Pensieri
-Devi dirmi qualcosa?- chiese dolcemente
accarezzandogli i
capelli, il bambino smise di torturarsi le mani, ma mantenne la testa
incassata
nelle spalle. Si abbassò lievemente in modo da raggiungere l’altezza
del
piccolo che era seduto sul tavolo e gli passò le dita in una carezza
materna
sul capo.
-Prometti di non arrabbiarti?- la voce era flebile
e
borbottante, a Mie veniva quasi voglia di lasciare perdere tutto e
abbracciarlo. E lo fece, avvolse le braccia intorno al corpo di Mihir e
lo
prese in braccio tenendolo ben stretto contro di sé
-Va tutto bene Mihir, non mi arrabbierò. È
importante che tu
mi dica tutto- si dondolò appena sui talloni cullandolo e il bimbo le
strinse
le braccia al collo
-Loro sono stati gentili con me, davvero!-
argomentò
cercando di scusarsi, decise per il momento di ascoltarlo e vedere dove
voleva
finire con quella premessa -Abbiamo parlato per un po’ e mi hanno
lasciato
vedere i movimenti tridimensionali senza arrabbiarsi!-
Corrucciò le sopracciglia perplessa e lascio una
lunga carezza
lungo la schiena del piccolo spingendolo ad allontanarsi dalla sua
spalla
-Cioè? Cosa avete fatto esattamente?- chiese osservandolo negli occhi
-Avevano addosso quelle imbracature che hanno
sempre i
soldati e allora volevo vederle da vicino, mi hanno detto che si
chiamano
movimento tridimensionale e che le usano per volare. Anche se non sono
soldati
possono volare!- il viso del bambino si era pian piano illuminato -Ci
sono
tutte queste cinghie che passano intorno al corpo e anche un sacco di
pezzi di
metallo per tenerle insieme, di fianco invece hanno delle spade- Mie
impallidì
di colpo, ma lui non parve farci caso troppo preso dalla descrizione di
quei
congegni che tanto ammirava -Ma quelle non posso toccarle perché sono
pericolose-
Mihir la osservò di sottecchi come se stesse
meditando se
dirle o meno qualcosa, ma alla fine si decise. Avvicinò il viso al suo
con
sguardo serio -I soldati non vogliono che anche loro possano volare e
per
questo cercano di impedirglielo, le spade gli servono per difendersi-
aprì la
bocca per dire qualcosa, ma il bambino la interruppe prima tornando ad
alzare
il tono di voce -Mi hanno anche dato questa!-
Si divincolò come un’anguilla tra le sue braccia
cercando di
scendere, tanto che alla fine Mie si arrendette posandolo a terra,
immediatamente raggiunse un angolo del tavolo e afferrò una busta
bianca di cui
lei si accorse solo in quel momento -Cos’è?- chiese avvicinandosi
Il viso del bambino si aprì in un sorriso
d’orgoglio -Una
lettera importante! Devo dartela e poi devo leggertela! È
importantissima!-
La prese tra le dita, era bianca con qualche
striature
marrone e grigia, come se qualcuno l’avesse strisciata contro un muro o
per
terra, leggermente spiegazzata e con un angolo strappato -Te l’hanno
data
loro?-
Annuii freneticamente -Si! È importante! Dovevo
dartela
quando eravamo solo io e te!-
Mosse la testa accennando un assenso, afferrò un
coltello
dal cassetto delle posate e l’aprì. Era un solo foglio scritto su un
solo lato,
la calligrafia era precisa e le parole formavano frasi dritte sulla
carta
nonostante non fossero presenti segni guida. Gli diede una veloce
scorsa riconoscendo
alcuni termini familiari, ma si arrese velocemente con un sospiro.
Mihir si era allungato sulle punte dei piedi e
adesso teneva
i suoi polsi fra le mani -La leggo?- il tono era trepidante come se non
aspettasse altro che il suo consenso. Sbuffò passandogliela, il bambino
scorse
con gli occhi il testo poi si guardò intorno -C’è qualcun’altro?- chiese
Mie si guardò intorno -Non ce nessuno a parte noi
due Mihir!-
disse scocciata -Leggi quella lettera e facciamo in fretta, che papà
sta alla
locanda da solo-
Annuii ritornando con lo sguardo alla carta,
strizzò gli
occhi un paio di volte e poi cominciò a leggere:
-Se sta leggendo questa lettera vuol dire che non
ho avuto
modo di vederla di persona e, per quanto il discutere di certe cose su
carta mi
faccia rivoltare le budella, non posso perdere tempo a correrle dietro;
cercherò di essere il più chiaro e semplice possibile.
La sua locanda si trova in una posizione altamente
strategica ed è frequentato da molte persone, di ogni risma, dai
soldati ai
comuni cittadini, dai nobili agli straccioni, sebbene non credo ci sia
necessità che sia io a ricordarglielo, le persone parlano di molte cose
e tanto
più volentieri se hanno bevuto qualche boccale di troppo e mangiato un
piatto
caldo. Questo preambolo è stato necessario per introdurre la mia
richiesta:
vorrei che lei fornisse il suo aiuto come informatore e avamposto, so
per certo
che non è in contatto stretto con i soldati né approva il loro modo di
gestire
le questioni del distretto sotterraneo e per questo le propongo questo
accordo;
il beneficio verrà a entrambe le parti perché il suo contributo sarà
degnamente
retribuito. Informazioni e protezione in cambio di denaro e una vita
più giusta
e sicura in questo distretto.
Quando avrà preso la sua decisione abbia
l’accortezza di
comunicarmelo per iscritto, in una lettera sigillata e anonima. Dovrà
consegnarla al ragazzo che risponde al nome di Marcus e che troverà
all’entrata
occidentale del mercato, lo riconoscerà per il fazzoletto rosso legato
al
polpaccio-
La voce di Mihir si spense nella cucina lasciando
posto a un
ingombrante silenzio. Mie aveva il viso corrucciato e le mani stavano
torturando la gonna che portava. Il piccolo sollevò lo sguardo su di
lei.
-C’è nient’altro?- chiese ansiosa
Scosse la testa -No, finisce così-
Il silenziò calò nuovamente, ma stavolta durò solo
un paio
di secondi, lasciò andare il tessuto ruvido sospirando amaramente
-Nessun nome?
Un indirizzo?-
Scosse nuovamente la testa porgendogli la lettera
-Non c’è
nient’altro! Guarda!-
Osservò attentamente quelle scritte cercando
qualsiasi cosa
che potesse dargli un indizio, uno scarabocchio a fondo pagina, un
segno di
troppo, ma nulla. Strinse la carta tra le mani stropicciandola -Che
diavolo
significa!- sbottò rabbiosa, non aveva senso, non aveva un minimo di
senso!
Si massaggiò la radice del naso infilandosi la pallina di carta in
tasca -Parlami
di chi ti ha dato questa lettera, descrivili, dimmi loro nomi, tutto-
Mihir annuii insicuro -Erano due, uno alto come la
finestra
e l’altro più basso-
-Va bene- le parole gli rotolarono fuori dalla
bocca stanche
-Quando li hai incontrati di preciso?-
-Dopo che siamo tornati a casa, tu stavi lavorando
con papà
e io ero in corridoio, li ho sentiti parlare e poi li ho visti-
-Ti hanno chiamato?-
Il bambino abbasso il capo borbottando
-Mihir!- lo riprese massaggiandosi gli occhi -Per
favore-
Sbuffò scuotendo la testa e incrociando le braccia
al petto -No.
Li stavo… spiando dalla finestra e quando stavano per andare via sono
uscito-
-Perché?- era esasperata
-Avevano i movimenti tridimensionali!- esclamò, le
braccia
aperte, le gambe divaricate e il busto un po’ sporto in avanti, gli
occhi erano
sgranati ed euforici mentre la bocca aveva un espressione fintamente
drammatica. Mie davvero non capiva il suo amore per quelle macchine
-E quindi?-
-Loro sembravano gentili- borbottò tornando a
incrociare le
braccia, sollevo un sopracciglio in una muta domanda -Magari me lo
avrebbero
fatto vedere, non come i soldati- rispose
Sospirò di nuovo -Erano due?- riprese il filo del
discorso,
lui annuii
-Uno alto e uno basso-
-Parlami di quello alto-
-Era alto come la finestra e aveva i capelli
biondi, ma non
come i miei, più scuri! E poi era… grande- Mie pensò a Chayse con le
spalle
larghe e il metto ampio e massiccio, probabilmente intendeva quello con
“grande”
-E aveva anche lui il movimento tridimensionale. Era quello che parlava
di più ed
era simpatico e divertente, è stato lui a darmi la lettera e a
rimettermi sul
davanzale dopo che sono caduto, era gentile-
Annuii -L’altro? Hai parlato anche con lui?-
Assentii col capo -Era più basso e aveva i capelli
neri, era
anche più piccolo e magro. Però è stato lui a prendermi prima che
cadessi, era
molto veloce- spiegò ripensando allo scatto che aveva fatto quando
aveva
provato ad afferrare la spada -Ha parlato poco, ma era gentile. E
strano. Non
lo so- finì scrollando le spalle
-Qualcos’altro?-
Mihir mise su un broncio concentrato prima di
tornare a
parlare -Quello biondo mi ha promesso che mi fa volare la prossima
volta che ci
vediamo, così poi posso prendere in giro i soldati perché ho volato
anche io-
disse fieramente
Me inizialmente sgranò gli occhi per poi scuotere
il capo,
se conosceva il bambino almeno la metà di quanto pensava di conoscerlo
era
certa che l’uomo in questione avesse detto di sì solo per farlo
smettere di
insistere -I loro nomi?-
Mihir scosse di nuovo la testa rattristandosi -Non
lo so,
non me li hanno detti-
Mie gli scompigliò i capelli intenerita dal
broncio
rattristato del bambino -Quanti anni avevano?-
Sollevò le spalle -Boh-
-Come papà?-
-No!- rispose immediatamente
-Assomigliavano più a te…- scosse la testa -Forse
più
piccoli-
Annuii sollevandosi dai calcagni, aveva capito e
se quei due
erano davvero i tizi che si erano presentati alla locanda appena un’ora
e mezza
prima… sospirò. Perché diavolo certe cose accadevano proprio a lei? Non
poteva
proprio vivere una vita tranquilla eh! Sul volto si dipinse un sorriso
amaro
che si spense velocemente sostituito da un’espressione determinata.
-La lettera la tengo io!- decretò sfiorando la
pallina di
carta dentro la tasca della gonna -E adesso tu te ne vai in camera per
punizione-
-Eh?- chiese sconvolto, Mie si trattenne dal ridere
-Non solo sei uscito senza dirmi niente, ma hai
anche
rischiato di farti male, hai parlato con degli sconosciuti e hai
tentato di
tenermi tutto nascosto-
-Non è vero!- protestò
-Fila in camera tua e stasera mi darai una mano a
pulire
tutto-
Sul viso di Mihir si dipinse un’espressione a metà
fra il terrorizzato
e in disgustato, sapeva quanto odiasse pulire i tavoli e la cucina, era
la peggior
cosa che gli potesse capitare
-Ma io- provò a protestare debolmente
-Non voglio obiezioni! Mi hai deluso e non posso
permettere
che succeda di nuovo, non ho il tempo di starti appresso costantemente,
devo
gestire la locanda e se non posso fidarmi di te allora farò in modo di
assicurarmi che tu non sia in pericolo-
Abbassò la testa incassandola nelle spalle -Scusa-
borbottò.
Gli lasciò un’ultima carezza tra i capelli prima che uscisse per salire
le
scale e andare in camera.
Osservò stancamente i piatti freddi posati sul
tavolo e si
decise, sebbene a malincuore, di rovesciarli nuovamente nelle varie
pentole per
riscaldarli. Accese i fuochi prima di tornare alla locanda, sperava che
fosse
andato tutto bene.
Dondolò i piedi che cadevano dal bordo del letto,
era
semisdraiato sul materasso e si stava annoiando a morte. Sentì una
fitta di
rimorso attorcigliargli l’intestino, aveva fatto preoccupare Mie, ma
alla fine
non era successo nulla di pericoloso! Anzi, quei due ragazzi dovevano
parlare
con lei quindi era stato un bene che li trovasse no? Sbuffò rotolando
sulla
pancia per gattonare fino alla finestra sopra il letto. Dava
esattamente sulla
piccola piazza ai piedi della scalinata ovest che portava verso
l’esterno, non
c’era mai stato. Anche perché salire quelle scale era impossibile nella
maggioranza dei casi.
Gli unici che avevano il permesso di uscire erano
i soldati,
che facevano frequentemente uscite di sopra, e i nobili. Si
riconoscevano
subito, possedevano lunghi mantelli e vestiti costosi, avevano sempre
qualche
anello e non sopportavano il dover stare troppo in mezzo alle persone.
Erano
strani, eppure molti di loro venivano abitualmente alla locanda per poi
andare
alle Case del Piacere. Storse il naso, Mie una volta gli aveva spiegato
cos’erano
sotto sua insistenza dopo che un nobile lo aveva preso in giro perché
non le
conosceva, era un lavoro come un altro e sicuramente permetteva di
guadagnare
grosse somme in poco tempo, ma era molto pericoloso. Questo glielo
aveva
svelato lei, a quanto pare c’era spesso il rischio di morire di parto o
durante
l’incontro con uno dei nobili.
C’era anche un’ultima categoria di persone che
potevano
uscire all’esterno, i ricchi. Coloro che erano riusciti a guadagnare
abbastanza
soldi da poter comprare la cittadinanza e risalire al mondo esterno.
Davvero
non capiva perché alcune persone arrivassero a tanto, vendendo tutti i
loro
beni e averi solo per poter salire quei gradini e andare a vivere in un
mondo
dove non avevano nulla ed erano meno di zero. Se addirittura i nobili
scendevano giù da loro voleva significare che forse il mondo oltre la
volta di
pietra non era poi così bello come si diceva in giro.
Chiuse gli occhi provando a immaginarlo, quando
era più
piccolo sua madre gli aveva raccontato di quel mondo dove il sole ti
accecava
gli occhi non per qualche ora soltanto, ma brillava nel cielo per tempi
lunghissimi per poi diventare rosso e sparire lentamente oltre il muro.
Il
muro, gli aveva spiegato, era alto molto più di un essere umano, così
alto da
toccare il cielo e non si poteva uscire, serviva a proteggerli.
Proteggerci da
cosa? Aveva chiesto ingenuamente e allora Corinne gli aveva accarezzato
il capo
sorridendogli con quel suo sorriso dolce, quella stiratura di labbra
che nascondeva
i denti ma trasmetteva i sentimenti che si annidavano nel profondo del
suo
cuore, dai giganti; i giganti erano esseri enormi, alti molto più di un
essere
umano e più di una casa, la maggioranza di loro avrebbe tranquillamente
toccato
la volta di pietra con la testa. Avevano occhi e orecchie, naso e
bocca,
capelli e corpo, ma erano nudi. E mangiavano gli umani. Erano il loro
cibo
preferito e non ne erano mai sazi. Le mura sono le uniche cose più alte
di loro
e servono a tenerli fuori, a proteggere tutti noi da loro, spiegava
pazientemente.
Aveva storto la bocca lamentandosi, e Corinne
aveva ridacchiato
apostrofandolo come faceva sempre, non devi avere paura piccolo
principe, non
ti potranno fare mai del male e mai li vedrai nella tua vita perché sei
dentro
le mura e, soprattutto, nel sottosuolo, qui i giganti non possono
arrivare.
Aprì gli occhi risvegliandosi da quel ricordo,
aveva
imparato molte delle cose che sapeva da sua mamma e tutte le volte che
ripensava a quei giorni sentiva una morsa nel petto e il sapore amaro
sulla
lingua. Sentiva la tristezza montare con le lacrime al pensiero di suo
padre
distrutto dal dolore e di Mie che non aveva neanche potuto prendere
fiato
troppo impegnata a tirare avanti loro due. Quando invece provava a
concentrarsi
sugli ultimi momenti della mamma non ci riusciva, ricordava solamente
il vento
di terrore sulla sua pelle e l’odore della paura che gli riempiva i
polmoni, ognuno
tremava per sé.
Caccio il viso sul cuscino strofinandolo per
impedire alle
lacrime di scendere sulle guance più di quanto non avessero già fatto,
doveva
pensare alle cose belle adesso. Si sollevò di scatto dal letto e aprì
l’armadio,
scostò i vestiti più lunghi cercando di leggere i titoli dei libri
ammucchiati
sul fondo di legno e ne prese uno abbastanza sottile. Si risiedette sul
letto
accarezzando la rigida copertina colorata, molto più grande di quella
degli
altri libri. I colori erano tenui e sbiaditi, su tutto spiccava
l’immagine di un
anziano che vestiva con un gilè marroncino, una camicia bianca e dei
pantaloni,
sedeva su una roccia e teneva su una mano un esserino minuscolo, una
bambina
minuscola, o era l’anziano a essere enorme?, dai capelli marroni e con
una camicetta
da notte bianca. Il titolo recitava a grosse lettere “Il GGG”.
Aprì la prima pagina accarezzando con gli occhi le
linee di
inchiostro regolari e iniziò a leggere. La storia l’aveva sempre
affascinato e
più volte da piccolo aveva detto di voler conoscere quella bambina di
nome Sophie,
lei, di giganti, ne aveva visti molti e sicuramente sarebbe riuscita a
descriverglieli, magari avrebbe anche potuto incontrare il Grande
Gigante
Gentile. Si immerse nella lettura, le scene che si susseguivano davanti
ai suoi
occhi e le frasi che si completavano nella sua mente in maniera
automatica tanto
bene conosceva il racconto.
Sussultò quando sentì qualcuno poggiargli la mano
su una
spalla
-Ancora quel libro?-
Lo richiuse poggiandolo accanto a se e voltandosi
verso la
sorella, sapeva che a Mie non piaceva quel racconto, ma non gli avrebbe
mai
impedito di leggerlo
-Dobbiamo pulire?- chiese cambiando discorso, non
gli andava
di litigare di nuovo, sentiva già l’ansia attanagliargli nuovamente le
viscere
a quel pensiero. Lei annuii sospirando
-Abbiamo un sacco di lavoro da fare! Coraggio-
Balzò giù dal letto seguendola lungo le scale e
poi nella
locanda, appoggiati alla parete facevano sfoggio di sé una scopa e
degli
stracci buttati in un secchio pieno d’acqua.
-Io spazzo- affermò velocemente afferrando la
scopa e
correndo dall’altra parte del locale iniziando a lavorare, sentì la
sorella
sbuffare e sorrise, sapeva che pulire con gli stracci era un lavoro
decisamente
più lungo e noioso e non ci teneva proprio ad allungare la propria
agonia.
Mie sbuffò prendendo stracci e secchio iniziando a
pulire i
tavoli e il bancone, appena Mihir avesse finito si spazzare avrebbe
anche
lavato per terra. Durante la giornata, nonostante il lavoro, il
pensiero della
lettera non aveva fatto altro che ritornargli in mente e più volte
aveva
sfiorato quella pallina che teneva in tasca. Si era calmata e aveva
provato a
pensare razionalmente ai pro e contro della sua decisione, eppure
continuava a
tornargli in mente l’immagine di quei due ragazzi fuori dal locale, in
un
vicolo con Mihir. Da soli. Avrebbero potuto fare qualsiasi cosa e ciò
le
metteva addosso un’agitazione folle. Non era successo niente infondo e
si
sarebbe assicurata che non succedesse più nulla del genere eppure…
strofinò con
più forza lo straccio sul piano di legno cercando di togliere una
macchia. A
volte il comportamento di Mihir la mandava in panico, era un bambino
intelligente, ma nonostante ciò pareva non rendersi conto dei pericoli
più
concreti che lo circondavano, inoltre quando si faceva prendere dalle
emozioni si
comportava incoscientemente.
Eppure erano stati gentili con lui e avevano
evitato che si
facesse male. Non era un’idiota e per quanto il pensiero irrazionale le
dicesse
di mandare tutto all’aria sapeva che per afferrare un bambino che
cadeva all’improvviso
ci volevano i riflessi pronti e che, soprattutto, era una di quelle
cose che o
viene istintiva o non viene proprio. Quei due volevano davvero impedire
che
Mihir si facesse del male cadendo e per questo l’avevano afferrato per
tempo.
Nonostante ciò erano da soli con lui in un vicolo. Senza avvertirla. E
sarebbe
potuta succedere qualsiasi cosa.
Si trattenne con tutte le sue forze dallo sbattere
un pugno
sul tavolo e immerse lo straccio nell’acqua fredda per sciacquarlo.
L’avrebbero
pagata per il suo aiuto. Certo i soldi in casa non mancavano, ma
bisognava
essere realisti, neanche abbondavano. Se un giorno fosse successo
qualcosa e si
fossero ritrovati con dei debiti come avrebbero fatto? Avere un po’ di
soldi da
parte era sempre bene, soprattutto da quando non c’era più Corinne a
tenere la
contabilità della casa. Ma era il modo giusto di ottenerli? Di una cosa
era
certa, avevano azzeccato in pieno il fatto che non approvasse i metodi
usati
dagli Unicorni, quegli uomini gli davano il voltastomaco, sfruttavano
il loro
potere per ottenere tutto quello che volevano disinteressandosi di
qualunque
altra cosa. Ma chi gli avrebbe garantito che aiutarli avrebbe cambiato
la
situazione? Certo, cambiare era come fare una scelta a scatola chiusa,
poteva
andare peggio, ma poteva anche andare meglio. La domanda era quindi se
lei se
la sentiva di rischiare e provare a cambiare le cose o se, tutto
sommato, gli
andava bene restare così.
-Fatto!-
La voce squillante di Mihir riempì il locale vuoto
e attirò
la sua attenzione. Il bimbo poso la scopa contro il muro per poi
girarsi verso
di lei
-Papà?-
-Sta preparando la cena- rispose tornando a lavare
il
bancone
Mihir annuii scomparendo dietro la porta e lei
tornò a
strofinare lo straccio, cosa avrebbe fatto?
Note e Scleri dell'autrice:
Ehy gente! Vi piace questo capitolo? Probabilmente molti di voi lo avranno trovato noioso, ma ci volgiono anche i capitoli di intermezzo ogni tanto in una storia quindi mi dispiace, ma per stavolta va così. Nonostante ciò esprimete pure le vostre opinioni (sono criosa di conoscerle) tramite le recensioni, esistono per questo no?
Piccolo appunto, "Il GGG" è un libro che esiste davvero e fa parte della letteratura per ragazzi, scritto nel 1892 da Roald Dahl è praticamento perfetto per questa ambientazione; infatti parla di questa ragazza, Sophie, che vive in orfanotrofie e una notte, svegliandosi, vede un gigante. QUesto, per evitare che lei sveli a tutti la sua esstenza, la rapisce portandola nella sua casa dove gli dice di chiamarsi GGG (Grande Gigante Gentile, appunto) e gli spiega che non vuole farle del male, il suo compito è semplicemente quello di dare i sogni alle persone e non poteva rischiare che Sophie dicesse a tutti della sua esistenza. Gli dice inoltre che esitono molti altri giganti oltre a lui, che però sono cattivi e mangiano esseri umani (vi ricorda qualcosa per caso?). I due insieme ordisconoun piano per farli sprofondare in una fossa dove vivranno per sempre senza dare più fastidio agli umani e poi Sophie e il GGG andranno a vivere insieme in una casetta felici e contenti. Questo è il sunto del libro, letto da bambina, e che consiglio a tutti quanti (per i più sfaticati esiste anche il film XD). Ho pensato che sarebbe stata una lettura azzeccatissima per Mihir, voi che ne pensate?
E ora passiamo alla domanda della settimana (abbastanza intuibile):
Mie accetterà la proposta di lavorare con Levi e Farlan?
A- Sì
B- No
Votate numerosi e ricordate che voi siete (letteralmente) questa storia! Aspetto le vostre recensioni o i vostri MP!
A Mercoledì,
Imoto-chan