Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: whitecoffee    24/09/2017    1 recensioni
❝«Ho sempre pensato che il cuore dell’uomo sia diviso in due metà esatte. Una felice, e l’altra triste. Come se fossero due porte, vicine. Le persone possono entrare e uscire da entrambe, non c’è un ordine prestabilito. Ovviamente, molto dipende dal carattere degli individui e dalle relazioni che vengono instaurate. Mi segui?» Domandò, e lei annuì. «Per TaeHyung, uno di questi usci è sprangato. Non si apre più. Costringendo chiunque a passare solo dalla parte riservata al dolore, non importa il tipo di rapporto che intercorra fra lui e gli altri. Perfino io, sono entrato da quell’unica porta. E mi sono rifiutato di uscirne, sebbene lui avesse più volte provato a sbattermi fuori»❞.
❝Tu devi sopravvivere❞.
- Dove TaeHyung impara che, rischiando, spesso si guadagni più di quanto si possa perdere.
assassin!TaeHyung | artist!JungKook | hitman/mafia!AU | boyxgirl
-
» Storia precedentemente pubblicata sul mio account Wattpad, "taewkward".
» Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=92wl42QGOBA&t=1s
Genere: Angst, Dark, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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IX.
skit: Pistorious



You knew all along that your sanctioned world was only half the world, and you tried to suppress the other half the same way the priests and teachers do. You won't succeed. No one succeeds in this once he has begun to think.




 
I am still the same person I was before. I am here, the same person I was from before, but an overgrown lie is trying to swallow me whole




 

 
당신의 눈에서, 어떻게 내가 지금하고 있어요 생각하십니까? 당신은 어떻게 생각 해요?
In your eyes, how do you think I’m doing right now? How do you think I am? (Nevermind)
 
 
세상은 내가 얼마나 슬픈 알고하지 않습니다.
The world will never know how sad I am. (Whalien 52)
 
 

“Alle quattro alla solita cabina telefonica”.

Quello era stato il messaggio che NamJoon aveva recapitato al numero di TaeHyung, ore prima. Motivo per il quale il giovane si fosse incamminato verso il luogo concordato. Le mani sprofondate nelle tasche del cappotto, armato del suo consueto sguardo glaciale, evitando gli occhi di ciascun passante che percorresse il tratto pedonale nella direzione opposta alla sua. Aveva imparato, sulla propria pelle, che la vita potesse creare percorsi complessi, per il cammino di ogni individuo. Proprio come aveva fatto per il suo amico d’infanzia, di un anno più grande di lui. Le stesse brutte conoscenze che avevano reso TaeHyung un freddo ed infallibile assassino, avevano trasformato Kim NamJoon nel miglior falsario di tutta l’Asia. I suoi documenti erano delle vere e proprie opere d’arte. Comparati con degli autentici, era impossibile scindere la copia dall’originale, elaborata dalla mano di un abile artigiano.
Quello, era il talento del ragazzo. Il quale, sembrava condurre una normalissima vita agiata, iscritto alla facoltà di filosofia alla Seoul University, e trascorrendo buona parte del suo tempo libero con il naso sepolto nelle biblioteche comunali, riempiendosi la testa di parole, situazioni e scenari scaturiti dalla penna di questo o quello scrittore. NamJoon era una persona complessa, dalla cultura sconfinata e l’inspiegabile passione per i lollipop alla fragola. Aveva passato una larga porzione della sua adolescenza, correndo da una parte all’altra della città insieme a TaeHyung. Imbrattando dita e muri di vernice spray, condividendo birre sul ciglio della strada, occupando abusivamente l’appartamento del loro amico Park JiMin, distruggendo i suoi cuscini e riempiendogli la casa e i capelli di piume. Accumulando così una serie di bei ricordi, che gli scaldavano il cuore nei momenti difficili.
«Puntuale come un orologio svizzero».
Il giovane alzò la testa, focalizzando una figura alta e slanciata, con le spalle appoggiate alla parete della cabina telefonica: i capelli biondicci nascosti da un berretto scuro, un largo cappotto a mascherare le sue larghe spalle e la complessione fisica snella, dai muscoli ben allenati. Una mano a stringere un involto marroncino, mentre l’altra intenta a giocherellare con il bastoncino di un lollipop, incastonato all’interno della sua guancia. Gli riservò un sorrisetto sghembo, guarnito di fossette. TaeHyung non lo vedeva da ben due anni. E poteva affermare che non fosse cambiato affatto. Stessa attitudine rilassata, battuta sempre pronta e sguardo benevolmente interessato. A vederlo in quel modo, sembrava difficile credere che fosse lo stesso ragazzo che scappava dalla polizia a causa dei graffiti, o che colpisse le bottiglie di birra allineate sul marciapiede con la mazza da baseball rubata a suo fratello minore.
«Ogni volta che t’incontro, diventi sempre più spaventoso. Hai mai pensato di proporti per i casting di un film horror? Ho saputo che pagano bene» gli disse, osservando la non espressione dipinta sul suo bel volto. Le sue labbra si sollevarono lievemente verso l’alto. Nell’unico modo che egli conoscesse essere più vicino ad un sorriso vero e proprio.
«E a te non hanno ancora tagliato la lingua. Felice di saperlo» ribatté, sfilandogli la busta marrone dalle dita con un movimento fluido, ascoltandolo prodursi in un verso divertito.
«Come pensi che farebbe, lo studente numero uno della facoltà di filosofia, ad esercitare la sua magia senza l’organo principale?» Domandò, sfilandosi sonoramente il lollipop di bocca, con uno schiocco.
«Eva Demian? È uno scherzo?» Chiese, leggendo il nome impresso sul documento nuovo di zecca che aveva fra le dita.
«Cosa vai farneticando? Quello è il nome di una delle donne che io amo di più, nella letteratura tedesca. Mi hai detto “tratti europei” e “doppia cittadinanza”, giusto? Erano anni che sognavo di poter chiamare qualcuno così. Mi sentivo particolarmente ispirato» si giustificò, stringendosi nelle spalle. TaeHyung sospirò, scuotendo la testa.
«Scommetto che si tratta di una bella ragazza. Lo spirito di Eva mi suggerisce questo» riprese NamJoon, dandogli di gomito. Il ragazzo sospirò, senza dargli la soddisfazione di una risposta. Cyane era bella? Sì. Molto. Anche troppo, probabilmente.
«Aish. Fa freddo qui, o sei tu? Perché dal tuo arrivo, la temperatura sarà scesa sicuramente a meno sette gradi» commentò, incrociando le braccia. Il giovane gli rivolse un’occhiata neutra, leggendo l’ombra di quella che poteva essere preoccupazione, sul fondo delle iridi scure del suo amico.
«Non devi farlo per forza» commentò NamJoon, tornando ad appoggiarsi alla cabina telefonica, infilandosi nuovamente il lollipop in bocca.
«Che cosa?»
«Qualunque sottocategoria di mestiere tu stia facendo adesso» rispose. «…Deadshot» aggiunse. Al sentire il soprannome scivolar fuori dalle sue labbra, gli occhi di TaeHyung si spalancarono per una frazione di secondo. Rimise i documenti nella busta, dissimulando.
«Ho alternative?»
«Sicuro. Tutti le abbiamo» considerò il biondo, osservandolo. Aveva sempre nutrito un certo rammarico, nei suoi confronti. Soprattutto dopo la morte di un loro caro amico. Era stato quello, in momento in cui lui era dovuto partire per gli States, lasciando TaeHyung completamente da solo. Senza una guida, una persona che gli fosse accanto, indicandogli quali strade sarebbe stato meglio evitare. NamJoon non riusciva a smettere di chiedersi se avesse potuto salvarlo in qualche modo, non partendo per l’America. Ma ormai, il danno era fatto. E il suo caro amico d’infanzia era lontano anni luce da lui, pur abitando nella medesima città, e vivendo non troppo lontano da dove egli stesso dimorasse.
La sua mente aveva subito un lento processo di snaturamento, che vi aveva condotto il cuore a raffreddarsi prima del tempo. Trasformandolo in quello che nei quartieri più malfamati e corrotti dalla malavita chiamavano “Deadshot”. Il killer infallibile che non sbagliava mai un colpo, avendo un’unica pallottola nella canna della sua pistola. Girava voce che egli facesse incidere il nome della vittima sul proiettile, e che esso trovasse da solo la propria strada verso il cuore del suo omonimo. Le persone delle downtowns sapevano essere molto fantasiose, sui dettagli truculenti. Probabilmente, non immaginavano neanche lontanamente che il loro killer fosse un ventunenne con un passato problematico alle spalle e l’inabilità a sorridere e ad esprimere emoziona alcuna. Un blocco di ghiaccio, solido e perfetto. Così giovane. Così perso. Così a pezzi.
«Non chi milita per la Lega, hyung. Noi non abbiamo vita, né possibilità alcuna. Il nostro unico obiettivo è portare a termine gli incarichi, uno dopo l’altro. Non c’è via d’uscita».
NamJoon colpì la parete di plastica con un pugno, frustrato.
«Balle!» Esclamò, incapace di arrendersi a quel discorso senz’anima, pieno di rassegnazione e consapevolezza; uscito dalle labbra di quello che, anni addietro, fosse stato il più strano e vitale della sua comitiva di amici. Lo stesso che saltava sui divani a piedi nudi, ballava sui tavoli nei fast foods e rideva più forte di tutti. Quello, era il vero TaeHyung. Non lo spettro gelido che aveva di fronte. «C’è sempre un modo. Potrei aiutarti…» si offrì, ma il ragazzo sollevò una mano. Riconducendolo al silenzio.
«Non voglio avere un altro dei miei amici sulla coscienza, hyung» disse, lapidario. «Ti ringrazio per i tuoi servigi» aggiunse, inchinandosi profondamente e voltandosi, procedendo a passo svelto. Allontanandosi dal suo amico d’infanzia. Il quale era rimasto fermo lì, a guardarlo con un’espressione amara in volto, che TaeHyung aveva appositamente scelto di non voler vedere. Non poteva sopportare che anche lui soffrisse per causa sua. 



 

 

   
 
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