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Autore: ___Darkrose___    21/09/2017    8 recensioni
Ci troviamo negli Stati Uniti, negli anni delle continue conquiste del territorio da parte degli americani a discapito dei nativi. Kagome è cresciuta in mezzo alla tribù Apache, mentre Inuyasha è un cowboy che condivide le idee espansionistiche dei suoi compatrioti. Nonostante le loro differenze i loro destini sono legati indissolubilmente.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Miroku, Sango, Un po' tutti | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Inuyasha era partito e dirle quelle frasi gli era costato più di quanto immaginasse. L’aveva vista crollare sotto i suoi occhi. Il suo sguardo era mutato, sembrava vuoto, come il giorno che l’aveva salvata dai soldati al forte.
Avrebbe voluto poterla stringere forte e dirle che non era vero, che lui in realtà provava un profondo amore per lei e che mai avrebbe voluto farla soffrire.
Purtroppo, non poteva farlo. Forse lei lo avrebbe seguito anche a Forest County e non poteva permetterglielo. Non avrebbe mai sopportato di vederla appassire giorno dopo giorno in un luogo che non l’avrebbe mai accettata. Meritava di essere felice, di stare in mezzo a persone che la amavano tanto quanto lui, forse anche di più.
Nemmeno lui sarebbe potuto rimanere. Conosceva bene i demoni del suo passato ed erano proprio loro ad impedirgli di rimanere con lei. Aveva ucciso guerrieri indiani ed era stato proprio lui a portare la distruzione nel suo villaggio. Non meritava quella gioia, non con lei.
Cercò di convincersi che lasciarla andare era stata la scelta giusta, perché lui non era abbastanza e non lo sarebbe mai stato. Per quanto l’avesse fatta soffrire, sapeva che un giorno l’avrebbe superata e pregò che nel suo cuore potesse trovare lo spazio per perdonarlo.
Ora doveva solo lasciarla libera di vivere una vita con l’uomo che doveva essere il suo sposo, anche se non era lui.
Spronò il cavallo ad andare più veloce, perché forse sarebbe tornato indietro, forse sarebbe di nuovo andato da lei se non si fosse allontanato alla svelta. Quella era la cosa giusta, doveva farsene una ragione.
Lasciò andare la prima lacrima dopo molti anni e strinse i denti fino a sentire la mascella dolergli, mentre nella mente ripeteva la frase che per codardia non era riuscito a dirle.
Kagome…ti amo
 
Byakuya odiava quella situazione, ma Naraku gli aveva assicurato che sarebbe tutto finito molto presto. Aveva mandato un telegramma dicendogli di tornare indietro e ne aveva anche mandato uno a Washington; si era inventato che aveva avuto dei problemi lungo il viaggio e che quindi forse non sarebbe riuscito ad arrivare in tempo per la conferenza. Ovviamente il suo padrone voleva solo tornare alla magione poco più a sud per mettere in atto il loro piano.
Entrambi sapevano che quelle conferenze potevano durare anche parecchie settimane, perché quasi tutti i membri non riuscivano mai a prendere delle decisioni veloci, mentre il suo padrone sapeva bene quello che voleva; vedere il giovane Taisho morto.
Aveva atteso per parecchio tempo l’arrivo della banda dei sette, ingaggiata nuovamente da Naraku per attaccare il villaggio e uccidere Inuyasha insieme a chiunque si parasse sul loro cammino.
Non sapeva perché il suo padrone volesse orchestrare tutta quella messa in scena, sarebbe bastato far agire lui da solo, ma forse c’era altro dietro a tutto quello che stava facendo.
Sapeva che Naraku non poteva essere definita una brava persona, anzi era tutt’altro. Tra i suoi sottoposti era rinomato per la sua crudeltà e disprezzo per la vita umana. Non che questo avesse mai influito sulla sua scelta di servirlo; a lui bastava avere un bel luogo in cui vivere e gli agi che gli erano concessi in quella sua alta posizione.
Era quasi il tramonto quando la squadra dei sette arrivò.
- Farci fare tutta questa strada è una barbarie – commentò Jakotsu.
Bankotsu si avvicinò a Byakuya con aria nervosa. – Com’è possibile che Taisho non sia morto nel fiume? -.
- Forse lo avete semplicemente sottovalutato – gli rispose Byakuya, guardandolo con ironia.
Bankotsu cercò di trattenere l’odio che ribolliva dentro di lui, anche se dal suo sguardo trapelava comunque.
- Dov’è? Lo ucciderò con le mie mani -.
Byakuya sorrise divertito. – In quel villaggio. Potete uccidere chiunque vi si pari davanti -.
- Bene, altri indiani da uccidere – esclamò Suikotsu.
Byakuya non lo degnò neanche di uno sguardo e gli indicò l’accampamento Apache. – Naraku vuole anche la giovane indiana, giusto per giocare un po’. Bankotsu, tu dovresti sapere bene di chi sto parlando -.
Il giovane ribollì di rabbia al ricordo di quell’evento. Taisho lo aveva colpito alle spalle proprio quando stava per ucciderla.
- A lei ci penso io – ghignò, mentre caricava la sua pistola.
 
Sango era rimasta con sua sorella per tutto il giorno. Sembrava completamente distrutta e non aveva più parlato dopo che si erano viste. Sapeva bene che non doveva forzarla, a tempo debito le avrebbe sicuramente raccontato tutto.
Miroku era stato accolto con una strana gentilezza da Ahiga, eppure lui era rinomato per essere uno spietato guerriero, ma aveva ascoltato la storia con attenzione e alla fine gli aveva detto che si sarebbero potuti fermare fino al giorno dopo.
Quando la sorella si fu finalmente addormenta, anche se in un sonno agitato, Sango uscì dalla tenda per parlare con Miroku. In quelle condizioni non poteva abbandonare la sorella, doveva starle accanto come aveva fatto lei molti anni prima.
Anche il giovane lo aveva capito, e non avrebbe mai costretto Sango a fare qualcosa che non voleva. Avrebbero trovato una soluzione, ne era certo.
- Dov’è tuo fratello? – gli chiese la giovane.
Miroku sospirò, mentre il fuoco dipingeva ombre sul suo viso. – A quanto pare è partito per tornare a casa poco prima che arrivassimo -.
Sango annuì, che la partenza del giovane americano avesse qualcosa a che fare con lo stato di sua sorella Kagome?
- Credo che dovrò tornare da lui, almeno per vedere come sta – cominciò il giovane. – E tu dovrai stare con tua sorella e partecipare al matrimonio -.
La giovane indiana non sapeva più se quel matrimonio fosse davvero una buona cosa. Forse l’attacco era stato un messaggio degli spiriti per dire a tutti che Kagome e Koga non erano anime compagne. Aveva anche visto come il capo dei domatori di lupi guardasse la nipote del Patriarca, Ayame. Erano sguardi così profondi, così intensi; gli stessi sguardi che Miroku riservava a lei.
Prima che lei potesse parlare, il giovane la incatenò in quegli occhi limpidi e le regalò un sorriso sereno.
- Tranquilla, non ti sto abbandonando. Appena tutto questo sarà sistemato tornerò da te – le sussurrò, accarezzandole una guancia.
Sango gli si strinse tra le braccia e affondò il viso nel petto caldo del ragazzo. Ogni volta che erano vicini provava una gioia che credeva non potesse esistere. Credeva che quello non potesse essere riservato a lei, una ragazza che viveva tra due mondi, ma invece gli spiriti gli avevano donato lui e non si sarebbe lasciata scappare l’occasione di essere finalmente felice.
Il momento fu interrotto dall’arrivo di Koga, che annunciò la sua presenza con un colpo di tosse.
Sango si staccò da lui piuttosto imbarazzata. Probabilmente il capo villaggio non apprezzava molto quella scena.
- Come sta tua sorella? – le chiese.
- Finalmente dorme, credo che domani sarà in grado di parlare -.
Miroku era confuso, non capiva nulla di quello che i due si stavano dicendo.
- Credi che sia stata ridotta in quel modo dal demone bianco? – ringhiò.
Sango scosse vigorosamente la testa, andando incontro al giovane e fissandolo dritto negli occhi.
- Non lo avrebbe mai fatto, soprattutto se vale la metà dell’uomo che mi ha protetta – sussurrò. – Abbandona questo odio verso la loro gente, non tutti sono malvagi -.
Il capo tribù strinse di più i pugni. – Come fai a dirlo? Sono o non sono stati loro ad attaccare il tuo villaggio? – sbraitò. – Hai forse dimenticato che è stata la nostra gente ad accoglierti e non loro? -.
Miroku notò l’ira con cui parlava il capo dei domatori di lupi e istintivamente si avvicinò a Sango, soprattutto perché vedeva i suoi occhi cominciare a bagnarsi di lacrime.
- Io so benissimo come possono essere, ma come tutti gli esseri di questa terra nemmeno noi siamo perfetti. Anche tra noi dimorano animi crudeli e pieni di odio, ma esistono anche persone buone. Se queste non fossero esistite, a quest’ora io e la tua sposa saremmo morte -.
Koga non riuscì a ribattere. Odiava quegli uomini per aver ucciso dei loro compagni, ma allo stesso tempo – per quanto questo non fosse nella sua natura – era grato a quei due per aver protetto le due sorelle, assolvendo un compito che a lui non era riuscito. Forse era solo per questo che provava tutto questo rancore.
Ahiga arrivò da loro, attirato dalla conversazione. – Anche io nel tuo cuore avevo l’odio, quando ero così giovane – mormorò.
Miroku non riusciva a seguire nulla di quello che stavano dicendo e questo lo irritava. Gli sarebbe costato tanto almeno tradurre?
- Poi  nei miei anni ho conosciuto demoni bianchi che in battaglia hanno risparmiato le nostre donne e i nostri bambini, capi della loro gente che hanno provato a difendere le nostre terre. Guarda quest’uomo – disse, indicando Miroku. – E’ forse lui diverso da te? Lui ha protetto una donna a rischio della sua vita, come ha fatto l’uomo bianco che ha accompagnato la tua sposa -.
Sango era abbastanza stupita nel sentire quelle parole uscire proprio dal capo villaggio. Lui era sempre stato uno strenuo combattente e non era tipo da risparmiare la vita degli uomini bianchi. Eppure parlava saggiamente e riconosceva che alcuni errori pesavano anche su di lui. Gli ricordava così tanto la sua amata nonna Kaede.
Quando sembrava che finalmente gli animi si fossero acquietati, un rumore di tuono squarciò il silenzio, insieme alle urla di paura.
- Ci stanno attaccando! – gridò Ahiga.
Miroku prese Sango e la condusse nella tenda insieme dove si trovava Kagome, che ancora dormiva agitata.
- Restate qui e non muovetevi! -.
- No io non… -
- Ti prego! – la supplicò. – Ti prometto che tornerò da te -.
Sango avrebbe voluto seguirlo, ma ora doveva proteggere anche sua sorella, che si stava lentamente ridestando. Annuì e lasciò andare via Miroku.
Spiriti vi prego, proteggetelo
 
Fuoco, fuoco ovunque. Questo è quello che vide Miroku mentre si muoveva svelto tra le tende. Riconobbe subito gli invasori. Erano gli stessi uomini che avevano attaccato poco tempo prima il villaggio di Sango e ora con la stessa brutalità ripetevano le stesse nefaste azioni.
Si muovevano di corsa con i loro cavalli, mentre sparavano sulla gente ridendo con gusto.
Vide i guerrieri Apache a cavallo, maestosi e letali si lanciavano incoscienti del pericolo contro i loro aggressori. Tra di loro si distinguevano Ahiga e Koga, che combattevano ferocemente mentre lanciavano urla di attacco.
Miroku si nascose vicino alla tenda di Sango e Kagome, rendendosi conto che loro non potevano rimanere lì. Il fuoco stava divampando e presto sarebbe arrivato fino a loro.
Entrò dentro e le prese entrambe. La sorella di Sango era ancora confusa e sembrava che non riuscisse a comprendere quello che stava accadendo intorno a lei.
- Dovete venire via da qui, prima che venga tutto distrutto -.
Kagome udii distintamente le grida del capo villaggio che intimava alle donne e ai bambini di raggiungere le canoe e mettersi in salvo lungo il fiume e prese la mano della sorella saldamente.
- Dobbiamo andare al fiume, se arriviamo alle canoe saremo in salvo -.
Sango annuì e spiegò velocemente a Miroku la situazione che, proteggendole dietro la sua schiena, le guidò il più velocemente possibile.
I guerrieri indiani facevano da sbarramento tra il fiume e il villaggio, così da dare il tempo ai più deboli di mettersi in salvo. La banda dei sette era davvero forte come nei racconti che avevano sentito; in pochi uomini valevano come trenta indiani. Per quanto in maggioranza numerica, era chiaro che i nativi non avevano quasi speranza.
- Io devo rimanere qui – esclamò Miroku. – Non posso lasciare che si facciano uccidere -.
Sango cercò di strattonarlo. – No ti prego, vieni con noi -.
Il giovane la spinse via. – Vai, ORA! -.
 
Byakuya si era accorto della mancanza di Inuyasha dal villaggio; lo avevano cercato ovunque eppure sembrava essersi volatilizzato. Doveva essersi allontanato, ma era sicuro che alla vista delle fiamme sarebbe tornato indietro. Aveva notato gli sguardi languidi tra lui e la piccola squaw; se la avessero portata via lui li avrebbe raggiunti alla magione di Naraku.
Si mosse svelto e furtivo, lasciando il lavoro sporco e difficile alla banda. Mukotsu aveva dato un antidoto contro il fuoco velenoso che avevano sparso tra le tende per confondere i nemici e quindi non era intaccato da quell’odore così pungente.
Vide che molte donne e bambini si stavano mettendo in salvo lungo il fiume e che tra quelle donne vi era anche l’indiana che stava cercando.
Sorrise, attendendo con ansia il momento di agire.
 
Inuyasha vide tutto da lontano. Riconobbe subito le grida e il fumo che proveniva da dietro la sua schiena. In men che non si dica era tornato indietro.
Pregava che Kagome stesse bene e che fosse in salvo. Si diede mille volte dello sciocco per averla abbandonata lì, avrebbe dovuto portarla al sicuro, in un luogo più lontano dalle conquiste territoriali.
Il cuore gli batteva furiosamente e sentiva una terribile sensazione invadergli l’animo.
Quando arrivò, per la prima volta capii cosa significava trovarsi dall’altra parte della barricata. Il fumo gli bruciava le narici e il fuoco divampava ovunque. Della rigogliosa vegetazione che ricopriva il luogo non vi era più ombra e faceva fatica ad orientarsi.
Quando vide gli uomini che avevano attaccato il villaggio sentii un tuffo al cuore. La banda dei sette era arrivata fino a lì. Anche se erano molto meno numerosi dei guerrieri Apache, sembravano invincibili.
Chi tra di loro aveva finito le munizioni lottava con le spade e sorrisi divertiti si dipingevano sui loro volti ogni volta che ammazzavano uno degli Apache.
Si buttò nella mischia con il suo cavallo, ma non ci volle molto per individuare una figura a lui nota, ma che non si sarebbe mai aspettato di trovare lì.
Miroku era a terra, ferito ad una gamba. Sopra di lui un piccoletto dal viso quasi deforme ghignava.
- Facile uccidere un avversario dopo averlo stordito con il veleno – ghignò, mentre puntava la pistola contro di lui.
Inuyasha non perse tempo, tirò fuori la pistola dalla fondina e sparò. Colpì in piena nuca l’uomo che cadde subito a terra.
Miroku alzò il viso per vedere chi era il suo salvatore e rimase allibito nel vedere lì Inuyasha.
- Tu cosa ci fai qui? – mormorò, mentre cercava di tirarsi in piedi.
Inuyasha lo aiutò, ma non c’era tempo per le spiegazioni. – La ragazza che accompagnavo, tu sai dove si trova? -.
La risposta arrivò poco dopo. La vide da lontano, Kagome stava aiutando le donne e i bambini a salire sulle canoe insieme a un’altra ragazza.
- Inuyasha, ma che sta succedendo? – esclamò l’amico, mentre si teneva la gamba ferita.
Il giovane lo spinse verso le due. – Non puoi combattere così, portale via, adesso! -.
- Non posso lasciarti di nuovo! -.
- Miroku non è il momento per certe cose, prendile e portale lontano da qui! -.
Il giovane dai capelli scuri sapeva che non poteva fare altro, lo sguardo del suo amico non ammetteva repliche e soprattutto era conscio del fatto che con la gamba in quelle condizioni non sarebbe riuscito ad aiutarlo.
Fece come gli era stato ordinato e andò incontro alle due.
Kagome, però, lo aveva visto. Lui era tornato, era tornato davvero. Aveva ucciso uno degli invasori con quelle armi di tuono e poi aveva soccorso il suo amico.
Ma perché era tornato? Cosa lo aveva spinto a ripensare alla sua decisione? Troppe domande le frullavano nella mente e avrebbe voluto raggiungerlo, ma il ragazzo che aveva aiutato lei e Sango era tornato indietro e stava cercando di condurle verso le canoe, ma lei non ne voleva sapere di muoversi, non voleva assolutamente lasciarlo solo.
- Kagome, andiamo! – provò a spronarla Sango.
Lei si liberò dalla prese della sorella. – Non posso fuggire e lasciarlo qui -.
Miroku, ferito e sanguinante, stava cominciando a diventare debole e si accasciò a terra. Sango sapeva che non poteva trasportarlo con la canoa, gli sballottamenti del fiume avrebbero potuto allargare la ferita e farlo morire dissanguato.
- Allora ci nasconderemo in zona, aiutami a sollevarlo – mormorò la giovane indiana, cercando di prendere in spalla il suo amato.
Kagome lo prese dall’altro braccio e lo trascinarono in mezzo alla boscaglia non ancora invasa dal fuoco e lo fecero stendere a terra.
- Lasciatemi qui e scappate – tossì Miroku, la voce si era ridotta a un sussurro.
Sango lo guardò allibita. – Io non vado da nessuna parte, non senza di te -.
Kagome desiderava tornare da Inuyasha e proteggerlo da lontano, ma era disarmata e non sapeva se sarebbe riuscita a trovare un’arma e quindi rimase insieme alla sorella. Vedeva le lacrime che sgorgavano dai suoi occhi. Era una brava combattente, ma le sue capacità mediche non si erano mai sviluppate.
- Lascia fare a me – mormorò la giovane.
Strappò la manica del giovane e prese un pezzo della stoffa per legarlo sopra la ferita. Era molto profonda e perdeva parecchio sangue, doveva bloccare l’emorragia o lui avrebbe potuto perdere l’arto. Strinse più forte che poteva, cercando di ignorare i mugolii di dolore che il giovane stava emettendo.
Sango gli teneva la mano, mentre osservava la sorella cercare di medicare la ferita alla bene e meglio.
Kagome non aveva aghi per richiudere la ferita e quindi poteva solo sperare che la stoffa che gli stringeva il braccio fosse abbastanza per farlo resistere fino alla fine della battaglia.
Le urla strazianti cominciavano a diventare insopportabili e il suo cuore batteva sempre più forte. Si sentiva inutile e avrebbe solo voluto correre in soccorso dei suoi compagni.
La sorella sapeva che senza aghi la ferita avrebbe continuato a sanguinare e che forse Miroku non sarebbe riuscito a resistere fino alla fine di quello scontro sanguinario. Vedeva il suo respiro farsi sempre più corto e si rese conto che poteva solo andare a cercare tra le tende i mezzi necessari per curarlo.
Sfilò di corsa l’arma di tuono che sbucava dalla fondina che l’uomo teneva legata alla cintola e senza voltarsi si mise a correre verso l’accampamento.
- No Sango, torna indietro! – gridò Kagome.
Miroku cercava di alzarsi per raggiungerla, ma era troppo debole. – Maledizione – sbottò.
Kagome cercò di farlo stendere di nuovo. – Vedrai che tornerà, lei tornerà – balbettò, cercano di convincere sia se stessa che il ragazzo.
La vista di Miroku cominciava ad appannarsi per la debolezza, ma vide distintamente qualcuno che appariva dietro la schiena dell’indiana.
- Ka-gome attenta! -.
Troppo tardi. La figura le aveva messo davanti alla bocca un fazzoletto imbevuto di una sostanza soporifera e a nulla erano serviti i tentativi della giovane di liberarsi dalla presa dell’uomo, perché dopo pochi secondi cadde svenuta.
Miroku cercava di muoversi per raggiungere la giovane, ma non riusciva quasi più a muoversi.
Prima di cadere nel buio dell’incoscienza sentì la voce melliflua dell’uomo lasciargli un messaggio.
- Se Taisho la rivuole viva, digli di recarsi alla magione dei McConnor -.
 
Inuyasha era rimasto in mezzo alla battaglia. Si era reso conto che il fuoco non serviva solo a distrarre i nemici, ma che conteneva una sostanza in grado di stordire i combattenti per rendersi più facile il lavoro. Probabilmente veniva prodotta dall’uomo che aveva ucciso poco prima.
Il fumo gli rendeva difficile vedere qualsiasi cosa intorno a lui e aveva completamente perso di vista sia Miroku che Kagome.
Pregò con tutte le sue forze che avessero preso una canoa e che fossero scappati da quel posto. Sentiva il calore del fuoco avvicinarsi sempre di più e non solo gli abitanti del villaggio stavano cercando di fuggire, ma anche gli animali che vivevano nel sottobosco. I primi che so erano messi in fuga erano i cavalli. In mezzo al fumo si potevano distinguere le sagome degli stalloni che imbizzarriti disarcionavano i propri padroni e cercavano di mettersi in salvo.
Alcuni animali si buttavano in acqua nel tentativo di raggiungere la sponda sicura del fiume, andando anche contro le canoe degli indiani e distruggendole con gli zoccoli.
Una figura conosciuta si stagliò tra la nebbia e la cenere e al giovane non ci volle molto per identificarla. Era Macawi, la moglie del capo villaggio. Era intontita dal fumo e si vagava alla ricerca di un posto sicuro, ma non si era resa conto dell’arrivo di uno stallone dal manto scuro che si stava dirigendo proprio nella sua direzione.
Inuyasha non pensò neanche, si frappose subito tra il cavallo e la donna e la buttò a terra, facendola scansare dall’animale per un pelo.
La donna era spaventata e per un momento, non riconoscendo il giovane, provò fuggire e cominciò a scalciare e gridare.
- Macawi sono io, sono Inuyasha -.
La donna si bloccò all’improvviso e non appena riconobbe il viso del giovane sembrò finalmente rilassarsi. Il giovane la aiutò a tirarsi in piedi e cercò di accompagnarla verso la canoe, ma ormai erano state distrutte.
Il fronte che cercava di fare da barriera tra il villaggio e il fiume stava lentamente cadendo e molti uomini erano ormai feriti.
Inuyasha cominciava a non riuscire più a respirare. L’odore acre del fumo lo stava attanagliando alla gola e gli occhi non facevano che bruciargli, rendendogli difficile vedere più in là di qualche metro.
- Ma guarda, il giovane Taisho – sussurrò una voce alle sue spalle. – Sono sicuro che io e te ci divertiremo un sacco -.
 
Il capo dei domatori di lupi si batteva valorosamente, ma lo strano odore emanato da quelle fiamme lo aveva reso sempre più lento e stordito. Come la volta precedente, gli era risultato difficile muoversi e scontrarsi corpo a corpo, perché le armi di quegli uomini erano molto più evolute delle loro e soprattutto sembravano immuni all’effetto di quel fumo acre.
Un uomo grosso e molto alto, con parecchie di quelle armi tonanti, si stagliava davanti a lui e lo braccava, continuando a sparare. Per sua fortuna era molto lento e questo giocò a suo favore. Provava a scansare i suoi colpi e avvicinarsi per colpirlo con la sua lancia, ma non vi riusciva.
Molti guerrieri Apache si stavano scontrando con uno degli uomini che sputava fuoco dalla bocca e altrettanti venivano carbonizzati. L’odore dei corpi bruciati lo stava prendendo alla gola e la sua rabbia non fece che aumentare.
Il grosso uomo armato di ferro continuava a ridere di fronte alla sua impotenza.
- Le fiamme di Renkotsu non lasciano scampo a nessuno! -.
Koga scansò un nuovo colpo, ma uno dei proiettili lo colpì di striscio a una gamba, facendolo cadere a terra. Il dolore e il bruciore gli fecero uscire dalla gola un ringhio sommesso e fu costretto a prostrarsi a terra.
L’enorme uomo si parò davanti a lui, senza smettere di perdere quel ghigno malefico sul volto.
- Con la pelle dei tuoi lupi ci farò un meraviglioso cappotto! -.
Prima che questo potesse sferrare il colpo alla sua testa, fu raggiunto da un sasso lanciato a grande velocità. Non vi erano dubbi, quella era la fionda di Ayame.
Il primo sasso sembrò quasi non destare neanche l’attenzione del bestione, ma il secondo lo colpì alla tempia costringendolo a voltarsi.
Ayame, però, si era già arrampicata su uno dei rami e appena l’uomo si voltò lei gli saltò addosso atterrandogli sulla schiena.
- Muori! – gridò.
Prima che potesse tagliargli la gola con il pugnale, il bestione le sferrò un forte pugno sul viso, scaraventandola a terra svenuta.
- Ayame, no! – gridò il capo tribù.
La visione della giovane prostrata a terra gli diede la forza di cui aveva bisogno per rialzarsi. Non avrebbe permesso a nessuno di toccarla, nessuno doveva toccare la sua Ayame!
Si alzò da terra e prima che il nemico si potesse rialzare gli piantò la lancia nella schiena dove era sicuro di infliggerli una ferita mortale.
Ginkotsu, però, non sembrava volersi arrendere e nonostante fiotti di sangue stessero cominciando ad uscirgli dalle labbra, provò ad alzarsi e afferrò per la gola il capo tribù.
- Piccolo lupo bastardo  - sibilò, continuando a stringere con forza.
Ayame provò a riprendere il pugnale che le era caduto a terra, ma Ginkotsu le calpestò la mano, facendole emettere un fortissimo urlo di dolore.
Koga si sentiva impotente e disperato, subito dopo averlo ucciso quel mostro avrebbe potuto fare ad Ayame cose inimmaginabili e orribili e il volere di salvarla ancora una volta gli diede la forza per combattere.
Con le poche forze che aveva in corpo allungò il braccio verso la lancia che ancora era piantata nella schiena del nemico e la tirò fuori e dopodiché gliela piantò in pieno stomaco.
Questo lo portò finalmente a mollare la presa e il giovane capo cadde a terra vicino ad Ayame. La mano di lei era contorta, le ossa delle dita si erano spezzate sotto il peso del bestione. Allungò la mano verso di lei, mentre Ginkotsu sfoderava la sua pistola, deciso ad ucciderli prima di morire.
Caricò l’arma ed entrambi i giovani chiusero gli occhi, mentre le loro dita erano ormai vicine. Sarebbero morti insieme, come avevano combattuto e vissute.
Il suono di un colpo di pistola risuonò nell’aria e dopodiché calò il silenzio.
 
Inuyasha si trovava di fronte a Suikotsu, l’uomo dal viso sfigurato. Probabilmente tra di loro era il più crudele, dato che le fedeli lame che portava alle dita erano ricoperte del sangue delle sue vittime. A quanto pareva il bastardo adorava squarciare i loro petti con quelle.
Fece nascondere Macawi dietro la sua schiena. Aveva provato a spingerla via, ma lei si era rifiutata. Non avrebbe mai abbandonato il marito in mezzo alla battaglia e con lo sguardo cercava di seguire i movimenti dell’uomo. Ahiga stava continuando a muovere contro Bankotsu e Jakotsu insieme agli uomini che gli erano rimasti.
Quei maledetti erano riusciti praticamente a sterminare l’intero villaggio e non avevano risparmiato neanche le donne e i bambini che avevano incontrato sul loro cammino e questo non lo avrebbe mai perdonato neanche Inuyasha.
Estrasse la sua pistola, rendendosi conto che ormai gli erano rimasti solo due colpi.
La puntò contro l’uomo, cercando di intimorirlo.
- Andatevene da qui, e forse vi risparmieremo la vita – intimò il giovane.
L’uomo scoppiò in una forte risata, quasi come se si stesse davvero divertendo.
- Pensi davvero di farmi paura? -.
Inuyasha caricò il colpo e sparò, ma prima di riuscirci  l’uomo si era già scansato. Quel maledetto era veramente veloce e gli era già sul fianco pronto a colpirlo.
Lo scansò per un pelo, ci era andato talmente vicino che la sua camicia era stata completamente squarciata e il suo fianco era stato graffiato.
- Sei lento ragazzo, faresti meglio a far combattere i grandi -.
Macawi era caduta a terra e osservava la scena terrorizzata. L’uomo era proprio vicino a lei e prima che potesse allontanarsi questo la prese per i capelli e la tirò in piedi.
Puntò i coltelli contro la sua gola e fissò il giovane.
- Sarebbe facile squarciare il collo di questa puttana indiana, ci vorrebbe solo un taglietto per far sgorgare il sangue da questa pelle sottile – sibilò, passando le lame vicino alla gola di Macawi.
Inuyasha sapeva che intontito com’era avrebbe rischiato di uccidere anche la donna se avesse sparato, la sua vista era ormai quasi del tutto annebbiata.
In suo soccorso, però, venne una figura con un’ascia. Era Ahiga e stava correndo in soccorso della sua amata sposa.
Successe tutto in un secondo. Non appena il capo tribù fu a pochi passi da Suikotsu, questo si girò e lanciò via la donna, squarciando completamente il petto del marito.
Il tempo sembrò improvvisamente fermarsi per tutti i presenti. Inuyasha sentiva le grida di Macawi sempre più lontane, mentre il corpo quasi esanime di Ahiga crollava al suolo, tra la polvere e il sangue.
Inuyasha non perse tempo e con un gridò sparò a Suikotsu in piena nuca, proprio come aveva fatto il suo compagno. L’uomo crollò a terra con un tonfo sordo e il suo petto smise di alzarsi.
- Mitawa tehila! Mitawa tehila* -.
Macawi continuava a gridare quelle parole, mentre si buttava sopra al corpo dell’uomo che aveva amato da sempre.
Inuyasha arrivò vicino al capo tribù, ma si rese conto che le ferite erano troppo profonde e che non vi era modo di riuscire a fermare il sangue o di poterlo curare. Neanche nel posto da dove veniva esistevano i mezzi per evitargli quella morte.
Ahiga sussurrava parole dolci alla moglie nella loro lingua, mentre Inuyasha si guardava intorno. Sembrava che Bankotsu e i rimanenti compagni si fossero ormai ritirati e di loro non vi era più alcuna traccia, se non la scia di morte e fiamme che si erano lasciati alle spalle.
Ahiga si voltò verso il ragazzo, chiedendogli con un gesto della mano di avvicinarsi. Inuyasha si mise a terra e ascoltò quello che l’uomo aveva da dirgli.
- Devi p-ortarli al sicuro – mormorò tra i rantoli. – Devi promettermi c-che li proteggerai, come c-on Kagome -.
Il giovane rimase spiazzato. – Non posso, io non sono un capo, non posso fare ciò che mi chiedi -.
L’uomo allungò la mano e gli strinse il braccio. – Ti prego! -.
I suoi occhi lo guardavano con disperazione, come se non potesse andarsene senza essere sicuro che qualcuno avrebbe protetto la sua gente. In quel momento Inuyasha vide quanto amore poteva provare un uomo e quanto fosse preoccupato di lasciare la sua gente senza una guida.
Il giovane si era ormai reso conto di non avere una scelta, non poteva negare la sua promessa all’uomo che lo aveva curato e che ora in punto di morte gli esprimeva i suoi ultimi desideri.
- Te lo prometto, Ahiga -.
Subito dopo avergli detto quelle parole, l’uomo chiuse gli occhi la sua testa ricadde sulle gambe della moglie.
Macawi si lasciò andare a grida disperate, mentre le prime luci dell’alba accoglievano il dolore della tribù.
 

 
* amore mio (se internet non mi ha presa in giro)
 
Eccomi qua!
Sono di nuovo qui con questa mia storia e dopo fin troppo tempo sono riuscita ad aggiornare!
Ringrazio davvero tutti quanti di continuare a recensire e leggere la mia storia, non potete immaginare quanto mi rendiate felici!
Comunque ormai siamo agli sgoccioli, Naraku e la sua banda hanno fatto la loro mossa e ora il ritmo della storia si farà sempre più serrato!
Spero di risentire presto tutti quanti e vi mando un bacione! :*
Silvia
   
 
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