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Autore: BabaYagaIsBack    19/09/2017    1 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo Dodicesimo

Sconosciuti
parte prima

 

"I think about you every single day
And every time I see your face, I wake
And it brings me to tears
We hadn't spoken in years

We were close when we were young and naive
We grew up and we learned other things"

-Amelia (Tonight Alive)  

 

Alexandria avvertì le gambe cedere davvero stavolta. Se non fosse stato per la mano di Levi ancorata alla sua schiena sarebbe crollata a terra senza forze, incapace di contrastare il peso della gravità. 
A destabilizzarla tanto però non era il dolore alla bocca dello stomaco, piuttosto quelle quattro lettere, quel nome che sapeva essere corretto, ma che, purtroppo, aveva un ché di terribilmente sbagliato per le sue orecchie.

Quello era Salomone, non Noah - eppure non riuscì a dirlo, come se le labbra le fossero state cucite insieme. 

Avrebbe voluto avere anche lei la lucidità del fratello, la capacità di distinguere ciò che aveva davanti da ciò che sentiva dentro. Le sarebbe piaciuto poter vantare altrettanto sangue freddo da riuscire ad agire, reagire, ma sfortunatamente non aveva idea di cosa fare di fronte a quegli occhi, a quello sguardo, a lui. Era pietrificata dinnanzi alla sua presenza, alle sensazioni che la stavano assalendo e non riusciva a fermare.

«Hey... wir suchen Noah, Noah Dietrich» la voce di Levi stavolta suonò cristallina, alta. Nel suo tono si poté udire qualcosa di diverso, una nota particolare, della speranza - e Z'èv a quel punto rinsavì, sentendosi stringere il cuore. Nonostante temesse quell'emozione non riusciva a scacciarla dal proprio petto; non importava quanto il suo sesto senso le stesse gridando a gran voce di non abbassare la guardia, di restare in allerta, qualcosa in lei si stava aggrappando a quel suono.

Il giovane davanti a loro sussultò sullo sgabello, ridestandosi da una sorta di trance, e il suo sguardo improvvisamente si fece meno intenso, anonimo. Fu come assistere a una trasfigurazione e, al cospetto di quel cambiamento, il respiro di Alexandria si bloccò. D'un tratto la magia in cui si era ritrovata coinvolta sembrò spezzarsi, il sigillo smettere di bruciare e la realtà colpirla con violenza, facendola arretrare di un passo.

Nakhaš non parve accorgersi di quella ritrazione, la sua attenzione era solo ed esclusivamente rivolta al ragazzo seduto al pianoforte. Non c'era nulla, in quel momento, in grado di distrarlo da quel tizio - eppure lei avrebbe voluto strattonargli il braccio e dirgli di guardarla, perché colui che avevano dinnanzi non era il Re, o quantomeno non il loro. Forse Noah Dietrich non era l'hagufah di Salomone, ma piuttosto... un suo conoscente? Un allievo? Un parente? 
Ognuna di quelle possibilità avrebbe spiegato il motivo per cui sapeva suonare la ninnananna scritta per alleviare i loro incubi, quando i ricordi diventavano mostri ben più violenti di quanto potessero essere le Chimere stesse - oppure poteva averla sentita da qualche parte e memorizzata abbastanza da poterla riprodurre perfettamente.

A quelle supposizioni la testa iniziò a dolerle. Sentiva le tempie gonfie, bollenti e tutto ciò che aveva di fronte o aveva pensato fino a quell'istante improvvisamente divenne sbagliato, confuso, vacuo. Con amarezza pensò che essere andati sin lì fosse stata la peggiore delle idee, che si fosse fatta fregare nuovamente. Aveva riposto la propria fiducia in un fantasma e ora, quello spettro, le stava ricordando quanto fosse stata sciocca a cedere a Levi, ad assecondarlo in una simile follia - e non poteva permettersi il lusso di giocare, di credere in qualcosa che probabilmente non si sarebbe mai realizzato. Per Alexandria spezzarsi ancora una volta avrebbe significato non guarire più, perché tutti i colpi che aveva subito, i sacrifici a cui si era volontariamente offerta, la stavano riducendo in cenere.

Polvere alla polvere, non era forse stato scritto così nella Bibbia? Ebbene, se non avessero trovato Salomone, e se lui non avesse posato le proprie mani su di lei, presto quella sarebbe stata la sua fine - e ci sarebbe giunta prima di ottenere il perdono e la libertà desiderate.

Improvvisamente da sopra il palco lo sgabello si mosse, producendo un rumore stridulo. Il ragazzo che aveva suonato fino a qualche minuto prima si alzò piano, chiudendo la tastiera con premura, poi si voltò ancora una volta verso di loro. 
Persino da dove era, Z'èv, riuscì facilmente a cogliere ogni sfaccettatura del suo viso: la smorfia confusa che lasciava socchiuse le labbra carnose, la mascella lievemente contratta, ben delineata e incorniciata dal biondo dorato di qualche ciocca troppo lunga; le sopracciglia folte, corrugate e le lievi occhiaie che andavano a incupirne gli occhi - tutto in lui sembrava familiare e al contempo terribilmente estraneo, per questo se ne sentì ancor più repulsa.

«Ich bin es, aber würdest du..?»

Febbraio 1837, fuori Canterbury

Colette scosse la testa, stizzita. «Santi Numi! Sei così... giovane» le sue mani colpirono le cosce e il suono che ne derivò fu l'ennesima testimonianza dell'enorme disappunto provato. Dopo ore di ostinato silenzio aveva infine ceduto, non riuscendo più a restar zitta. Salomone, d'altro canto, non poté che sorriderle. Ormai era fatta, non si poteva tornare indietro - o quantomeno non subito -, quindi ci si sarebbe dovuta abituare esattamente come le volte precedenti e, alla fine, aspettare il prossimo corpo. 
«Temi che ti possano scambiare per mia madre?» L'espressione sul suo visino parve riempirsi sia d'innocenza che di malizia, andando a creare un evidente contrasto tra l'aspetto del momento e la natura che vi si celava dietro. Il modo in cui le labbra gli si tesero, o forse la strana luce nello sguardo, resero quel bambino ben diverso da qualsiasi altro.
Era il secondo hagufah che Alexandria gli vedeva cambiare, eppure, grazie a quella peculiarità, si stupiva nel non trovare alcuna differenza tra il contenitore precedente e quello successivo. Era sempre lui, anche se diverso. 
Per quel che la riguardava aveva conosciuto Salomone nei panni di un aitante nobiluomo danese, poco più che trentenne, poi lo aveva visto diventare un borghesuccio francese di mezz'età, ed ora se lo ritrovava davanti in forma di fanciullo che, per quel che ne sapevano, non doveva avere più di dieci anni - nonostante ciò però, il modo in cui il loro re lo vestiva, donava a quel corpo lo stesso fascino antico, misterioso e ancestrale dei precedenti.

Willhelmina soffocò una risata, ridestandola da quei pensieri. Coprendosi le labbra con una mano guantata provò a nascondere il viso, ma la cosa che le servì a ben poco, vista l'occhiataccia che le arrivò dalla sorella maggiore. 
Fu facile capire che il suo malumore stesse peggiorando. Agli angoli del viso infatti le spuntò qualche piccola piuma nera e, subito, si volse altrove.
Nonostante l'età, i trascorsi e tutte le privazioni a cui quella vita l'aveva costretta, Colette aveva sviluppato un odio profondo per i bambini, ancor più per l'idea di diventare madre. Qualcosa in lei sembrava ripudiare quell'aspetto dell'essere donna, ma Alexandria non ne aveva mai capito il motivo - e chiederglielo, a essere oneste, un po' la spaventava. Cosa c'era di più gratificante di dare la vita a qualcuno? Di condividere le proprie esperienze, la conoscenza con una creatura propria?
A Salomone, certamente, quella sensazione doveva piacere in modo assoluto, per lui doveva essere una vera e propria droga, un'assuefazione a cui faticava a rinunciare: altrimenti loro non sarebbero state lì - possibile che a Wòréb una cosa del genere non piacesse? Possibile che nemmeno la incuriosisse?

Accanto a sé la Contessa la udì brontolare qualcosa. Non riuscì a capire se fosse un insulto o solo l'ennesima lamentela, ma per evitare guai tornò a fissare l'orizzonte fuori dalla carrozza. 
Distese verdi si protraevano per miglia e miglia, affiancandosi a campi coltivati e, alle volte, a piccole cascine disperse nel nulla. Ovunque posasse gli occhi si ritrovava a scorgere paesaggi sconosciuti, paeselli di cui, forse, mai avrebbe conosciuto il nome e su cui l'ombra dell'industrializzazione avrebbe presto gettato le proprie tenebre - e inesorabilmente si chiese dove fossero Levi e Zenas in quel momento. Da quando avevano abbandonato Londra non si erano più fatti vivi, di loro nemmeno una traccia, solo una destinazione comune da raggiungere nel minor tempo possibile. 
Alexandria si domandò se avessero già trovato una nuova casa per tutti loro, oppure se stessero ancora cercando di depistare il Cultus che, come sempre, aveva mandato in frantumi la campana di normalità sotto cui si erano rifugiati e per cui, il Re, aveva dovuto nuovamente cambiare pelle.

D'un tratto, a spezzare quel silenzio e i pensieri che le stavano affollando la mente, tornò a farsi viva la voce di Salomone. Non si rivolse a Colette, men che meno a Willhelmina. Le sue attenzioni era tutte per lei, quasi la sua opinione contasse più di tutte le altre:  «E tu Alexandria, cosa ne pensi del mio nuovo hagufah?» 
Volgendosi appena, Z'év incontrò lo sguardo del bambino. Stava ancora sorridendo in quel modo ambiguo e, di tutta risposta, la sua mente sovrappose al visino di quell'istante quello dell'uomo che aveva incontrato sulla strada per Innsbruck anni prima. 

«Un corpo vale quanto un altro, quando si parla di te.»

Vienna, giorni nostri

Un corpo vale quanto un altro, quando si parla di te, eppure di fronte alla confusione di quel ragazzo le sembrò non essere così. Forse Noah poteva avere uno sguardo simile a quello del suo Re, ma di Salomone per quel che la riguardava non c'era altro. Guardandolo dall'alto degli spalti, Alexandria non riuscì a sovrapporre i visi degli hagufah precedenti al suo. Più l'osservava e meno la sua espressione sembrava rassomigliare la mimica dell'uomo che lei aveva conosciuto e a cui si era votata. Non importava quanto si sforzasse di trovare similitudini, in modo d'assecondare la follia di Levi,  quello che avevano davanti non era il melekĕ.
Non era nessuno, a dire il vero, solo un altro umano qualunque.
Sarebberp potuti restar lì ore e giorni, ma lui non li avrebbe mai riconosciuti. Probabilmente nemmeno sapeva chi fosse Salomone, il grande Re d'Israele, o avesse qualche nozione d'alchimia; certamente dalla sua bocca non sarebbero mai uscite parole quali mishepakhah, mifelatsott khaye netsakh - anzi, non sarebbe mai uscito nulla in ebraico.

Era giunta sin lì per... una chimera, sì. Si era lasciata illudere da Levi di poter rimettere insieme i cocci della loro meravigliosa campana di vetro, redimendosi, ma alla fine si stava ritrovando punto e a capo - tra le mani Z'év aveva solo polvere.

Con la coda dell'occhio vide il fratello fare un passo in avanti, cercare di diminuire la distanza tra sé e il falso Re e, d'istinto, gli afferrò un polso. Strinse così tanto sulla sua pelle che per un istante le sembrò di essere sul punto di diventare un tutt'uno con lui, ma poi Nakhásh si volse, fulminandola con lo sguardo. 

«No...» sibilò, supplicandolo di fermarsi e darle retta, di non cadere in trappola - eppure lui parve restio.
«Levi, io non... non credo dovremmo essere qui» e a quelle parole, o forse di fronte alla sua voce tremante, il fratello sembrò rinsavire. Battendo le palpebre il Generale fu come colto da una rivelazione e, addolcendo la smorfia, smise di fare resistenza.
«Che stai blaterando? Lui è -»
Ma Alexandria non gli permise di finire. Sgusciando al suo fianco tornò a rivolgersi al giovane sul palcoscenico: «Entschuldigung für die Unterbrechung, wir wollten nur den Namen eines so guten Pianisten wissen. Wirklich herzlichen Glückwunsch!» poi con un sapore terribilmente amaro in bocca fece qualche passo indietro. 

Gli occhi di Levi si fissarono nei suoi. Mutamente le stava chiedendo di fermarsi, di spiegargli, ma lei non si vacillò nemmeno di fronte alla sua mera resistenza. 
«Khaki, akhòt!» I piedi di lui per un istante parvero incollarsi al pavimento. Non importava quanto lei tirasse il suo polso, il Generale restava immobile: «Ani tsarikhe lidevar ito.»
«Lo, atah lo tsarikhe. Lo 'akheshav.»
La strattonò. Il movimento fu così inaspettato e repentino che Z'év non riuscì a impedirgli quella fuga, barcollando all'indietro e finendo a sbattere con la schiena contro la porta. La maniglia le picchiò al centro della colonna vertebrale e, seppur lieve, avvertì del dolore.
«Zeh ett hamelekhe sheli, akh sheli.»
A quelle parole si aggrappò alla manetta che l'aveva pugnalata. Un fastidio profondo e inspiegabile prese a crescerle dentro, a farle stringere lo stomaco. Perché non si accorgeva dell'errore? Perché si stava ostinando a credere a una menzogna? Perché preferiva credere che un perfetto sconosciuto fosse suo fratello mentre a lei, la persona con cui aveva convissuto per secoli, non riusciva a dar fiducia? Per quale, stupido motivo, Levi non voleva ascoltarla?

Si morse la lingua. I canini appuntiti minacciarono la carne fino a riempirle la bocca di un sapore ferroso, poi sputò: «Okay» scosse piano la testa: «Az tishaer 'im rukhott harefaim shelekha, Levi Nakhásh» disse infine, lanciando un'occhiata torva appena oltre le spalle di lui, su quel ragazzo che ancora non aveva smesso di osservarli - e poi, senza alcuna esitazione, abbassò la maniglia per correre via.


 

Hey ... wir suchen Noah, Noah Dietrich: ehi... stiamo cercando Noah, Noah Dietrich (tedesco)
hagufah: corpo
Ich bin es, aber würdest du...?: sono io, ma voi sareste...? (tedesco)
Wòréb: corvo
Melekĕ: Re 
Mishepakhah: famiglia
Mifelatsott: chimere
Khaye netsakh: vita eterna
Entschuldigung für die Unterbrechung, wir wollten nur den Namen eines so guten Pianisten wissen. Wirklich herzlichen Glückwunsch!: Scusa l'interruzione, volevamo solo sapere il nome di un pianista così bravo. Davvero, complimenti! (tedesco)
Khaki: aspetta
Ani tsarikhe lidevar ito: devo parlare con lui
Lo, atah lo tsarikhe. Lo 'akheshav: no, non devi. Non ora.
Zeh ett hamelekhe sheli, akh sheli: Lui è il mio Re, mio fratello.
Az tishaer 'im rukhott harefaim shelekha: allora resta con i tuoi fantasmi.

 

   
 
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