo profilo educazionale.»

Ora Acromio reggeva il coltello dalla parte del manico ed era pronto a piantarglielo dritto nel petto.
«Signorina, lei no ha terminato la scuola dell'obbligo, dico bene?»

Iris non mosse un muscolo; era sicura che se lo avesse fatto la sua mano avrebbe d'istinto raccolto il bicchiere o la bottiglia dell'acqua, l'avrebbe agguantata e con salda stretta gliela avrebbe frantumata sul cranio.
Perché quell'argomentazione era il ricatto peggiore con cui avrebbero potuto incastrarla e lei non poteva negarne la veridicità.

Se solo avesse avuto un altro nome, un'altra faccia, se solo fosse stata qualcuno di più influente e rispettabile!

Ma il problema risiedeva in chi era, non in cosa pensasse o nel come lo avesse argomentato: finché era Iris nessuno le avrebbe mai potuto prestare fiducia lì.

«È vero.»
Tornò a sedersi, quietando l'ondata di patriottismo che l'aveva investita.

Non parlò più. Credeva di aver perso del tutto la capacità di comunicare, di rimanere civile ed educata, di saper far valere la sua opinione.

Si sentiva già ingabbiata nella dittatura, nel totalitarismo, in cui dopo la libertà di espressione e di associazione se ne va via anche quella di pensiero, facendole il lavaggio del cervello, fino a vedersi costretta a lanciare fiori ed intonare inni al più crudele individuo sulla faccia della Terra.

Camilla non si pronunciò invece.
Lo scienziato le chiese cosa pensasse. Lei stette zitta.
Le ripropose la sua offerta e lei lo ignorò.

Quindi quello le domandò ancora se davvero non avesse nulla da dire e lei, dopo un secco "no comment", si levò in piedi e fece segno anche alla sua compagna di uscire.
I tre quarti d'ora da dedicare alla riunione al Palazzo del Governo erano finiti per loro.

Nessuno si prodigò nel trattenerle, poiché chiaramente nessuno aveva voglia di stare a discutere con delle bambine cocciute, maleducate e vestite con pantaloncini corti e maglietta senza maniche.

Camminarono per un po' mute entrambe, prive di parole per descrivere la situazione, i dialoghi e le circostanze a cui avevano dovuto far fronte giocando ad armi impari.
Ghecis aveva dalla sua il Parlamento, una folla sempre più numerosa di seguaci, i mass-media, un esercito di ragazze assassine ed un brillante segretario di partito come il professor Acromio.

Perfino Camilla sapeva che neanche un suo intervento in qualità di Campionessa poteva in alcun modo interferire con la legislazione proibitiva e arzigogolata di Unima, così soggettiva e ristretta nei suoi parametri d'azione.

Una morsa di angoscia prese d'improvviso la più giovane, mentre si dirigevano all'auto.
Ella si strinse al corpo della leader, sorprendendola, avvolgendovisi con le braccia e nascondendo il volto coperto di vergogna sulla sua spalla, non raggiungendo in altezza la schiena per liberarsi del suo sguardo.

In quel momento le sembrò davvero che non avesse altra scelta, se non firmare il proprio ritiro.

«Ho fatto una figura da stupida, mi sono messa contro il Governo, ci ho messo tutte nei casini, Camilla, io… - Voleva aggiungere che le dispiaceva, ma non riuscì a pronunciare le parole - io…»

Prima di poter anche solo lasciar che la sua mente navigasse fra le fetide acque di quel pensiero nefando, come a volerla strappare a quel gorgo di pessimismo in cui l'associazione criminale voleva trascinarla, a farle da ancora di salvezza fu la fermezza con cui Camilla le prese il viso fra le mani e se lo portò a contatto coi suoi occhi, la decisione che ci mise nella sua successiva affermazione.

E se lo diceva la Campionessa di Sinnoh, un'esperta di mitologia, autodidatta, leader improvvisata piuttosto bene e soprattutto amica di vero cuore, non ci trovò alcunché di marcio.

«Iris, non dire queste cose, per favore.
Sei stata grande.»

 

Si comprarono un gelato alla fine. Non perché ne avessero davvero voglia, ma più che altro per placare quella fame pindarica di soddisfazione materiale che una giornata dovrebbe garantire ai viventi, pure quando tutto va male.

Lei e Camilla rimasero a chiacchierare insieme, sedute sul cofano dell'auto pur di non sporcare gli interni, sebbene ci avessero già mangiato dentro a pranzo.
D'estate, ogni turista medio si accodava davanti alle bancarelle, pronte ad ostentare la loro produzione artigianale di Conostropoli, creando una gran calca di fronte all'uscita delle gallerie d'arte.

Erano circa le cinque; la piazza principale, che un nome ce l'aveva, ma era così altisonante e pretenzioso che oramai nessuno lo utilizzava al posto del più intuitivo "quella della fontana", invece di svuotarsi si riempiva ancora di più.
Allora decisero di andare a recuperare le tre compagne. Senza fretta.

Quella giornata era andata anche peggio dell'altra secondo lei, tutto quanto finiva sempre in balia del caso e delle circostanze più incoerenti ed imbarazzanti quando uscivano in missione.

Da quel pomeriggio in poi aveva stabilito in aggiunta che non si sarebbe mai più incolpata se la situazione si fosse rivelata del tutto a discapito delle sue poche risorse di adattamento.
L'uomo primitivo ci aveva messo millenni ad imparare come camminare eretto sulle gambe o a sopravvivere ai predatori, mentre a loro era stata concessa un'esistenza sola.

Camilla accostò in un'area gratuita, poco lontana da dove aveva congedato le due Capopalestra e la sua amica d'infanzia, cosicché le avrebbero viste più facilmente.
Accesero la radio ed aspettarono quiete, sicure che, dopo un pandemonio come quello odierno, niente di sconquassante fosse in agguato dietro gli angoli putridi di quelle strade.

Dopo un po' la leader cominciò a interrogarsi sul magari fare loro uno squillo, ma Iris la distolse, in riferimento all'episodio del centro commerciale. Solo perché erano leggermente in ritardo non significava si fossero dimenticate del loro dovere, quella era una mancanza di fiducia.

Attesero ancora un po', e proprio quando la bionda fu sul punto di perdere la pazienza, la ragazzina non poté non dirsi soddisfatta delle sue intuizioni: poteva essere che avesse lei imparato a conoscere le abitudini delle sue compagne meglio della Campionessa attraverso i litigi e la frustrazione?

Infatti lungo il marciapiede scorse una testa del colore del metallo arroventato e altre due figure al suo fianco comunque non meno visibili.
Gli fece un gesto di riconoscimento con la mano per invitarle ad avvicinarsi, soprattutto però a velocizzare il passo.

«Ma perché ci mettono così tanto…»
Sì, perché in effetti stavano camminando piuttosto piano.

Anzi. Guardandole bene le sembrava che le gambe non seguissero un andamento lineare nell'incedere, bensì descrivessero una deviazione prima di toccar terra, come se avessero paura che il cemento crollasse sotto i loro piedi, per questo oscillavano un po' ed ogni tanto un robotico zoppicare balenava in quell'andamento incerto.

Appena le tre giovani le arrivarono davanti, Camilla uscì alla svelta sbattendo con vigore la portiera e la più piccola del gruppo si allarmò in anticipo, non capendo bene il motivo di questa foga.
Le sue tre amiche erano arrivate ed ora il gruppo era riunito.

Solo che un'aria strana aleggiava fra loro, in mezzo allo smog dei tubi di scappamento.
Era un qualcosa di naturale, vagamente dolce, con un retrogusto di silicone, artificioso e zuccherino. Sembrava un profumo da donna, tuttavia abbastanza pungente da risultare intollerabile dopo i primi dieci secondi.

Camilla si guardò intorno e controllò che non fosse la sua camicia ad esserne impregnata, come se un campanello di allerta le fosse risuonato nella sua testa già abbastanza confusionaria.

«Hey… tutto a posto?»
Le fece la rossa, sorridendo in una maniera talmente tanto stinta, quasi le dolessero le labbra nel compiere quella semplice azione, curiosa anche lei di cosa stesse sospettando la leader.

«Più o meno. - Camilla esitò nel risponderle - Voi sembrate fin troppo contente…»

Andava alla ricerca di un contatto visivo qualsiasi con ognuna delle tre, ma sembrava che i loro occhi avessero di meglio da guardare, e dato che i panorami tanto spettacolari in quel ghetto non abbondavano di certo, immaginò che effettivamente ci fosse un qualcosa, ma che solo loro tre potevano vedere.

Forse, l'unica a non essere immersa in quella sonnolenza inebetente era la biondina che pareva, al contrario, più sveglia del solito, tenendo la mora per un braccio, intanto che quella abbassava lo sguardo, piuttosto cupa in volto.

Alla ragazzina non passò neppure per l'anticamera del cervello di analizzarle così. Piuttosto, vide che Camelia ed Anemone avevano finalmente deciso di cominciare a tenersi per mano come vere fidanzate anche per la strada. Lo trovò assai carino, e glielo fece notare.

Si aspettò un qualche commento aspro per via del suo comportamento prima di separarsi per i loro compiti, ma Camelia stette zitta quella volta.
Ecco, quello le instillò un minimo dubbio.

«Eh? - le rispose Anemone - È… tipo… come se ci sostenessimo a vicenda, adesso…»

«Già…» la sua ragazza aggiunse, tossendo un paio di volte con forza lacerante, causando un leggero tremore al proprio corpo e costringendo la giovane aviatrice a sostenerla più saldamente.

«Ci siamo sostenute a vicenda, il Team Plasma non ha potuto fare niente contro di noi.»

Catlina si sistemò i capelli, scoprendo che una visita nella zona malfamata di Austropoli li aveva sporcati ed unti tantissimo e pur sapendosi spiegare il perché, era certa che sia lei, sia le due diciassettenni (verso le quali sentiva di aver accresciuto la propria amicizia) avrebbero innanzitutto cenato, poi si sarebbero lavate.

Mai infatti, neanche dopo gli estenuanti allenamenti di Nardo, si erano sentite così affamate in vita loro.

«Okay, quindi! - la nobile di Sinnoh alzò spropositatamente la voce, fu sul punto di gridare per incitare la sua coetanea a spicciarsi per loro, con il consenso delle altre - Possiamo andare adesso, speriamo che Nardo ci abbia preparato già la cena, perché io sto morendo di fame, voi no?»

«Avete trovato il Sangue del Drago?» Chiese Iris, con molta cautela.

Subito però si ritrovò fra le mani, dopo averlo afferrato con una presa degna di un giocatore di baseball, una scatoletta dalla forma un po' kitsch e per quello abbastanza adatta a contenere il veleno con cui un pazzo manipolatore intendeva conquistare la regione.
Si sarebbe stupita se lo avesse riposto in un normale contenitore, dopotutto.

«Non ringraziare… - Ammise Anemone, in un eccesso di modestia le tre si strinsero con le braccia sulle spalle - È stato facilissimo! Ora però andiamo, dai… è tardi…»

Fece per entrare in macchina, quando, per sua sfortuna, Camilla le si parò davanti, con lo stesso atteggiamento di un agente durante una perquisizione. La donna contava infatti sul suo sesto senso, grazie al quale riusciva a percepire la tensione, quando le persone le nascondevano qualcosa.

Fissò la sua compagna dritta dritta negli occhi, fintanto che ella stava ancora in piedi, mentre i suoi Pokémon e quelli altrui osservavano la scena, avvertendo anch'essi che le loro Allenatrici non sarebbero rimase impuni.

Camelia, Anemone e Catlina avevano perfino la sclera degli occhi color rosa geranio.
Sì, proprio quell'esatta tinta, non si era cimentata in un'iperbole.

«Ragazze, - Camilla le bloccò, per poi esprimersi, laconica - siete fatte per caso?»

Calò un silenzio che riuscì ad incanalare tutto l'imbarazzo e lo shock di quei due mesi in circa una manciata di istanti, Iris rimase così sorpresa da non volersi neppure sforzare di risultare troppo stupita.

Insomma, tutti i bei discorsi sulla coerenza, sul condurre una vita sana e pulita di quella mattina?
Bastavano tre ore per convertire tre fanciulle ben educate e morigerate sulla strada psichedelica della perdizione?

Si accorse solo in quel momento che in realtà Anemone non stava reggendo la sua fidanzata per amore, ma perché Camelia, essendo astemia come la più casta delle vestali, non doveva aver retto neppure una canna mal preparata, ed ora aveva perso tutto il vigore.
Se l'avesse mollata era sicura che sarebbe crollata a terra, priva di sensi.

«Ci stai accusando… - la ragazza fu presa da un attacco di nervosismo e si strinse agli indumenti della leader, esasperata - di esserci drogate?»

«Per favore, calmati. - la Campionessa si tolse le sue mani di dosso, dicendole in tono duro - Catlina, stai urlando.»

«Guarda che - Quella se la prese, stravolgendo del tutto il suo personaggio, era il principio attivo della cocaina che le donava una scarica folgorante di energia che non sapeva come impiegare - io sono calmissima! E ti dico che sto bene, giuro!»

«Hai avuto un trauma cranico quasi mortale tre giorni fa!» Le ripeté la bionda, conscia di non poter ricorrere a mezzi termini con una persona (anzi, tre) sotto effetto di stupefacenti.

«Infatti. - Catlina tornò subito calma, cercando di trattenere la propria tempestività - Adesso non ho più male alla testa, grazie alle… "cose" che abbiamo fumato... E tirato.»

«Vero, la polvere sapeva da zucchero filato alla fragola! - esultò la rossa, per cercare di difendersi in quella causa persa in partenza - Cioè… faceva un male cane quando la respiravi, tipo, che ti esplodono le narici… Ma dopo due tiri ti abitui, eh! Non fa così schifo come dicono.»

Tutto quello che la modella semi-morente, con la faccia bassa e il viso sbiancato ebbe da aggiungere fu un lamento che sembrava provenire da uno spettro.
«Mi viene da vomitare…»

Poi l'altra si mise a ridere, senza motivo, mentre la leader fissava la scena allibita.
Come avrebbe potuto spiegarlo a Nardo? Quell'uomo le aveva beccate già una volta; non contava l'episodio dell'ubriacatura inesistente, ma quello del reggiseno non doveva aver insegnato nulla a quelle ragazzacce.

Al diavolo, le lotte con i Superquattro delle altre regioni, le sfide con i Campioni di Kanto, Johto ed Hoenn, e le catastrofi nazionali: fare la leader di quel gruppo era la sfida più ardua ed estenuante che avesse mai incontrato nei suoi anni di carriera.

E, come se non bastasse, non è che quelle tre avessero retto male una piccola dose, non essendovi abituate.

No: le giovani confessarono, sempre a cuor leggero, di aver voluto strafare, che un tiro segue l'altro, che si erano accese prima dei leggeri spinelli, poi dei veri e propri tronchi d'albero, solo per poter fare il fantomatico viaggio in un mondo allucinogeno, come i Pokémon Psico quando distorcono il campo di lotta con Magicozona.

Dopo l'aver rischiato di perdere la possibilità di partecipare alla competizione, quella notizia rappresentava il colmo.

Lasciò perdere. Salì in macchina, sbattendo la portiera, intimando le altre a fare lo stesso.

 

Partirono, infine. Le giovani alterate sedettero nei sedili posteriori e nel giro di qualche isolato caddero addormentate come corpi morti, tutte stravaccate l'una sull'altra, ogni tanto mugolando per le convulsioni dovute alla cocaina, che stava risalendo il flusso sanguino fino al cervello come un salmone che cavalca la corrente di un fiume torrentizio.

I lampioni cominciavano ad accendersi, insieme ai cartelloni al neon e ai semafori lampeggianti.
Non che di sera la metropoli dormisse; i club aprivano fino a tardi, la musica delle discoteche batteva il ritmo martellante di un cuore ebbro di adrenalina.

Solo la Campionessa di Sinnoh e la ragazzina di Unima poterono godersi il rumore della sera.
La seconda però, intuì che il suo tacere imposto per punizione potesse anche finire lì.
Per colpa di esso aveva passato una giornata piuttosto faticosa, imbrogliata dagli impacci dei potenti e dalle meschinità della sorte.

E non riteneva giusto che anche Camilla, che tanto aveva fatto per tagliare tutti quei cavilli, dovesse patire la stessa costante frustrazione nei confronti delle sue compagne.

«Stai tranquilla. - Le disse, guardando le auto che sfrecciavano sotto il suo naso - Domani ti chiederanno "scusa" una dopo l'altra, ne sono certa.»

Dopo una pausa di conciliazione, Camilla esalò un sospiro per liberarsi da qualunque peso la opprimesse. Il suo profilo disegnato sullo sfondo di luci colorate evidenziava le sue labbra sottili e le ciglia lunghe. Iris si mise ad osservare per proprio piacere le sue braccia lunghe che afferravano il volante con fermezza, davanti alla linea del suo seno cospicuo, che si intravedeva fra una fila di bottoni slacciati per comodità.

Fu contenta che ella le avesse risposto. Quando riusciva ad identificare anche in una donna ventenne tanto virtuosa le sue stesse ansie e le angherie subite indirettamente dalle compagne, si sentiva in qualche modo nobilitata.

Camilla era fin troppo umana per ispirarle la brama di idolatria.

Se il coraggio che tale persona le infondeva fosse arrivato nel momento in cui Acromio le aveva chiesto di levarsi dai piedi per far strada all'ascesa di Ghecis, altro che firma, con la penna gli avrebbe infilzato i bulbi oculari.

Fu contenta almeno di aver rifiutato. Di sicuro, una volta riferita la questione a Nardo, quel moscerino avrebbe fatto meglio a trovarsi un lavoro stabile in una qualche fabbrica di elettrodomestici o a sparire una volta per tutte.

Inoltre, quando mai un membro del governo è autorizzato a chiamare delle minorenni "tesoro" e "cara"? Rabbrividì, ripensandoci.

Ora che avevano nelle loro mani un campione della droga da analizzare, sicuramente Zania avrebbe scoperto qualche ulteriore informazione ai laboratori.
I Pokémon una volta schiavizzati avrebbero smesso di soffrire, con tutta probabilità.
Ed un'altra macchia nera più visibile sarebbe andata a sporcare la fedina penale del capo del Team Plasma, già nera come il catrame.

Dopo un pomeriggio, la giovane dai capelli violetto finalmente riuscì a trovare un po' di fiducia per credere in sé stessa e nelle proprie parole pronunciate in quella sala riunioni.

A detta sua, dopo quelle esperienze, forse il mondo di pace e collaborazione, il futuro perfetto di cui parlava lo scienziato si poteva creare davvero, lo stavano facendo loro.
Sinceramente, era proprio quello anche lei desiderava.

«Sai cosa penso? - La voce profonda di Camilla la scosse dai suoi pensieri - Che l'obiettivo del Neo Team Plasma sia più semplice di quanto crediamo.

Nel senso: che non sia un qualcosa di estremamente complicato.
Ma che voglia agire a partire dalle nostre più piccole azioni, come se potessimo smettere di essergli di ostacolo di nostra volontà.»

L'automobile ruggente corse a tutto gas verso una delle uscite secondarie, per evitare di incappare in un controllo della polizia antidroga ai caselli autostradali.

Era possibile il fatto che cinque giovani ed attraenti ragazze potessero davvero rappresentare un intralcio concreto per una società criminale…
Ma intanto, per quel dì, la vittoria era definitivamente loro.

 

 
«Ah… mi sento malissimo… ho ancora i postumi della tirata…
E in più, sai cosa, Anemone? Mi sento quasi in colpa. Avevo giurato a me stessa che non mi sarei mai drogata e invece, sono proprio una debole.»

«Cami, non è colpa nostra, lo abbiamo fatto per la missione!
Appena abbiamo cominciato a fumare e a sniffare la coca noi, anche le altre due reclute si sono strafatte e, credimi, loro erano messe anche peggio.
Abbiamo avuto la nostra occasione e, prima di collassare, gli abbiamo rubato il Sangue del Drago!
Direi che siamo state brave. Un piano infallibile, il nostro.»

«Ma non potevamo semplicemente fregargli la scatola e scappare via, senza doverci fare un cannone e tre strisce ciascuna?! »

«Dovevamo indebolirle prima, o ci avrebbero attaccate in gruppo!»

«E se avessimo usato i nostri Pokémon? Siamo Allenatrici professioniste, dubito che ci avrebbero stese quelle mezze calzette.
Li avevamo pure schierati per bene prima di arrivare… possibile che non ci abbiamo pensato?!»

«No, è vero! Siamo proprio tre imbecilli! Dove andremo a finire?
In un centro di recupero per tossici, ci scommetto, perderemo tutti i capelli e le tette, poi passeremo al crack, all'eroina, la daremo ai nostri Pokémon, ci squalificheranno dai tornei e non avremmo più una vita decente...

P-Però almeno saremo sempre insieme, no? Camelia, sappi che io ti amerei lo stesso, se io diventassi una cocainomane di strada tu faresti lo stesso?»

«Ma se non hai neanche i soldi per comprarti un grammo di quella roba!
Piuttosto, io mi preoccuperei della tua dipendenza dai manga… ne hai pile e scaffali interi nella tua stanza, quando potresti risparmiare quei soldi per comprarti cose molto più utili…»  

«Hey, io non ti dico come vivere la tua vita!»

 

 

Behind the Summery Scenery #18

1. Vi rivelo un segreto. Ae c'è una cosa che ODIO è il self-insert (lascio qui una spiegazione per i più anglofoni di voi).
E poi l'ipocrisia. Fanculo gli ipocriti, quanto li odio.
Ma in quel caso, ebbene, mi sono macchiata di entrambe le colpe! *cries in matcha latte* Mi spiego.


Avete presente come nel secondo capitolo io avessi evidenziato come se fosse un tratto imprescendibile e non tralasciabile del personaggio che Camilla ed Iris non si truccassero? Look at this:
"Sul viso non sembrava avere make-up, cosa che la compiacque parecchio, dato che neppure lei si truccava." [Cap. 2 "Quando tutto è nuovo anche tu ti rinnoverai, Momo, 2013, Non mi troverete mai kek, Non mi pubblicheranno ma double kek]
Ora, se ragioniamo per deduzione, si può evincere che "se i personaggi non si truccano è perché l'autrice era contraria, opposta e disgustata dal truccarsi". Che cosa frivola, ma è la verità.
Ricordo a tutti che ho scritto questo capitolo nel 2013 e non è che me la passassi chissà quanto bene quell'anno, non avevo la fiducia in me stessa e la voglia di prendere pennello e beauty blender ed imparare l'arte degli MUA mi mancava.

Flashforward nel 2018: le circostanze della vita mi hanno fatto capire che girare con una faccia come la mia è illegale in 200 paesi, quindi mi sono armata di Youtube e di pazienza e... la mia avversione verso il trucco è sparita.
Lo ammetto, volevo fare la speciale che non è come tutte le altre ragazze. Ma ho fallito. La vanità e il so pigmented hanno vinto su di me.

Quindi, se adesso è molto più evidente che mi soffermi a descrivere che marca di ombretto le ragazze stiano indossando e con che pennello lo abbiano sfumato non è ipocrisia, sono solo io che cresco e mi evolvo!

2. Questa è la manicure che ho descritto. Ve l'ho detto, io non sono come le altre ragazze.

3. E continuando il discorso dei dettagli idioti: qui continua il product placement iniziato nel quattordicesimo capitolo!!! Abbiamo McDonalds, telefoni vari (opterò per lo Xiaomi e l'Oppo, così non triggero la faida Samsung vs Android vs Huawei, dato che nessuno li ha in Italia), la Jeep, telefonia varia, Diesel/Urban Outfiters... e Amazon Books!

Già, sembra proprio che Amazon.it muoia dalla voglia di sponsorizzare questa fanfiction, tanto è che trovo la pubblicità di manga che NON voglio leggere e libri di cui ho cercato apposta le recensioni negative sia all'inizio, sia IN MEZZO e pure alla fine dei miei capitoli.
Quando mi sono iscritta ad EFP, nelle Condizioni d'uso ci doveva essere scritto "l'autore si impegna a leggere Tokyo Ghoul, My Hero Accademia e Animali Fantastici per cultura personale". Grazie Erika, tu sì che sai trattare i tuoi utenti con il rispetto che meritano 


4. In questo capitolo è presente una citazione epicissima ad un film che ha fatto la storia della cinematografia.
Ovviamente parlo di Alex l'Ariete, ceh. 26:33, grazie Mighty.
Cioè, due anni fa citavo Catullo, AHAHAHAHAHAH.

5. Prima il sesso, ora la droga. So che avere delle protagoniste pure e perfette, delle idol praticamente, è bello. Non mi parerò il culo parlando di realismo, e non ritengo assolutamente che personaggi trasgressivi o cattivi siano per forza interessanti.
Nessuno si è lamentato della tirata nelle recensioni, alla fine ho espresso nel dialogo come si poteva risolvere la cosa e non penso di dover sempre dare gustificazioni a tutto quello che scrivo.

P-Però non drogatevi a casa, bambini. Bodrst perdr la cors della vitt per colpa di guella robacc.

Menzione speciale anche a questa poop in cui la visual line (Camelia ed Iris) abbatte la transfobia, yasss queens *emoji della corona*
 
  
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