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Autore: Sospiri_amore    22/09/2017    0 recensioni
Chi mai potrebbe frequentare il Liceo dei Mostri?
Ovviamente vampiri, demoni, licantropi ma anche esseri umani.
I Vampiri sono geniali, hanno percezioni extrasensoriali e sono molto popolari.
I Licantropi sono sportivi, forti e molto socievoli.
I Demoni (di acqua, di terra, di fuoco e di aria) sono chiusi, snob e hanno poteri legati al loro elemento.
Gli Umani sono semplici umani.
Come in ogni Liceo che si rispetti ci saranno problemi, amori, litigi e incomprensioni.
In più ci sarà un mistero da risolvere: chi ha rubato il prezioso Diamante incastonato nello stemma della scuola?
❗️❗️❗️VOGLIO SEGNALARE IN ANTICIPO CHE QUESTA È UNA VERSIONE DEL TUTTO PERSONALE DEI VAMPIRI, LICANTROPI E DEMONI. HO PARZIALMENTE STRAVOLTO LE 'REGOLE' CLASSICHE CON LO SCOPO DI POTER RACCONTARE LA STORIA.❗️❗️❗️
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Adalberto Gorgofondo





Il corridoio sommerso dagli studenti non sembrava poi così cupo e grigio, le maglie colorate, le voci chiassose e gli zaini straripanti di libri affollavano l'angusto spazio che collegava le varie aule per le lezioni. Le finestre, poste troppo in alto, non facevano filtrare molta luce, ma ce ne era abbastanza per permettere ai vari studenti di potersi orientare con facilità, a patto che sapessero come muoversi. 

 I licantropi, gli umani, i vampiri o i demoni degli ultimi anni sapevano bene dove andare, durante gli anni passati a scuola avevano imparato a conoscere ogni anfratto, sporgenza o rientranza di quello strano edificio. La loro esperienza era d'esempio per le matricole che li seguivano imitandoli cercando di non perdersi in quel labirinto di corridoi, porte chiuse e vicoli ciechi.

 

Una ragazza si fermò ad osservare la grande bacheca posta all'ingresso proprio dietro al grande portone in legno che si affacciava direttamente sul cortile pieno di studenti in attesa di entrare in classe. 

La ragazza si chinò per osservare meglio.

Non che non avesse mai visto quella bacheca, anzi, era da due anni che ogni giorno di scuola se la trovava davanti agli occhi, ma non si era soffermata più di tanto. Un po' per via di quello che c'era rappresentato, un po' perché non le era sembrato mai troppo importante perderci tempo. Con i capelli che le coprivano parte del viso, lisci come spaghetti e neri come la notte più buia, sbirciò le targhe commemorative e le riproduzioni, su cartone di pessima qualità, dei quadri più famosi presenti nella pinacoteca cittadina. Quei quadri raccontavano la storia dell'edificio in cui attualmente si trovava: la sua scuola, il VLUD.

Elisa, così si chiamava la ragazza, sillabò la parola: ministero.

«Mi-ni-ste-ro», il VLUD un tempo non era la scuola come la conoscevano tutti.

 

Immagini di lotte. 

Armi.

Denti aguzzi.

Feriti. 

Uomini di incappucciati di nero.

 

Il VLUD era stato per secoli un edificio ministeriale dove le varie specie potevano contare sui loro rappresentanti cittadini per qualsiasi cosa. Quattro gruppi separati pronti a difendere a spada tratta i propri simili. Non c'era giorno in cui un vampiro aggredisse un umano, in cui un demone colpisse un licantropo o in cui un umano non sfidasse un demone. 

 

Processi.

Accuse.

Licantropi ammanettati.

Litigi.

 

Per secoli ci furono diatribe e contrasti, guerre di specie e omicidi fatti in nome del sangue. Per secoli ogni famiglia temette per i propri cari, ogni madre e padre ebbe paura che ai propri figli potesse accadere qualcosa di brutto. 

 

I vampiri avevano bisogno di sangue fresco, i licantropi diventavano bestie assassine con lo spuntare della luna piena, i demoni troppi egoisti non erano interessati al bene comune e gli umani erano pronti a colpire con le armi chiunque gli si avvicinasse.

Un sfacelo.

 

Testi antichi.

Mappe.

Immagini di Vampiri bruciati.

Stemmi.

 

Niente poteva unirli, le esigenze delle varie specie erano in continuo contrasto tra di loro, una convivenza pacifica tra tutti era considerata una pura utopia tanto che vennero istituite regole talmente restrittive e castranti che il malcontento popolare aumentò a dismisura.

 

Nessun vampiro poteva nutrirsi di sangue umano.

Tutti i licantropi dovettero chiudersi in gabbie speciali i giorni di luna piena.

I Demoni dovettero contribuire con i loro poteri al bene comune.

Gli uomini dovettero sbarazzarsi di tutte le armi.

 

Demoni incarcerati.

Carestia.

Sofferenza.

 

Tra le pareti spesse e grigie del palazzo ministeriale furono discusse molte cose, la prima tra tutte fu l'allontanamento dalla città delle specie più pericolose, in particolare i Vampiri e i Licantropi. I rappresentanti delle due specie insorsero con veemenza, accusando gli Umani e i Demoni di voler arricchirsi alle spalle degli altri. Molti Vampiri e Licantropi possedevano e gestivano attività redditizie, locande e botteghe, e se fossero andati via non avrebbero avuto più alcun sostentamento per i loro famigliari.

Scoppiò proprio per questo motivo la famosa Guerra delle Genti, duecentottanta anni fa, che durò diversi mesi e dove perirono centinaia di esseri viventi, qualsiasi specie essi appartenessero.

Un lutto incredibile, una tragedia. 

Furono rasi al suolo molti paesi e cittadine, i campi vennero distrutti, l'economia andò a pezzi. Tutte quelle perdite e quella povertà distrussero e straziarono molte famiglie.

 

Al ministero i consiglieri delle quattro specie si unirono per cercare una soluzione.

La guerra aveva indebolito le varie fazioni, ma non il loro animo.

Ognuno di loro difendeva i propri simili, indifferenti alle esigenze altrui.

Litigarono. Si accusarono, ma non trovarono un risposta comune.

 

La miseria, la stanchezza e la tristezza accompagò le giornate del popolo che sempre più esausto e rassegnato non aveva più speranza.

 

Gente sofferente.

Uomini feriti.

Boschi in fiamme.

 

Poi, un giorno, sbucò da chissà dove un uomo: Adalberto Gorgofondo.

Questo piccolo uomo non era un guerriero, non era uno stratega, ma un alchimista in grado di risolvere l'annoso problema che affliggeva i vampiri, i licantropi, i demoni e gli uomini da sempre.

Portò ai consiglieri del Ministero un siero.

Non un siero qualsiasi, ma un siero che era in grado di unire le doti speciali di ogni specie e mitigarne i lati più oscuri. Serviva un piccolo sacrificio da parte di tutti e la pace sarebbe arrivata.

 

Prendere il carisma dei vampiri ed eliminare la loro bramosia di sangue.

Regalare loro una vita più equilibrata, ma perdere la loro vita eterna.

 

Prendere la forza fisica dei licantropi ed eliminare la loro bestialità.

Regalare loro una vita più serena, ma perdere la loro invincibilità.

 

Prendere i poteri dei demoni ed eliminare la loro indifferenza.

Regalare loro l'empatia, ma perdere la loro razionalità.

 

Prendere l'immaginazione degli umani ed eliminare la loro aggressività.

Regalare loro una vita più lunga, ma perdere la loro fragilità.

 

Bastò unire al siero una goccia di sangue umano, un pelo di licantropo, una ciocca di capelli di vampiro e un'unghia di demone e il diamante rosa di Adalberto Gorgofondo divenne la matrice su cui costruire il siero che ancora oggi viene inoculato ad ogni bimbo appena nato, di qualsiasi specie esso appartenga.

 

Da allora le quattro specie vivono in tranquillità.

 

«Spostati nullità», una graziosa e slanciata demone di terra colpì con lo zaino Elisa mentre correva a perdifiato per il corridoio.

La ragazza si rannicchiò in se stessa distraendosi dalla bacheca che stava osservando con certo interesse. Rintanata in un angolo ripeté a bassa voce l'ultima frase appena letta cercando di non pensare a quanto appena successole: «Da allora le quattro specie vivono in tranquillità».

 

Un brivido la percorse da capo a piedi.

 

Elisa si avvolse nel lungo cardigan color celeste di ben due taglie più grande, abbassò il capo facendo cadere il resto della chioma corvina davanti il suo volto. Appiccicata alla parete seguì il corridoio fino ad arrivare alle scale che l'avrebbero portata alle aule al piano superiore.

 

Elisa evitò accuratamente di parlare o salutare qualsiasi persona gli capitasse per caso davanti.

 

Ad Elisa piaceva la scuola, era una buona studentessa, quello che detestava però erano gli studenti che si divertivano a prenderla in giro. La ragazza non aveva mai avuto il coraggio di dire nulla o di far valere se stessa. Lei stessa si definiva una codarda, anche se in verità quello che la faceva soffrire di più era la solitudine. In due anni al VLUD non era riuscita a stringere amicizia con nessuno.

Suo padre le diceva sempre che lei era un fiore delicato, un tesoro prezioso da scoprire, ma a quanto pare nessuno nella scuola voleva conoscerla per quello che fosse veramente, ma preferiva fermarsi alle apparenze.

 

Saltellando sui gradini come fosse una bambina percorse le scale sillabando parole.

Un salto un gradino.

Un gradino una parola.

«A-dal-ber-to Gor-go-fon-do».

Continuò così finché arrivò al primo piano.

 

Ad Elisa piaceva sillabare, a volte le pareva di capire meglio il significato delle parole, prendere un attimo in più per assaporarne il suono ed entrare nel significato vero che il termine racchiudeva in se. Era suo padre, a cui era molto affezionata, anche perché era il suo unico parente in vita, ad averle insegnato questo gioco e fin da bambina si divertiva a farlo in ogni occasione: in una strada con le pozzanghere, tra i ciottoli in un viale, sulle crepe dell'asfalto.

 

All'ultimo gradino, in bilico sul bordo, ripeté il nome dell'alchimista tutto per intero: «Adalberto Gorgofondo».

 

Elisa sorrise, ma nessuno poté vedere la sua piccola bocca a forma di cuore schiudersi, gli occhi color cioccolato illuminarsi e le guance sollevarsi. Elisa si nascondeva sempre da tutti e tutti si divertivano a prenderla in giro per questo fatto.

 

Una frenesia improvvisa, una valanga fatta da studenti ritardatari si mosse come fosse un corpo unico verso le aule del primo piano ad assistere alla prima lezione dell'anno scolastico.

La campanella era suonata.

Elisa, sul ciglio della scala, venne sfiorata dalla mandria di adolescenti chiassosi.

La sfiorarono a destra e sinistra.

Un vortice umano instabile.

Il corpo minuto di Elisa ondeggiò al passaggio di tante persone.

Ondeggiò pericolosamente verso il vano scale.

Elisa provò a mantenere l'equilibrio.

 

Ma.

 

Elisa allungò le braccia verso il vuoto davanti a se, stava cadendo a schiena indietro.

I capelli scivolarono morbidi dietro le orecchie.

Con la bocca spalancata urlò.

Elisa sapeva che stava per cadere, ma non aveva modo di ritrovare l'equilibrio. Le scale, spigolose e dure, avrebbero attutito la sua caduta facendole molto male.

 

Una mano afferrò la manica del cardigan color celeste,di due tagli più grande, della ragazza e arrestando la sua caduta rovinosa per le scale.

 

«G-grazie», balbettò Elisa.

«Non voglio fare tardi», disse asciutta una demone di terra che con l'aria annoiata osservava Elisa starsene in equilibrio sul bordo dell'ultimo gradino della scala. «Tirati su, non ho tutto il tempo che credi».

 

Elisa la riconobbe.

Era la stessa Demone di terra che poco prima l'aveva colpita con lo zaino di fronte alla bacheca all'ingresso.

 

«Come ti chiami?», chiese Elisa con tutto il coraggio che aveva, non era certo tipo da parlare per prima. 

«Alina Boscolinfa», disse la Demone mentre consultò un foglio in cerca di qualcosa.

«Io sono...», provò a rispondere Elisa, ma Alina le girò le spalle prima di incamminarsi per il corridoio.

 

Elisa la rincorse.

 

«Se vuoi posso aiutarti, sono del terzo anno, conosco bene la scuola», disse Elisa stupita del fatto che quella fosse la conversazione più lunga mai avuta tra le pareti del VLUD con una studentessa come lei.

«Anche io sono del terzo. Cerco la 3ºD». Alina si girò di scatto tornando indietro sui suoi passi facendo arrestare bruscamente Elisa. 

 

Il fisico asciutto e atletico di Alina rendeva la sua figura ancora più austera di quanto già non fosse. La pelle dalla sfumatura color lilla era leggermente perlata, era come se emanasse luce propria. Elisa la seguiva ammirandone le lunghe dita affusolate e l'incedere sicuro tipico dei Demoni.

 

«A-Anche io sono della 3º D. Seguimi, ti porto io in classe», disse Elisa alla Demone tagliando per un corridoio laterale. «Immagina un tronco di un albero. Prova a stilizzarlo. Si parte dal grande corridoio, il fusto, per poi arrivare alle prime biforcazioni, i rami. Ogni biforcazione a sua volta ha altre biforcazioni. Come vedi ci sono finestre e pozzi luce che permettono alle aule tra le biforcazioni di...».

 

Elisa venne interrotta bruscamente da Alina che come tutti i Demoni di terra detestava le chiacchiere a vanvera, in modo particolare lei. Era cresciuta sulle montagne di Granfrulla in una comunità molto chiusa e non era abituata a perdersi in fronzoli di nessun tipo.

 

«Lo vedo anche io che la mappa della scuola è a forma di albero. Se dici però un'altra volta biforcazione giuro che ti lascio qui nel corridoio. Portami solo alla mia aula, sono in ritardo». Alina mosse con eleganza la mano mostrando a Elisa il corridoio deserto poi scosse la testa ironica smuovendo i corti capelli ondulati che coprivano il suo capo.

 

Elisa accelerò il passo verso l'aula che ormai da due anni occupava con il resto della sua classe. Le pareti spesse di pietra rendevano l'ambiente fresco e confortevole, i poster attaccati alle pareti e i lavori dei laboratori d'arte coloravano il grigio che imperava dell'edificio. Dalle feritoie sulle pareti filtrava una luce calda mentre i grandi pozzi luce, posti strategicamente all'interno dell'edificio, permettevano al sole di raggiungere anche le aule più interne. 

 

Elisa corse più veloce che poté.

Svoltò a destra, poi a sinistra.

Si ritrovò di fronte una grossa porta in legno su cui era apposta una targhetta: 3D.

 

«Eccoci Alina, siamo arrivate», disse Elisa cercando di districare i capelli corvini intrecciati suo volto.

Alina non replicò, si lanciò sulla maniglia per entrare in classe il prima possibile. Detestava arrivare tardi e tantomeno il primo giorno di scuola in un posto nuovo.

Elisa la seguì senza pensarci troppo.

 

L'intera classe, già seduta ai banchi, fissò di scatto quelle due entrate come razzi in classe.

La Professoressa di Alchimia Applicata le scrutò da dietro i spessi occhiali tondi.

Con il suo vestito rosso a pois bianchi sembrava uno di quei funghi velenosi che non è mai saggio cogliere e mangiare.

 

«Buongiorno, sono Alina Boscolinfa, una nuova studentessa», disse la Demone di terra allungando un foglio alla docente.

La donna, una umana dall'aria trasandata ed eccentrica, lesse con attenzione il foglio per poi scrutare con attenzione la nuova studentessa. 

Alina non si lasciò intimorire e, di tutta risposta, squadrò quella strana donna da capo a piedi soffermandosi, in particolare, sulla strana acconciatura piena di boccoli fissati con quintali di lacca. Alina non aveva mai visto nulla di simile, l'istinto la portava a voler toccare quella strana cosa riccioluta, ma il buon senso le suggerì che era il caso di starsene buona e non finire subito nei guai.

«Bene Alina, siediti qui davanti a me, in prima fila. Il posto è libero. Io sono Madame Brigitta la tua insegnante di Alchimia Applicata», disse la donna con aria di sufficienza soffermandosi però sul proprio nome come se stesse reclamando una poesia.

 

Elisa trasalì.

Negli scorsi due anni quello era stato il suo posto, quello in prima fila, l'unico in cui si sentisse a suo agio, dove nessun compagno di classe la prendeva in giro, non molto almeno. Stare di fronte alla cattedra ha i suoi vantaggi se si è considerati lo zimbello della classe, quello è un porto sicuro.

 

«Ma...», squittì Elisa a Madame Brigitta.

«Elisa Gorgofondo. Che piacere averti tra noi, spero vivamente che il fatto che tu sia l'unica discendente di Adalberto Gorgofondo non ti faccia montare la testa. Il tuo cognome per me non ha nessuna importanza, non hai nessun diritto di arrivare tardi. L'alchimia è una cosa seria e proprio tu dovresti saperlo. Ci sono regole e tutti le devono seguire», disse acida l'insegnante, «Sei pregata di sederti in fondo dove c'è quel banco libero».

 

Elisa osservò il banco, era nell'angolo più lontano e buio della stanza.

Nessuno studente voleva sedersi lì per un motivo ben preciso.

 

Elisa deglutì.

 

Fece un passo a testa china poi un altro.

La classe intera ridacchiò al passaggio della ragazza.

Elisa sentì il suo umore a terra, sembrava una condannata alla forca.

 

Elisa raggiunse il suo nuovo banco e si sedette sconsolata su quella che sarebbe stata la sua sedia per tutto l'anno scolastico.

 

«Psss. Psss.», una voce la raggiunse immediatamente.

 

Elisa la ignorò.

 

«Psss. Gorgofondo. Gorgofondo», disse la voce che proveniva dalla sua sinistra, dal tavolo a fianco.

 

Elisa si girò verso il muro dalla parte opposta.

 

«Gorgofondo, volevo solo salutarti», disse con tono lagnoso quella voce.

 

Elisa si lasciò incuriosire e sbirciò attraverso uno spiraglio dei suoi capelli chi la stesse chiamando.

 

Gregorio Carnera.

Gregorio il licantropo, Gregorio il campione di football della scuola, Gregorio uno degli studenti più famosi del VLUD, per i suoi scherzi, le stava rivolgendo la parola mentre agitava la mano verso di lei. Sorridente e sfacciatamente sicuro di se stesso le schiacciò l'occhio complice:«Vedrai come ci divertiremo quest'anno», le disse indicando il posto su cui era seduta la ragazza.

 

Elisa sbiancò.

Appena provò a sistemarsi sulla sedia sentì qualcosa di umido e appiccicoso penetrare i pantaloni e infradiciarle le gambe.

Gelatina.

Elisa si era seduta su uno spesso strato di gelatina senza accorgersene prima.

 

Per questo nessuno osava sedersi in quel banco, Greg massacrava di scherzi chiunque si avvicinasse a lui a meno che non fosse uno della sua cricca.

 

Elisa non si chiese come avesse fatto Gregorio a mettere quel viscidume sulla sedia e nemmeno come mai quel licantropo girasse con tanta gelatina per la scuola. L'unica cosa a cui pensò è che non avrebbe dovuto fermarsi a guardare quella stupida bacheca, del resto la storia di Adalberto Gorgofondo la conosceva benissimo, suo padre gliela raccontava fin da quando era piccola, fino alla nausea, visto che era un suo avo.

 

Elisa, con la gelatina sparsa ovunque, prese un quaderno e iniziò a copiare gli appunti scritti alla lavagna e per la prima volta in vita sua odiò il suo cognome.

 
   
 
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