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Autore: Napee    19/09/2017    6 recensioni
***Storia partecipante al contest dei cliché indetto sul gruppo fb "Efp:famiglia recensioni e consigli"***
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“Numero 634 nelle tue vicinanze”
Corrugò le sopracciglia confuso.
Il 634 era da sempre un obbiettivo irraggiungibile, come mai adesso stava nelle sue vicinanze?
Chi era?
Era in quel locale?
Si guardò un po’ attorno con circospezione, studiando attentamente i presenti, alla ricerca di un possibile individuo sospetto, ma intorno a lui vi erano soltanto bevitori incalliti e danzatori dalle dubbie abilità.
Era inutile tentare di completare l’incarico, tanto non sarebbe riuscito comunque, constatando le pietose condizioni in cui versava.
Genere: Azione, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cliché: J è il classico casanova che riesce a rubare il cuore di tutte le donne. Con gli amici fa una scommessa e entro un mese deve conquistare K. K non ha la minima intenzione di cedere.


 
634
 
 
Jason varcò la soglia dello sgabuzzino trafelato, con i capelli scuri scarmigliati, i vestiti completamente in disordine e con una chiazza rossa di rossetto che svettava impunemente sul suo collo bronzeo.
La patta dei pantaloni era ancora completamente abbassata e vi si poteva chiaramente scorgere il tessuto dei boxer celesti –macchiati sul davanti di chissà che cosa- che coprivano le sue parti intime.
Un sorriso soddisfatto adornava le sue labbra, mentre si dirigeva  senza pudore verso l’ufficio del suo migliore amico.
Dietro di lui, la segretaria del direttore, sgattaiolava in punta di piedi verso il bagno delle signore.
I capelli biondi platino raccolti in uno chignon scomposto, il rossetto completamente sbavato e la gonna alzata fino a metà coscia non lasciavano dubbi su ciò che si era appena consumato nell’angusto sgabuzzino.
Jason estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni, lo sbloccò e scorse frettolosamente con le dita sullo schermo, alla ricerca di un video ben preciso.
Varcò la soglia dell’ufficio del suo collega trionfante e, incurante di tutto, schiaffò il telefono sulla sua scrivania, sopra quel cumulo di documenti che attendevano soltanto di essere visionati.
“Mi devi un fiume di birra.” Esordì infine con un sorrisetto birichino stampato sulle labbra.
Il collega acciuffò il telefono e guardò Jason con aria confusa.
“Ma cosa…?”
“Premi play.” Spiegò brevemente Jason liquidandolo con un gesto annoiato della mano.
Prese posto su una delle poltroncine in pelle scura collocate dinnanzi alla scrivania, mentre l’audio del video riempiva la stanza di gemiti sconci e parole sconnesse.
“Non ci credo!” Strabuzzò gli occhi il collega, scatenando l’ilarità di Jason.
“Ebbene sì… te l’avevo detto che la mia tecnica è infallibile, James.” Sogghignò stravaccandosi maggiormente sulla poltroncina in pelle pregiata.
“Sei un mito! Non so come tu abbia fatto, ma hai tutta la mia stima!” Esultò l’altro aggirando la scrivania per restituirgli il cellulare.
“Ti sei proprio meritato la birra, amico! Stasera, da Ross!”
“Ci sarò. Fammi sapere se vuoi che vinca qualche altra scommessa!” Lo derise Jason passandosi una mano fra i capelli disordinati.
Si alzò pigramente dalla poltroncina sistemandosi alla bene e meglio i pantaloni in modo che almeno stessero allacciati in vita.
“Oh no signore! Dopo questa non ci casco più, hai finito di scroccarmi birre mio caro!”
“Peccato… iniziavo a prenderci gusto.”
“Non ne dubito,  il mio conto da Ross sta somigliando sempre di più al montepremi della lotteria!”
Jason si stiracchiò le braccia alzandole verso l’alto e sbadigliò sonoramente esausto.
“Adesso scusami, ma vado a darmi una sistemata prima che arrivi il capo.”E così dicendo, si congedò con un saluto accennato della mano.
 
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Trangugiò la sua birra con gusto, mentre il sapore amarognolo gli deliziava le papille ed il liquido fresco gli donava un po' di refrigerio.
James lo guardava divertito, con un sorrisetto sornione stampato sulle labbra sottili.
Si passò una mano fra i biondi capelli riccioluti, mentre ripensava al video di quella mattina, ancora incredulo come la prima volta che lo aveva visto.
“Dunque sei riuscito a fare l’impossibile…” bisbigliò fra sé e sé rivolgendo all’amico soltanto un’occhiata fugace.
“Già.” Fu la laconica risposta di Jason.
Non amava più parlare delle sue conquiste, soprattutto se non v’era niente per cui vantarsi.
Quella con la segretaria cinquantenne era stata solo una sveltina per vincere una stupida scommessa.
“Come ti senti?” Chiese James mangiando i salatini offerti dal barista, quasi come se fossero popcorn dinnanzi ad un bel film.
Jason sospirò pigramente.
“Stanco. È stata una lunga giornata…” provò a lasciar correre con una risposta vaga, ma l’occhiata scocciata ed eloquente del biondo gli fece intuire la sua insoddisfazione.
“Non così entusiasta come credi.” Esordì infine sospirando.
“Perché?”
Per quanto ancora avrebbero dovuto parlare di quello che aveva fatto?
Fece per allungare la mano verso i salatini, ma James fu più lesto e glieli sottrasse da sotto al naso giusto un attimo prima che li potesse acciuffare.
“Hey!”
“No. Prima i dettagli sconci e poi i salatini.” Dichiarò il biondo con aria fintamente solenne, ricevendo in risposta un’occhiata scocciata quanto eloquente.
“Va bene… non è stato come credi…Era tutta apparenza quel suo comportamento pomposo ed insopportabile, faceva finta di essere inarrivabile, in realtà mi è quasi saltata lei addosso.”
“Davvero?” Chiese sconvolto James sgranando gli occhi. In risposta, Jason sbuffò ancora.
“Sì, mi è bastato farle qualche complimento casuale.
Tipo che aveva una bella camicia o che aveva pettinato particolarmente bene i capelli quel giorno.
Poi al primo momento che siamo rimasti da soli, le ho sfiorato la mano con naturalezza e lei mi è praticamente saltata addosso. Fine della storia, posso avere i miei salatini?”
James annui e ripassò il ciottolino di vetro all’amico.
“Sei incredibile…” bisbigliò fra sé e sé sorseggiando la sua birra chiara con calma, lasciando che il liquido fresco lo ristorasse.
Poggiò pesantemente il bicchiere sul bancone e fece cenno al barista di riempirlo nuovamente.
“E con questa siamo a…?”
“Nove. Sei in ufficio e tre rimorchiate qui al bar.”
James osservò il barista versare quel liquido dorato nel bicchiere, sorridendo incredulo per l’ennesima volta.
“E ancora il tuo uccello pare inarrestabile.” Commentò sarcastico, ricevendo in risposta un’occhiataccia offesa mentre il barista passava a riempire nuovamente anche il bicchiere di Jason.
“Mi stupirei del contrario…” rispose il moro alzando il suo bicchiere verso l’alto a mo’ di brindisi.
“A te, il peggior scommettitore di questo mondo!”
“Al tuo uccello, che possa sempre essere in grado di alzarsi in volo!”
“Vaffanculo James!”
 
La serata trascorse allegramente e fiumi di birra scorsero per le loro gole, per la gioia immensa del barista ed il dispiacere del portafogli di James.
La gola iniziava a farsi sempre più arsa e chiusa, mentre un giro alla testa torturava le tempie di Jason.
“Vado a pisciare…” biascicò impastando le parole fra loro, mentre barcollava giù dallo sgabello incespicando più volte sui suoi stessi passi.
Rischiò di cadere più volte, una persino addosso ad un gruppetto d gente, e le risa divertite del suo collega ed amico giunsero prontamente a deriderlo.
“Guarda tu che stronzo…” bisbigliò fra sé e sé mentre finalmente riusciva a varcare la soglia del bagno degli uomini.
Abbassò la patta e si liberò nel gabinetto, cercando di rimanere eretto e non pisciare sul pavimento o, peggio, sulle sue scarpe.
Poggiò una mano al muro appiccicaticcio per aiutarsi in quella proverbiale impresa. Sembrava facile a dirsi, ma andare in bagno quando il bagno stesso girava intorno a lui, senza accennare a fermarsi, era più difficile di quel che sembrasse.
Barcollò all’indietro quando ebbe finito e inciampò sui suoi stessi passi.
Afferrò saldamente il lavandino per evitare di rovinare a terra, su quel pavimento che pareva fatto di gonorrea e sifilide, e si rimise eretto sulle sue gambe.
Già che c’era, passò le mani sotto l’acqua fredda sciacquandosele alla bene e meglio. Il sapone non c’era, ne avrebbe fatto a meno.
Imboccò la porta per uscire con decisione, rimettendosi in quel locale dalla nebbiolina perenne dovuta alle sigarette.
La musica pompava violenta nelle casse, stordendolo ed accentuando quel lieve mal di testa che aveva deciso di torturarlo.
“Bha… che palle… dov’è James?” Si chiese fra sé e sé aguzzando la vista, ma senza scorgerlo più ai loro posti al bancone.
Ispezionò il locale con lo sguardo e finalmente scrutò quella matassa informe di capelli biondi sulle poltroncine in eco pelle, quelle nell’angolo più buio ed isolato del locale. E non era solo.
“Guarda, guarda…” rise fra sé e sé osservando la signorina al suo fianco che aveva tutta l’intenzione di divorarselo con gli occhi.
Lo raggiunse lentamente, urtando i danzatori sconclusionati che infestavano il locale senza un vero motivo, dato che non v’era pista da ballo.
Gli poggiò una mano sulla spalla e si abbassò alla sua altezza, per urlargli nell’orecchio un “me ne vado, divertiti!”.
Non fece in tempo neppure a voltarsi che James lo tirò per la manica della giacca.
“Non ci pensare nemmeno! La notte è ancora giovane!” Protestò il biondo, scrutandolo con occhi severi. Quasi come se gli avesse appena fatto un torto.
“La notte, sicuramente. Ma io non poi così tanto…”
“Dai, non fare il guastafeste! Guarda che ho trovato una ragazza anche per te!”
Jason rise divertito.
Non aveva certamente bisogno che James rimorchiasse qualcuna per lui… ma già che c’era…
Il cellulare vibrò improvvisamente nella sua tasca e Jason si apprestò ad acciuffarlo per controllare chi fosse a quell’ora indegna.
Un numero sconosciuto saltava in sovrimpressione con annesso un messaggio che mai si sarebbe aspettato di vedere:
“Numero 634 nelle tue vicinanze”
Corrugò le sopracciglia confuso.
Il 634 era da sempre un obbiettivo irraggiungibile, come mai adesso stava nelle sue vicinanze?
Chi era?
Era in quel locale?
Si guardò un po’ attorno con circospezione, studiando attentamente i presenti, alla ricerca di un possibile individuo sospetto, ma intorno a lui vi erano soltanto bevitori incalliti e danzatori dalle dubbie abilità.
Era inutile tentare di completare l’incarico, tanto non sarebbe riuscito comunque,  constatando le pietose condizioni in cui versava.
“Allora? La vuoi vedere?” Chiese James nuovamente, riportandolo alla realtà.
“Chi?” Chiese curioso e l’amico allungò l’indice in direzione di una ragazza che aspettava i drink al bancone.
La rossa chioma leonina le carezzava dolcemente la vita stretta fasciata nei jeans scuri. Parevano neri… o forse blu, ma quello che contava era quel culo fantastico che pareva parlare direttamente con lui.
Dal top scollato si poteva intravedere buona parte della sua schiena bronzea costellata di minuscole e deliziose lentiggini.
Non sembrava alta, anzi forse sarebbe arrivata giusto giusto alla sua spalla con quei tacchi vertiginosi che indossava ai piedi.
Non riusciva a vederla in viso, dato che era tutta presa dal suo cellulare, ma con un fisico così non gli importava poi molto della faccia.
“Wow…” bisbigliò fra sé e sé, mentre James si apriva in un sorrisetto sornione.
“Li conosco o no i tuoi gusti?!”
“Sì… decisamente! Come si chiama?”
James parve pensarci su un pochino, grattandosi la testa confuso.
“Zara… Zoraya… qualcosa di simile, non ricordo.”
Jason corrugò le sopracciglia sospettoso, spostando lo sguardo verso l’amico con fare agitato.
I capelli ribelli, la pelle lentigginosa, la bassa statura e quel nome strano.
Quante potevano corrispondere a quella descrizione?
“Non dirmelo. Si chiama Zaira?”
L’espressione di James mutò velocemente da confusa ed entusiasta, mentre un sorriso si aprì sulle sue labbra.
“Esatto! La conosci?” Chiese il biondo incuriosito, mentre Jason si passava nervosamente una mano fra i capelli scuri.
“Cazzo… purtroppo sì… senti, io me ne vado...”
“Ma non puoi darmi buca così! Ormai le ho detto di te!”
“E scazzale che non mi sentivo bene e sono andato a casa.”
“Vedo che non hai ancora perso il vizio di raccontare frottole, Jason” una voce femminile irruppe bruscamente nella conversazione, congelando il moro all’istante.
Un’imprecazione poco educata si fece velocemente strada nella sua mente, mentre, con proverbiale riluttanza, si costringeva a voltarsi verso la ragazza sfoggiando uno dei suoi sorrisi più finti e tirati.
“Hey… Zaira… quanto tempo!” Esordì a disagio passandosi nervosamente una mano fra i capelli.
“Già… sono passati esattamente sei anni, se non ricordo male, e vedere la tua faccia da stronzo mi fa incazzare ancora, esattamente come allora!”
Jason non fece in tempo a replicare che l’intero vassoio di drink, bicchieri compresi, gli fu scaraventato in faccia con una ferocia inaudita, mentre, intorno a lui, gli schiamazzi divertiti dei danzatori folli s’innalzavano sovrastando la musica caotica.
Cadde a terra scivolando su quei liquidi alcolici dei quali ormai era zuppo.
James lo raccolse prontamente ed insieme fissarono lo sguardo sulla ragazza rossa che si dirigeva a passo marziale fuori dal locale.
“Che è successo fra voi?” Chiese il biondo aiutando l’amico a prendere posto sulle poltroncine in eco pelle.
“Roba vecchia. Veniva all’università con me, era una secchiona obesa con gli occhialoni che non veniva mai cagata da nessuno.” S’interruppe riportando alla mente i ricordi di gioventù, quando lei era derisa da tutti per com’era, e li confrontò con la ragazza di adesso.
Se non fosse stato per quel nome particolare, non l’avrebbe mai riconosciuta.
“E poi?” lo spronò James, riportandolo bruscamente alla realtà.
“Mi sono comportato da stronzo con lei.
La prendevo in giro ogni giorno, nemmeno fossi uno stupido ragazzino delle medie, finché non scommisi con un amico che sarei riuscito a portarmela a letto.”
Chiuse gli occhi riesumando il ricordo di lei che, timidamente, si concedeva a lui nonostante le mille insicurezze, con quegli occhioni innamorati e sognanti.
“E ho vinto la scommessa. L’ho fatta innamorare di me e poi l’ho derisa davanti a tutti per il suo fisico. Ci sono andato giù pesante e ‘tricheco’ è il più carino degli epiteti con cui mi rivolsi a lei.”
Scese il silenzio fra i due, mentre James quasi stentava a credere alle sue orecchie.
“Non ti facevo un simile stronzo.” Commentò onestamente, sorseggiando la sua ennesima birra.
“Ero giovane, mi piaceva mettermi in mostra, anche a discapito degli altri.”
“E poi che è successo fra voi?” Chiese curioso James abbandonando il boccale ormai vuoto.
“Ha cambiato università e non l’ho mai più rivista...”
 
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Il caos regnava sovrano nel suo ufficio, dominando la stanza in un’inquietante silenzio, scandito soltanto dal regolare ticchettio dell’orologio.
Abbassò lo sguardo sui suoi piedi ed incontrò il mare di briciole e macchie che giacevano sul pavimento.
Se c’era una cosa che detestava al mondo, quelle erano proprio le formiche ed era bene non dar loro motivo di fargli una visita.
Camminò fino allo sgabuzzino incriminato, lo aprì ed acciuffò la scopa al volo.
Il suono dell’arrivo di un messaggio attirò la sua attenzione.
Prese il telefono dalla tasca e lo sbloccò: il solito numero sconosciuto lo avvisava che l’obbiettivo 634 era vicino a lui.
Corrugò le sopracciglia sospettoso. Che quell’obbiettivo fosse nello studio legale?
Che fosse un suo collega?
Ultimamente lo studio aveva fatto qualche assunzione, che fra i nuovi arrivati vi fosse anche 634?
Fece per voltarsi e tornare nel suo ufficio, ma proprio quando alzò lo sguardo verso la sua destra, una chioma rosso fuoco catturò irrimediabilmente la sua attenzione.
Capelli lunghi. Tanti capelli lunghi, ricci e color del fuoco che ricadevano blandamente sulle schiena e sulle spalle della ragazza.
Il tailleur blu scuro fasciava perfettamente il suo fisico minuto, ma ciò che lo rapì completamente, furono le gambe toniche che spuntavano dalla gonna.
I polpacci  svettavano fasciati dalle calze color carne dalle quali s’intravedevano blandamente alcune macchioline di lentiggini. Attorno alle caviglie sottili svettava il piccolo laccetto in vernice nera lucida delle alte décolleté che indossava.
Bella. Davvero una bella ragazza, forse una nuova collega.
“Zaira Colman, giusto?” Chiese l’attempata segretaria del capo, rivolgendosi direttamente alla giovane.
Jason impallidì all’istante.
“Oh merda…” imprecò fra sé e sé, lanciandosi all’interno dello sgabuzzino come se la sua stessa vita dipendesse da quello. E forse poteva anche essere così, considerata la reazione che aveva avuto la ragazza al bar.
Che diamine ci faceva lei lì?
Perché era allo studio?
Che stesse cercando lui?
Come sapeva che lavorava in quello studio?
Troppe domande e nessuna risposta.
Si morse il labbro inferiore, cercando di riordinare le idee.
La priorità in quel momento era riuscire ad uscire, raggiungere il suo ufficio e barricarvisi all’interno come se fosse una trincea.
Era appena sceso in guerra, e la sopravvivenza era il suo obbiettivo primario.
Aprì leggermente la porta dello sgabuzzino e spiò la situazione alla chetichella, senza farsi notare da nessuno.
E meno male! Figurarsi se i colleghi, o peggio –il capo-, lo avessero trovato in quello stato, in un angusto sgabuzzino a spiare una bellaragazza.
Si diede mentalmente dell’idiota. Perché diavolo si era nascosto lì?!
Prima o poi sarebbe dovuto uscire e qualcuno lo avrebbe certamente notato.
Per non parlare dell’immensa puzza chimica di prodotti per pulire di cui erano certamente pregni i suoi vestiti.
La spiò silenziosamente per diversi minuti, cercando di captare qualche parola che gli facesse intuire l’argomento della conversazione, ma fu tutto inutile.
Zaira parlava educatamente con la segretaria del capo, sorridendo cordiale e gentile, esattamente come era sempre stata un tempo… persino con lui, prima che si approfittasse dei suoi sentimenti.
In quel momento, riaffiorarono i ricordi dei giorni all’università, dei suoi sorriso timidi ed impacciati, ma sempre radiosi e gentili.
Girava sempre con un libro in mano stretto al petto ed aveva l’abitudine di togliervi la sopraccoperta lasciando solo lo scheletro anonimo.
Nessuno sapeva cosa leggesse di fatto, ma a nessuno era mai importato perché di lei non era mai importato a nessuno.
Girava sola per i corridoi, tornava sola a casa e mangiava sempre da sola il suo panino. Non sembrava triste però, forse le piaceva anche la solitudine.
Finché lui non aveva fatto quella stupida scommessa.
Era stato facile conquistarla, già, provava qualcosa per lui in fondo, ma quello che non fu facile, fu affrontare quei suoi occhi tristi e rabbiosi.
Quel verde intenso delle sue iridi, sempre brillanti e ridenti, fu presto cambiato con un verde scuro. Pallido. Tetro. Spento.
Qualcosa dentro di lei si era incrinato, qualcosa si era inceppato e non girava più come doveva e quel problema l’aveva causato lui.
La schernì dopo averci fatto sesso, la derise dinnanzi a tutti, con quegli idioti che definiva suoi amici, calpestò quel fiore delicato finché sotto ai suoi piedi non rimase altro che un terreno arido e sterile. E per cosa?
Aveva distrutto una ragazza solo per il gusto di fatto, solo per sentirsi grande agli occhi degli altri.
Si morse un labbro a disagio. Che stronzo che era stato… Un  vero imbecille bastardo.
D’un tratto, la porta alla quale era poggiato per spiare la situazione, venne aperta di scatto e lui rovinò a terra sotto lo sguardo stranito di tutti i colleghi.
“… ma che sta facendo Signor Wayne?” Chiese la segretaria confusa da quella situazione.
Jason si guardò attorno confuso e spaesato. Per un attimo si era immerso nei ricordi e non aveva sentito arrivare la donna nello sgabuzzino.
“I-io…” abbozzò a caso, pensando ad una scusa decente che giustificasse la sua stupida caduta.
Gli occhi di Zaira saettarono sulla sua figura in un attimo e quasi poté sentirsi pizzicare la pelle come se fosse stato punto con milioni di aghi in tutto il corpo.
Di nuovo quello sguardo d’odio puro su di lui.
“C-cercavo dei fogli per la stampante.” Una scusa scema. La prima che il suo cervello aveva partorito, ma ovviamente non convincente.
“E come è finito a terra?” Chiese ancora la segretaria e Jason imprecò mentalmente.
“Mi sono poggiato alla porta mentre mi allacciavo una scarpa.”
Che pessimo bugiardo.
La segretaria aggrottò le sopracciglia in un’espressione di duro e muto rimprovero, ma non osò investigare oltre.
“Si alzi e torni nel suo ufficio.”
“Subito.” Acconsentì Jason eseguendo l’ordine senza fiatare.
Si alzò dal morbido pavimento di moquette, si scosse blandamente i vestiti e si diresse a sguardo basso verso la porta di vetro recante il suo nome sopra.
Passò esattamente accanto a Zaira, gli occhi di lei dardeggiavano di una furia incontrollata, di un odio inestinguibile alimentato anno, dopo anno, dopo anno.
Non osò fiatare. Non uscì più dall’ufficio per tutto il giorno.
Fanculo alle formiche, che lo invadessero.
 
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Il giorno seguente, alla pausa pranzo, il suo ufficio era gremito di gente senza che lui lo volesse.
L’argomento principale però, stavolta, non era lui o la sua ultima conquista, bensì la bellissima estranea che era piombata il giorno prima.
“Scommetto che è una nuova collega. Ho sentito che hanno assunto diverse ragazze negli archivi.”
“No no… scommetto quello che volete che è l’amante del capo!”
Mille teorie fantasiose riempirono il piccolo abitacolo dell’ufficio, fantasiose idee e complotti assurdi che lo intrattennero volentieri mentre consumava il panino al pollo. Un buon rumore di sottofondo inutile e noioso per i suoi pensieri.
“Dio, come me la farei… quella da l’idea di essere bollente lì sotto!”
“Sì certo, figurati se caga un perdente come te!”
“Nha! Sicuramente non sono il suo tipo, quella aveva occhi solo per Jason!”
Non appena udì il proprio nome, Jason alzò gli occhi dal pavimento unto sul quale erano incollati e prestò attenzione alla conversazione che aveva ignorato fino a quel momento.
“Cosa…?” Chiese confuso cercando gli occhi degli altri per cercare di comprendere qualcosa.
Uno strano luccichio di sfida brillava negli occhi dei suoi colleghi.
“Ti offro la cena.”
“Lavorerò per te, al tuo posto se vorrai”
“Birra. Tutta quella che vuoi!”
“Non capisco di cosa state parlando.” Dichiarò Jason sempre più confuso.
“Due mesi. Scommetto tutta la birra che vuoi che riusciresti a scopartela in due mesi.” Sfidò competitivo un suo collega baffuto e con una pancia prominente, mentre sbatteva concitato la mano sulla scrivania.
“Riesci a farle innamorate tutte, vero Casanova?! La rossina non sarà un problema!”
“Ma chi? Zaira?” Chiese ingenuamente, mordendosi la lingua un attimo dopo.
Imprecò mentalmente dandosi dell’idiota.
“Dunque vi siete già conosciuti!” Sbottò  il baffone con aria vagamente contrariata.
“Andavamo alla stessa università. Niente di più.” Rispose con nonchalanche tornando a dedicarsi nuovamente al suo panino.
“Non vale!” Esordì un altro seduto in un angolo più lontano dagli altri.
“Sei avvantaggiato. Facciamo un mese e non ne parliamo più.” Propose il collega incrociando le braccia al petto con aria compiaciuta, mentre un fragoroso boato di incitamento riempì l’abitacolo della stanza.
“Non ci penso nemmeno!” Si rifiutò Jason alzando le mani a mo’ di resa.
“Non ne voglio sapere di lei!”
“Codardo!”
“Proprio tu, che ti tiri indietro?!”
“Non ti riconosco…”
“Sei invecchiato, amico!”
Frasi contrariate, derisorie e provocatorie s’innalzarono contro di lui mettendolo alle strette.
La pressione era tanta e non sopportava quel clima opprimente contro di lui.
Inspirò stancamente e, con un cenno d’assenso, accettò quella sfida impossibile da vincere, liquidandoli tutti velocemente.
Avrebbe certamente perso la scommessa, forse la prima che perdeva di quel tipo, ma almeno gli altri si sarebbero zittiti e avrebbero lasciato perdere Zaira.
Sospirò stancamente. Quattro settimane sarebbero passate in fretta…o almeno così sperava.
 
^^^
 
Quella stessa sera tornò da Ross con James, sperando di trovarla lì, beccarsi il suo due di picche e chiudere la questione senza ripercussioni. Soprattutto sulla sua persona.
Si sedette sullo sgabello e poggiò pigramente i gomiti sul bancone, mentre James raccontava senza sosta della biondina degli archivi che, a detta sua, pareva divorarlo con gli occhi ogni giorno di più.
Annuì annoiato fingendo di ascoltarlo e fece cenno al barista per l’ordinazione.
Senza neppure fiatare, il barista portò due calici ricolmi di birra ed i classici salatini che ordinavano sempre quasi tutte le sere.
Senza attendere oltre, afferrò il suo boccale e ne trangugiò più di metà in un sol colpo.
Il liquido doratogli scese giù per la gola velocemente, rinfrescandolo e ristorandolo dalla calda e faticosa giornata trascorsa in ufficio.
“Capisci? Quindi se magari ci provo, lei può darsi che…” il borbottio di James s’interruppe bruscamente non appena il tintinnio della campanella sulla porta si espanse nell’aria.
“Oh cazzo, amico… spera solo che stavolta t’ignori e non ti tiri qualcos’altro.”Esordì infine James acciuffando il suo boccale ed iniziando a bere la sua birra con nervosismo.
Jason osservò il suo strano comportamento curioso, ma non vi badò poi tanto. Tornò a dedicarsi alla sua birra, quando all’improvviso una mano si poggiò delicatamente sul suo avambraccio.
Era piccola e calda, poteva capirlo anche attraverso la stoffa della camicia. Non ci voleva un genio per intuire che era una mano di una ragazza.
Poggiò sgraziatamente il suo boccale sul bancone e fece per voltarsi sulla destra.
Un’occhiata veloce alla reazione sempre più strana di James, che da nervoso era passato direttamente a catatonico.
Il tempo di girare il collo e subito due smeraldi intensi si tuffarono nei suoi marroni. Stavolta non c’era rabbia, non c’era quell’odio radicato fin nel profondo, stavolta c’era solo un tiepido imbarazzo.
“Ciao…” aveva iniziato lei stropicciandosi nervosamente l’orlo della maglia.
“Ciao...” Il suo tono incredulo, quasi stranito, lasciava ben intendere la sua sorpresa per quella situazione.
Perché lo salutava senza spaccargli il boccale di vetro in faccia?
“Senti… dovrei scusarmi con te per l’altra sera…”
“Affatto. Me lo sono meritato in fondo, sono stato un perfetto imbecille con te.”
“Sì…” si morse il labbro a disagio, cercando di nascondere un sorriso irriverente.
“Avrei usato più il termine ‘stronzo’, ma anche imbecille va abbastanza bene.”
E rise. Un risolino delicato, forse nervoso, che le increspò gli angoli delle labbra verso l’alto, che le fece nascere delle deliziose fossette sulle guance e che le coinvolse gli occhi, facendoli brillare come smeraldi al sole.
“In fondo, mi merito anche questa brutta parola…” sospirò stancamente portandosi un salatino alle labbra.
L’occhio gli cadde sulle mani di lei, poggiate sul bordo del bancone alto fino alle sue spalle. Fra le dita, una banconota stropicciata.
“Cosa ordini?” Chiese curioso.
“Una scura media.”
“Prendine una irlandese e non fidarti di quello che dicono, gli inglesi in verità non ci capiscono niente di buona birra.”
Zaira aggrottò le sopracciglia confusa da quello che doveva essere un consiglio, forse. Un consiglio non richiesto, magari un modo per spezzare la tensione o fare conversazione.
Forse avrebbe dovuto rispondere, forse avrebbe dovuto ringraziarlo, invece fece qualcosa che mai si sarebbe aspettata… non dopo tutto quel tempo passato ad odiarlo con tutto il cuore.
Sorrise.
Un sorrisetto appena accennato, timido ed insicuro, effimero e fugace. Uno di quei sorrisi impacciati che fanno abbassare lo sguardo per la vergogna.
Jason la scrutò sorpreso, sbigottito, incantato. Non aveva mai visto un sorriso sincero come quello sulle sue labbra dopo quella cavolata all’università.
La tasca dei suoi pantaloni vibrò per qualche secondo ad intermittenza: un messaggio.
Decise di ignorarlo, ci avrebbe pensato dopo.
“Preferisco la Stout.” Spiegò lei sistemandosi una ciocca ribelle di capelli dietro l’orecchio e riportando la sua attenzione su di lui.
Jason ghignò sarcastico ed acciuffò il suo portafogli dalla tasca della giacca.
“Che stai facendo?”
“La mia incrollabile fede nella Guinness mi impone di frenarti dal commettere questo birricidio.”
“Oh, sia mai che ciò avvenga!” Scherzò su lei, spintonando lontano la sua mano che reggeva il portafogli.
“Non pensarci nemmeno!” Replicò lui alzandosi in piedi, sovrastandola con la sua altezza e facendo cenno al barista.
“Neanche tu! Non voglio che tu mi offra da bere!”
“Prendila come un’offerta di pace.” Replicò lui allungando le banconote al barista. Tanto sapeva già cosa portargli.
“Offerta di pace?! Ma se neppure ti sei mai scusato!” Constatò lei offesa ed infastidita da tutte quelle libertà che Jason si stava prendendo.
Poteva capire due parole, qualche consiglio non richiesto, ma addirittura offrire da bere era troppo.
Non voleva instaurare un rapporto con lui, non voleva un’offerta di pace, ma soltanto non vederlo più per il resto della sua vita.
Evidentemente era chiedere troppo.
Il barista portò il boccale traboccante di birra scura sul bancone e Jason lo porse a Zaira garbatamente, mentre un sorriso sincero gli andò a distendere le labbra.
“Accetta questa birra da parte mia e le mie più sincere scuse. Forse non basterà la Guinness di tutto il mondo per farmi perdonare, ma credo che, dopo tutti questi anni, le mie scuse erano più che dovute.”
Zaira sbatté le palpebre stupita, cercando di capire se fosse sveglia o se si stesse soltanto immaginando tutto.
“Non mi fido. C’e qualcosa dietro.” Bisbigliò diffidente squadrandolo con sospetto. Dopo tanti anni, cosa lo spingeva a scusarsi?
“Ovviamente, ma tanto sai già che sono uno stronzo bastardo.”
“Io, veramente, ho detto soltanto ‘stronzo’”
Jason sorrise divertito e le avvicinò maggiormente il boccale affinché lei lo afferrasse con qualche reticenza.
“Sappiamo entrambi che anche l’altro aggettivo mi calza a pennello…”
“Concordo” lo interruppe lei ridendo divertita di quel siparietto improbabile.
“Però questa è davvero un’offerta di pace, e vorrei che la accettassi anche solo come risarcimento per i drink che hai sprecato sui miei vestiti.” Scherzò su Jason, scatenando infine l’ennesimo sorriso sincero di Zaira.
Vederla sorridere era un vero e proprio sollievo, quasi respirare pareva immensamente più facile.
“Va bene.” Esordì infine lei, accettando la birra ed alzandola leggermente verso di lui.
“Alle offerte di pace?”
“Alle offerte di pace.”
Ed i boccali tintinnarono fragorosamente come campane al vento, festeggiando ciò che parve un nuovo inizio o forse un momento di tregua.
Forse, aveva una qualche pallida possibilità di vincere la scommessa.
 
^^^
 
Il giorno seguente, arrivò a lavoro prestissimo, deciso e determinato a mettere in atto quella folle idea.
Non sapeva come fare, non sapeva ancora bene come agire, ma alla fine sarebbe riuscito a portarsela a letto di nuovo e sarebbe riuscito a non farsi odiare.
Si diresse a grandi passi verso la scrivania della segretaria del capo che, dopo averlo visto, arrossì vistosamente come una scolaretta delle medie.
L’inarrivabile pantera divenuta un micetto docile docile.
“Buongiorno, vorrei sapere il motivo della visita da parte della signorina Colman.”
La segretaria si accigliò improvvisamente scocciata.
“Non è una cosa che la riguarda, Signor Wayne.”
“Sono certo che riusciremo a trovare un modo affinché io possa avere quell’informazione da lei. Magari nello sgabuzzino…”
“Jason, fra pochi minuti arriverà il capo… non posso…”
“Allora dammi quell’informazione ed io te ne darò un’altra…” la interruppe lui bruscamente, sfoggiando il suo sorriso seducente.
La segretaria tentennò a disagio, mordendosi il labbro inferiore.
“Che informazione mi daresti?” Chiese quasi ansimante, con quel dolce rossore ad imporporarle le guance.
Eccolo di nuovo, il micetto docile…
Allungò una mano verso quella di lei e, lentamente, iniziò a percorrerle le dita con le sue, viziandola con leggere carezze che sapevano di proibito.
“Il mio indirizzo ed un’orario.” Ghignò strafottente leccandosi le labbra.
Il suono del suo cellulare ruppe il silenzio che si era creato fra i due e Jason, scocciato ed infastidito, spiò lo schermo per vedere chi fosse a quell’ora. Ancora 634 nelle vicinanze.
“È la nuova responsabile negli archivi, sostituirà la Signora Ross finché non tornerà dalla maternità.” Spiegò sbrigativa, prima di ricevere un sorriso ammiccante ed una carezza più profonda sulla mano come ringraziamento.
“Aspetta il mio biglietto nel cassetto, lì ti scriverò tutto” e con un ghigno trionfante si allontanò vincitore.
Non le avrebbe lasciato il biglietto, non si sarebbe neanche più fatto sentire. Ormai aveva ottenuto quel che voleva da lei ed anche di più.
 
All’ora di pranzo, si introdusse negli archivi di nascosto ed aspettò che Zaira facesse ritorno.
Si sedette alla sua scrivania ed, annoiato, iniziò a curiosare in giro.
Il computer in standby lampeggiava chiedendo una password sconosciuta. L’agenda rosa degli impegni vi era poggiata accanto, posta in perfetto parallelo alla tastiera.
Un plico di fogli alla sua sinistra era stato contrassegnato con una graffetta verde ed un cartellino con su scritto “da riordinare”, mentre, alla sua destra, un’altra pila di fogli sfoggiava una graffetta rossa ed un’etichetta riportante le parole “già riordinato”.
Un sorriso nostalgico gli distese le labbra, quando ricordò l’ordine che regnava nella sua camera all’università.
Ogni cosa aveva un posto preciso in cui andava riposta e guai a chiunque osasse sconvolgere quel suo mondo perfetto.
Gli tornò alla mente anche quella volta che gli mise a soqquadro l’armadio per cercare un paio di calzini che gli andassero bene. Le urla infastidite avevano raggiunto ogni angolo del dormitorio.
Rise divertito di quel ricordo, del tempo passato assieme dapprima come amici, nonostante il suo doppio fine.
Lui neppure sapeva orientarsi sul caos che regnava supremo in casa sua.
“La solita noiosa ordinata…” commentò passandosi una mano fra i capelli.
“Già, non sono cambiata affatto per quanto riguarda l’ordine.” La voce di Zaira lo fece sobbalzare improvvisamente, facendolo alzare dalla sedia. Colto in fragrante.
“Zaira… C-ciao!” Balbettò a disagio sistemandosi la giacca e la camicia con evidente nervosismo.
Non si aspettava che lei tornasse, non così presto ancora…
Non si era neppure preparato per cosa dire o fare.
“Ciao a te.” Rispose lei con un sorrisetto infastidito a stenderle le labbra.
“A cosa devo questo piacere?”
“Niente in particolare a dire il vero…” esordì lui con non calanche accomodandosi meglio sulla sua sedia.
La sua recita era appena iniziata e la strada per riuscire a vincere la scommessa era tutta in salita. Chissà se ne sarebbe stato all’altezza…
“Avevo voglia di vederti.” Buttò lì infine, sfoggiando uno dei suoi sorrisi maliziosi che solitamente conquistavano tutte le ragazze su cui cadevano le sue attenzioni.
Zaira sgranò gli occhi stupita e sconcertata, mentre un sorriso derisorio quanto irritato andò a distenderle le labbra in un ghigno quasi malefico.
“Fattela passare questa voglia.” Rispose piccata avvicinandosi alla scrivania con grandi falcate.
“Adesso vattene, devo lavorare.”
“Ma la pausa pranzo non è ancora finita… che ne dici di passare il restante tempo per parlare un po’?” Propose infine, come ultimo tentativo disperato, mentre il vibrare del suo cellulare gli fece il solletico nei pantaloni.
“Parlare? Con te?” Disse incredula trattenendo a stento una fragorosa risata.
“Certo! Siamo colleghi e dovremmo instaurare un buon rapporto.”
Zaira aggrottò le sopracciglia e sospirò rumorosamente.
Si era completamente dimenticata dell’insistenza di Jason, della sua snervante tenacia e, soprattutto, di quel ghigno da sbruffone che sfoggiava sempre quando parlava.
Un irritante mezzo sorriso che le faceva prudere le mani dalla voglia di prenderlo a schiaffi.
“Scordatelo.” Sibilò tra i denti, dirigendosi a grandi falcate verso di lui. Un sorrisetto minaccioso le adornava le labbra, mentre lo acciuffava per un braccio per sollevarlo di malo modo e  schiaffarlo fuori dagli archivi.
Ogni protesta, ogni tentativo di opporre resistenza fu spazzato via dall’incredibile forza che possedeva quel minuscolo corpicino.
Mentalmente, Jason si chiese quanto tempo trascorresse in palestra a sollevare pesi, dato che con lui non aveva sprecato la minima fatica per sbatterlo fuori.
“A-Aspetta, aspetta! Ma allora perché sei venuta a parlarmi l’altra sera?” Chiese infine, aggrappandosi allo stipite in legno con tutte le sue forze per non essere chiuso fuori.
“Per scusarmi. A differenza tua, io non ho mai secondi fini!” Rispose lei piccata, strattonandolo nuovamente per un braccio, ma Jason anticipò la sua mossa e, con forza improvvisa, tirò il proprio arto verso di sé, sottraendosi con facilità alla presa della ragazza.
“Ancora?! Ma non riesci a dimenticare ed andare avanti?”
Stupido.
Era stato uno stupido.
Si era pentito subito di aver detto quelle parole. Si era pentito mentre le stava pronunciando.
Zaira dapprima rimase immobile a fissarlo con gli occhi leggermente sgranati, quasi come se stentasse a credere a ciò che aveva appena udito.
Poi fu un attimo, neppure se ne accorse, figurarsi vederlo arrivare.
Un pugno. Forte, deciso e carico di rabbia dritto dritto nel suo stomaco.
Per qualche secondo a buono, l’aria parve dissolversi completamente dai suoi polmoni e solo l’impatto con il gelido pavimento fu in grado di ridestarlo.
Annaspò qualche minuto buono, mentre sopra di lui, Zaira troneggiava imponente, sfoggiando uno sguardo completamente disinteressato.
“M-ma… c-che…”
“Fuori. Ora.” Lo interruppe bruscamente senza minimamente curarsi delle sue condizioni.
Jason trasalì incredulo, celando lo spavento dietro una maschera spavalda ed offesa.
Senza proferire parola, si alzò da terra ed uscì dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle.
Si accasciò al muro cercandovi sostegno, mentre il fisico martoriato cercava di riprendersi dopo quel colpo improvviso.
Come poteva possedere tutta quella forza?
Quanto tempo passava ad allenarsi?
Si passò una mano fra i capelli scuri ed umidi di sudore.
La pancia gli doleva incredibilmente, la schiena era fastidiosamente indolenzita a causa della caduta ed i polmoni parevano rifiutarsi di fare il loro lavoro.
Prese il telefono dalla tasca e controllò chi lo stava cercando poco fa.
634 era ancora intorno a lui.
 
^^^
 
 
Inspirò il fumo dal filtro della sigaretta, inalandolo fino a riempirsi totalmente i polmoni, per poi soffiarlo via dalle narici.
L’occhio gli corse a controllare nuovamente l’orologio più per noia ed impazienza che per reale interesse.
Ancora le 6:48, i due minuti più lunghi della sua vita.
Controllò che il fucile fosse carico con un gesto secco e stizzito della mano, e si rimise in posizione attendendo che l’obbiettivo 460 uscisse dal palazzo.
Dal mirino telescopico poteva chiaramente vedere l’ingresso lussuoso, il portiere assonnato che tratteneva gli sbadigli a stento ed ogni inquilino uscire o rientrare. Ne mancava solo uno.
Solo questione di tempo, poi 460 sarebbe uscito. Ancora poco.
6:50, il tintinnio del suo orologio lo avvisò che l’ora era infine giunta e, puntuale come sempre, 460 usciva vestito di tutto punto per andare chissà dove.
Trattenne il respiro, attese il bersaglio in posizione ed, infine, premette il grilletto.
Il rinculo dell’arma gli mozzò il fiato colpendolo esattamente dove lo aveva colpito Zaira il giorno prima, ma non vi diede troppa importanza.
Sopportò il dolore digrignando i denti per lo sforzo e, quando vide l’uomo accasciarsi a terra esanime, esternò il dolore con un gemito lamentoso.
Era solito incassare bene i colpi durante gli scontri, ma il pugno di Zaira lo aveva davvero ridotto malaccio e con immenso rammarico era costretto a riconoscere che, quella nanerottola, picchiava duro più di lui.
Il suono di un messaggio attirò la sua attenzione, prese il cellulare dalla tasca dei jeans e lesse il fruttuoso accredito bancario appena arrivatogli.
Un sorrisetto sghembo gli increspò le labbra non appena notò i sei zeri che svettavano come importo.
Inspirò l’ultimo tiro di sigaretta e poi la lanciò nel vuoto, svariati piani sotto di lui, oltre la balaustra che delimitava il cornicione del grattacielo sopra cui si trovava.
Quello era il momento della giornata che più preferiva: dopo ogni omicidio ben retribuito, osservare la città che si svegliava ed inizia un nuovo giorno come se niente fosse successo, riusciva a donargli uno strano senso di onnipotenza.
Era riuscito a farla franca ancora, accontentando chissà quale cliente anonimo, solo per accrescere il suo –già immenso- senso di superiorità rispetto agli altri comuni mortali.
In quei momenti, così vicino al cielo infinito, si sentiva invincibile.
Solo il sordo dolore dell’ematoma sull’addome stonava incredibilmente con quell’attimo di autocelebrazione.
 
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Per i restanti trenta giorni, Jason continuò ad intercettare Zaira durante il pranzo, piombandole a sorpresa negli archivi, o cercando malamente di abbordarla da Ross, ma ogni volta era sempre un secco e duro declino.
C’era stata persino una volta in cui, completamente ubriaca, era quasi riuscito nel suo intento.
L’aveva portata nei bagni sudici di Ross, le loro labbra non smettevano di cercarsi e le loro lingue di danzare fra loro, ma non appena aveva provato a poggiare una mano sul suo sedere, Zaira era scattata improvvisamente acciuffandolo per un braccio e torcendoglielo finché non aveva raggiunto il pavimento con la faccia, implorando pietà.
Quel dannato pavimento orripilante fatto di gonorrea e sifilide.
Infine, era fuggita via, lasciandolo lì, sdraiato a terra, con l’arto dolente.
Il giorno seguente l’aveva braccata negli archivi, esigendo delle scuse e delle spiegazioni che lei si era imposta di negargli.
Allora aveva insistito, tentando nuovamente di abbordarla, sfruttando il senso di colpa che chiaramente vedeva brillare nei suoi occhioni di smeraldo.
Pessima decisione.
Quella volta era andato dannatamente vicino a farsi staccare il braccio a morsi.
I giorni fuggirono via in fretta, scanditi fra obbiettivi da eliminare e Zaira.
Ma se nel primo campo eccelleva egregiamente, nel secondo soccombeva.
Non v’erano stati affatto miglioramenti con lei ed ogni sua strategia finiva sempre con il fargli procurare qualche livido doloroso.
A quel punto, non era più una questione di “scommesse da vincere”, ma bensì di “virilità da dimostrare”. Nessuna poteva resistergli e lei non doveva essere l’eccezione : era caduta ai suoi piedi un tempo, sarebbe riuscito a sedurla ancora.
Ed anche quella mattina, dopo esser stato sbeffeggiato da James e dai colleghi per i suoi ripetuti “due di picche”, si era recato da lei, negli archivi, armato di santa pazienza ed antidolorifici vari.
Era andato da lei, determinato come non mai, deciso come solo poche volte lo era stato nella sua vita.
Aveva aperto la stanza degli archivi armato di spavalderia fino ai denti, sfoggiando il suo sorriso smagliante con il quale conquistava ogni donna, ma che gli morì all’istante sulle labbra non appena la trovò vuota.
Il vibrare del suo cellulare gli solleticò la coscia, ma lo ignorò completamente.
Sapeva già che lo stava avvisando della presenza di 634 nelle vicinanze. Non ci voleva un genio per capire chi fosse quell’obbiettivo… anzi, forse, fra tutti quelli che aveva individuato, era stata la più improbabile.
Solitamente si trattava di omaccioni tutti muscolosi, gente in vista o particolarmente influente, ma mai si sarebbe aspettato che una ragazzina gracilina, che lavora nel suo stesso ufficio, fosse il suo prossimo obbiettivo. Pagato profumatamente per giunta.
Aveva ignorato la peculiare coincidenza con cui gli arrivava un messaggio ogni qualvolta lei fosse nelle vicinanze, aveva chiuso gli occhi anche dinnanzi alla sua straordinaria forza o alla sua capacità di cavarsela troppo facilmente in un corpo a corpo.
E voleva ignorarli ancora tutti quei particolari fattori, voleva continuare a far finta di niente, ma poi una domanda gli si era affacciata alla mente, punzecchiando la sua curiosità come un’ape farebbe con un fiore.
Cos’aveva fatto Zaira per meritarsi che qualcuno pagasse per la sua morte?
Il dubbio venne ampiamente dissipato quando, inaspettatamente, si ritrovò riverso a terra, con un ginocchio a premergli sulla schiena, una mano a tirargli i capelli fino a fargli alzare la testa ed un coltello a solleticargli la giugulare esposta.
“Bentornato 124, purtroppo non posso dirti che sia un piacere rivederti…” sibilò Zaira sogghignante.
“Peccato, per me è sempre bello rivedere quel tuo bel culo, 634.” Rispose Jason spavaldo.
Zaira era stata brava a prenderlo di sorpresa, neppure se ne era accorto della sua presenza, tuttavia aveva commesso un madornale errore che le sarebbe costato caro.
Con uno strattone deciso, si liberò un braccio dalla stretta poco ferma di lei.
Acciuffò la lama del coltello velocemente, prestando attenzione a non ferirsi, ed infine, con un colpo di reni, riuscì ad invertire le loro posizioni sottraendole il coltello.
I capelli di lei si sparsero sul pavimento creando un mare di boccoli scarlatti che si concesse di ammirare estasiato per qualche secondo. Era ancora dannatamente attratto da lei e poco importava che avesse tentato di ammazzarlo.
Zaira provò a colpirlo con un pugno, ma Jason lo schivò facilmente e riuscì a catturarle il polso con la mano, girandole il braccio sul torace fino ad intrappolarle anche l’altro arto.
“Complimenti, bell’arnese!” Commentò sarcastico riferendosi al coltello, poco prima di lanciarlo lontano da loro.
“Fai poco lo sbruffone, Jason. Ammazzami e facciamola finita, non sono venuta in questo schifoso ufficio a perdere tempo!”
“Punto primo: dovresti sinceramente trovarti un lavoro di copertura come il mio, altrimenti sei troppo esposta.
Punto secondo: non ho intenzione di ammazzarti, Zaira.” Rispose serio, sentendosi vagamente ferito da quelle parole.
Era un killer a pagamento, uno spietato figlio di puttana, ma i soldi non erano tutto… o meglio, non erano tutto in quel caso particolare.
“Tsé… ti prego di scusarmi, 124, se davvero non riesco a crederti!”
Le sue parole trasudavano un sarcasmo pressoché snervante che Jason, davvero, mal tollerava in quella particolare situazione.
Ma era così impensabile, per lei, credergli per una volta?
“Pensi davvero che, se avessi voluto, non t’avrei già fatto fuori?!”
“Onestamente, no. Sei troppo stupido ed incapace per riuscire a farmi fuori. Probabilmente nemmeno sapevi che 634 ero io e magari l’hai scoperto proprio ora!”
Jason ridacchiò sfrontato, schernendola deliberatamente senza remora alcuna.
“Mi sono accorto che 634 eri tu fin dal giorno in cui mi hai dato quel pugno un mese fa. Nessuna ragazza può essere così forte senza un’allenamento specifico nel corpo a corpo… e dubito fortemente che una ragazza di città decida di diventare pericolosa come un’arma solo per sport.”
Zaira corrugò la fronte arrabbiata. Bruciava particolarmente sul suo orgoglio il fatto di essere stata individuata con così tanta facilità, soprattutto per una sua banale disattenzione in un momento in cui aveva perso le staffe.
Ulteriormente, a peggiorare la situazione, vi si aggiungeva il fatto che proprio Jason l’aveva individuata.
Lui.
Di tutti i killer che c’erano in giro, proprio lui, fra tutti.
“E, sentiamo, perché mai non mi hai ammazzata subito se sapevi che ero io? Dopotutto, prima o poi, sarebbe arrivato il momento in cui avrei cercato di ammazzarti.”
Jason si morse l’interno della guancia a disagio, abbassando gli occhi da quelli verdissimi di lei per qualche secondo.
Imprecò mentalmente cercando di riordinare le idee e propinarle una scusa banale, ma convincente, che la soddisfacesse abbastanza da spingerla a non indagare oltre.
Come rispondere ad una domanda per cui non aveva nessuna risposta?
“Perché mi dispiace…” non era la verità, ma nemmeno una bugia e, in quel momento, gli parve la cosa più sensata da dire.
“…ti dispiace?!” Ripeté lei incredula sgranando gli occhi per lo stupore.
“Sì… in fondo ti conosco… e poi abbiamo brindato alle offerte di pace… sì, insomma…” pessima scelta di parole. Abbozzare scuse a caso senza senso non era affatto il modo adatto per chiudere all’istante quella conversazione scomoda.
“Come sospettavo…” bisbigliò lei fra sé e sé, guardandolo con quello sguardo di biasimo con il quale era solita squadrarlo le prime volte che gli piombava negli archivi.
“Sei uno smidollato, Jason.”
“E tu sei fin troppo offensiva… insomma, non sono io quello che ha minacciato con un coltello, eppure mi becco gli insulti lo stesso!” Scherzò su sorridendole sornione e, quando anche lei gli sorrise di rimando, si alzò dal freddo pavimento per lasciarla libera.
“Dunque… che facciamo?” Chiese lei d’improvviso, scuotendosi i vestiti dalla polvere e dalla sporcizia che le si era appiccicata al tessuto.
“Niente. Non ci ammazziamo, non intaschiamo la ricompensa. Puoi farlo?” Chiese lui di rimando, porgendole una mano da stringere.
Zaira parve pensarci su per qualche secondo. Non aveva molta scelta dopotutto… Jason l’aveva individuata abilmente molto prima che lei lo facesse con lui, l’aveva disarmata ed atterrata con snervante facilità e chissà quanti altri assi nascondeva nella manica.
Forse, una convivenza pacifica, ignorando la cospicua taglia che aleggiava sulla sua testa, poteva anche funzionare in fondo.
D’improvviso, un timido  sorriso andò a distenderle leggermente le labbra, allungò la mano per afferrare quella del ragazzo ed infine la strinse accettando quella seconda offerta di pace così improbabile per due assassini come loro.
"Adesso che abbiamo sancito questa specie di alleanza... Verresti a letto con me?"
"Cosa?!" Gracchiò lei a disagio, tirando indietro la mano come se si fosse appena scottata.
"Sai... niente di personale, ma vorrei vincere una scommessa..."
"Scordatelo o t'ammazzo davvero e fanculo l'accordo!" Ringhiò lei guardandolo truce, ricevendo in risposta soltanto un mezzo sorriso che sapeva tanto di sconfitta.
  
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