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Autore: LazySoul    23/09/2017    2 recensioni
Trama:
Diana ha 17 anni, è la secondogenita dell'Alpha ed è trattata da tutti come una bambina.
Nel tentativo di dimostrare di essere grande abbastanza per combattere e difendersi da sola, chiederà aiuto alla persona che più la confonde, suscitando in lei sentimenti contrastanti, Xavier O'Bryen.
Tra uno spasimante indesiderato, una migliore amica adorabilmente pazza e un assassino in circolazione, riuscirà Diana ad accettare i sentimenti che prova per Xavier?
Estratto:
«Sei giovane, ancora non hai imparato che spesso gli odori celano delle emozioni», spiegò, appoggiandosi al materasso con le mani e avvicinando il viso pericolosamente al mio: «E sai cosa mi sta urlando il tuo odore in questo preciso istante?», mi chiese, anche se era palese che non si aspettasse una risposta.
«Prendimi», sussurrò ad un soffio dalle mie labbra.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo VII: Seduzione a tavola


 

Sciolsi il nodo che avevo fatto alla maglietta, che cadde stropicciata a coprirmi la pancia e recuperai un paio di pantaloni comodi.

Infilai i piedi nelle mie pantofole con il pelo e, facendo segno a Sab di seguirmi, mi diressi in salotto, dove trovai Xavier appoggiato al tavolo, che passava a mia sorella un pastello colorato. Doveva essersi fatto una doccia, aveva ancora i capelli umidi, indossava un paio di jeans dal taglio largo e una maglietta dei Red Hot Chili Peppers.

Lanciai uno sguardo a mia nonna e, dal modo in cui apparecchiava tavola con un radioso sorriso sulle labbra capii che aveva indovinato fin troppe cose.

Ne ebbi conferma quando mi guardò dritto in faccia e mi strizzò l'occhio.

A quanto pare, oltre a Isabel, anche nonna Diana tifava per Xavier.

Magnifico.

Edith prese il pastello, lo studiò un attimo e poi scosse la testa pensierosa.

«Bisogno di una mano?», chiesi, avvicinandomi al tavolo e mettendomi, intenzionalmente, tra lei e Xavier.

«Dii!», esclamò lei, mettendosi in ginocchio sulla sedia e sporgendosi verso il suo precedente aiutante, gli prese la confezione di pastelli dalle mani e la consegnò a me con fare solenne: «Aiutami, lui non è bravo».

Un sorriso genuino nacque sulle mie labbra, presi il pastello giallo e lo passai a mia sorella: «Per disegnare il sole», le proposi, vedendola annuire convinta, lo sguardo gioioso.

Lanciai uno sguardo alla mia sinistra e incontrai lo sguardo di Xavier: «Temo che i tuoi servigi non siano più richiesti», gli dissi, muovendo la scatola di pastelli tra le mani come se fosse stata un oggetto importante: «Il potere è nelle mie mani, ora».

Lui sollevò un sopracciglio e mise in mostra le fossette - quelle dannate tentatrici.

«Non ho intenzione di arrendermi», disse: «Voglio sfidarti a duello. Chi vince, avrà il potere».

Non pensavo sarebbe stato al gioco, mi immaginavo una veloce ritirata e un grazie per averlo liberato dalle grinfie di mia sorella.

Aggrottai le sopracciglia, piacevolmente sorpresa.

«Dobbiamo scegliere il campo di battaglia», gli feci notare.

Isabel, di cui mi ero completamente dimenticata, fece capolino nel mio campo visivo con un sorriso sornione stampato sulle labbra: «Io ho un'idea».

Io e Xavier rimanemmo a fissarla, in attesa, mentre la vedevo aprire il mobile che conteneva i giochi da tavolo.

«Non Monopoli», le dissi, posando la scatola di pastelli, decisa a raggiungerla e impedirle di proporre qualcosa come...

«Twister?»

Ecco, appunto.

Xavier accanto a me scoppiò a ridere: «Perché no?»

Io inorridii: «Non so... è da tanto che non ci gioco e...»

«Io non ci ho mai giocato», ammise lui, lanciandomi uno sguardo divertito: «Non avrai intenzione di tirarti indietro, spero».

Sospirai, mentre Edith era già accanto a Sab e la aiutava ad aprire la scatola del gioco: «Come se potessi scegliere», mi lamentai, alzando gli occhi al cielo.

«Io giro la lancetta!», urlò mia sorella, saltellando emozionata.

Incontrai lo sguardo divertito di Xavier e non potei fare a meno di lasciarmi scappare un sorriso.

«Io farò da giudice», dichiarò Sab, posando a terra il telo bianco con sopra disegnate file di cerchi colorati.

Sfilai dai piedi le pantofole pelose e mi posizionai ad un capo del tappeto, mentre il mio avversario occupava quello opposto, sfilandosi le Converse nere.

Edith fece girare la lancetta e il gioco ebbe inizio.

Dopo dieci minuti eravamo entrambi accucciati in posizioni strane, io ero stata costretta a far passare una gamba in mezzo alle sue e il suo braccio destro era pericolosamente vicino al mio sedere.

A salvarmi da umiliazione certa ci pensò mamma, che annunciò la cena pronta in tavola, incitandoci a interrompere il gioco, altrimenti si sarebbe freddato tutto.

Una volta tornata in posizione verticale, lanciai un'occhiata di sottecchi a Xavier che stava piegando il tappeto, aiutato da mia sorella. Averlo nella stanza degli ospiti la notte e a scuola di giorno sarebbe stato deleterio per la mia salute mentale; speravo vivamente che si trovasse al più presto un appartamento suo.

Dalla porta sul retro entrò papà, seguito a ruota da Kyle: «Niente di nuovo sul fronte occidentale», esclamò quest'ultimo, citando il titolo di un libro che aveva letto poco tempo prima.

Forse si aspettava di fare pace così? Fingendo che nulla fosse accaduto e facendo qualche battuta spiritosa?

Lo guardai impassibile per qualche secondo, poi gli diedi le spalle e mi diressi verso la cucina.

«Ciao, Isabel», disse papà, mentre si sfilava gli scarponi e la giacca.

«Signor Wood», salutò lei di rimando, beccandosi un'occhiata di disappunto da mio padre: «Chiamami Noah».

Osservai la scena dal riflesso della finestra della cucina, mentre nonna sistemava in tavola il sale e il pepe.

«Diana?», chiamò papà, costringendomi a voltarmi.

Aveva uno sguardo stanco in volto, sembrava invecchiato rispetto a quella mattina e una ruga profonda gli solcava la fronte: «Diana, mi dispiace, ma non voglio che tu ti avvicini ai boschi da sola nei prossimi giorni».

Aprii la bocca per ribattere, con gli occhi sbarrati, ma non fui abbastanza veloce.

«Ora l'assassino di Frank conosce il tuo odore e il tuo aspetto, potrebbe pensare che tu sia una minaccia, potrebbe volersi vendicare del tuo intervento. Tutto è possibile. Promettimi che farai attenzione e non andrai da sola nel bosco».

Papà era serio, aveva in volto la sua espressione preoccupata e severa, quella che immancabilmente finiva sempre per rivolgere a me.

Chiusi la bocca, mordendomi il labbro inferiore per non dire le parole che mi passavano per la mente in quel momento.

"Dimostragli di essere grande, fagli vedere che non sei una bambina".

«Va bene», dissi semplicemente, abbassando lo sguardo sulle mie ciabatte pelose.

Dopo brevi secondi le calze rosse di papà entrarono nel mio campo visivo e la sua mano si posò sulla mia spalla, coprendola interamente: «Lo so che non è facile per te».

Avrei voluto essere sola, con lui, non circondata da tutti quegli occhi puntati addosso.

«Tra due mesi sarai maggiorenne e arriveranno le responsabilità, ma per il momento goditi la gioventù», mi consigliò papà, facendomi un buffetto sulla guancia.

Gli sorrisi, anche se con poca convinzione e annuii.

Che altro avrei potuto fare? L'unica che pensava fossi abbastanza grande per ragionare e prendere decisioni era nonna. Le lanciai un'occhiata veloce, era alle spalle di papà e mi guardava impassibile.

Promisi a me stessa che le avrei parlato il giorno dopo, appena tornata da scuola.

«Ora, a tavola, ho una fame da lupi», esclamò mio padre, facendo sorridere tutti, tranne la sottoscritta. Continuavo ad essere dell'idea che puntare sulle battutine per farsi perdonare fosse stupido e un insulto alla mia intelligenza.

A tavola mi trovai seduta tra Edith e Isabel, di fronte avevo la nonna e Xavier.

Come direbbe Jules: "Bene, ma non benissimo".

Pensare al mio compagno di scuola mi fece tornare in mente la festa di sabato sera e la ricerca che dovevo fare con Frida.

«Papà, sabato posso dormire da una mia amica?», chiesi, beccandomi un'occhiata indagatrice da Sab. Ah, già, con lei ancora non ne avevo parlato.

«Che amica?», chiese lui, servendosi una porzione a dir poco disumana di lasagna.

«Frida Martinez, dobbiamo fare una ricerca di spagnolo insieme e mi ha chiesto di andare da lei sabato pomeriggio e fermarmi a dormire da lei», mentii, senza sentirmi minimamente in colpa.

In realtà Frida mi aveva solo invitato a cena e mi avrebbe poi accompagnato in macchina alla festa di Paul Ling, non si era offerta di ospitarmi per la notte.

Vidi papà annuire e lanciare occhiate in direzione di mamma, quasi volesse cercare di capire la sua opinione in merito, senza però chiedergliela esplicitamente.

«Una ricerca su cosa?», continuò l'interrogatorio papà, puntando i suoi occhi scuri su di me.

«Un autore spagnolo, Cernuda», risposi prontamente, servendomi a mia volta un'enorme porzione di lasagna.

Quando tutti i piatti furono pieni, iniziammo a mangiare e il discorso sembrò cadere nell'oblio. Ma sapevo che papà aveva semplicemente bisogno di tempo per elaborare i dati che gli avevo fornito e decidere cosa fare. Amava ponderare le decisioni, diversamente da me.

«Diana?», mi chiamò nonna, facendomi alzare lo sguardo su di lei: «Domani ho bisogno del tuo aiuto, con questo pericoloso lupo in giro non mi fido ad andare da sola a raccogliere viole e primule», la sua voce era seria, ma nel suo sguardo lessi una punta di divertimento che mi fece sorridere internamente.

«Va bene, nonna», risposi, sentendo papà sbuffare: «Mamma, così però non mi aiuti».

«Le accompagno?», chiese Kyle, senza alzare lo sguardo dal piatto.

Lo fulminai con lo sguardo, ero ancora furiosa con lui e non lo volevo tra i piedi. Avevo bisogno di sbollire la rabbia.

«Non penso che ce ne sarà bisogno, domani pomeriggio Robert si occuperà della ronda e sono certo che nonna e Diana non si allontaneranno molto da casa, vero?»

«No, ovvio che no», risposi, facendo un occhiolino a nonna dall'altro lato del tavolo. Xavier accanto a lei cercò di camuffare la sua risata in tosse.

Il resto della cena trascorse tranquillamente, chiacchierai del più e del meno con Isabel, papà fece un paio di battute, dicendo che doveva essere strano trovarsi allo stesso tavolo del nostro nuovo professore di ginnastica e Isabel ammise che la trovava una situazione singolare.

Fu mamma a introdurre un discorso che attirò l'attenzione di tutti, compresa quella solitamente altalenante della nonna.

«Allora, Xavier, raccontaci di te. Da dove vieni?»

La tavolata cadde in un silenzio di tomba.

«Ho frequentato il liceo a Salt Lake City», disse, guardando tutti i presenti con aria divertita. Non sembrava minimamente a disagio o sotto pressione; era rilassato, sorrideva e mangiava come se niente fosse. Avevo solo una parola per descriverlo: esibizionista.

«Penso sia stato il periodo più lungo che ho passato nella stessa città, papà amava viaggiare. Stavamo cercando un branco a cui unirci, quando siamo stati attaccati».

Non si era perso in dettagli, era stato un racconto piuttosto scarno e mamma non sembrava affatto soddisfatta.

«Siete sempre stati soli?», chiese papà.

«Sì», rispose Xavier, passandosi una mano tra i capelli.

Era forse un gesto dovuto all'imbarazzo? Alla tensione?

Alzai gli occhi al cielo. Certo che no, era solo un modo come un altro per mettere in mostra l'anellino che aveva all'orecchio sinistro. Esibizionista.

Dato che a quanto pare si poteva bombardare di domande personali l'ospite d'onore, decisi che volevo partecipare anche io: «So che a Salt Lake City c'è un branco. Avevate contatti con loro, prima di andarvene?»

Xavier sollevò un sopracciglio e sorrise: «Avevo un paio di compagni di scuola che facevano parte del branco, andavamo d'accordo. Si chiamavano Fiona e David, erano fratelli gemelli».

Il boccone di lasagna che stavo mangiando mi rimase bloccato in gola. Aveva detto... ?

Fu mio fratello a porre la domanda che avevo sulla punta della lingua: «Fiona e David Middle?»

Xavier corrugò le sopracciglia: «Sì, li conoscete?».

Io e Kyle ci guardammo sconvolti. In realtà ce l'avevo ancora con lui per come si era comportato nel bosco davanti a tutti, facendomi passare per una bambina priva d'intelletto, ma decisi di mettere da parte l'ascia di guerra, momentaneamente.

Essendo la figlia del capo branco e una bambina piuttosto testarda, ero riuscita più di una volta a farmi portare con lui alle riunioni tra Alpha, le quali si tenevano due o tre volte all'anno in giro per gli Stati Uniti. Alla riunione a Salt Lake City di due anni prima papà aveva deciso di portare me e Kyle. Io e mio fratello avevamo stretto amicizia con alcuni dei figli dei partecipanti, tra cui Fiona e David Middle.

«Sì», dissi, ricordando chiaramente i sorrisi identici dei gemelli, i loro occhi color ghiaccio e la voce squillante di Fiona che si divertiva a spettegolare su tutto e tutti. Mi aveva per caso parlato di un certo Xavier O'Bryen? Non riuscivo a ricordarlo.

«A proposito», esclamò mio fratello, guardandomi curioso: «David ti scrive ancora su Facebook?»

Arrossi all'istante, sbarrando gli occhi. Era ufficiale: mio fratello voleva morire.

«No», risposi con tono secco, guardando dalla parte opposta del tavolo, così da fargli capire che non avevo intenzione di ascoltarlo oltre.

«Cos'è questa storia?», chiese subito mamma. Udii chiaramente mio fratello ridere sotto i baffi.

Voleva la guerra? L'avrebbe avuta.

«David mi ha scritto un paio di volte chiedendomi come stessi, tutto qua. Penso che in realtà fosse Fiona a costringerlo; l'ultima volta che ci siamo sentiti mi ha detto che sua sorella si era presa una bella cotta per te, Kyle, ma che tu non le rispondevi ai messaggi».

«Cosa?», chiese mamma, guardando prima me e poi mio fratello con gli occhi fuori dalle orbite.

Doveva essere dura per lei venire a sapere che i suoi due figli maggiori avevano raggiunto l'età in cui si era sessualmente attivi. Pensava davvero che io e Kyle non avessimo mai avuto qualche spasimante o qualche cotta?

Alzai lo sguardo su Xavier, che mi scrutava con attenzione dall'altra parte del tavolo.

Non sapevo cosa pensare di lui, dovevo ammettere che i suoi tentativi di avvicinamento mi avevano dato fastidio, ma allo stesso tempo mi avevano lusingato. Lui era un bel ragazzo, niente in confronto a Jason Mamoa, ma aveva il suo fascino. Perché sembrava essersi intestardito con me?

Sollevai un sopracciglio, cercando di capire cosa volesse: perché continuava a fissarmi?

Sentii chiaramente mio fratello tirare fuori una scusa patetica per cercare di spiegare la questione "Fiona" a mamma, ma ero troppo concentrata a capire se il ragazzo seduto di fronte a me mi stesse sfidando a una gara di sguardi, per prestare attenzione alla voce di Kyle e ai toni scandalizzati di mamma.

O'Bryen mise in mostra le fossette e mi fece l'occhiolino.

Aggrottai la fronte e strinsi le labbra in una linea sottile, non riuscivo a capire a che gioco stesse giocando e la cosa mi innervosiva.

Schiuse le labbra, mostrando i denti, poi mi mandò un bacio silenzioso.

Stavo per distogliere lo sguardo per vedere se qualcuno avesse per caso assistito, ma non lo feci; volevo vedere fino a dove aveva intenzione di spingersi.

Xavier inspirò a fondo e aggrottò le sopracciglia, come se qualcosa non stesse andando come voleva. Un ciuffo di capelli gli scivolò sulla fronte, il naso si arricciò appena e la mano accorse subito a rimettere a posto la ciocca ribelle.

I suoi occhi si abbassarono sulle mie labbra e io feci involontariamente lo stesso, portando lo sguardo sulla sua bocca schiusa, dalla quale uscì la lingua.

Mi aveva appena fatto una boccaccia?

La sua lingua si mosse lenta, inumidendo prima il labbro inferiore, per poi passare a quello superiore.

Quel gesto provocò il corto circuito del mio cervello. Rimasi a fissarlo a bocca aperta per due infiniti secondi, prima di recuperare il controllo e cercare di convincermi che quello non fosse stato il gesto più sensuale al quale avessi assistito in diciassette anni di vita.

«Diana, secondo te domani piove?»

Voltai lo sguardo verso Isabel e la fissai, sbattendo le ciglia, come un'imbecille.

Sollevai le spalle e scossi la testa, impossibilitata a parlare; avevo la gola più secca del deserto del Sahara.

Mi versai dell'acqua nel bicchiere e bevvi tutto d'un fiato, rischiando di strozzarmi.

Quando tornai a guardare di fronte a me, vidi chiaramente Xavier sfoggiare un sorriso compiaciuto.

L'affronto appena subito mi bruciò viva, facendomi desiderare la vendetta più di qualsiasi altra cosa al mondo.

Voleva giocare?

Sollevai un sopracciglio, e aspettai che i suoi occhi incontrassero i miei, a quel punto sorrisi, cercando di essere il più gentile possibile.

«Mi passeresti le verdure per favore?», gli chiesi, indicando il piatto di carote accanto a lui.

Sfoggiando il suo sorriso compiaciuto, anche se gli occhi erano diventati guardinghi, mi porse ciò che gli avevo chiesto e io mi servii, pensando a come fare per vincere la guerra.

In quel momento Sab mi colpì la gamba da sotto il tavolo, facendomi arricciare le labbra per il dolore. Una volta che puntai lo sguardo su di lei, mi resi conto che mi stava ignorando.

Non capii subito, ma quando ci arrivai non potei fare a meno di ghignare.

Sab, usando, come suo solito, modi pacati mi aveva suggerito la mossa successiva.

Senza pensarci allungai la gamba destra in avanti incontrando quasi subito il polpaccio di O'Bryen, il quale sussultò e mi fissò con sguardo confuso.

Mossi il piede verso l'alto, poi lo lasciai scivolare nuovamente verso il basso, il tutto senza distogliere lo sguardo da quello di Xavier. Non ero sicura di ciò che stavo facendo; non ero una grande seduttrice e mai lo sarei stata. Speravo vivamente però che funzionasse.

Senz'ombra di dubbio avevo attirato la sua attenzione; non mi levava gli occhi di dosso e aveva uno strano sguardo famelico. Era un segno positivo? Non ne ero del tutto convinta.

Sentii nonna iniziare a discutere dell'orto e capii che io e Xavier non eravamo al centro dell'attenzione come temevo. Bene.

Mi passai distrattamente una mano sul collo e sulla gola, giocando con la catenella in oro bianco che mi era stata regalata qualche anno prima per il mio compleanno, e dalla quale non mi separavo mai.

Sapevo che non avevo a che fare con un vampiro e che quindi il mio tentativo di spostare l'attenzione sulla mia giugulare non aveva molto senso, ma ero a corto di idee e quella era l'unica abbastanza sensata da meritare di essere presa in considerazione.

Poi, ebbi l'illuminazione.

Mi portai la catenella alle labbra, facendo scorrere il ciondolo da una parte all'altra della bocca.

Vidi il compiacimento nell'espressione di Xavier evaporare, sostituito da uno sguardo che avrei potuto definire in un modo soltanto: torbido.

Esultai dentro di me, sentendo di avere il coltello dalla parte del manico; ora il problema era capire come fare a...

«Diana?», mi chiamò mamma, facendomi voltare con un sorriso a trentadue denti verso di lei, ero l'immagine dell'innocenza: «Sì?», risposi, smettendo di giocare con la collana e di accarezzare il polpaccio di Xavier col piede.

«Mi aiuteresti a sparecchiare?»

Mi alzai, senza guardare Xavier; avevo bisogno di ritrovare la sanità mentale perché era palese che una qualche interferenza tra i neuroni aveva impedito alle cellule del mio cervello di ricevere abbastanza ossigeno e...

«Vi aiuto», si propose O'Bryen, alzandosi da tavola e iniziando a impilare i piatti intorno a sé.

«Non ce n'è bisogno», tentò di fermarlo mamma, ma lui parve irremovibile e insistette, dicendo che con il suo aiuto avremmo fatto prima.

Ero certa che avesse un qualche piano in mente, ma non riuscivo a capire quale.

Il resto della famiglia e Isabel si spostarono in salotto, Edith tornò a colorare e la mia amica le diede una mano, suggerendole i colori. Nonna, papà e Kyle parlavano animatamente dell'orto e, ad un certo punto, anche mamma si aggiunse alla conversazione, lasciandomi da sola con Xavier, in cucina. C'era però un lato positivo: mancavano alcuni tovaglioli, l'acqua e i condimenti da spostare e la tovaglia da sbattere e poi avremmo finito.

Feci di tutto per evitare contatti fisici o visivi con lui, ostinandomi a tenere lo sguardo basso e osservando attentamente le piastrelle ai miei piedi.

Era chiaro che il suo intento era stato quello di rimanere da solo con me e ora che ce l'aveva fatta non riuscivo a capire perché non facesse nessuna mossa o tentasse di darmi fastidio come suo solito.

Quelle furono le ultime parole sensate che riuscii a pensare, prima di venire intrappolata nell'unico angolo della cucina che non era visibile dal salotto.

Col respiro irregolare per la sorpresa e gli occhi sbarrati, mi ritrovai letteralmente con le spalle al muro, avevo le labbra di Xavier contro il lobo del mio orecchio sinistro e le sue mani calde che mi accarezzavano le braccia.

Brividi leggeri mi corsero sulla pelle e un caldo languore mi fece chiudere gli occhi per qualche secondo. Circondata dal suo corpo, inebriata dal suo profumo non potei fare a meno di concedermi brevi attimi di resa, in cui lasciai che la punta del suo naso scorresse lungo il mio collo, facendomi venire la pelle d'oca.

Quando mi ricordai chi ero, con chi ero e dove ero - tre dettagli che per cinque secondi buoni erano stati cancellati dalla mia mente - decisi che non l'avrei lasciato vincere, non senza controbattere in qualche modo.

Così mi lasciai guidare dall'istinto e alzai una mano, immergendola tra i suoi capelli, sentendone chiaramente la consistenza solleticarmi i polpastrelli. Facendo presa sulle sue ciocche scure gli spostai il capo, in modo da poterlo guardare dritto negli occhi.

Entrambe le mie mani gli circondarono il viso, per poi scorrere verso il basso e appoggiarsi contro il suo torace muscoloso.

I suoi occhi, sorpresi e rapiti dai miei gesti mi risvegliarono, ricordandomi che stavamo giocando.

Lo spinsi, allentandolo da me e sgusciando via dalla posizione contro il muro.

Avevo bisogno di prendere aria e ricordarmi il mio nome.

«Diana», mormorò Xavier, aiutandomi col punto due della lista di cose da fare.

Alzai una mano, interrompendolo.

Non doveva parlare, non lì a pochi metri dai miei genitori, non con quello sguardo negli occhi.

Sapevo a grandi linee cosa voleva dirmi, perché anche io pensavo lo stesso.

Quel gioco era pericoloso, prima o poi uno dei due avrebbe finto col farsi male e le probabilità erano tutte contro di me. Quella pazzia doveva finire.

Scossi la testa e mi portai un dito alle labbra, facendogli segno di non dire niente e di andarsene.

Xavier mi scrutò ancora per qualche istante, combattuto, poi decise di darmi retta e andò in salotto, lasciando a me l'ingrato compito di scuotere la tovaglia e sistemare i piatti sporchi nella lavastoviglie.

Approfittai di quella manciata di minuti da sola per cercare di fare mente locale e tranquillizzare il mio cuore esagitato, per non parlare della mente; un guazzabuglio di pensieri che era impossibile districare.

Xavier mi piaceva, dovevo ammetterlo almeno a me stessa. Caratterialmente ancora non lo conoscevo molto e quel poco che avevo visto non mi aveva colpito positivamente, ma da un punto di vista fisico era molto, anzi troppo, attraente. Questo però non voleva dire niente.

Dovevo solo resistere qualche giorno in più, poi avrebbe smesso di vivere sotto il mio stesso tetto e tutto sarebbe tornato alla normalità. Il mio corpo poteva desiderarlo quanto voleva, non avrei ceduto.

Decisi che l'avrei ignorato, cercando in ogni modo di non trovarmi mai più, da sola con lui; ne andava della mia sanità mentale.

Raggiunsi gli altri in salotto, beccandomi uno sguardo interrogativo da parte di Sab, che cercai di ignorare inizialmente, convinta che si sarebbe rassegnata. Ovviamente mi sbagliavo.

«Diana, mia mamma viene a prendermi tra circa venti minuti, che ne dici, andiamo in camera tua a ripassare un po' per la verifica di domani?», chiese ad alta voce, attirando l'attenzione di mamma: «Domani avete una verifica?»

«Letteratura inglese», rispose prontamente la mia amica, fissandomi dritto negli occhi.

Sospirai, arrendendomi: «Va bene».

Venti secondi dopo eravamo barricate in camera mia e l'indice indagatore di Isabel era puntato minacciosamente contro di me: «Cos'era?», chiese, confondendomi.

«Cos'era cosa?»

Mi gettai sul letto di pancia, affondando la faccia contro il cuscino: il paradiso.

«Cos'era quel teatrino pornografico a cui ho dovuto assistere per metà cena?», specificò Sab, trapanandomi le orecchie.

No, il paradiso me lo immaginavo più silenzioso, quello doveva essere l'inferno.

«Non lo so», ammisi, voltandomi sulla schiena e portandomi le mani al viso. Non ero mai stata così tanto stanca in vita mia.

«Potrebbe essere lui, ci hai pensato?», chiese.

«Di cosa stai parlando?», ribattei, sempre più confusa dalla stramba conversazione che stavamo avendo.

«Potrebbe essere il tuo compagno per la vita».

Mi tirai su a sedere, aprendo la bocca per dirle chiaro e tondo che si stava sbagliando, ma le parole mi rimasero incastrate in gola.

«No, non ci avevo pensato», ammisi, rigettandomi sul materasso con la fronte corrucciata.

Forse era per quello che sentivo quella fronte attrazione. Non mi era mai capitato prima, con nessuno. O forse Isabel si sbagliava e la mia era semplice e banale attrazione fisica, giustificata dal fatto che il soggetto in questione era particolarmente avvenente.

Sab si sedette sul letto accanto a me, con le gambe incrociate: «Promettimi che, in qualsiasi caso, farai attenzione e che ci penserai due volte prima di fare qualcosa di avventato».

La guardai negli occhi, leggendovi reale preoccupazione: «Lo prometto».

Isabel annuì, l'espressione sul volto più rilassata: «Allora, cos'è questa storia che vai a dormire da Frida Martinez?», mi chiese con un sopracciglio sollevato.

«Oh, ho mentito», le confidai in un sussurro: «In realtà era una scusa per poter andare alla festa di Paul Ling senza dovermi portare dietro Kyle», ammisi, facendole l'occhiolino.

Sab scoppiò a ridere: «D sei incredibile e dove pensi di dormire? Da Ling?».

«Stavo pensando di portarmi dietro la tenda da campeggio e il sacco a pelo e accamparmi con te nella nostra radura preferita», le proposi, guardandola con aria cospiratoria.

«Tu sei pazza», disse semplicemente, scuotendo la testa, con aria rassegnata.




 

*****
 

Ciao a tutti!

Molti di voi devono essere confusi, penseranno: "Ma come? Ma quindi questo compagno per la vita esiste o no? Com'è che tutti sembrano così insicuri?"

Ebbene, sì, esiste, ma diversamente dalle altre storie che ho letto su questa categoria, non basta essere attratti da una persona per innamorarsi. Diana è impulsiva e desiderosa di essere trattata alla stregua di un'adulta, ma per quanto riguarda l'amore (penso di averlo reso abbastanza chiaramente) è proprio una bambina, schifata quasi dall'idea di innamorarsi. Perché? Lo scopriremo meglio nei prossimi capitoli.

Probabilmente penserete che questa storia non va avanti, il fatto è che creare un mondo nuovo, partendo da zero, non è facile e sto cercando di andare piano per riuscire ad analizzare al meglio quello che succede e darvi un chiaro quadro della situazione, senza però annoiarvi troppo. Non è affatto facile, quindi mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.

Detto ciò, vi dò appuntamento al prossimo sabato.

Un bacio,

LazySoul

  
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