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Autore: Sapphire_    20/09/2017    3 recensioni
Se una donna fissata con il rosso incontra un uomo dai capelli rossi che ha paura del sesso opposto, cosa pensate che possa succedere?
April Montgomery è quella donna, Aaron Marlowe quell'uomo, ed entrambi vivono la propria vita in quel pulsante nucleo sempre vivo di New York, che in seguito a un fortuito evento tra i due - un vero e proprio cliché - farà da sfondo anche ai loro successivi incontri.
In fondo, il modo migliore per eliminare una fobia è affrontarla, no? Forse non tutti sarebbero dello stesso avviso...
Dal testo:
«Ma sei un idiota?» furente, alzò lo sguardo verso l'idiota che le aveva appena fatto fare una figuraccia di fronte a tutti. Gli occhiali le erano scivolati sul naso e in un primo momento non vide niente, ma li tirò su e una visione la colpì.
Alto, bell'aspetto, sguardo freddo e dagli occhi scuri, piercing al labbro e un importantissimo dettaglio.
«Che bellissimi capelli rossi!»
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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E rieccomi di nuovo qui dopo poco più di un mese!
È stato un mese piuttosto lungo, ad essere sincera: sono finite le vacanze, mi sono ammazzata con lo studio, ho dato i due esami che mi mancavano dell’anno scorso e mi sono occupata del trasloco. In pratica non avevo un attimo di tempo libero! Quando sono riuscita finalmente a terminare il capitolo ho avuto problemi con il wifi, e nel nuovo appartamento in cui sono è arrivato soltanto ieri (potete immaginare venti giorni senza internet, il delirio).
Non so bene cosa dirvi su questo capitolo, spero vi piaccia perché io a momenti sono indecisa; pensate che l’avevo scritto fino a metà e poi l’ho cancellato per riscriverlo da capo, dato che non mi stava piacendo). Aaron e April sono sempre i miei tesori e in questo capitolo interagiranno parecchio.
Ditemi cosa ne pensate nei commenti!
Cercherò di aggiornare il prima possibile, ma non vi assicuro nulla: non sono brava a mantenere questo genere di promesse!
Detto ciò, vi auguro buona lettura.
Un abbraccio,
 
~Sapphire_
 
 
 
 
 
 
~It's too cliché

 

 





 
 
Capitolo dodici
 
«Scusami, ma non riesco proprio a venire stasera!»
«Ma lo avevi promesso!»
April quasi strillò in mezzo alla strada. Il tono lamentoso con cui aveva appena pronunciato quelle parole ben si abbinava all’espressione corrucciata stampata sul viso.
«Lo so, lo so! Ti giuro, è stato un imprevisto… Adam sta male e lo devo accompagnare in ospedale!»
A quelle parole, la rabbia passò e venne sostituita dalla preoccupazione.
«Cosa è successo?»
«Non so bene, non mi ha spiegato granché.»
April sospirò.
«Non preoccuparti, va da lui. Appena ci sono novità chiamami, d’accordo? Non voglio stare in pensiero.» le disse.
«Va bene. Grazie, e scusa ancora.»
April non ebbe il tempo di rispondere perché la chiamata fu chiusa immediatamente.
Sospirò di nuovo.
Beh, alla fine non è mica un appuntamento. Cerchiamo di passare una serata piacevole, si disse convinta.
Era sabato ed erano le sette e venti; mancavano ancora dieci minuti all’incontro, ma la bionda, presa dalla fretta, aveva finito per arrivare addirittura in anticipo. Non che fosse un grosso problema, non le disturbava dover aspettare dieci minuti.
Nell’attesa però aveva finito per chiamare May, per chiederle quando sarebbe arrivata, e aveva avuto la spiacevole notizia. Non poteva farci nulla però, quindi si convinse di non lasciarsi rovinare l’umore della serata da una cosa del genere.
Erano le sette e venticinque quando vide Aaron arrivare.
Camminava tra la folla con la testa un po’ china, i capelli rossi scompigliati come l’ultima volta, un paio di jeans neri e una camicia nera arrotolata sui gomiti, più una giacca casual, sempre nera, portata in mano.
Non sembrò notarla subito e April lo osservò mentre si guardava attorno con un’aria adorabilmente spaesata, il piercing che veniva torturato come aveva già notato l’ultima volta.
Le venne da sorridere a vederlo lì, inconsapevole di essere osservato, e si ritrovò a considerarlo davvero bello.
«Aaron, anche tu in anticipo a quanto pare.» gli arrivò alle spalle, decisa a spaventarlo un pochino.
Non si aspettava però il salto che fece invece il giovane, facendo due metri in mezzo secondo. Lo guardò stupita.
«April…» soffiò lui, gli occhi un po’ più spalancati del normale.
Sorrise con aria di scuse.
«Non volevo spaventarti.» gli disse.
Aaron abbassò lo sguardo – sembrava a disagio, ma disagio di cosa? Se davvero non voleva rivederla, non era di certo obbligato a chiamarla!
«Non mi aspettavo fossi già qui.» mormorò tanto che April fu costretta ad avvicinarsi e a lavorare un po’ con l’immaginazione per cogliere alcuni suoni.
«Nemmeno io, di solito non sono così puntuale!» esclamò con una risata.
Ecco che il meccanismo ripartiva: non voleva farlo sentire a disagio, quindi doveva cercare di essere misurata con le azioni; lo scherzetto che gli aveva fatto non era stata una grande idea.
«Credo che questa volta sia la prima nella mia vita in cui sono in anticipo.» si sentì rispondere.
Lo guardò sorpresa.
Devo intendere altro?, pensò confusa.
Per non rischiare spiacevoli fraintendimenti, decise di risparmiarsi la battuta che avrebbe invece fatto con altri – Damian, ad esempio.
«Quando arriva il tuo amico?» domandò, non sapendo bene come rispondere alla frase detta dal rosso.
«Non credo tardi. E la tua amica?» rispose il rosso.
April notò che, a differenza della volta prima, aveva fatto più in fretta a sciogliersi e di questo ne fu felice.
Lo metto a suo agio!, pensò vittoriosa.
Si trattenne dal fare un sorriso soddisfatto e pensò alla notizia che invece doveva dare.
«A dire il vero c’è stato un problema… Proprio poco fa mi ha chiamato per avvisarmi che non può venire: il suo fidanzato sta male e lo sta accompagnando all’ospedale.» disse con un tono scontento.
Aaron parve impallidire.
«Oh. Mi dispiace.» disse però.
«Spero che non sia un problema per te e il tuo amico.»
«Non dovrebbe.» lo sentì rispondere a voce bassa.
Attimi di silenzio riempiti dal rumore del traffico e della gente che passava loro affianco.
«Che ne dici di chiamarlo per sapere tra quanto arriva?» chiese infine April.
Iniziava a sentirsi un po’ a disagio.
Dentro di sé sospirò, decisa a non lasciare che quella fastidiosa sensazione prendesse il sopravvento: se anche lei si faceva prendere dall’ansia, notando come il giovane non sembrasse granché a suo agio, non sapeva come avrebbero finito la serata.
«Ok.» disse solo il rosso.
Lo vide fare qualche passo indietro mentre prendeva il cellulare e iniziava a digitare numeri in tutta fretta; subito dopo, se lo poggiò all’orecchio.
April, da quei pochi metri di distanza, non riusciva a sentire bene, ma abbastanza per comprendere in linee generali la conversazione.
«Sì, fra quanto arrivi?»
Momento di silenzio da parte di Aaron in ascoltò la risposta.
«Sì, sono già qui.»
Lo vide arrossire all’improvviso, poi borbottare una parola che non comprese.
«A dire il vero…»
Silenzio preoccupato, poi Aaron le lanciò un’occhiata indecifrabile mentre si mordeva il labbro. April si ritrovò ad arrossire, spostando velocemente lo sguardo. Così facendo si distrasse e non colse le ultime battute.
Tenne la testa china mentre il giovane chiuse la chiamata e si avvicinò a lei.
«Emh…»
April alzò di scatto la testa, attirata dalla voce del rosso; lui la fissava con una espressione piuttosto gelida tanto che rimase quasi ferita. Proprio non lo capiva quel tipo: il primo momento sembrava sciogliersi, poi in imbarazzo, poi gelido. Ma che problemi aveva?
Si morse di nuovo il labbro, giocando con il piercing.
Però è così bello, si ritrovò a pensare sognante April, notando come i capelli rossi gli stessero divinamente.
Che invidia, pensò ancora.
«Anche il mio amico ha avuto un imprevisto. Non verrà.» disse secco.
Aveva un tono così gelido che la fece rabbrividire.
«Oh. Mi dispiace, spero non sia nulla di grave…» disse preoccupata.
Aaron fece una smorfia.
«A suo dire è qualcosa di tremendamente impossibile da risolvere.» fece con tono lugubre.
April annuì con la testa e si rese conto che il giovane non sembrava per niente contento di essere da solo con lei – ma perché? Se proprio non la voleva vedere non la doveva chiamare, dannazione!
Si sentì tremendamente a disagio; sarebbe stato orribile se ora il ragazzo le avesse detto di tornarsene a casa. Non che fosse un appuntamento, lo sapevano entrambi, ma l’avrebbe visto senza alcun dubbio come un rifiuto – come la volta precedente, d’altronde, in cui non voleva che si alzasse dal tavolo e l’abbandonasse lì.
Chinò di nuovo la testa mentre sentiva il disagio farsi sempre più strada in lei.
Siamo noi due da soli… E ora?
 
 
 
Siamo noi due da soli… E ora?
Aaron dentro di sé stava morendo di paura.
Tom lo aveva abbandonato. Quel bastardo lo aveva lasciato solo nel momento del bisogno!
Nella sua testa risuonavano ancora le parole che gli aveva detto al telefono poco prima.
“Beh, se siete solo voi due allora io non ci faccio niente. Per quanto possa essere curioso, devo lasciarti libero di librarti in volo.”
Solito tono da persona sarcastica e che si diverte un mondo. A nulla erano valsi le sue pigolanti richieste di aiuto.
“Per quanto il mio cuore ne soffra, non posso. Il tuo problema pare già essere tremendamente impossibile da risolvere.”
E tanti saluti e buona fortuna, dato che il telefono gli era stato chiuso in faccia mentre iniziava con le maledizioni e le bestemmie.
La osservò con calma appena le diede la notizia – teneva la testa china e i suoi occhi erano quasi del tutto nascosti dagli occhiali e dalla frangia bionda.
Si spaventò quando si ritrovò a pensare che fosse carina: aveva un vestito semplice, color fragola, con dei bottoncini che le arrivavano fino al collo; un cinturino bianco stretto in vita era abbinato alla giacca e alla borsa, più delle zeppe non troppo alte.
Sembra una fragola ricoperta di panna, considerò, per poi sbiancare rendendosi conto di quello che aveva appena pensato.
Aaron. Aaron, ricordati chi è. È una donna, ovvero un essere pronto a mangiarti appena ne ha l’occasione. Ti sei scordato di come ti è saltata addosso il giorno all’agenzia matrimoniale?
Era inutile però. Nonostante questi pensieri e i ricordi vividi che si affacciavano nella sua mente, vederla lì, a testa china, visibilmente a disagio – anche se non capiva perché – lo fece sentire quasi del tutto tranquillo, e si sentì una merda rendendosi conto di star meglio a scapito degli altri.
Merda… Se Tom fosse qui risolverebbe lui la situazione!, pensò con aria tragica.
Però Tom non c’era e si rese conto che le cose erano due: scappare da quella situazione inventandosi una scusa (cosa per cui si sarebbe sentito un cane per il mese a venire) o cercare di fare qualcosa.
Per quanto la prima opzione gli sembrasse accattivante, sembrò quasi sentire la voce di Tom dentro la sua testa che gli inveiva contro, costringendolo a rimanere lì e a fare qualcosa.
Sì, ma come ci si comporta in queste situazioni?, continuò a meditare.
Sospirò e si ritrovò a sentire un peso all’altezza dello stomaco.
«Siamo solo noi due… Se per te va bene, possiamo andare comunque.»
Parlò in automatico e si accorse con un secondo di ritardo che quella era proprio la sua voce.
April alzò la testa di scatto, sembrando molto sollevata a sentire quelle parole e il peso sullo stomaco sembrò quasi alleggerirsi.
«Per me non è un problema. Pensavo non volessi andare senza il tuo amico.» disse con un sorriso imbarazzato.
Aaron si rese conto in quel momento di come si era comportato: era stato freddo come suo solito – ma aveva solo paura, cavolo! – e aveva annunciato con un tono depresso che il suo amico non sarebbe venuto. Beh, di certo c’erano tutti i presupposti per pensare che non fosse affatto felice di essere lì da solo con lei.
C’era anche da dire che non fosse entusiasta della situazione, ma questo non cambiava il fatto che si sentisse improvvisamente uno stronzo nei suoi confronti.
«No, no! Non c’è problema!» si ritrovò a dire di fretta, cercando di riparare.
E invece c’è il problema, ma facciamo finta che non sia così, pensò.
April lo fissò con un sorriso dolce e si ritrovò ad arrossire sotto il suo sguardo verde.
«Allora è meglio così. Andiamo?» domandò.
Aaron annuì e basta, senza avere le forze per replicare. Era combattuto tra la paura per le donne e il senso di fiducia che lei gli ispirava; non sapeva cosa fare e come comportarsi.
Iniziarono a camminare fianco a fianco per le strade affollate di New York, in un silenzio che ben presto si fece imbarazzante.
Aaron le lanciò una veloce occhiata, il volto imperturbabile nel tentativo di nascondere il tumulto interiore. La bionda si guardava intorno, osservando la città e facendo scivolare di tanto in tanto lo sguardo su qualche vetrina.
Quando per sbaglio la mano di lei sfiorò il suo braccio si ritrasse, decidendo all’improvviso di intavolare una conversazione per sfuggire a quel momento di imbarazzo – che non sapeva se fosse solo proprio o no.
«Come va a lavoro?»
La bionda lo guardò e gli sorrise.
«Come al solito direi; impegnata con le centinaia di bozze che mi arrivano e di cui mi devo occupare.» rispose.
«Ti occupi solo di correggere bozze?» domandò corrugando le sopracciglia.
L’altra sospirò e scrollò le spalle.
«Attualmente sì. Mi è capitato un paio di volte che mi dessero qualche piccolo articolo da scrivere, ma nulla di che, giusto un trafiletto nell’angolo di una pagina, qualcosa che se non lo cerchi non te ne accorgeresti neanche.» disse imbarazzata.
«Beh, immagino che comunque sia qualcosa. E quando ti daranno un vero articolo da scrivere?» domandò, una strana curiosità che si faceva strada in lui.
Io interessato alla vita di una donna?, pensò vago e preoccupato insieme, ma la risposta della giovane lo distrasse da questo quesito che aveva assunto toni spaventosi.
«A dire il vero non è sicuro che avrò un vero articolo da scrivere.» la sentì ammettere con tono depresso. April alzò lo sguardo verso di lui con una smorfia «Quello che sto facendo è uno stage e non sono l’unica a partecipare, ci sono altre due colleghe. Sceglieranno solo una di noi tre alla fine, e quella che sarà assunta potrà scrivere dei veri articoli, non fare la schiava come invece stiamo facendo in questo momento.» spiegò.
«Da come lo dici sembri quasi sicura di non essere scelta.» considerò il rosso, parlando prima che potesse impedirselo. La bionda si girò di scatto verso di lui, gli occhi spalancati in una conferma.
«…Perché pensi di non avere possibilità?» chiese.
Era stupito che una ragazza così energica – per come aveva potuto appurare – non fosse sicura delle proprie capacità. Eppure aveva appena avuto il silenzioso assenso a quello che sembrava: April era convinta che non sarebbe stata presa.
«Non c’è un vero e proprio motivo. Solo che non sono mai stata assunta in nessuna rivista, mi sembra ovvio che anche in questa sarà così.» pigolò la ragazza, il tono che si faceva man mano depresso.
Aaron si sentì profondamente a disagio.
Aveva appena intavolato una conversazione che aveva portato la ragazza a deprimersi: e ora come risolveva la situazione?
Beh, potrei provare a confortarla…
Sì, beh, però come si confortava una donna? Era abituato a Tom, con cui era sufficiente una pacca sulla spalla e una serata relax per far tornare ogni cosa al proprio posto; per quanto riguardava le sorelle, a quelle cose ci aveva sempre pensato la madre.
Si schiarì la gola, indeciso su come iniziare.
«Non credo tu ti debba abbattere in questo modo. Insomma, il fatto che finora sia stato così non significa che continuerà ad esserlo. Dovresti guardare lo stage da un altro punto di vista: non come l’ennesimo futuro fallimento, ma come il nuovo futuro successo. Se ti concentri solo sugli aspetti negativi, finirai nel vedere solo quelli e ti influenzeranno nel lavoro portandoti a fare peggio.» disse.
Aveva cercato di fare un discorso logico come avrebbe potuto farlo a Tom; non sapeva se avrebbe funzionato, ma si sarebbe fatto uccidere piuttosto che abbracciarla e confortarla in quel modo.
O magari morirei così, sul colpo, considerò.
Nel frattempo April aveva ascoltato le sue parole ed era rimasta in silenzio, continuando a camminare a fianco del ragazzo.
«Hai ragione. Non è che non ho mai pensato a questo che hai appena detto, solo che ci sono alcuni momenti in cui mi viene da buttarmi giù e a convincermi che nulla andrà per il verso giusto. Devo solo cercare di superarli.» rispose con un sorriso accennato.
Aaron pensò a quei momenti in cui il suo problema assumeva delle dimensioni gigantesche e fin troppo problematiche: in quelle occasioni era certo come la morte che nulla sarebbe mai cambiato. Eppure eccolo lì, da solo e con una ragazza, addirittura chiacchierandoci come una persona normale!
«Grazie per aver cercato di tirarmi su.»
Le parole di April lo colsero alla sprovvista, proprio mentre pensava di aver detto qualcosa di inutile e ovvio.
Si sentì arrossire ma quella volta, invece che assumere un tono freddo e un’espressione altrettanto glaciale, sorrise.
«Figurati.»
 
 
 
Un sorriso. Un vero sorriso!
April quasi non riusciva a crederci.
Aaron le aveva appena sorriso: non uno di quei vaghi accenni che aveva già avuto modo di notare, ma una vera espressione facciale, mostrando addirittura la fila di denti bianchi. Il piercing brillava nell’angolo del labbro e fece in tempo a notare anche una fossetta lungo la guancia destra prima che il sorriso sfumasse naturalmente.
Si sentì arrossire sotto lo sguardo dell’altro e si affrettò a chinare gli occhi, cercando di non mostrare le guance rosse.
Si schiarì la gola.
«Non abbiamo ancora deciso dove andare a cenare.» disse, cercando di cambiare argomento.
Le sembrava che il disagio che fino a quel momento aveva scorto nel rosso si fosse scaricato su di lei e non era per niente una bella sensazione. Si chiese il perché di quel disagio, una vaga idea le aleggiò in testa e si affrettò a stamparsi in mente il viso di Damian.
Aaron, a quelle parole, parve riscuotersi; scrollò le spalle.
«Non saprei a dire il vero. Non conosco posti in questa zona.» rispose e si fermò in mezzo al marciapiede; si morse poi un labbro, in difficoltà.
April. Smetti di fare certi pensieri, si ordinò mentalmente la bionda, fermatasi anche lei e iniziando a osservare ossessivamente il traffico che le passava davanti senza vederlo davvero.
Ma che diavolo mi prende?, piagnucolò tra sé.
A dire il vero lo sapeva: aveva un tremendo debole per i tipi come lui, con quell’aria dolce e ingenua, quasi spaventati, e quei capelli rossi erano la sua croce.
«Tu hai suggerimenti?»
La voce di Aaron la riportò sulla terra.
Si distrasse e cercò di portare a mente locale luoghi dove sarebbero potuti andare.
«Ah! C’è un posto che-» si bloccò e sbarrò gli occhi, guadagnandosi un’occhiata confusa dell’altro.
Merda, pensò.
Le era sì venuto un posto in mente, ma di certo non poteva andarci con un tipo come lui: era fondamentalmente una friggitoria in cui andava con May quando voleva distruggersi di cibo spazzatura – il fegato ogni volta ringraziava sentitamente –, ma un conto era andare con la sua migliore amica, un altro andarci con un ragazzo. Certo, non era un appuntamento e ad April non le interessava – per quanto potesse essere figo era realmente presa da Damian – ma, insomma, un po’ di contegno lo aveva comunque.
«Un posto che…?» la invitò a proseguire il rosso.
April iniziò a sventolare davanti a sé una mano, in maniera frenetica, tanto che si sentì parecchio ridicola.
«Nulla di che. Niente che potrebbe piacerti.» disse rapida e riprese a camminare. Sentì Aaron dietro di sé che la seguiva.
«Chi l’ha detto? Non conosci i miei gusti.»
Ma dai, idiota, si vede lontano un miglio, pensò infastidita; era troppo vestito bene per essere un tipo dal posto in cui voleva andare.
«Non fa per te, davvero.» insistette.
«Mettimi alla prova.»
April si fermò a guardarlo: Aaron aveva giusto un accenno di sorriso, ma più divertito dalla situazione che altro. Si rese conto che solo quella sera stesse mostrando delle vere espressioni, non come le volte precedenti.
Sospirò.
«Ti piace il fritto?» chiese con aria seria. Si sentì una sciocca.
«Lo adoro.» rispose con il medesimo tono lui e ad April venne da ridere.
«A tuo rischio e pericolo.» capitolò.
Aaron sorrise e le sembrò un ragazzino felice.
Si girò prima di permettere al proprio viso di distendersi in un sorriso, per poi abbassare lo sguardo divertita.
Beh, alla fine che importa: mica gli devo piacere, posso comportarmi come mi pare, pensò convinta e riprese a camminare.
Il tragitto per arrivare al locale non era lungo e April scoprì come il rosso mangiasse spesso sano, più che altro controllato dalla madre e dalle sorelle maggiori e a causa di una sorta di dieta.
«Dieta?» fece stranita.
«Sì. So che può sembrare strano, ma anni fa non ero per niente in forma, mi ci hanno praticamente costretto.» spiegò e scoppiò a ridere.
April venne deconcentrata un attimo dal suono della risata, ma poi lo osservò per bene.
«Infatti è strano. Non mi sembri per niente il classico tipo in passato brutto e grasso.» disse senza filtri, per poi rendersi conto del suo essere brusca e fare una smorfia.
«Beh, purtroppo lo ero, e credo lo sarei ancora se Rosalie non si fosse impuntata sul “trasformarmi”.» e fece le virgolette con le dita in un gesto che April considerò piuttosto tenero.
«Spero di non buttare all’aria tutto il lavoro di tua sorella allora. Eccoci qui.» disse e si fermò di fronte a un locale dall’aria piuttosto grande. Dalla porta a vetri si poteva vedere un ambiente piuttosto rustico e varie persone all’interno; si sentiva anche un vago schiamazzare che si confondeva con il traffico.
«Da come dicevi “non fa per me” mi aspettavo chissà cosa.» commentò il ragazzo. April si sentì una scema.
In quel momento la porta del locale si aprì e un delizioso profumo di fritto li investì.
«Ok, adoro questo posto.» decretò il rosso; si avvicinò alla porta e la aprì, aspettando che April entrasse per prima.
L’interno era come sembrava dalla strada: piuttosto rustico. Nonostante questo, era carino, con un pavimento in travi di legno, tavoli sempre in legno con lunghe panche su cui sedersi, un bancone sulla destra da cui uscivano i camerieri per servire che fungeva anche da angolo bar in cui, si poteva notare, la birra scorreva a fiumi.
C’era un allegro vociare che metteva quasi buonumore e la clientela era costituita prevalentemente da famiglie o comitive di amici; si poteva notare qualche coppia, ma in effetti il posto non era il solito ambiente romantico.
Si sedettero su un tavolo lungo la parete a sinistra e April osservò Aaron guardarsi attorno.
«Sei sicuro che ti piaccia?» si ritrovò a chiedere.
Il rosso sorrise gentile.
«Te l’ho detto, lo adoro.» ripeté.
April sospirò, sentendosi più tranquilla.
Non fecero in tempo a scambiarsi altre parole che arrivò una cameriera con dei menù.
«Buonasera ragazzi! Questi sono i menù, ecco a voi.» mentre lo diceva quasi si lanciò verso di loro per porgerli; April notò il repentino cambiamento del rosso: sul suo volto sparì qualsiasi traccia di emozione e si fece del tutto indifferente, spostando rapido lo sguardo.
«Sapete già cosa prendere da bere?» continuò allegra la giovane cameriera con un sorriso che le si allargava da una parte all’altra.
April per un attimo non seppe cosa dire; era troppo concentrata sulla strana reazione di Aaron.
«Emh… Io prendo una birra, media.» disse poi, e guardò il rosso in attesa.
Il ragazzo, d’altro canto, borbottò a malapena un “lo stesso”, e continuò a evitare ostinato lo sguardo della cameriera che, per niente scalfita dal suo comportamento, segnò tutto su un taccuino e prese il volo aggiungendo giusto che sarebbe ripassata per le ordinazioni.
«Tutto a posto?» si ritrovò a chiedere April. Era confusa: che diavolo gli era preso?
«Splendidamente.» rispose Aaron e riprese a guardarla negli occhi, il viso di nuovo rilassato – non come prima, certo, ma di nuovo tranquillo.
Ok, sono piuttosto confusa, pensò la bionda, ma si costrinse a lasciar perdere e a ignorare la propria curiosità che le diceva di fare domande.
«Mi dicevi che quindi facevi anche sport, giusto?» chiese, cambiando volutamente il discorso. Aaron sembrò apprezzare quel gesto.
«Sì, a dire il vero anche adesso cerco di mantenermi in forma.» borbottò, privo della scintilla allegra di poco prima; April lo osservò mentre prendeva il menù e lo sfogliava. In silenzio fece lo stesso.
Quell’essere taciturno del rosso iniziò subito a pesarle e si ritrovò a disagio, incapace di dire qualcosa; fissò il menù senza quasi vederlo, impegnata com’era a farsi prendere dall’ansia.
E se avessi fatto qualcosa io?, pensava dubbiosa. Le sembrava strano che il suo comportamento fosse cambiato a causa della cameriera, per questo ipotizzava fosse colpa sua; nonostante quei pensieri, qualcosa continuava però a dirle che lei non c’entrasse niente.
«Tu invece? Fai qualche sport?»
La voce di Aaron la portò via dai pensieri; sollevò lo sguardo e vide il ragazzo fare un pallido sorriso. Sembrava che si stesse sforzando.
«No, non sono una tipa sportiva.» ammise, accogliendo quel tentativo «Ci ho provato varie volte a provare ad andare a correre, ma credo proprio non faccia per me.»
Aaron annuì e basta e in breve tempo il silenzio si ripresentò; durò poco, perché la cameriera ritornò con il solito luminoso sorriso.
«Ecco a voi le birre!» esclamò allegra, poggiando due boccali di medie dimensioni di fronte a ciascuno.
Ed eccolo lì: April ci stette attenta questa volta e notò come, all’avvicinarsi della ragazza, il rosso riprendesse di nuovo quell’atteggiamento gelido – lo stesso atteggiamento che, si ricordò, aveva nei suoi confronti tutte le altre volte che si erano visti.
«Torno fra poco per le ordinazioni!» continuò la ragazza, e scomparve di nuovo.
A quel punto, April non ce la fece più.
«Scusa per la domanda da ficcanaso, ma hai per caso qualche problema con la cameriera?»
Mai l’avesse detto.
Aaron diventò pallido tutto d’un colpo, la guardò in faccia e subito distolse gli occhi preso da quello che – ad April sembrò molto strano – pareva proprio terrore.
Non fece in tempo ad aggiungere altro – tipo un “ignora la domanda”, “scusa l’insolenza”, oppure un più sincero “ma hai problemi?” – che Aaron si alzò di scatto facendola spaventare.
«Devo andare in bagno.» disse solo il ragazzo e la bionda si preoccupò seriamente, pensando che stesse davvero male. Ma non poté dire nulla, perché il rosso si fiondò giù dalla sedia e la lasciò sola.
Merda.
Ok, aveva appena fatto un casino e il fatto era che non sapeva neanche cosa avesse detto di così grave.
Io e il mio solito tatto di merda, continuò tragica.
Prima di continuare a deprimersi in solitudine, afferrò il telefono e digitò il numero di May, almeno per deprimersi in compagnia.
Il telefono squillò un paio di volte.
«Pronto?»
«Ehi May, sono io. Tutto bene? Come sta Adam?» domandò educata. Dalla cornetta percepì un sospiro.
«Tutto a posto, grazie al cielo. Non era nulla di grave, pare avesse solo mangiato qualcosa di andato a male e gli hanno dovuto fare una lavanda gastrica. Ora sto aspettando che finisca e poi lo porto a casa.» disse l’amica. April sorrise.
«Per fortuna! Dormi da lui stasera?»
«Sì, meglio che lo tenga d’occhio… Devo ispezionare il suo frigo e buttare tutto quello che ha ancora di nocivo.» fece con un lieve tono sarcastico «Tu piuttosto, perché mi stai chiamando? Non dovresti essere con Aaron e il suo amico?» continuò.
«Ti ho chiamato proprio per questo. Il suo amico, comunque, non è venuto, pare avesse anche lui dei problemi.»
«Oh.»
«Sì, beh, stava comunque andando tutto alla grande fino a quando ha iniziato a comportarsi in maniera strana ogni volta che arrivava la cameriera.» spiegò.
«La cameriera? In che senso strano?»
«Ma che ne so! Diventava taciturno, a malapena mi guardava negli occhi e, so che è strano, ma sembrava quasi avesse paura! Cioè, non è che strillasse, anzi diventava gelido all’improvviso, ma l’impressione che mi ha dato è questa.» si lamentò.
«Oddio, e poi?»
«E poi, con il mio solito tatto, ho finito per chiedergli se ci fosse qualche problema…» borbottò.
«April…» sospirò May, ma senza un vero rimprovero «Lui comunque che ha detto?»
April fece una smorfia, anche se non poteva essere vista.
«Niente, è fuggito via dicendo di dover andare in bagno.»
«Uh. La cosa deve averlo toccato parecchio se è fuggito così.» commentò May.
«Cosa mi consigli di fare?» mugolò la bionda.
«Non saprei. Cioè, alla fine non lo conosci, non sai appunto quale sia un problema e quindi sei stata un po’ indelicata. La cosa migliore da fare, forse, sarebbe chiedergli scusa appena torna e poi evitare l’argomento per tutta la serata. Cerca di parlare di qualcosa che sai potrebbe piacergli.» rispose May.
April sospirò. Per fortuna c’era la castana come mente della situazione; senza di lei, April sapeva di essere persa.
«Hai ragione, farò come dici e vedo se riesco a migliorare qualcosa.» disse.
«Dai, adesso meglio chiudere, non farti trovare al telefono. Buona fortuna!»
«Grazie, salutami Adam e digli di riprendersi.»
«Lo farò
April chiuse la chiamata e poggiò il telefono sul tavolo. Ora non le rimaneva che aspettare che tornasse da quella fuga.
 
«Tom, aiutami.»
In tutto quello, Aaron era ormai completamente nel panico.
Oddio. Oddio, oddio, oddio. Sapevo che era una pessima idea, pensava ininterrotto.
«E ora che è successo?» la domanda di Tom arrivò con un tono tra lo stanco e il divertito.
Aaron gli snocciolò ciò che era appena successo in poche parole.
«…capisci?! Non vedi? Le donne sono spaventose, cazzo!» terminò con un tono isterico.
Chiuso nel cubicolo, sedeva sul water in maniera piuttosto ridicola e si passava una mano sui capelli in maniera nervosa.
«Ma sei un idiota? Cazzo, Aaron, è normale una domanda del genere! Chiunque noterebbe il tuo comportamento, lei ha solo osato un po’ di più chiedendoti a cosa fosse dovuto. Datti una calmata.» replicò duro il moro.
In seguito a quelle parole, Aaron perse tutto l’ardore.
«Sì, ma…»
«Ma cosa? Avanti Aaron, dammi dei cazzo di motivi per cui questa situazione dovrebbe essere spaventosa.» fece secco Tom.
Sì, era seriamente arrabbiato.
«…non lo so.» finì per sussurrare Aaron.
Era la verità: non sapeva nemmeno lui cosa esattamente gli facesse paura, ma la provava.
«Ecco, allora, come prima cosa: dove ti trovi ora?»
«In bagno.»
«Dio santo, Aaron. Nemmeno una ragazzina.» fece disgustato Tom. Aaron non commentò.
«Comunque sia, ora torni lì dentro, le dici “scusa, non mi sento bene stasera” e liquidi l’argomento in due parole, va bene? A patto che tu non voglia parlargliene, ovvio.» disse l’ultima frase con un tono chiaramente sarcastico.
«E se lei insiste?» chiese ancora Aaron. In quel momento sembrava un bambino di cinque anni.
«Dille di farsi i cazzi suoi.» celiò con tono soave il moro. Aaron poté facilmente immaginare il sorriso splendente del moro che accompagnava quelle parole.
«Va bene.»
«Perfetto. E ora torna fuori e comportati da adulto, cazzo.» terminò secco Tom, senza lasciargli il tempo di replicare: gli chiuse direttamente il telefono in faccia.
Aaron sospirò.
«Coraggio.» disse fra sé, per poi alzarsi dal water e uscire dal cubicolo.
Si fermò di fronte allo specchio: aveva uno sguardo parecchio stralunato e i capelli in disordine, o almeno più del solito; si passò una mano tra le ciocche rosse, cercando di sistemarle, e si passò un po’ d’acqua sul viso per rinfrescarsi.
Aaron, ce la puoi fare.
Con questo ultimo pensiero in testa uscì dal bagno, dirigendosi verso il tavolo.
Avvicinandosi, si permise di osservare bene April; in quel momento teneva la testa china e giocherellava con le sue stesse mani. I capelli biondi le scendevano sul viso coprendolo parzialmente, ma sbucavano i suoi occhiali di un rosso brillante. Non riusciva a vedere benissimo la sua espressione, ma sembrava corrucciata.
Sentì il timore di avvicinarsi crescere in lui e prima che potesse bloccarlo definitivamente si costrinse a raggiungere la ragazza.
«Scusa se ti ho fatto aspettare.»
April sobbalzò e alzò la testa di scatto; i suoi occhi verdi erano lo guardavano con timore.
E ora perché mi guarda così?, pensò spaventato.
«Oh, non preoccuparti. Tu stai bene? Scusa per la domanda di prima, non volevo essere invadente, dimenticala pure.»
Parlò così velocemente che Aaron ci mise un paio di secondi a recepire tutta la frase. Una volta fatto, si sentì una merda come si rese conto di averla fatta preoccupare a causa del proprio problema.
«Io…» iniziò indeciso, poi si sedette e fece un profondo sospiro «Scusa, sono stato io il maleducato. Non mi sentivo molto bene, perdona la mia reazione.» parlò in maniera un po’ affettata e forse distaccata, ma riuscì a guardarla negli occhi.
La giovane ricambiò lo sguardo.
«Mi spiace, ora stai meglio? Se preferisci tornare a casa non ci sono problemi.»
Eccola. Gli stava offrendo la possibilità di andarsene su un piatto d’argento, l’avrebbe dovuta cogliere?
«…Sto bene, ora. È stato solo un momento, lascia stare.» disse e le sorrise.
Sì, Aaron, ce la puoi fare. Non è così difficile, escono tutti con una ragazza e nessuno è mai morto per questo, no?
Nonostante questo fu comunque messo a dura prova dal nuovo arrivo della solita cameriera.
Ecco, lei è una di quelle spaventose.
«Avete scelto cosa ordinare?»
Aaron sentì il proprio cuore sobbalzare sul petto e pensò che gli stesse per venire un attacco di panico; si costrinse a tirare un profondo respiro.
Non ci pensare, non ci pensare, non ci pensare
A dire il vero aveva a malapena dato un’occhiata al menù, perciò lo riprese in fretta controllando rapido cosa ci fosse scritto.
«Per me un fritto misto di carne, e delle patatine fritte.» disse a bassa voce.
Non guardò la cameriera scrivere l’ordinazione, ma alzò gli occhi verso April che lo guardava mentre tentava di nascondere la confusione del suo comportamento.
«Io un fritto misto normale e delle patatine fritte.» disse la giovane.
La cameriera prese nuovamente il volo e rimasero da soli; solo a quel punto Aaron si permise di riprendere a respirare normalmente e si accorse con stupore come quella ragazza non gli causasse la forte paura che invece aveva provato fino a quel momento.
Mi chiedo come faccia a non spaventarmi, pensò turbato, ma decise di non pensarci e di godere di quella tranquillità.
«Più ci penso meno riesco a immaginarti grasso, sai?»
La voce di April lo distrasse e sollevò lo sguardo verso di lei: la giovane lo fissava con un mezzo sorriso e comprese che stesse cercando di far ritornare la conversazione come prima.
Si permise un sorriso rilassato e non si accorse di come fosse normale rivolgerlo a lei.
«Beh, devi crederci. Da ragazzino ero grasso, brufoloso e portavo anche l’apparecchio ai denti.» ammise. La giovane scoppiò a ridere.
«Eri un piccolo mostriciattolo allora!» disse scherzosa, ma quelle parole fecero per un attimo venire in mente ad Aaron dei brutti ricordi. La fissò e osservare quei luminosi occhi verdi distolse l’attenzione dai ricordi spiacevoli.
«Purtroppo sì. Se non ci fossero state le mie sorelle credo che lo sarei ancora, ma volevano avere un fratello di cui vantarsi, immagino.»
Si rese conto troppo tardi di come le sue parole potessero sembrare vanitose, ma April lo precedette.
«Puoi confermare loro che ci sono riuscite.» disse con un sorriso privo di alcun ammiccamento.
«E tu invece? Com’eri da piccola?»
April fece una piccola smorfia e per un attimo il rosso temette di aver detto qualcosa di sbagliato.
«Anche io ero uno sgorbietto, lo ammetto. Ero tutta ossa, sempre sporca perché adoravo giocare con la terra, e mi avevano fatto un orrendo taglio da ragazzo che ricorderò per tutta la vita.» e dicendo questo mimò un brivido disgustato. Aaron rise.
«Credo che un po’ tutti abbiano avuto un’infanzia spaventosa da questo punto di vista.» considerò.
In quel momento la cameriera arrivò e poggiò i piatti di fronte ad entrambi, ma Aaron era talmente concentrato a osservare April che ebbe poco tempo per spaventarsi.
«Buon appetito ragazzi!»
Il rosso riuscì pure a dire grazie senza quasi accorgersene.
Il resto della serata passò con varie chiacchiere e molte risate, e Aaron si stupì di quanto riuscisse a sentirsi leggero parlando con lei.
Quindi è così che dovrebbe essere parlare in tranquillità con una ragazza?
Non c’era nulla di spaventoso, e April aveva degli occhi così luminosi che Aaron si chiedeva come potesse avergli fatto paura in precedenza. Sembrava una bambolina e per un attimo volle…
Oddio. Cosa voglio? Aaron, non farti venire strane idee, si bloccò immediatamente e impallidì.
La giovane se ne accorse.
«Tutto bene? Stai di nuovo male?»
«Sto alla grande.» rispose immediatamente il rosso.
Non voleva rompere il momento di pace che si era venuto a creare, meglio eliminare gli strani pensieri che gli erano saltati in testa. E anche in fretta.
La bionda lo guardò ancora per un attimo con incertezza, poi annuì e gli sorrise.
Avevano entrambi finito di mangiare da un pezzo e Aaron si accorse che avevano passato tutto il resto del tempo a chiacchierare e basta; la cosa gli piaceva più di quanto si aspettasse.
«Possiamo andare a fare una passeggiata ora, che ne dici?»
Le parole di April lo facere sobbalzare; perché dovevano andarsene da lì? Aveva paura che, una volta uscito, la bolla dorata in cui era sarebbe scoppiata per sempre e non voleva.
Si sentì un bambino a pensare a quelle cose, ma alla fine lo era: in quell’ambito, era un totale incapace.
«Se preferisci…» disse solo, e le sorrise di nuovo.
April annuì e si alzò, prendendo la borsa.
«Aspetta!»
La bionda si girò.
«Pago io.» disse Aaron, alzandosi e mettendo la mano in tasca per prendere il portafoglio. In tutta risposta, la ragazza inarcò un sopracciglio con fare scettico.
«Scusa? Non hai capito, tesoro, ora tu ti siedi lì da bravo e aspetti che io paghi. Sono le mie scuse, ti ricordi?» disse con un tono che non ammetteva repliche.
Aaron non seppe cosa rispondere; lei aveva ragione – e quel cipiglio minaccioso gli faceva davvero paura – ma se avesse pagato lui anche quella volta ci sarebbe stata la scusa per rivederla ancora, no?
«Sei ancora in piedi? Siediti.» ordinò perentoria la giovane.
Avanti Aaron, controbatti qualcosa!, pensò.
E invece no, tanti saluti al suo coraggio precedente: come un bravo cagnolino spaventato, abbassò le orecchie e la coda, finendo per sedersi di nuovo.
Doveva avere un’aria terribilmente sconsolata perché notò April esitare per un attimo mentre lo guardava; e invece niente, la giovane si girò e corse verso la cassa – forse aveva paura di pentirsene.
Prese in mano il cellulare, ignorato per tutta la sera, e solo in quel momento si accorse di avere dei messaggi non letti.
Era Tom.
“Ti sei calmato?”
Una decina di minuti dopo, un altro.
“Il fatto che non mi rispondi devo prenderlo come un brutto segnale?”
Pochi minuti dopo un altro ancora.
“Riposa in pace, amico.”
Che idiota, pensò Aaron alzando gli occhi al cielo. Si affrettò a rispondere prima che Tom corresse a inventarsi un suo presunto testamento segreto dove lasciava tutto al moro.
“Sto bene, idiota. Non mi ero accorto dei messaggi, tutto qui.” scrisse.
La risposta arrivò molto più rapida di quanto si aspettasse.
“Oh, peccato, e io che pensavo di potermi già appropriare delle tue cose. Comunque, procede bene la serata?”
Aaron lanciò un’occhiata ad April: era ancora in fila e anche lei guardava il cellulare.
“Procede bene. Non so perché, ma lei non mi spaventa.” mentre lo scriveva arrossì, sentendosi in imbarazzo a dire quel genere di parole.
“Ma che tenero che sei, alle prime esperienze amorose…” fu la risposta.
“Fottiti.”
“Io spero che riesca a fottere tu, amico, vorrei evitare di costringerti a ubriacarti di nuovo.”
Aaron lesse il messaggio e sbiancò all’improvviso.
«Che faccia. È successo qualcosa?»
La voce di April lo fece scattare in piedi spaventato. Per un attimo, mentre la guardava, non riuscì a fare a meno di pensare a qualcosa per cui Tom avrebbe di sicuro applaudito, orgoglioso del proprio “figliolo”.
«No, niente di importante.» finì per balbettare in imbarazzo.
April lo guardò incuriosita.
«Se lo dici tu…» borbottò confusa, poi cambiò rapida espressione e gli rivolse un luminoso sorriso.
«Vogliamo andare, allora?»
E ad Aaron non rimase solo che annuire.
 
 
 
La porta si aprì con un lieve rumore e April la richiuse provocando un basso tonfo sordo.
Sospirò e si stiracchiò di fronte all’entrata, poi si tolse le scarpe e si massaggiò le caviglie con aria stanca.
Avevano camminato un sacco quella sera, lei e Aaron. Era stato piacevole, la serata, dopo la partenza un po’ incerta, aveva proseguito più che bene ed era stupita che fosse riuscita a sentirsi così a suo agio.
Non che non fosse la tipa che si sente spesso a disagio – soprattutto con i ragazzi mostrava una tranquillità assoluta certe volte – ma era abituata a mentire per mostrarsi più sofisticata, più elegante, migliore di quanto non fosse davvero. Non lo faceva apposta, semplicemente le usciva naturale e sapeva che non fosse giusto, ma aveva un inspiegabile timore che se si fosse mostrata per quello che era – ovvero fuori di testa, pazza per i vestiti, non troppo chic e più semplice di quanto non sembrasse – i ragazzi non l’avrebbero guardata.
Con Aaron non era stato così complicato invece, forse perché non stava cercando di fare colpo e non le interessava nemmeno. Forse a causa del brusco inizio tra loro due, lo vedeva solo come un amico e basta. Forse perché sperava nascesse qualcosa di serio con Damian.
April fece una smorfia rendendosi conto di quanti “forse” ci fossero. Non doveva pensarci, comunque sia Damian le piaceva e si stava trovando bene con lui; Aaron era stata una piacevole uscita che, perché no, poteva anche ripetersi un’altra volta.
Si diresse nella camera degli ospiti, togliendosi i vestiti e buttandoli a casaccio sul letto per poi mettersi il suo adorato pigiama bianco con le ciliegie.
Non aveva voglia di struccarsi e per quella sera lasciò perdere, anche se sapeva che il giorno dopo se ne sarebbe pentita; aveva sonno e voleva mettersi a dormire.
Puntò giusto la sveglia per il giorno dopo – non doveva lavorare, ma meglio non alzarsi troppo tardi – e si tolse gli occhiali, per poi abbandonarsi sul cuscino.
Mentre crollava addormentata, l’ultima immagine nella sua testa fu una chioma rosso fuoco.
  
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