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Autore: vero511    19/09/2017    1 recensioni
Ellie Wilson 24 anni, appena arrivata a New York insieme alla sua gioia più grande: il figlio Alex. Lo scopo della giovane è quello di ricominciare da zero, per dare la possibilità ad Alex di avere un futuro diverso dal passato tumultuoso che lei ha vissuto fino al momento del suo trasferimento. Quale occasione migliore, se non un prestigioso incarico alla Evans Enterprise per riscattarsi da vecchi errori? Ma Ellie, nei suoi progetti, avrà preso in considerazione il dispotico quanto affascinante capo e tutte le insidie che si celano tra le mura di una delle aziende più influenti d’America?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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“Perdonami cara” Lilian si sta lentamente riprendendo dalla crisi che ha avuto poco fa. “Non preoccuparti” la rassicuro posandole una mano sulla schiena. “Ogni volta che nomino mio figlio, non riesco a controllarmi.” Ormai sono certa al novantanove per cento che si tratti di Zack e suppongo che la sua tristezza sia dovuta al fatto che i due non si vedono da molto. “Sai, mio figlio dirigeva una grande azienda a New York, qualche mese fa, ho visto al notiziario che c’è stata una grande esplosione e adesso…io…” non riesce a continuare perché la sua voce si spezza nuovamente e le sue lacrime rompono gli argini e solcano il suo viso. Non la consolo immediatamente come la prima volta per due motivi: il primo è che il ricordo di quel giorno mi ha tolto il respiro e il secondo è che non credo di aver compreso dove il suo discorso voglia andare a parare.
So che da parte mia non è molto cortese, ma ho bisogno di sapere. “Lilian, ma tuo figlio sta bene?” “La verità è che non lo so, non hanno più parlato di lui da molto tempo e non ho idea delle sue condizioni” mi risponde interrompendosi ad ogni parola a causa dei singhiozzi. Una dubbio mi sorge spontaneo: per quale motivo non chiamare il proprio figlio per accertarsi della sua salute?
Nonostante i miei quesiti, non mi prodigo in altre domande, non vorrei risultare invadente e al tempo stesso non posso permettermi di compromettere la mia identità sotto copertura.
“Sono sicura che lui stia bene” le dico ad un tratto. Mi guarda e nei suoi occhi vedo un barlume di speranza. “Come hai constato tu poco fa, sono una madre anche io e sono convinta che se dovesse capitare qualcosa al mio bambino, lo sentirei”. Ricordo la sensazione che provai quando rapirono Alex e di conseguenza posso affermare con una certa sicurezza che certe cose una mamma le sente. Inoltre, mi sbilancio con queste parole perché se davvero stiamo alludendo a Zack, ho la conferma che stia  bene. “Sei davvero saggia per essere così giovane” si complimenta con me. “Cosa vuoi farci, i casi della vita mi hanno messo davanti parecchie sfide” affermo in modo enigmatico e le faccio l’occhiolino per alleggerire la tensione.

Il resto del tempo lo passiamo a chiacchierare del più e del meno, in particolar modo della cittadina in cui viviamo: sapendo che sono nuova, la donna si è preoccupata di raccontarmi alcuni pettegolezzi sugli abitanti.

Mi ha fatto piacere passare il pomeriggio con lei, è una persona molto colta e ancora mi domanda come sia finita in questo luogo sperduto, da sola. Da come parla, ho la certezza che nel corso della sua vita abbia avuto modo di viaggiare molto ed essendo reduce da un divorzio con Evans, direi che anche da un punto di vista economico non ha grandi problemi. Avrei voluto approfondire la nostra conoscenza e forse avrò modo di farlo dato che mi ha invitata nuovamente a casa sua la settimana prossima, aggiungendo di portare anche Alex con me. Non ho accettato immediatamente, ma ancora una volta, sono rimasta sul vago, prima devo parlarne con Madison. Nonostante la mia sconfinata curiosità, non mi pare giusto racimolare informazioni senza far trapelare qualcosa sul mio conto.

“Sono tornata!” Appena metto piede in casa, un Alex a gattoni mi arpiona un polpaccio impedendomi ogni movimento. “Amore” lo saluto abbassandomi il più possibile verso di lui, che in risposta, tende le braccia per farsi sollevare: “mamma!” “Allora? Com’è andato l’incontro con la tua nuova amica?” Madison compare dalla cucina con in mano una tazza fumante di caffè. “Direi bene, anche se mi ha proposto di rincontrarci…” “Per me non è un problema” afferma confusa. “Mi ha chiesto di vedere Alex e non sono sicura che sia una buona idea”. “Mm…okay facciamo così: pensiamoci. Prendiamoci un po’ di tempo, tanto non credo che vi dobbiate vedere subito, no?” Annuisco e le chiedo di restare a cena. “Ancora? Dovresti smettere di viziarmi” si indica la pancia. “Mi farai ingrassare, sei peggio di mia nonna in cucina” alza gli occhi al cielo e non posso fare a meno di ridere. “Dovrò pur sdebitarmi in qualche modo” “O hai solo paura di stare qui da sola?” Mi sfida e nonostante la sua domanda retorica mi infastidisca, non posso negare che celi un fondo di verità. “Potresti anche finirla con questa storia una buona volta. Sai, non mi diverte tutta questa situazione. Tu proteggi le persone e hai scelto di fare questo lavoro in cui metti a rischio la tua incolumità, ma non si può dire lo stesso delle persone di cui ti occupi.” “Ellie, scusa, io non intendevo… starò più attenta a ciò che dico” si posa una mano all’altezza del cuore. “Ottimo.” Il mio tono è lapidario e non ammette repliche. Mi reco in cucina portando Alex con me e chiudo la porta alle mie spalle, lasciando Madison fuori.

Circa in un’ora il pasto, piuttosto frugale, che ho preparato è pronto. L’agente ha preparato la tavola senza dire una parola e io, a parte qualche scambio di battuta con Alex, ho fatto lo stesso. “Posso farmi perdonare in qualche modo?” Mi domanda quando siamo ormai a metà della consumazione della cena. Sto per dirle che deve semplicemente lasciarmi sbollire il nervoso e imparare a misurare le sue parole, quando mi viene un’idea. So che approfittarsene non è mai una cosa positiva, ma vorrei cogliere questa occasione per avere qualcosa che desidero molto. “Una cosa ci sarebbe…vorrei contattare Zack”. Mi osserva con un’espressione che capisco chiaramente essere di rifiuto, dal momento che “il protocollo non permette contatti fisici o verbali con nessuno dei conoscenti”. “Vedrò cosa posso fare”. Lascio cadere dalle mani la forchetta che a contatto prima con il piatto, e poi con il pavimento, produce un boato fastidioso che risuona in ogni centimetro della casa. “Cosa?” “Mi porgi una richiesta pensando che non la possa realizzare? Andiamo, non ha alcun senso, abbi un po’ di fiducia”.

La mattina è trascorsa in modo molto noioso, fortunatamente Alex con i suoi disegni e i suoi versetti è riuscito a portare un po’ di allegria tra queste quattro mura. Stranamente Madison non si è fatta vedere e a ora di pranzo passata, inizio a preoccuparmi. A seguito di tutti gli avvenimenti di questi mesi, dire che sono diventata paranoica è un eufemismo, ma dal canto mio, come darmi torto?

“Missione compiuta!” La porta si spalanca, una folata di vento gelida mi investe e resto per un momento interdetta ad osservare il ciclone Madison. “Buongiorno anche a te, o dovrei dire, buon pomeriggio” la saluto sarcastica. “Se fossi in te toglierei quel cruccio saccente dalla mia faccia e sarei più gentile.” “E perché dovrei fare quello che hai appena detto?” “Perché ho fatto il mio dovere.” Raddrizza la schiena e porta il petto in fuori. “Ho un telefono usa e getta e una linea libera dove potrai contattare il tuo amato” divento rossa come un peperone al solo sentire le sue ultime due parole. Mi avvicino e le tolgo il sacchetto di mano: “Non è il mio amato!” Nel frattempo lei si accomoda sul divano accanto ad Alex che mi guarda sorridente. “Sì, certo. Vallo a raccontare a qualcun altro. Non ci inganni signorina, noi sappiamo tutto” avvicina il viso a quello del bambino e i due sembrano essersi coalizzati contro di me.

Sono da sola nella mia stanza, con il telefono appoggiato ad un orecchio sperando che l’insistente bip smetta di suonare e lasci spazio alla sua voce. Uno squillo, due squilli, tre squilli,…

Mi sono seduta sul letto, ma proprio non riesco a stare ferma. Magari sta lavorando. “Andiamo, rispondi-“ “Pronto?” Non mi ero resa conto fino in fondo di quanto mi fosse mancato finché non ho sentito la sua voce. “Chi parla?” Mi sono persino dimenticata di parlare da tanto che sono rimasta senza fiato. “Sono io”. “Ellie? O mio Dio, stai bene? E Alex? Come sta? Dove siete?” “Ehi, calma, calma. Stiamo bene entrambi, ma non posso dirti dove siamo, spero di poter tornare presto”. “Mi mancate, tu come stai? E Jen? Matt?” “Ora è il tuo turno di restare calma” lo sento ridere dall’altra parte della cornetta e sembra che tutta l’angoscia che mi ha afflitta da quando sono qui, si sia volatilizzata. “Stiamo tutti bene, ma ci mancate” ritorna serio. “Anche voi ci mancate, tanto”. Restiamo  in silenzio per un po’, come se ci bastasse sentirci in qualche modo legati da questo stupido aggeggio tecnologico. “Come procedono i lavori?” Chiedo per rompere il ghiaccio. “A gonfie vele, stiamo recuperando anche gli affari e Hamilton con la sede provvisoria che ci ha fornito ci è di grande aiuto. Tu invece cosa combini tutto il giorno?” “Io…ecco…ho conosciuto tua madre” dico tutto ad un fiato. Nulla. “Zack? Ci sei ancora?” La linea sembra essere caduta e il vuoto torna a regnare nella stanza e nel mio cuore.
  
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