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Autore: Dragonfly92    22/09/2017    17 recensioni
Tu annegavi.
Io ti gridavo di nuotare più forte.
•AU - School
•Death Fic
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Phichit Chulanont, Yuuri Katsuki
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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L’odore dei libri nuovi mi dà la nausea.
L’ho sempre amato, Yuuri.

Il profumo dell’anno che inizia.
Dell’autunno che sboccia.

Ma questo.
Questo non sa di risate.
Né di condivisione, di esperienza.

Entra nelle narici, sembra bruciarle.
Scende nella gola, nei polmoni.

Li riempie a forza.
Li costringe.

E capisco, Yuuri.
E mi viene da ridere.
E da piangere.

Perché era questo, l’odore che respiravi tu.

Come ho fatto a non sentirlo prima?

Sigillo lo zaino.
Ad ogni metro, diventa più pesante.
Sulle spalle, sulla schiena.

Sul petto.

Era questo il peso che portavi, Yuuri?

La Campanella suona e sento brividi percorrermi l’anima.

-Perché non ti metti qualcosa di più leggero, Yuuri?
Siamo in Giappone, mica in Siberia!-
-Ho freddo, Phi…-


Ti limitavi a rispondere.
Tirando le maniche del maglione fino a coprirti le nocche.
 
Rabbrividisco.

La paura ha una temperatura, Yuuri.
Ed io me ne accorgo soltanto adesso.

Centinaia di zaini.
Studenti felici.
Indifferenti.
Scalpitanti.
Annoiati.

Camminano o corrono per prendere posto.
Ma il nostro, nessuno oserà sfiorarlo.

Terza fila, accanto al muro.
È lì, che mi siedo.

Quello sotto la finestra è il tuo.

-Guarda, Phi…-

Sussurravi.
Poteva essere un passero o un albero in fiore.

Ma il tuo sorriso nasceva.
Timido e sincero.
Tu le amavi, le piccole cose.
Tu eri fatto, di piccole cose.

E loro le hanno distrutte.
Una 
Ad
Una.

-Yuuri, hai visto?-
C’era un gatto, nel cortile.
E sì, sì che lo avevi visto.
Soltanto, non ti importava più.

Quando hai smesso di amare di amare la vita, Yuuri?

Cercavi di non parlare.
Cercavi di non sentire.

-Sentite che puzza!
Ah, è entrato Katsuki!-


Io, li ignoravo.
Non ho mai ritenuto saggio, rispondere alla stupidità.
Dimenticando che a volte, il silenzio è soltanto un complice codardo.

Erano passati a quello.

Sul tuo aspetto ne avevano dette e inventate.
Ma il tuo peso, adesso, non era più un appiglio valido.
Non faceva più così male.
E loro se ne erano accorti.

Come ho fatto, a non accorgermene io, Yuuri?

Non lo sapevo, di quanto la spugna graffiasse la tua pelle.
Non lo sapevo dell’ansia che ti faceva sudare.
E del sudore che fomentava l’ansia.

Non lo sapevo, che sotto quello strato nervoso si corrodeva la tua anima fragile.

L’ho vista, sai?
La tua anima.

Te l’hanno tirata fuori loro.
Un pezzetto alla volta.


Uno dei frammenti è finito giù, inghiottito dallo scarico di quella doccia.
Quella degli spogliatoi.
Della palestra della scuola.

Dove ti hanno spinto, completamente vestito.

-Ti facciamo provare un’esperienza nuova, Katsuki!-



E sei rimasto lì, Yuuri.
Sotto lo scroscio delle risate.

A subire i getti di quello scherzo innocente.

Ho provato, Yuuri.
Le loro voci, mi hanno fatto voltare.

Le loro risate, mi hanno fatto stringere lo stomaco.
Sei arrivato tardi, mi dicevano.



Ti ho tirato fuori.
E mentre camminavano verso casa, sotto gli sguardi divertiti, allibiti, indifferenti, perplessi.
Mentre camminavano e le gocce tracciavano solchi indelebili sulla strada, sul tuo viso.

Non mi sono reso conto che tu, in quella doccia, c’eri annegato.


Ho iniziato a vederlo, Yuuri.
Il male.

La stupidità che vivevi come violenza.

-Rispondigli!
Reagisci!-


Tu annegavi.
Io ti gridavo di nuotare più forte.

Quanto male ti ho fatto, Yuuri?
Davvero pensavo che se tu ne fossi stato capace, non lo avresti fatto?

Eri sensibile, Yuuri.
E non era una colpa.

Ero convinto, Yuuri.
E questa sì, lo è.

Ti ho fatto sentire debole.
Solo.
Volevo spronarti.

Ti avrei aiutato, sai?
Con loro.
Mi sarei unito alle tua parole, alle tue mani, se necessario.
Ma questo, non te l’ho detto.
Lo davo per scontato.

E le mura di questa classe, diventavano ogni giorno più strette.

Quelle scritte, più frequenti.
Quelle parole, più cattive.

-Perché non ti butti, Katsuki?-

Ho visto il tuo sguardo temporeggiare sulla finestra aperta.
Credevo mi avresti indicato quell’arcobaleno.
Mi sono accorto allora che tu, non riuscivi a vederlo.

Voti che calavano.
Indifferenza per un qualcosa che valeva, per te.

-Almeno non possono più chiamarmi secchione…-
Dicevi.
Ridendo.
Scrollando le spalle.
È stato il primo passo.
Il primo tentativo di diventare invisibile.

Eri dimagrito, e quel grasso non poter più farti male.
Ti eri tagliato i capelli, e quel femminuccia non poteva scalfirti.

-Inutile.-
Ma contro quello, non potevi fare niente.

Nulla bastava a dare un senso alla tua sprecata esistenza.

Per me, erano parole prive di valore, Yuuri.
Darei la vita, per tornare indietro e spiegarlo anche a te.

Non c’è niente di scontato, al mondo.
Niente.

Poi è arrivato lui.
Irruento, allegro, un uragano di energia.

Gli piaceva, la tua timidezza.
Te lo diceva, Tu arrossivi.
Lui rideva e tu ti imbronciavi e allora te lo diceva di nuovo. 

E per un momento, Yuuri, sei stato felice.
Non gli sarò mai abbastanza grato, per questo.

Lui, mi ha regalato il tuo ultimo sorriso.


Ma poi sei scappato, Yuuri.
Come un gatto spaventato di fronte a quel branco di randagi bastardi.

Che ti ha abbassato i pantaloni.
Davanti a lui.
Davanti a tutti.

Ha preso le tue difese, sai?

Ma tu non volevi che te lo raccontassi.
Volevi solo dimenticare.
I suoi occhi.
Le loro voci.

Quell'umiliazione.

Che ti si era impigliata all’anima.
A quell’ultimo pezzettino. 



-Perché Yuuri?
Perché non ti lascia andare?
Perché non vuoi provare a fidarti di lui?-


Ha vibrato, Yuuri.
Il tuo dolore, ha vibrato.
Ha fatto tremare le ciglia.
La voce.
E non ho potuto far altro che rimanere in silenzio.
Il tuo cuore era in lutto, Yuuri.

Ed io mi sono reso conto di averti guardato morire.


-Ti ricordi, Phi…
Ti ricordi dei pomeriggi passati al campo?
Nella speranza che quei ragazzini mi invitassero a giocare?-


Non sapevo cosa dire, Yuuri.
Era passato tanto tempo.

-È accaduto.
Quel pomeriggio, è accaduto.
Mi hanno chiamato e tu eri così felice, per me…-


Ho annuito.
E non lo so perché ad un tratto, era molto più freddo.

-E mi hai detto che te ne saresti andato a fare i compiti.
Ma solo perché sapevi che non sarei mai andato, sapendoti lì da solo.-


Hai sorriso appena.
In quel modo che era diventato parte di te.
Sollevati un solo angolo della bocca.
Sorridevi a metà.

Credevi di non meritarlo un sorriso intero, Yuuri? 

-Non volevano che giocassi con loro, Phi.
Ed io l’ho capito soltanto quando ho visto quel pallone sgonfio.-


Mi hai guardato negli occhi, Yuuri.
Ed il tuo dolore liquido, mi ha ustionato l’anima.



Era passato tanto tempo, Yuuri.
Così tanto che forse non erano fatte di tristezza, le tue lacrime.
Ma di arresa.
E di scuse.


Ma io non le accetto, Yuuri.
Come mai potrò accettare le mie.

-Posso sedermi qui?-

La voce incerta si fa strada nei miei pensieri.
Lo guardo.
Sembra un bambino, questo ragazzo con la t-shirt stampata a fumetti.
Che alza ed abbassa lo sguardo, incapace di sostenere il mio.
E per un attimo Non è più il suo viso, quello che sto guardando.

-P-posso sedermi?
Se…
Se non è occupato o… 
Preferisci…-

-Certo, vieni…-


Un sospiro di sollievo ed un sorriso per ringraziare.

Sto per dirgli di no.
Che quel banco è tuo.
Lo sarà sempre.

-È che…
I ragazzi dicono che quei posti sono…
Occupati e…-

Lo vedo, Yuuri .
Vedo il suo disagio e sento le risate in sottofondo.
È così, che è iniziato.

Con risolini e nomignoli stupidi.
Forse anche divertenti.

Niente di eclatante.

Un pizzicotto, una spinta.

Due, tre.

Scherzi.

Lo sai cosa ho capito, Yuuri?
Che la violenza non si scrive con la lettera maiuscola.
Non si grida.

Che la gente chiama bullismo il circondare un ragazzo e prenderlo a bastonate.
Ma non ha idea, di quanti lividi possano creare le parole.
Macchie invisibili.
Perenni.

Sottili.
Fini.
Come un ago.
Che si infila sottopelle.
E non si toglie più.

Ho imparato che uno scherzo ripetuto, diventa un tormento.
Che i tuoi bisbigli, i tuoi “perché, Phi?” erano urla. 
Che quando hai smesso di urlare, hai iniziato a conviverci.

Ed ho imparato che se convivi col dolore, questo prima o poi sfratta tutte le altre emozioni.


Sta per andarsene, sai?
Questo ragazzino spaesato.

Non ti ho salvato, Yuuri.
Non ne sono stato capace.

-Certo, vieni…-

Mamma dice che quando una persona se ne va, poi rinasce.
In un fiore, in un animale, in un'altra persona.

Forse è vero.
Forse ho soltanto bisogno che sia vero.

Sono stato arrabbiato con te, sai?
Perché mi hai lasciato.
Perché quando hai ingoiato quelle pillole, Yuuri, non hai pensato a me.
O a tua madre.
O a tua sorella, tuo padre.

Poi però, ho capito una cosa.

Non si può vivere per qualcun altro. 
Non si può.
Non è giusto.
Non funziona così.

E allora un pochino ti ho perdonato.

-Grazie…-

È strano, il rumore della sedia strusciata.
Sto per dirgli di smetterla.
Di non fare tanto chiasso.

Lo guardo e mi accorgo dell'imbarazzo che gli colora il viso.
Lo stanno guardando tutti.

-Sono Phichit…-

La tua Y è ancora incisa sul banco.

-Piacere, Matthias…-

Accanto alla mia iniziale.

Non posso tornare indietro.
Non riesco a guardare avanti.

-Hey…-

Mi volto per squadrare quel viso all’espressione incerta.
Cosa vuole, adesso?

-Guarda…
Uno scoiattolo!-

Mi viene da ridere.
E da piangere.

Forse, mamma ha ragione.

Forse, Yuuri, posso ancora salvarti.









--- --- ---



Il bullismo uccide, mettetevelo in testa.
I bulli, sono tutti figli di qualcuno.
Potrebbero essere i nostri.

Bullismo è un'etichetta.
Dovete leggere anche le note in calce.

Sono agguati e botte.
Ma molto più spesso, sono scherzi.
Innocui.

Sono risate.

Sono umiliazioni.

Dove c'è un bullo, ci sono almeno cinque complici.
Dieci spettatori.
Quindici passanti.
Trenta colpevoli totali.


Quanti banchi vuoti servono ancora, per farcelo capire?






















   
 
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