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Autore: Selene_ag    19/09/2017    0 recensioni
Lui. Lei. Sono diversi da tutti gli altri. Entrambi fanno cose che nessuno potrebbe fare. Hanno, per così dire, delle abilità speciali, che li rendono più unici di chiunque. Ma sono anche diversi l’uno dall’altra. Lui agisce nell’ombra, lei alla luce. Lui si nasconde dalla gente, lei vive in mezzo a loro. Lui porta … morte e distruzione, lei … vita e speranza. Dal loro incontro non può che scaturire una forza nuova, sconosciuta a entrambi ma indispensabile a ciascuno di loro per ricominciare a vivere una nuova vita. Non senza difficoltà, si avventurano alla scoperta l'uno dell'altra, alla scoperta della "parte mancante", del Bene e del Male, perché in fondo è di questo che si tratta.
Genere: Generale, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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– La parte mancante –
 
Cammina, no, corre in mezzo alla neve. Il freddo pungente le ha arrossato il naso e le fa bruciare gli occhi. E le mani, le mani non le sente più da un pezzo e si rimprovera per non aver portato con sé i guanti, sempre che possano fare la differenza in situazioni come questa. Gli scarponcini affondano sempre di più nel soffice e candido manto appena caduto, ma lei avanza senza sosta, imprecando sottovoce quando avverte il contatto gelido con i vestiti ormai fradici. Rischia più volte di inciampare, di cadere, ma in qualche modo, non sa come, riesce a mantenere l’equilibrio. Se si fermasse, sarebbe la fine, comincerebbe a dubitare se non sia meglio tornare indietro, sui suoi passi, aspettare che lui risponda alla sua chiamata, o addirittura andarlo a cercare, perché lei è l’unica che sa come trovarlo, anche se è sempre lui a trovare chiunque, lei è l’unica che l’ha capito veramente, almeno spera. La speranza. Non può permettere in alcun modo che la speranza si insinui nella sua mente, ormai ha preso la sua decisione e non può, non deve tornare indietro. Non sa neanche dire da quanto tempo le lacrime le stanno rigando le guance, ma quel lieve quanto amaro calore la riscuote dai suoi pensieri e si accorge di essere finalmente in vista della strada. Ha il fiatone, tuttavia accelera ugualmente il passo, per quanto le è concesso dalla neve, particolarmente alta in quel punto, e con gli ultimi sforzi arriva sul marciapiede. Tira un sospiro, per riprendere fiato, volgendosi per un secondo a guardare la scia di impronte lasciate sulla distesa candida, altrimenti intatta. Poi riprende a camminare, mentre un nodo le attanaglia la gola e il cuore sfoga la sua angoscia in uno scroscio di lacrime.
 
***
 
Era un giorno come un altro per lei, destinato alla solita routine. Nessun particolare progetto. Nessuna particolare aspettativa. Uscì molto presto, come suo solito, nella foschia di una fredda mattina di fine autunno, per prendere servizio. Il martedì era giorno di mercato e il viale principale cominciava a popolarsi, nonostante l’ora. Non le dispiaceva osservare dal lato della strada le facce intirizzite dei commercianti indaffarati al centro della carreggiata, ma quando rivolse nuovamente lo sguardo davanti a sé la sua attenzione fu catturata da una figura che appariva del tutto fuori luogo in quel contesto. Un uomo alto e robusto, vestito di nero da capo a piedi. Stava appostato nell’ombra, incurante di quello che lo circondava. Le parve di vedere uno scintillio metallico, come una lama di un coltello, sparire in un attimo in un fodero alla cintura, ma probabilmente si sbagliava. Mentre lei si avvicinava nella sua direzione, l’uomo si accorse di essere osservato e rivolse un’occhiata alla donna, che fu colpita dai suoi lineamenti spigolosi, marcati, ma per niente sgraziati. Per quanto lo desiderasse, non riusciva a distogliere lo sguardo da lui, che dal canto suo sembrava subire la stessa situazione.
Di primo impatto, gli era sembrato che lei avesse notato il suo pugnale, ma poteva anche sbagliarsi, visto che non aveva riscontrato sul volto di lei alcuna espressione di sgomento, come si sarebbe aspettato. In ogni caso, dopo una breve riflessione, giunse alla conclusione che doveva verificare che non fosse un pericolo per lui e la sua attività. Questo significava pedinarla, studiarla nei minimi dettagli, e agire, se necessario. A una domanda però non trovava risposta: come aveva fatto ad attirare la sua attenzione? Era sempre stato scrupoloso su questo, non lo notava mai nessuno, possibile che avesse abbassato la guardia? Non poteva permettere che succedesse ancora, altrimenti si sarebbe compromesso definitivamente. Anche per questo era indispensabile scoprire di più sulla ragazza. Non fu difficile. Eppure, a volte, per un attimo, aveva l’impressione che lei fosse consapevole della sua presenza nell’oscurità, ma subito dopo liquidava il sospetto come semplicemente impossibile, vista la sua esperienza nel campo.
Un’intera giornata a lavorare e si sentiva esausta. Aveva dovuto coprire parte del turno di una sua compagna che si era appena sposata ed era uscita dalla Casa di Cura quando ormai il sole era tramontato e le prime stelle comparivano nel cielo. Oltretutto, aveva trascorso tutto il giorno con una sgradevole sensazione addosso. Si era trovata spesso a guardarsi attorno per controllare che tutto fosse normale e il fatto che lo fosse, anziché rassicurarla, accresceva maggiormente il suo presentimento. La verità è che la visione di quella mattina l’aveva turbata più di quanto fosse disposta ad ammettere. Scacciò momentaneamente i brutti pensieri dalla mente, si strinse nel soprabito e si incamminò di buon passo verso casa. Per un riflesso involontario, imboccò una strada diversa dal solito, che passava attraverso una zona più tranquilla, ma anche più illuminata.
L’uomo in nero le stava dietro, più silenzioso di un’ombra, certo che un po’ di luce in più non avrebbe guastato il suo pedinamento. Vide la donna fermarsi ad un incrocio, come fosse incerta sulla direzione da prendere. Colse l’opportunità al volo. Mentre si guardava attorno dandosi della stupida per un gesto tanto ingenuo a quell’ora, la ragazza si sentì immobilizzare e tappare la bocca. Lo strano odore dell’uomo, di pelle misto a dopobarba, le invase le narici insieme allo spavento. Venne strattonata contro il muro di un edificio.
«Sono molto pericoloso – la sussurrò minacciosamente la figura scura sopra di lei – lo sai questo?» Lei annuì, gli occhi sbarrati. Eppure, lui non seppe dire se fosse davvero impaurita. Osservò quanto fossero chiare le sue iridi, uno specchio di ghiaccio in confronto alle sue profonde voragini scure. Ma non era sicuro che quello che trasmettevano in quel momento fosse terrore, come si sarebbe aspettato. Fu questo dubbio a spingerlo a mollare la presa. «Chi sei tu … ?» domandò, con gli occhi sbarrati tanto quanto quelli di lei. Non ricevette risposta, ma il gesto che seguì lo fece precipitare in un vortice di emozioni. Gli mise una mano sul petto, lì dove dovrebbe esserci il cuore, che lui non si era mai accertato di avere. Nessuno l’aveva mai toccato prima d’ora, non consapevolmente. Era lui a compiere le sue mosse, rapido, impeccabile. Aveva imparato il copione alla perfezione e non si era mai reso necessario uscire dagli schemi, tanto che si era convinto che gli esseri umani fossero tutti uguali. Ma quella ragazza mandava a monte tutte le sue convinzioni …
Il cuore le batteva all’impazzata mentre l’uomo si scostava bruscamente dal suo tocco e le intimava di andare via, di dimenticare tutto. Ma come poteva … Aveva visto qualcosa negli occhi di lui, aveva sentito qualcosa nella sua voce, e quel qualcosa era stato confermato dall’eco che aveva avvertito nel suo petto. Sapeva chi era lui e immaginò che anche lui a quel punto avesse capito chi fosse lei. Provò a muovere un passo nella sua direzione, ma lui indietreggiò scomparendo nell’ombra.
 
***
 
«Mi chiedevo quando saresti tornato»
Pronunciò quelle parole senza neanche voltarsi, intenta a inserire la chiave nella serratura della porta di casa. Era passata più di una settimana dal loro primo incontro, se tale si può definire. L’aveva visto o sentito arrivare? Certo che no, troppo discreto e silenzioso. L’aveva semplicemente percepito. Alle sue parole l’uomo nell’ombra sobbalzò, provocando un sorriso sulle labbra di lei, che lasciando la porta socchiusa lo invitava tacitamente ad entrare. Non seppe spiegare perché accettò l’invito, ma ormai tutto ciò che aveva imparato, tutto ciò in cui aveva creduto si stava miseramente sgretolando lasciando posto a un vuoto incolmabile. Le uniche risposte potevano solo arrivare da un altro incontro con la ragazza. Si sentiva strano, in imbarazzo, e un dubbio lo logorava incessantemente: chi era lei?
Addentrandosi nella piccola e accogliente casa notò la tavola apparecchiata per due e ad un cenno di lei capì che il secondo posto era destinato a lui, sempre più confuso. Si sedette, come un bambino che ha bisogno di essere guidato in ogni sua azione e deve imparare tutto da capo. Lei occupò il posto di fronte. Per qualche istante rimasero a guardarsi negli occhi, lei serena, appena incuriosita, lui palesemente a disagio. Fu l’uomo a rompere per primo il silenzio.
«Tu sai …»
«Io so chi sei, sì – lo anticipò – ma a quanto pare tu non sai chi sono io», ad un cenno negativo del capo del suo interlocutore abbassò lo sguardo, sospirando, poi si allontanò un attimo per ritornare con una vecchia foto di una donna anziana, estremamente somigliante a lei.
«Questa era mia nonna – disse, mostrandogli la foto – non ti dice niente? – ancora una risposta negativa. –Tutto quello che so me l’ha raccontato lei» mentre la ragazza guardava orgogliosamente la fotografia, l’uomo non poté fare a meno di notare quanto fosse giovane, una decina di anni in meno rispetto a lui, e bella, molto bella.
«E cosa ti ha raccontato?» la domanda sorgeva spontanea.
«Di te …»
Non era possibile. Lui viveva nell’ombra. Non aveva famiglia. Non aveva amici. Non aveva neppure conoscenti, ad essere onesti. Non poteva esistere qualcuno che lo conoscesse e non fosse inorridito da lui. Persino i suoi stessi clienti lo disprezzavano e la maggior parte di essi da cliente passava ad essere vittima, perché nei giri loschi ritornano sempre le stesse persone. Chi poteva conoscere la sua storia? Chi poteva volergli parlare, come stava facendo quella povera innocente? Doveva andare via da lì, al più presto, e finché la ragione non gli fosse tornata aveva il tempo di dimenticare e ricominciare la vita di prima. Di scatto si alzò, biascicando qualche parola, rischiando di far ribaltare sedia e tavolo, tanto era stato impetuoso. Ma fu costretto a risedersi, con suo grande stupore, alla richiesta gentile della sua ospite. Da quando prestava ascolto a richieste? Da quando gli venivano formulate richieste? Eppure, si sentiva costretto, come da una forza invisibile.
«Noi siamo diversi da tutti gli altri – esordì la ragazza, con voce pacata, come gli avesse letto nel pensiero, – Entrambi facciamo cose che nessuno potrebbe fare. Abbiamo, per così dire, delle abilità speciali, che ci rendono più unici di chiunque. Ma siamo anche diversi l’uno dall’altra. Tu agisci nell’ombra, io alla luce. Tu ti nascondi dalla gente, io vivo in mezzo a loro. Tu porti … morte, e distruzione, io … vita e speranza. Eppure, queste non sono nostre scelte, non lo sono mai state, neanche per un secondo. Non potremmo agire diversamente, neanche se lo volessimo.» Fece una pausa, per far sedimentare le sue parole, poi riprese: «È come se fossimo stati privati sin dalla nascita di metà della nostra vita, dal momento che le nostre azioni possono andare solo in una direzione. E non vale solo per ciò che facciamo, ma anche per ciò che conosciamo, ciò in cui crediamo. È per questo che io non potrei avere paura di te, né tu potresti comprenderne il motivo … Non ancora, almeno.» Fissò il suo sguardo limpido negli occhi di lui, cercando di trasmettere tutto il trasporto emotivo racchiuso in quel racconto. «Era destino che ci incontrassimo, ad un certo punto della nostra vita, perché in questo modo ci viene data l’opportunità di colmare la “parte mancante”. E l’occasione è stata colta, fortunatamente. Quando questo incontro avrà dato i suoi frutti, noi rinasceremo, cominceremo a vivere davvero la nostra vita, fatta di scelte e di conoscenza. Di Bene e di Male, perché in fondo è di questo che si tratta.»
Tutte quelle nuove informazioni, se così si potevano definire, rischiavano di sopraffarlo. Il sintetico discorso della ragazza si portava dietro tanto su cui ragionare, ma con la mente vacillante di quel momento non sarebbe riuscito a metabolizzare le implicazioni e le conseguenze che comportava. Il nocciolo fondamentale però non sarebbe potuto risultare più chiaro. E forse era il fatto di aver capito a confonderlo ancora di più. «Tu … tu mi stai dicendo che … - quasi boccheggiava - … che c’è altro, oltre questo, anche per me? Che la soluzione a tutto è un incontro, con te?» sputò fuori, infine, alzandosi e indietreggiando verso la finestra. Non era certo di volere, di potere acconsentire a ciò che la ragazza gli aveva implicitamente chiesto. Lui avrebbe proseguito nella sua vita di prima, perché così aveva sempre fatto e così gli era sempre bastato. Tutto il resto era privo di senso.
«Sembra assurdo, ma se ci conoscessimo … » provò a spiegare lei.
«Tu non sai quello che dici!» esclamò, interrompendola. Ormai giunto alla finestra, si voltò, mettendo un piede sul davanzale. «Quelli che mi conoscono, beh … Non vuoi far parte della mia vita, credimi.» Saltò giù e in un attimo sparì in strada. Lei si precipitò a guardare fuori.
«Io ho bisogno di te ... E tu hai bisogno di me …» gridò nella fredda oscurità della notte.
 
***
 
Per giorni aveva seguito quella percezione che le permetteva di rintracciare l’uomo, tanto da affinarla quasi alla perfezione e renderla una specie di sesto senso. Non sapeva se anche lui possedesse tale abilità, se anche lui potesse percepirla nelle vicinanze, e si domandava se fosse questo a tenerlo a distanza da lei. Sentiva infatti la sua presenza, ma non riusciva mai a vederlo veramente. Dovette rassegnarsi a lasciargli messaggi scritti, segnali di ogni tipo, che per giorni vennero puntualmente ignorati. Non demordeva. Perseverava nel cercarlo, perché ormai aveva imparato anche a individuare i segnali della sua attività. Riconosceva i suoi clienti dalla loro aria di noncuranza che mal celava una reale ansia e trepidazione, dai loro gesti nervosi, dalla loro fretta di raggiungere l’estrema periferia, dove un vecchio e nodoso albero in mezzo a un campo incolto fungeva da punto di incontro, mai diretto, ma sempre mediato da messaggi. I tentativi di raggiungere lui tramite loro però si rivelavano sempre vani.
Ebbe persino modo, suo malgrado, di vedere un paio di vittime poco prima che finissero nelle sue trappole. Prendere consapevolezza del triste destino di quelle persone era un dolore lancinante al petto, uno squarcio nel cuore che le provocava sofferenza ma le permetteva di cominciare ad aprire gli occhi sulla sua “parte mancante”. Fiumi di lacrime accompagnavano quei momenti, lacrime amare perché il Male la distruggeva, e lacrime dolci perché finalmente poteva provare ciò che non aveva mai immaginato prima.
Fu una sera, quasi un mese dopo, a segnare la svolta. Aveva il turno di notte alla Casa di Cura e uscì ben oltre l’orario di cena. Faceva parecchio freddo – dopotutto era ufficialmente inverno – e nuvolette di vapore si spandevano di fronte al suo viso al ritmo del suo respiro. Com’era prevedibile, non c’era molta gente nelle strade, solo qualche commerciante che si attardava a chiudere il negozio e gli avventori diretti alle loro solite locande. A pochi isolati dalla Casa di Cura tornò il silenzio assoluto, interrotto solo dai passi leggeri della giovane donna. Ormai aveva fatto l’abitudine a rimanere vigile e attenta ai rumori e movimenti circostanti e non le sfuggì un fruscio in un vicolo alla sua destra, seguito da un gemito soffocato, che le fece drizzare ancor più le orecchie. Si avvicinò in fretta, ma silenziosa, all’angolo della strada e la solita percezione si accese, vivida e inconfondibile. Osò addentrarsi nel vicolo, fino a scorgere la figura di un uomo in piedi, appena illuminato dalla luce della luna che giungeva dall’alto, sopra gli edifici intorno. Sembrava piuttosto malconcio, come immobilizzato, e la ragazza fece per corrergli incontro, quando lui si voltò e quasi in un rantolo affannoso la implorò di aiutarlo. Solo allora lei vide chi lo stava tenendo fermo, anche se non ne avrebbe avuto alcun bisogno. Il suo volto semi-oscurato non lasciava trapelare alcuna emozione, mentre la sua mano ferma si strinse attorno alla gola del malcapitato.
Anche lui quando la vide ebbe un tuffo al cuore. Per un mese era riuscito a evitare quel suo sguardo indagatore. Sapeva che lei non si era data pace, aveva visto tutti i suoi segnali e si era costretto a ignorarli, convinto che l’intera faccenda sarebbe sfumata da sé, una volta riconosciuta la sua insensatezza. Eppure, la ragazza era lì, l’aveva finalmente colto in flagrante ed era insopportabile per lui quell’idea, ancor più perché si trattava di lei. Strinse la presa sul collo di quel miserabile, che cominciò ad annaspare.
«Lascialo andare … – la sentì singhiozzare, in lacrime – … ti prego» la vide avvicinarsi lentamente con una mano protesa in avanti e l’altra stretta sul petto. Sembrava sofferente, molto sofferente. Lui non riusciva a muoversi e non ne capiva il motivo. «Non dovresti essere qui. – mormorò – Non devi vedere nulla di tutto ciò! Devi andare via!» Ma lei era già arrivata a toccargli il braccio che bloccava il malcapitato e a quel contatto, involontariamente e inconsapevolmente, qualcosa dentro di lui cedette. Scagliò via la sua vittima, sulla quale si precipitò la donna, e si portò entrambe le mani alla testa, martellata da fitte pulsanti.
 «C-che cosa mi stai facendo?» sbraitò, ormai fuori di sé. Impugnò lo stiletto e si diresse verso l’uomo disteso a terra per sferrare il colpo letale, ma lei gli si parò davanti, sempre più sconvolta dal pianto.
«Non devi farlo, non stasera, non davanti a me! Il dolore passerà, prima o poi, ma solo se inizi troverai la via d’uscita!» L’uomo però proseguiva implacabile verso il suo obiettivo, ignorando le pulsazioni alla testa e la resistenza e le suppliche della ragazza. Lei afferrò il braccio che brandiva l’arma, nell’estremo tentativo di bloccare quell’azione, ma venne strappata e spinta via, finendo in disparte. Per lei fu come ricevere di persona la pugnalata che mise fine alla vita del povero disgraziato e si accasciò a terra, semi-svenuta. Sentì a malapena l’uomo mormorare: «L’hai detto tu che non possiamo opporci alle azioni che compiamo. Non avresti potuto impedirmelo. Per il tuo interesse, dimentica tutto e torna alla tua vita normale.»
 
***
 
Che cosa mi sta succedendo? L’uomo non faceva altro che domandarselo da giorni, da quella sera nel vicolo, quando la testa aveva preso a tormentarlo con fitte e pulsazioni continue. Il dolore incessante, a volte intenso a volte ridotto a un semplice fastidio, che pur sempre persisteva, non gli permetteva di mantenere la lucidità, dote fondamentale nella sua attività. Commetteva errori. Piccole sviste che rischiavano di costargli caro, che lo costringevano a fare il lavoro sporco. E lui odiava il lavoro sporco. Come se non bastasse si sentiva anche peggio, dopo. E poi le domande, le mille domande senza risposta gli offuscavano la mente, lo mandavano in confusione. Trascorsa neanche una settimana, stava letteralmente impazzendo. Inconsciamente, si recò nell’unica casa in cui fosse entrato con il consenso del proprietario.
Vide la ragazza sobbalzare mentre entrava bruscamente dalla finestra e non poté fare a meno di notare quanto fosse cambiata nell’aspetto: era più pallida, più magra, il viso quasi scavato, e lo sguardo prima così limpido e innocente era velato da una patina di angoscia e dolore. Di certo, anche lei aveva trascorso giorni difficili, ma a differenza sua, manteneva quel portamento di determinata sopportazione, nella consapevolezza che avrebbe trovato la via d’uscita, qualsiasi fosse la sofferenza che era costretta a subire in quel momento. Lui invece non aveva voluto accettare quella condizione nuova, che lei stessa gli aveva presentato, e ora ne pagava le conseguenze.
«Che cosa mi sta succedendo?» farfugliò, con il fiatone. Il mal di testa lo tormentava, non ragionava più, agiva d’istinto, e così fece anche allora. «Che cosa mi stai facendo?!» gridò, portandosi barcollando vistosamente sempre più vicino alla ragazza, che tentava di indietreggiare trovando immediatamente l’ostacolo della parete. L’uomo le fu addosso, ansante e in preda al panico provocato dalle fitte alla testa. La teneva contro il muro con un braccio premuto sul petto e sul collo. Voleva che il mal di testa sparisse. Voleva risposte. Non l’avrebbe lasciata un secondo prima, non importava quanto lei piangesse.
«Lo so che sei tu a farmi questo! Devi farmelo passare, hai capito?» la sua voce era minacciosa, ma lasciava trapelare, come i suoi occhi, una disperazione a cui tentò di appigliarsi la ragazza.
«Ti ho detto tutto quello che sapevo … – disse, tra i singhiozzi – se dipendesse da me, ti aiuterei. Non desidererei altro, ma con te non funziona, te l’ho spiegato … »
«Non ti credo!!» gridò ancora più forte, mentre con un gesto rapido estrasse il pugnale dal fodero alla cintura. Appoggiò il piatto della lama sulla guancia della giovane donna e per la prima volta vide paura nel suo sguardo. Questo avrebbe dovuto rassicurarlo, eppure ciò non avvenne, anzi, accrebbe la sua incertezza. Lei che non aveva mai vacillato prima, ora era lì terrorizzata e la sua vita era nelle sue mani.
«Avanti, parla! – le intimò, senza più sapere con esattezza che cosa volesse sentirsi dire – O lo faccio!» Aveva istintivamente fatto scivolare il pugnale sulla gola, in quel punto familiare dove sapeva che con un gesto secco avrebbe potuto recidere la giugulare. Una stilla di sangue colò per via della leggera pressione esercitata sulla lama. Il silenzio era tale che si potevano sentire i battiti frenetici dei cuori. Il petto di entrambi si alzava e abbassava al ritmo veloce del respiro, gli sguardi fissi l’uno nell’altro non osavano volgersi altrove neanche per una frazione di secondo. All’improvviso l’espressione di lei mutò, tanto da destare stupore. La paura sparì, sostituita da un nuovo coraggio, una nuova energia.
«Fallo, allora, uccidimi!» esclamò. Portò addirittura una mano sul polso dell’uomo che stringeva l’arma, quasi a volerlo aiutare a compiere quell’azione. Lo colse del tutto impreparato. Lo mise ancora più in crisi. «Che aspetti? – lo incalzava – Così mostrerai che avevo torto, che niente di quello che ho detto ha senso, che tu puoi essere solo Male ed io solo Bene». Aveva deciso di porre fine alla sua vita e si stava servendo di lui per portare a termine la sua volontà? Era forse pronta a morire? Certo che no. Non ora che finalmente si era affacciata alla parte mancante, che poteva iniziare a pregustare quella che aveva sempre chiamato una “vera vita”. Sapeva che lui avrebbe ceduto, sapeva che non avrebbe potuto ucciderla, sapeva che era tormentato dai dubbi. Ma non poteva ragionare con lui, così decise di porlo direttamente e brutalmente di fronte al dilemma, per far crollare definitivamente i muri delle incertezze ma facendo in modo che il controllo fosse apparentemente nelle mani dell’uomo. Come si era aspettata, il piano funzionò. La mano armata cominciò a tremare, la presa si fece sempre più blanda, fino a svanire del tutto.
L’uomo si accasciò a terra lasciandosi andare a un pianto liberatorio e carico di significato. Perché, cedendo, aveva implicitamente ammesso che la ragazza aveva ragione, che credeva alla sua storia di Bene e di Male, che finora aveva vissuto a metà. Ma ora era lui ad essere terrorizzato. Terrorizzato del suo losco passato e delle terribili azioni che aveva compiuto, dell’ignoto futuro che lo attendeva, terrorizzato della paura stessa. Si vide perso, abbandonato a se stesso e alla disperazione. Ma poi sentì il calore dell’abbraccio della ragazza, un’emozione unica mai sperimentata prima, una sensazione piacevole e confortante, come il suono delle sue parole che risuonarono nella sua mente più che nelle sue orecchie.
«Le fitte di dolore sono le manifestazioni della tua parte mancante. Più la respingevi, più si intensificava. Non svanirà del tutto subito. Ci vorrà tempo, e ci vorrà pazienza. Dovrai imparare a conoscerla poco alla volta, e mettere in pratica ciò che impari. Trovare, insomma, quella che mia nonna definiva la “via d’uscita” verso la vita completa, la vita vera.» Fece una pausa. «Sarà dura … per entrambi»
No, non era solo, non lo era mai stato da quel fatidico primo incontro.
 
***
 
È arrivato subito, dopo la chiamata di lei, silenzioso come un’ombra e incuriosito più che mai. Gli si stringe il cuore a vederla allontanarsi così in fretta, contro ogni aspettativa. Sì, il cuore. Era stata lei a scoprire che anche lui ne possedeva uno, seppur coperto da uno spesso strato di polvere. Riesce a resistere alla forte tentazione di seguirla, come sempre, senza farsi notare. Fa per voltarsi, domandandosi il motivo di quella misteriosa chiamata, ed è allora che lo vede. Sarebbe passato inosservato ai più, ma non al suo occhio vigile e osservatore, come lei ben sa, un biglietto, incastonato in una fessura del vecchio albero, sicuramente suo. Con delicatezza lo sfila da quel nascondiglio. “Per te” riporta scritto all’esterno. Poi distende il foglio e inizia a leggere, con un accenno di esitazione.
 
“Potrei dire di aver avuto una vita normale? Sì, potrei certamente: non si può negare che lo sia stata, almeno fino a un certo punto. Ma, ora, sono sicura di voler affermare di aver avuto una vita normale? Col senno di poi, dico assolutamente no. Quante volte mi è stato detto, alla luce dei miei dispiaceri, di non tenerli in considerazione, di ‘dimenticare’. Il punto è che mi sono sempre convinta del fatto che se mi succedono certe cose, sicuramente ha un significato e ‘dimenticare’ sarebbe soltanto la presunzione di ritenermi superiore alla natura o a qualsiasi ente sia l’autore del nostro destino. Con ciò non voglio in alcun modo invitare a rimanere passivi: una vita è veramente vissuta quando siamo stati noi a costruircela, in base a quello che era giusto per noi.
Io ho costruito consapevolmente ogni istante delle ultime settimane. Ed è per questo che ricorderò per sempre la mia vicenda, per quanto strana, inspiegabile, dolorosa a volte. La ricorderò perché dietro a ogni aspetto negativo bisogna sempre trovare il risvolto positivo e cogliere l’insegnamento o semplicemente il piacere che ci offre. Troppo facile dimenticare, troppo facile lasciarsi tutto alle spalle. Quello che ho sempre voluto è mettermi alla prova, affrontare problemi e difficoltà al massimo delle mie capacità. Mai cedere, mai arrendersi. Se ti fermi sei finito.
Io non sono perfetta, come tu credi. La perfezione non esiste nel mondo reale. E io non sono perfetta. Al contrario, sono di quanto più imperfetto esista al mondo, in quel mondo che tutti conosciamo. Tu ne sei la prova. Se fossi perfetta, perché ti avrei notato, perché ti avrei cercato? Se fossi perfetta, che cosa ci farei in questo mondo dove ci sei anche tu? Ebbene, abbiamo vissuto fianco a fianco e siamo sopravvissuti grazie alle nostre imperfezioni. E anzi, ti stupirà sapere che grazie a te ho capito molto su di me.
Mi hai insegnato che quando si vede tutto da una prospettiva diversa, dall’alto, dall’esterno, tutto sembra più chiaro ed è così che finalmente io mi vedo ora, chiara. Non è sempre stato così. Dall’interno infatti tutto mi appariva più confuso, offuscato. Lottavo per cercare una via d’uscita e penso di averla trovata. La si trova sempre, presto o tardi. Basta non cedere, non lasciarsi andare. 
Per te il discorso potrebbe essere differente. Tu non hai bisogno di trovare la luce, ed è così affascinante per me immaginare che ci sia qualcuno che avvolto nelle tenebre trova il suo massimo conforto, la sua casa. La tua via d’uscita non è all’esterno, ma all’interno, e la troverai solo se sarai disposto a scavare, addentrarti nel più profondo del tuo cuore, in un’oscurità che potrebbe spaventare persino te. Mi piace pensare che ce la farai, che non mi deluderai.
Era destino che ci incontrassimo, che condividessimo una parte di cammino, per sostenerci l’uno nella scoperta dell’altra, ma una volta completato questo compito, per così dire, il destino fa divergere le nostre strade, lasciandoci alle nostre scelte individuali, alle nostre vite, finalmente. Forse sarà difficile, forse sarà un sollievo, solo ciascuno di noi lo può dire di se stesso. Eppure, è inevitabile. Ci basterà ricordare il passato e sapere quanto abbiamo fatto l’uno per l’altra.
Ti auguro il meglio
Addio”
 
Solleva gli occhi dal foglio per scrutare in lontananza. Finalmente, dopo tanto tempo, non ha dubbi su quello che farà. Si incammina lentamente, quasi senza pensare, nella direzione indicata dalle impronte sulla neve. Sorride, per la prima volta. Sorride perché gli piace la sensazione che dà compiere le proprie scelte consapevolmente. E la sua prima vera scelta sarà lei.




 

* L’angolo delle riflessioni *
Ciao a tutti! Innanzitutto vorrei ringraziare tutti i valorosi lettori che sono giunti fino alla fine di questa mia prima storia e spero vivamente che vi sia piaciuta. Ho deciso di ritagliarmi questo piccolo spazio in calce per spiegare l’idea che ha ispirato i personaggi: siamo soliti pensare – così ci insegnano, così siamo abituati – che in ogni (e dico ogni!) situazione il Bene debba sconfiggere il Male, senza soffermarci a riflettere sul fatto che il Bene senza il Male non potrebbe esistere. Insomma, per farla breve senza troppi ghirigori filosofici, ho voluto in qualche modo rivalutare il Male – senza in alcun modo giustificarlo, ovviamente – semplicemente come esistente nel mondo così come il Bene. Niente può mai essere tutto bianco o tutto nero e i nostri personaggi nel corso della storia ce lo dimostrano.
Spero di essermi spiegata a sufficienza, non sempre è facile con queste tematiche delicate. Accetterò volentieri qualsiasi commento o critica costruttiva che vi sentiate di scrivere e non esitate a fare domande!
A presto, un saluto
A.G.
   
 
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