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Autore: Luana89    23/09/2017    0 recensioni
Un piede ondeggiava annoiato fuori dal finestrino, l’altro poggiato con noncuranza sul cruscotto della berlina nera e costosa, portava la cravatta allentata, le spalle ricurve come se fosse concentrato a fissare qualcosa sul suo grembo, aveva un cipiglio attento. Nicholas si mosse nervoso sul sedile, solitamente non fissava così sfacciatamente i ragazzi sempre attento a non far sospettare nessuno delle sue ‘’preferenze’’, ma era impossibile non guardarlo. Gli zigomi appena pronunciati, l’arco delle sopracciglia nonostante fossero aggrottate era perfetto, e le labbra lievemente imbronciate; lo sconosciuto alzò lo sguardo, era come se fosse stato richiamato da quei pensieri troppo lontani, i suoi occhi si posarono su Nicholas e si accesero, non riuscì a distinguerne il colore ma non aveva poi molta importanza. Respirò a fatica mentre lo studente in divisa staccava la schiena dal sedile, le labbra si curvarono in un sorrisetto malizioso e crudele tutto per lui. La gola di Nicholas sembrò serrarsi, la gamba ingessata pulsò appena e gli venne spontaneo toccarla, non riusciva a staccare gli occhi dallo sconosciuto. Il semaforo divenne verde, tutto sfocato mentre la berlina nera diveniva un puntino lontano.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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«Pagherai l’affitto?» Jeremy non si girò, accucciato al pavimento a gambe incrociate continuava a giocare fissando lo schermo. Uomini morivano sotto i suoi occhi e Nicholas roteò gli occhi infastidito dal baccano di quel giochino idiota.
«Siamo migliori amici, io non ti farei pagare l’affitto per stare nella mia camera. E potrei ..è grande quasi quanto il tuo appartamento.» Un sorriso, più simile a una smorfia, rivolto verso la schiena altrui che si tese appena nell’istante in cui un guerriero lo attaccò dichiarando la sua sconfitta.
«Appunto.» Gettò il joystick lontano da se con fastidio guardando finalmente l’amico. «Perché ti costringi a stare qui, in questa stanzetta che ha ossigeno a stento per il mio criceto, e non torni nel tuo mega sfarzoso attico?» Lo fissò sbalordito e con una punta di sospetto. Per due giorni dopo la notte delle nozze, Nicholas si era rintanato lì, fuggendo letteralmente dalle conseguenze delle proprie azioni.
«Punto uno non hai un criceto. Punto due adoro i luoghi piccoli, non sono per niente claustrofobico.» Si accarezzò distrattamente il braccio sviando lo sguardo inquisitore di Jeremy.
«No non sei claustrofobico, sei un coglione.» Scandì bene quelle parole alzandosi dal pavimento per afferrare un fumetto poco distante e poi stravaccarsi sul letto. «Hai così paura di Christopher?»
«NON HO PAURA DI LUI.» La reazione immediata ed eccessiva fece sorridere l’altro che abbassò appena il libro per fissarlo.
«Penso proprio di si. E’ successo qualcosa Nicholas?» Le palpebre si socchiusero appena come se volessero vedere dentro quella bella testa.
«No..» era evidente mentisse, sentiva ancora su di se le mani del fratellastro, i suoi respiri, quel dolore atroce e poi tutto quel piacere. Ondate di piacere durate un’unica singola notte. Consumato. Ecco come si era sentito mentre prendeva e lasciava prendersi, la mattina dopo era scappato, non riusciva ad affrontare Christopher, non avrebbe sopportato battutine o altro. Aveva perso contro di lui, e per quanto sembrasse infantile nondimeno sapeva che con l’altro bisognava ragionare in questi termini; probabilmente neppure voleva vederlo, magari rideva alle sue spalle, in fondo non aveva chiamato neppure mezza volta.
«Ma mi stai ascoltando?» La voce di Jeremy spezzò la linea confusa di pensieri costringendolo a fissare l’altro attonito e quasi stupito. Jeremy sospirò leccandosi il labbro inferiore. «Torna a casa, se tua madre chiama lì..» non ci fu bisogno di aggiungere altro, come aveva potuto non pensarci? Finché chiamava al suo cellulare era okay, ma se avesse chiamato in quella casa? Christopher ci avrebbe messo tre secondi a sputtanarlo dicendo ad Amanda che era scappato.
«Devo andare.» Si alzò con irruenza raccattando le proprie cose, saltellando su un piede, ficcandole tutte dentro lo zaino di pelle nuovo. Regalo di Scott, lontano anni luce dal figlio decisamente. Sentì le risate di Jeremy accompagnarlo fin quando non fu sulle scale.
 
Maria aprì la porta fissandolo stupita, era come se non si aspettasse di vederlo tornare lì e questo non seppe bene se fosse positivo.
«Uhm, Maria… per caso..» era nervoso mentre si torceva le dita. «Per caso, ha chiamato qui mia madre?»
«Si signorino, stamattina. Il signorino Christopher le ha parlato.» Nicholas sbiancò, sentiva di poter perdere i sensi da un momento all’altro.
«Dov’è?» Era ovvio a chi si riferisse, la cameriera sorrise contrita indicando il giardino d’inverno. Vi si incamminò con passo malfermo. La prima volta in cui aveva visto quel luogo era rimasto incantato, pieno di piante e fiori, completamente al chiuso, con un grande spazio al centro ricoperto di terracotta color ocra. Seguì gli strani rumori provenienti proprio da lì finché non trovò Christopher con un lungo bastone in mano, intento ad allenarsi. Era sudato e forse stanco, ma continuava a muoversi in maniera precisa, che tipo di arte marziale era? L’aveva vista da qualche parte.
«E’ tornato il figliol prodigo.» Lo aveva visto già dal suo ingresso, Nicholas odorava di cose buone, di cose che lui non sembrava essere stato mai. Chiuse gli occhi inspirando appena, e quando li riaprì il suo sguardo era scisso tra la rabbia e la malizia.
«Hai detto a mia madre..»
«Ho detto a tua madre’’Nicholas è fuori con amici’’. Sono stanco di preoccuparmi dei sentimenti di Amanda al posto tuo.» Lo indicò con il bastone e Nicholas trasalì ferito.
«Io me ne preoccupo eccome.»
«Non credo, ti preoccupi solo dei tuoi mio giovane fiore sbocciato.» Sorrise mostrando un pizzico di lingua e Nicholas si sentì cedere le ginocchia. «Allenati con me.»
Christopher si mosse verso l’angolo, dove c’erano delle panche in pietra messe a circolo, e prese un bastone uguale al proprio persino in lunghezza, lanciandoglielo. Il biondino si mosse svelto afferrandolo in aria un secondo prima che cadesse. «Tu non sai niente di me.» Lo fissò in cagnesco e Christopher rise.
«Sei tu a non sapere niente, sai solo ciò che il tuo piccolo cervello bigotto e spaventato ti comanda.» Si mossero lentamente in circolo guardandosi con cautela, Nicholas colpì veloce e preciso ma Chris parò il colpo, il sordo rumore si perse in quel giardino.
«Non hai idea di come mi sia sentito.»
«Impaurito? Oh povero biscottino, deflorato e terrorizzato.» Strinse i denti colpendo la caviglia dell’altro che imprecò di dolore. Nicholas si rialzò e la danza ricominciò.
«Lo vedi? Lo vedi come sei? Ho ceduto a un coglione che non ha idea di come si senta la gente, non sa cosa siano i sentimenti, l’empatia.» Si avventò su di lui, il bastone colpì il fianco dell’altro facendolo accasciare. Gli occhi azzurri di Nicholas brillarono soddisfatti.
«Lo vedi? Parli troppo McClair, e senza prove.» Allargò le braccia, il bastone stretto con la mano destra si mosse improvviso, la punta colpì l’addome altrui facendolo cadere.
«‘’Mente o cuore’’, ricordi? Io si, perfettamente.» Nicholas lo fissò dal basso a denti stretti e Christopher lasciò cadere il bastone.
«Amo mio padre, amo me stesso.»
«Bugiardo. Non ami te stesso.» A quelle parole Christopher si zittì. «Dovevo rimanere su quel letto per darti modo di ridere di me? Di goderti la vittoria?»
«Ridere di te.» Non era una domanda mentre lo invitava ad alzarsi. «Sai, credo che il corpo a corpo si adatti più ai tuoi standard. Tua madre dice che pratichi arti marziali da anni, e allora.. vieni.» Lo invogliò ad attaccarlo e Nicholas non se lo fece ripetere due volte. La sua forza era dettata da mesi di soffocamento, mesi in cui aveva represso e ingoiato bocconi amari. Incastrò la gamba destra dell’altro con la propria, strinse con forza gettandolo a terra. Si chinò pronto a colpirlo ma Christopher fu più veloce, la pianta del piede colpì l’addome di Nicholas sbalzandolo lontano, a quel punto si alzò andandogli vicino e stavolta fu lui a salirgli a cavalcioni.
«Non azzardarti a scappare più. Non da me.» Ringhiò quelle parole afferrandogli i polsi pronti a colpirlo, incollandoglieli al petto con tutta la forza che aveva. Nicholas sbuffò desiderando dargli una craniata.
«Non mi hai cercato nemmeno una volta, perché fingi ti importi?» Si soppesarono per qualche istante.
«Jeremy mi ha avvisato quando sei arrivato da lui come un cucciolotto sfrattato da casa dall’orco cattivo.» L’espressione attonita del ragazzo fece ridere Christopher, un divertimento che durò ben poco. «Non pretendo di essere un eroe, una persona dai buoni sentimenti, qualcuno degno di stima. Ma non fare di me ciò che non sono, non dipingermi seguendo le tue paure.» Mosse il bacino con lentezza togliendogli il respiro, Nicholas serrò con forza le palpebre cercando di non mostrarsi eccitato e quando pensò di aver fallito l’altro lo lasciò andare con uno strattone alzandosi ansante, ripescò la bottiglietta d’acqua poggiata su una panca bevendo avidamente.
«Ho paura.» Eccole, ancora quelle parole. Christopher lo guardò rialzarsi e allargare le braccia.
«Lo so bene. Guardo ogni giorno le tue paure, una per una.» Sorrise senza gioia.
«Invidio te che ne sembri immune.» Deglutì ricacciando indietro le lacrime di frustrazione.
«C’è differenza tra ‘’vedere’’ e ‘’guardare’’, tu mi guardi ma non mi vedi Nicholas. Quindi, non sei migliore di me al momento.» Quelle parole furono come un pugno allo stomaco, fissò Christopher superarlo pronto ad andarsene.
«Dove vai.»
«Ricordi il discorso sul passato, il presente e il futuro?» Attese di vederlo annuire per poi proseguire. «Il passato è un luogo così dolce, fatto di ricordi, come una piccola e infida gabbia dorata.» Allargò le braccia, il viso una smorfia di ilarità grottesca. «Vado lì.»
«Sono così dolci quei ricordi?» Christopher era già di spalle, un piede oltre il giardino.
«Sono amari come la morte precoce di un bambino innocente.» Nicholas trasalì fissando la sua schiena allontanarsi.
 
 
 
La chiave si incastrò nella toppa, nonostante vi entrasse non riusciva a girare al suo interno. Christopher capì subito il perché: erano venuti a cambiare la serratura. Strinse i denti respirando profondamente, la mano contro il legno pesante.
«Mamma, aprimi.» Sussurrò quelle parole ascoltando il silenzio della casa, era sicuro lei ci fosse o il portiere non lo avrebbe nemmeno fatto salire.
«Aprimi.» Stavolta non fu un semplice sussurrò mentre fissava con rabbia quella dannata chiave adesso inutile. Sbatté il palmo una prima volta gentilmente e poi sempre più rabbiosamente, finendo col calciare disperato. «TI HO DETTO DI APRIRE.» Per un breve istante pensò che forse tre anni prima avrebbe dovuto trovare il coraggio.
 
I piedi ben fermi sul bordo del terrazzo, la musica di ‘’Boulevard of broken dreams’’ eseguita al violino superava la tenda tremolante giungendo fino a lui, lì in piedi pronto a lanciarsi. Le iridi tremarono appena nello sforzo di fissare il traffico sottostante senza che la vista si offuscasse, era tutto così microscopico a quell’altezza. Magari sarebbe morto in aria, i polmoni non avrebbero retto lo sforzo esplodendo. O forse sarebbe morto sul colpo appena toccato l’asfalto, nessun dolore, solo la morte. Strinse i denti piangendo, bastava un piccolo salto, solo un piccolo salto.
Cinque minuti dopo giaceva rannicchiato a terra, il freddo di febbraio feroce, la neve cadeva rendendo bianchi anche i suoi capelli. Le ginocchia al petto, le braccia che circondavano le sue gambe e la fronte contro le ginocchia. Lo trovò così Scott, le labbra livide e il corpo ghiacciato.
«Chris, che diavolo fai.» Si inginocchiò accanto a lui scrollandolo con forza, il figlio lo fissò con occhi vacui ancora bagnati di lacrime.
«Non ce l’ho fatta, sono un codardo.» Il padre lo scosse con più forza cercando di riportarlo alla lucidità ma Christopher iniziò a dimenarsi e urlare.
«NON E’ STATA COLPA MIA, LEI NON LO CAPISCE. MI ODIA, MI ODIA.» I singhiozzi squarciavano il suo petto rendendo la voce un urlo di dolore, le parole spezzate e pregne di dolore.
«Ti prego Christopher, non è così. Tua madre sta solo soffrendo.» ‘’E io?’’ avrebbe voluto rispondere così al padre, ‘’E io non sto forse soffrendo?’’.
«Ho provato a lanciarmi da qui, non ce l’ho fatta.» La presa si allentò mentre il genitore cadeva sconvolto accanto a lui. Una settimana dopo Scott presentò le carte del divorzio e lasciò quella casa insieme al figlio.
 
Ancora fermo su quel pianerottolo, la porta chiusa più invalicabile di qualsiasi muro. Il silenzio fu l’unica cosa che accolse le sue urla rabbiose. Non piangeva Christopher, aveva smesso di farlo quella notte sul terrazzo. Si allontanò strascicando i piedi, le spalle ricurve e il petto dolorante.
 
 
Evan aprì la porta facendo passare Nicholas che dal canto suo sembrava stupito da quella chiamata improvvisa, all’interno trovò Thomas che lo accolse con un sorriso tremulo.
«Non sei qui per lui.» La voce tagliente di Evan fece sbuffare Nicholas. 
«L’avevo capito da me, grazie. Quindi?» Allargò le braccia restando in attesa, e per un secondo vide il ragazzo esitare. Era un evento raro.
«Chris è qui, ha bevuto parecchio e non riuscirà a tornare a casa.» La voce esitante che indusse l’altro a non fidarsi.
«Dove sta la novità? Christopher beve sempre.» Sentì in risposta uno sbuffo carico di stress.
«Non sta bene, te lo posso assicurare, credo sia andato dalla madre.» Le cortine calarono dagli occhi di Nicholas che ricordò le parole del fratellastro prima di andare via. Improvvisamente divenne smanioso.
«Dove sta?» Mosse un passo nervosamente evitando di imprecare al silenzio dell’altro. «Ho detto dove sta.»
«In camera mia, Nicholas ..» lo fermò prima che muovesse ancora un passo. «E’ inutile parlargli adesso, non ascolterebbe.»
«Ma io non voglio parlargli.» A quelle parole seguì lo sguardo perplesso dei due mentre lo guardavano sparire lungo il corridoio.
«Non ho mai capito cosa sia successo con la madre.» Thomas guardò Evan con curiosità, come se si aspettasse una risposta.
«Ciò che succede spesso tra due persone che si amano troppo.»
«Ovvero?»
«Il legame si rompe, li consuma, e salvarlo è impossibile. Quell'amore troppo grande ti si rivolta contro, ti soffoca e uccide.» Le parole vennero giù come pioggia acida tra loro.
«Evan, mi dispiace, sono un idiota. Ma sono qui adesso, sono qui per te.» Thomas si mosse andandogli incontro.
«Lo so, te l’avevo detto che dovevi esser tu a venire stavolta.» Sorrise afferrandolo per la maglia, lasciò che le loro labbra si accarezzassero in maniera sempre più intima e profonda.
E mentre in una stanza un cuore spezzato si affannava a battere, nell’altra due cuori battevano all’unisono.
 
 
La stanza completamente in penombra, Nicholas vide la sagoma di Christopher sul letto in posizione supina, il viso rivolto contro la finestra dalla quale entravano pallidi raggi di luna.
«Il biscottino è qui.» La voce strascicata ma ugualmente ferma sembrava non aver perso quella punta d’ironia che lo contraddistingueva. Nicholas non rispose, tolse le scarpe salendo sul materasso che si piegò al suo peso.
«Sono troppo sbronzo per scopare.» La voce tagliente mirata a ferirlo, non ci riuscì comunque.
«Non sono qui per quello infatti.» Christopher si voltò appena fissando il viso dell’altro adesso vicinissimo.
«E perché sei qui?»
«Perché tutte le volte in cui ho avuto paura tu eri lì con me.. adesso tocca a me.» Le loro iridi del medesimo colore si fusero tra loro, Christopher tornò a poggiare la guancia sul cuscino mentre le braccia di Nicholas lo circondavano, cullandolo.
 
 
La berlina nera si fermò proprio all’ingresso dell’imponente struttura antica, simile ad un piccolo castello. Christopher scese allentandosi il nodo della cravatta e Nicholas lo seguì, sentiva i suoi movimenti legnosi a causa dell’ansia ma l’altro si girò proprio in quel momento sorridendogli divertito.
«Non dire una parola, non ti sopporto in questi momenti. Che per inciso comprendono il 90% del nostro tempo insieme.» La risata di Christopher lo infastidì ancora di più.
«L’altro 10% sei impegnato a gemere, giusto?» Nicholas chiuse gli occhi respirando profondamente, l’avrebbe sempre avuta vinta l’altro perché a differenza sua non aveva tabù e giocava sporchissimo.
«Andiamo.» Christpher si mostrò quasi stupito da quel comando ma si mosse ugualmente accanto a lui. Fissò visi a lui sconosciuti, non c’era il suo Jeremy né Thomas, c’erano solo facce di ricchi rampolli e giovani ereditiere, e qualche ragazzo comune la cui mente era fortunatamente la sua più grande ricchezza. Sentì il braccio di Christopher avvolgergli le spalle.
«Benvenuto alla St.Jules Nicholas McClair, benvenuto all’inferno.» E gli sembrò quasi di vedere le fiamme alte ergersi sopra la scuola, ma fu solo un impressione prima di salire gli imponenti gradini di marmo sotto gli occhi di mille studenti.
Quando Evan gli venne incontro nel corridoio la sua felicità fu così evidente da stupire più lui che l’altro.
«Sei qui, grazie a dio.» Il ragazzo rise scuotendo il capo.
«Va così male? Guarda che è bello sul serio qui. Hai campi da tennis, una biblioteca immensa, decine di laboratori.» Nicholas lo fissò sarcasticamente.
«Hai dimenticato milioni di studenti demoniaci come l’amico tuo.» Evan rise.
«No, lui credo sia il peggiore e hai imparato a gestirlo. Trattare con loro sarà una passeggiata.» Un mormorio indistinto si levò lungo il corridoio costringendo entrambi a voltarsi. Un ragazzo camminava spavaldo e sicuro accerchiato da altri coetanei, i capelli biondi e lisci, occhi castani che sembravano esprimere solo ribrezzo e delle labbra sottili contornate da un altezza di tutto rispetto che comunque non aiutava la bellezza.
«Chi è..» Nicholas tenne gli occhi fissi sullo sconosciuto mentre poneva quella domanda a Evan.
«Lui? Lucas Lancaster, il peggior nemico di Christopher.» Come se lo avessero chiamato apparve anche lui dall’altro lato del corridoio, quella divisa lo rendeva solo più bello.
«E tu saresti lo studente nuovo?» Lucas lo fissò con sprezzo, cosa che innervosì Nicholas parecchio.
«Ebbene si.» Il tono tagliente non sfuggì allo studente che si avvicinò appena sorridendo, quella specie di frattura delle labbra non era per niente simpatica.
«Sai chi sono io?»
«Un ammasso di merda che non riesce a farsi da solo il nodo della cravatta.» La voce di Christopher si frappose tra loro, Lucas si irrigidì fissando l’altro con odio malcelato.
«Underwood, quanto ci metterai stavolta a farti espellere?» Inarcò un sopracciglio incrociando le braccia al petto.
«Dipende, quanto ci metterai a trovare il coraggio di farti picchiare da me?» Il tono innocente, il labbro inferiore appena sporto. Nicholas trattenne il respiro sentendo Evan sospirare subito dopo.
«Ma quando vuoi, lo sai.» Allargò le braccia con scherno e Christopher si mosse oscurandogli la visuale di Nicholas. «E’ il tuo fratellino questo?»
«Così dicono. Sai cosa vuol dire vero?» Gli si fece appena più vicino.
«Che i vostri genitori ora scopano?» Evan bloccò il braccio di Nicholas prima che si slanciasse su Lucas.
«A differenza tua si, ma non solo loro tranquillo. Dovresti provare prima o poi.» Risate appena sussurrate accolsero quella battuta. «Significa che lui è mio, e tu sai cosa succede quando toccano le mie cose.» Nessuno parlò più, il viso di Christopher aveva perso qualsiasi traccia di divertimento, Lucas fissò i tre con occhi annoiati per poi superarli senza aggiungere altro.
«Fammi capire tu sei voluto tornare qui per dover vedere quel coglione ogni giorno?» Nicholas si mise davanti al fratellastro sbarrandogli la strada.
«Tu hai permesso a tua madre di sposare mio padre, sapendo che avresti visto questo coglione ogni giorno. Non siamo poi così diversi.» Evan rise probabilmente per la parte sul coglione spingendo un Nicholas ancora interdetto verso il cortile.
«Andiamo, ci aspettano lunghi mesi qui all’Inferno.»
 

 
  
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