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Autore: Ode To Joy    22/09/2017    1 recensioni
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[Lotor x Lance]
Post-S3
”I tuoi occhi sono blu…”
Lance avvertì una nota sorpresa nella sua voce. Sorrise.
“Adesso, però, devi dirmi di che colore sono i tuoi.”

Dopo una battaglia finita male, Lance si ritrova solo ed incapace di vedere a causa di un danno irreversibile subito agli occhi.
"Mi permetterai di vedere il tuo viso, prima che tutto questo finisca?"
Viene salvato e fatto prigioniero da un giovane generale Galra senza nome che ha tutte le intenzioni di sfruttare il Paladino a suo vantaggio.
"Hai già visto molto più di quello che avresti dovuto, Paladino Blu."
Ma ogni strategia ha i suoi punti deboli.
[Questa storia partecipa al contest “Humans +” a cura di Fanwriter.it!]
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, McClain Lance
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Numero Parole: 1958
Prompt/Traccia: P. 2. Pelle
 


II
Lealtà



L’uomo non venne mai ad interrogarlo.

Oppure, fu lì per tutto il tempo ma non parlò mai.

Lance non poteva saperlo.

Furono le donne a fare tutto il lavoro.

“Perchè eri sul micio Rosso se sei il Paladino Blu?” Domandò una vocetta allegra da ragazzina. Era Ezor.

Era quella che Lance preferiva: era l’unica a non fare le domande serie. Probabilmente, era una strategia per metterlo a suo agio, per indurlo ad aprirsi più del dovuto.

Sorrise incrociando le gambe sul materasso su cui l’avevano spostato durante il suo secondo giorno di prigionia.

Lance non aveva osato muoversi da lì.

“Spiacente, signorina ma non rilascio dichiarazioni!” Esclamò con un’allegria che non aveva nulla di sincero. Poteva quasi sentire la voce di Keith nella sua testa che gli diceva quanto era sciocco.

Gli mancava Keith. Gli mancavano tutti.

Non potevano essere passati che pochi giorni e a Lance pareva fosse trascorso un secolo dall’ultima volta che aveva visto le stelle… O qualsiasi altra cosa.

“Questo Gattino Blu parla strano,” commentò Ezor.

Gattino Blu. Sì, Ezor gli piaceva.

“Ma perchè non lo torturiamo?”

Zethrid. Quella era Zethrid.

“Perchè così ci direbbe solo quello che vogliamo sentirci dire,” intervenne l’ultima donna del gruppo di cui Lance aveva imparato il nome: Acxa. Non sapeva perchè ma suonava più grande delle altre. Più matura.

Di norma, era lei a cercare le informazioni che davvero contavano. “Che tipo di accordo c’è tra i Paladini di Voltron e la Lama di Marmora?” Domandò.

Lance inarcò le sopracciglia – si chiedeva se fossero visibili con quella sorta di benda d’acciaio che gli avevano messo sugli occhi. “Accordo?” Chiese.

“Siete alleati, no?” La voce di Acxa era calma, incolore.

C’era qualcosa di lei che gli ricordava Shiro. Gli trasmetteva la stessa forza e solidità.

“Sì, lo siamo!” Esclamò Lance annoiato. Non era un segreto di stato, solo che i popoli dei pianeti che liberavano non ne parlavano perchè era difficile accettare dei Galra come salvatori. “Non capisco cosa vogliate sapere. A voi dell’Impero suona così strano il concetto di alleanza?”

“Bada a come parli, insetto!” Ringhiò Zethrid.

Lance premette la schiena contro il muro freddo alle sue spalle ma il timore scivolò via velocemente: non poteva permettersi di mostrarsi debole o i suoi nemici ne avrebbero approfittato subito.

“Per cosa pensate che la Lama di Marmora stia combattendo?” Ribatté. “Per cosa pensate che chiunque nell’universo stia combattendo?”

Ci fu un lungo istante di silenzio ed immobilità.

Lance odiava i momenti così: i rumori e le voci erano le uniche cose che potevano aiutarlo ad intuire cosa accadeva intorno a lui. Il silenzio non gli era mai piaciuto un granchè ma ora lo terrorizzava.

“Vieni da un pianeta conquistato?” Domandò Acxa.

Lance venne preso alla sprovvista da quella domanda. “Prego?”

“Vieni da un pianeta conquistato?” Ripeté lei.

“Che diavolo centra questo?”

“Tu perchè combatti questa guerra?”

Lance aprì la bocca, poi la richiuse. Si concesse un attimo per pensare, poi l’aprì di nuovo: “perchè eravate tanto così d’arrivare sul mio pianeta quando tutta questa storia è iniziata!” Rispose con rabbia. “Perchè, per quel che ne so, potreste averci riprovato! Potreste averlo conquistato mentre io sono qui a rispondere alle vostre stupide domande!”

Si stava scoprendo troppo e lo sapeva. Lance, però, era stanco e l’oscurità in cui si trovava stava cominciando a farlo impazzire. Si portò le mani al viso e cercò un modo per liberarsi da quell’arnese che gli copriva gli occhi.

“Che cerchi di fare?” Domandò Acxa.

“Non è evidente?” Lance si tastò la nuca alla ricerca di un pulsante, un… Qualcosa che potesse liberarlo da quell’affare.

“Non puoi aprirlo…”

“Stai zitta!” Urlò Lance.

“Io ne ho abbastanza!” Ringhiò Zethrid. “Abbiamo Narti! Facciamogli il lavaggio del cervello e facciamolo cantare!”

Lance si fece rigido.

Narti. Era un nome che non avevano pronunciato fino a quel momento. Che fosse il nome dell’uomo che lo aveva catturato?

Lance scartò quell’ipotesi immediatamente: non poteva dirsi un esperto di nomi Galra ma ne aveva sentiti abbastanza per sapere che Narti non aveva il suono giusto per essere il nome di un uomo.

“Siete in quattro…” Disse ingenuamente. “Siete quattro ragazze più… Quall’altro?”

“No, no, no! Nessuna domanda, Gattino Blu,” cinguettò Ezor e Lance poteva quasi vederla mentre muoveva l’indice da destra a sinistra come se stesse sgridando un bambino piccolo. “Solo noi facciamo le domande. Tu rispondi. Questo è il gioco.”

“Ed io non mi sto divertendo affatto…” Commentò Lance abbandonando la nuca contro la parete.

“Anche questo è previsto dalle regole,” aggiunse lei.

“Ezor…” La rimproverò Acxa. “Non siamo qui per giocare.”

“Perchè Narti non partecipa al gioco?” Domandò Lance con sarcasmo. “Il gatto le ha mangiato la lingua?”

Il silenzio che cadde dopo fu inquietante ed il Paladino Blu ebbe la sensazione di aver detto qualcosa che non avrebbe dovuto dire.

“Uscite,” ordinò una voce maschile che Lance non aveva udito dal giorno in cui era stato fatto prigioniero. Come aveva sospettato: l’altro era stato lì per tutto il tempo senza dire una parola.

“Narti, vieni con me,” aggiunse.

Lance udì il rumore di passi allontanarsi, poi quello di una porta che si apriva e si spinse contro la parete come se questa potesse offrirgli qualche riparo. Una mano ben più grande della sua gli afferrò il polso ed un’esclamazione spaventata sfuggì al suo controllo.

“Guarda,” ordinò l’uomo.

Se non avesse significato condannarsi a morte da solo, Lance lo avrebbe preso a pugni. “E come dovrei… Ah!”

Si sentì tirare in avanti e si ritrovò con le mani appoggiate sulle spalle di qualcuno.

“Guarda,” ripetè l’uomo.

Da principio, Lance rimase completamente immobile. Aveva capito cosa doveva fare ma non si sentiva del tutto a suo agio a farlò. Si morse l’interno della guancia e risalì la linea di quelle spalle con mani tremanti. Poteva sentire il tessuto della suit sotto le dita: non aveva una consistenza così diversa dalla sua, solo le linee dell’armatura erano diverse.

Quando arrivò a toccarle il viso, però, Lance si assicurò di farlo solo con la punta delle dita. La pelle era fredda in modo singolare. Tracciò la linea di quella che doveva essere una bocca ma assomigliava più a quella di un animale che di una persona.

Lance decise di non soffermarsi troppo su quel dettaglio. Proseguì. Il naso era schiacciato come quello di un rettile ma quel particolare non lo atterrì quanto quello che seguì.

All’inizio, non comprese. Arrivò anche a far aderire completamente i polpastrelli a quel viso alieno per capire e… No, quella creatura non aveva gli occhi.

Lance si ritrasse come se fosse stato scottato.

Non lo vedeva ma sapeva che l’uomo che lo stava guardando era soddisfatto da quella sua reazione. “Puoi andare, Narti,” lo sentì dire.

La donna non replicò in alcuno modo. Si limitò a fare quello che le era stato detto.

Lance udì la porta della cella aprirsi e richiudersi ancora una volta ma sapeva di non essere solo. Piegò le gambe stringendo le ginocchia contro il petto in un infantile tentativo di proteggere se stesso. “Che cosa le è successo?” Si ritrovò a chiedere.

“Niente,” rispose l’uomo. “È nata così.”

Lance sollevò la testa seguendo la direzione della voce dell’altro in modo meccanico. “I Galra non sono così.”

“Non è solo Galra.”

“Che cosa significa che non è…” Lance si bloccò, colto da un pensiero improvviso. Un ricordo era riemerso di colpo, come se qualcuno avesse inaspettatamente acceso una luce nella sua mente. “Quattro donne. Quattro soldati Galra… Che non sembrano Galra.”

Come aveva potuto non pensarci prima? Erano state le uniche guerriere contro cui avevano combattuto!

“Siete gli uomini del Principe Lotor,” concluse e realizzarlo gli spezzò il respiro per un lungo battito di cuore.

L’uomo che aveva di fronte non provò nemmeno a negarlo. “Sì, esatto.”

Il Paladino inspirò profondamente dal naso cercando di mantenere il controllo di sè. “E tu chi sei?” Domandò. “Sei un suo Generale? Sei il Sendak del Principe o qualcosa del genere?”

Per una volta, l’altro non ebbe la risposta pronta. “Sendak era uno schiavo,” replicò. “Io non appartengo a nessuno.”

Se non fosse stato tanto teso, Lance sarebbe anche scoppiato a ridere. “Fai il lavoro sporco per il figlio di Zarkon,” sottolineò. “Non so quanto questo si accosti bene al concetto di libertà.”

“E tu sai qualcosa del concetto di lealtà?”

“Oh,” Lance annuì con una smorfia. “Lealtà… È così che il Principe definisce quelle strategie da guerra tipiche dell’Impero in cui un disgraziato a caso viene trasformato in un mostro gigante e mandato contro Voltron come carne da macello?”

“Quelli erano Zarkon e la sua strega,” replicò l’uomo. “Il Principe Lotor non è nessuno dei due.”

Lance sbuffò. “Non m’interessa,” replicò. “Combatte contro Voltron e tanto mi basta. Dimmi, piuttosto, perchè hai voluto che toccassi il viso di Narti?”

“Perchè avete qualcosa in comune,” spiegò il Generale. “E quel qualcosa in comune è ciò che m’impedisce di farti parlare con la forza.”

Lance ridacchiò con sarcasmo. “Alle tue ragazze non piace la violenza o si sentono male al pensiero di rovinare tanta bellezza?” Indicò se stesso con un sorrisetto arrogante.

“Ad una di loro non piace usarla senza motivo.”

“Fammi indovinare… Non è Zethrid!”

“Se volessi, potrei ordinare a Narti di entrare nella tua testa e rovistare tra i tuoi pensieri come se fossi un bambolotto privo di qualsiasi volontà.”

Lance smise di sorridere immediatamente.

“Sarebbe comodo per me,” aggiunse il Generale. “Non ci sarebbe alcuna possibilità per te di resistere e non rischierei di perdere un ostaggio prezioso da usare contro i tuoi compagni.”

Il Paladino strinse i pugni. “Allora perchè non lo fai?” Sfidare le persone sbagliate era sempre stato un suo difetto.

“Perchè so che a lei non farebbe piacere.”

“Eh?” No, non era il genere di risposta che si era aspettato. “Non vuoi dare ad un tuo sottoposto un ordine per non arrecarle dispiacere?”

“Lo farei se non avessi altra scelta e Narti obbedirebbe senza portarmi rancore. Tuttavia... esistono molti modi in cui puoi esserci utile e, in tutta franchezza, qualunque informazione tu possegga non mi è indispensabile quanto la tua vita.”

“Come sarebbe a dire?” Domandò Lance allarmato.

“Lealtà,” disse il Generale con tono derisorio. “È una prerogativa dei Paladini. Non ha importanza che tu mi dica dove si trovano i tuoi compagni. Saranno loro a venire da te.” Una pausa. “E noi saremo qui ad aspettarli.”

Lance non seppe cosa lo spinse a muoversi. Non aveva mai percepito una forza simile ma ebbe l’impressione che la rabbia ne fosse una componente fondamentale.

Era disarmato, accecato ed il Galra che aveva davanti doveva essere almeno il doppio di lui ma non poteva restarsene immobile mentre quel bastardo progettava la disfatta dei suoi compagni. In particolar modo, non poteva accettare che lo facesse usando lui.

Protese le braccia in avanti per afferrarlo, colpirlo, qualcosa ma finì rovinosamente sul pavimento senza essere nemmeno riuscito a sfiorare il suo nemico.

Una risatina sarcastica alle sue spalle gli fece ribollire il sangue nelle vene.

“Deludente, Paladino Blu,” disse il Generale. “Immagino che, alla fine, la leggenda di Voltron non sia altro che quello che è…”

Lance si sollevò sui gomiti. Strinse i pugni ma non tentò altri colpi di testa: aveva imparato presto cosa significava subire una sconfitta e quella lo era sotto ogni punto di vista.

Il Generale si mosse, si fece più vicino. Lance pensò che avesse appoggiato un ginocchio a terra perchè la sua voce scivolò direttamente nel suo orecchio quando parlò di nuovo.

“Puoi consolarti sapendo che i tuoi compagni cadranno per te.” Disse. “In guerra, penso che sia la più alta forma d’amore.”





 
   
 
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