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Autore: Alice Elle    25/09/2017    1 recensioni
Un sogno ricorrente.
Un incontro inaspettato.
Quando hai vent'anni, devi avere il coraggio di osare.
Gaia è una ragazza tranquilla, studia all'università, ma ogni notte fa lo stesso sogno e ogni mattina trova un cuscino vuoto ad aspettarla, in cui affogare le lacrime.
Ma oggi andrà diversamente.
Oggi incontrerà lui.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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«Vieni, abito al terzo piano» gli comunicò, mentre prendeva il fiato per salire le nove interminabili rampe di scale.
Sì, non era una sportiva. Qualche problema?
«Devi avere una vista stupenda sul parco.»
«Sì, non è male. Soprattutto d’estate c’è un bel ricircolo d’aria che rende più tollerabile l’afa.»
Ecco, aveva già il fiatone e non erano nemmeno a metà.
Sentì Daniele ridacchiare, di fianco a lei, mentre affrontava i gradini senza il minimo affanno.
«Non è affatto carino ridere di me in quel modo.»
«Scusa ma sei adorabile, avremo salito quanti… venti gradini? E hai già le guance tutte rosse. Da quanto tempo abiti qui?»
«Circa tre anni.»
«E ancora non ti sei abituata alle scale?»
«Uffa… sei un gran rompiscatole. Se non la smetti giuro di non offrirti i popcorn. Li mangerò tutti da sola mente tu sarai costretto a guardami.»
«Guardarti non sarà una gran punizione, però non puoi ricattarmi così. Le schifezze dovrebbero essere protette dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.»
«Allora finiscila, o mi costringerai a macchiarmi di crimini di guerra.»
«Ah, è così? È la tua ultima parola? Ti consiglio di pensarci seriamente o ci saranno rappresaglie.»
Gaia alzò gli occhi al cielo e lo guardò con sufficienza.
«Come se potessi fare qualcosa con quegli stecchini che ti trovi al posto delle braccia.»
Non ebbe nemmeno il tempo di scattare (non che il suo scatto fosse niente di che, ma non fece in tempo nemmeno a pensarlo) che si ritrovò le mani di Daniele che le facevano il solletico ai fianchi.
«Te la sei voluta tu, ragazzina. Ora pagherai per la tua insolenza.»
Gaia prese a dimenarsi, scossa dalle risate, mentre con le mani cercava di allontanarlo, scoprendo che le sue braccia non erano affatto degli stecchini. Tutt’altro.
Dopo un paio di minuti di guerra senza quartiere, si ritrovò senza fiato, appoggiata al muro, con Daniele che le incombeva addosso, i capelli spettinati dalla lotta, che non la smetteva di farle il solletico.
«Basta ti prego!» gridò, con l’ultimo respiro che aveva nei polmoni.
Daniele si fermò subito, ridacchiando e dandole della pappamolle.
Presero a risalire le scale, quando sentirono un trambusto venire dal piano di sopra e pochi istanti dopo si videro piombare addosso un armadio quattro stagioni.
«È tutto a posto Nicola!»
La sua rassicurazione finì inascoltata, mentre il corpo muscoloso del vicino di casa travolgeva quello molto meno massiccio di Daniele.
Gaia lo afferrò per la vita e tirò indietro con tutte le sue forze, senza riuscire a muoverlo di un centimetro. Vedendo che le cose si stavano per mettere male, prese fiato e gridò nuovamente.
«Fermati Nicola! Subito!»
Il bestione parve finalmente recepire il messaggio e si voltò a guardarla, preoccupato.
«Stavamo giocando, scusami se ti ho fatto preoccupare. È tutto okey, davvero. Puoi lasciarlo andare.»
Nicola gettò un’occhiata torva a Daniele, che aveva mantenuto un invidiabile sangue freddo e lo stava tenendo a bada con le sue braccia lunghe, poi si allontanò e le chiese conferma.
«Allora posso andare? Sei sicura che non hai bisogno di me?»
«Sicurissima. Ti ringrazio tanto. Adesso saliamo da me e ci guardiamo un film, quindi se senti un po’ di rumore non ti preoccupare. Va bene?»
«Va bene, ma se hai bisogno basta che bussi alla parete e io arrivo. D’accordo?»
«Certo Nicola, d’accordo. E grazie ancora.» Gli sorrise rassicurante e gli diede una botta sulla spalla incredibilmente muscolosa.
L’uomo annuì e si voltò per tornarsene in casa, lasciando i due ragazzi sul pianerottolo, a guardarsi increduli.
«E io che credevo ti fossi inventata tutto solo per spaventarmi.»
«Eh no, non scherzavo affatto.»
Si guardarono ancora per qualche istante in silenzio, poi le spalle di Daniele iniziarono a sussultare. Gaia si schiaffò una mano davanti alla bocca, cercando di trattenere le risate. Alla fine però si dovettero arrendere e presero a ridere come due matti, sostenendosi a vicenda e barcollando su per le scale.
Davanti alla porta di casa erano ormai appoggiati l’uno all’altro, fiaccati dal ridere e dallo spavento. Gaia prese a tentoni le chiavi dalla borsa e in qualche modo riuscì ad aprire il battente. Entrarono sempre sostenendosi a vicenda, mentre le ultime risate li scuotevano.
A un tratto però realizzarono di essere in casa e di essere, per la prima volta, completamente soli. Il silenzio calò su di loro e si staccarono un po’ imbarazzati.
Gaia gettò le chiavi sulla mensola vicino all’ingresso e iniziò a togliersi il soprabito.
«Lo puoi appendere lì.»
Gli indicò un appendiabiti sulla destra e lui si affrettò a togliere il giubbotto, poi si mise le mani in tasca e iniziò a guardarsi attorno, come aveva fatto al ristorante. Le piaceva la sua curiosità innocente, guardava tutto come se fosse interessante.
Non che ci fosse molto da vedere. Il suo era un monolocale per studenti, arredato in modo semplice e funzionale, quasi spartano, con un divano letto, un mobile tv e una cucina a vista. Per quanto avesse cercato di ravvivarlo con qualche stampa e qualche pianta, rimaneva un ambiente piuttosto freddo.
«Accomodati pure, metto i popcorn nel microonde e arrivo subito.»
Non se lo fece ripetere due volte, si avviò verso il divano e arrivato davanti al tappeto, si tolse le scarpe e poi si sedette ad aspettarla, il corpo rilassato contro lo schienale, il lieve imbarazzo di poco prima del tutto scomparso.
Gaia invece era ancora un po’ nervosa, quindi si diede da fare per tenere le mani impegnate. Mise il sacchetto dei popcorn nel microonde e aprì il frigo, piegandosi per guardare che bibite aveva a disposizione.
Senza rialzarsi si voltò per chiedere a Daniele di cosa avesse voglia e lo sorprese a fissarle il sedere. Si raddrizzò di colpo, le orecchie che le andavano a fuoco e gli domandò precipitosamente:
«Ho della coca, della birra e dell’acqua. Cosa preferisci?»
«La coca va benissimo, grazie.»
Era una sua impressione o la sua voce si era abbassata di un’ottava?
Decise che era meglio fare finta di nulla, si schiarì la gola, prese le lattine, un paio di bicchieri e si avviò verso il divano, mentre dal forno iniziavano ad arrivare i suoni allegri dei chicchi di mais che scoppiavano.
Appoggiò il tutto sul tavolino e tornò verso la cucina per prendere una ciotola capiente, dove riversò le profumate palline bianche. Porse quelle meraviglie salate a Daniele, che era diventato stranamente silenzioso.
«Te le sei meritate. Chiunque non scappa urlando alla vista di Nicola che gli si precipita addosso, merita quanto meno una dose doppia di popcorn.»
Il ragazzo scoppiò a ridere, l’atmosfera di nuovo rilassata come lo era stato durante il resto della giornata.
«Dai, metti su il film. Non vedo l’ora di vederti piangere.»
Gli rifilò un pugno sul braccio.
«Ma che bastardo!»
Mise su il dvd e poi si accoccolò sul divano, appoggiandosi al bracciolo e raccogliendo le gambe sotto di sé, stando attenta a non toccare Daniele, che invece se ne stava stravaccato come se il divano avesse le dimensioni di un campo da calcio.
Quando Louisa Clark fece la sua comparsa sullo schermo, con i vestiti bizzarri e la faccia buffa, Daniele si sporse verso di lei e le sussurrò: «Mi ricorda un po’ te.»
«Io non mi vesto così male!» rispose piccata.
«No, è vero, però il sorriso è uguale.»
Mentre lo diceva, allungò una mano ad accarezzarle una guancia e con il pollice le sfiorò l’angolo della bocca, mandandole brividi in tutto il corpo.
«Hai freddo?»
Non poteva dire di no senza sputtanarsi vergognosamente, quindi annuì.
«Dai, girati e appoggiati a me.»
Con il cuore che le batteva davvero troppo forte, fece quello che le aveva chiesto. Si addossò al suo fianco e lui le mise un braccio sopra le spalle, avvicinandola ancora un po’.
Non erano più vicini di quando si erano presi a braccetto per strada, ma ora la situazione era completamente diversa, nel silenzio della sua casa vuota.
Gaia attese che la mano di Daniele si muovesse dalla sua spalla, ma dopo qualche minuto lo sentì ridacchiare per una battuta del film e iniziò a rilassarsi.
Un’oretta dopo aveva perso ogni dignità e stava singhiozzando senza ritegno contro il suo maglione, il naso affondato nella sua spalla.
«Se pensi di usarmi come fazzoletto, sappi che potrei rivedere la mia idea iniziale sul fatto che tu sia assurdamente sexy.»
La voce di Daniele rimbombò sotto il suo orecchio, un suono rassicurante che per assurdo la fece piangere ancora più forte. Si sentì afferrare per le spalle e staccare con delicatezza.
Lo trovò che la fissava, gli occhi lucidi a dimostrazione che il film non aveva lasciato insensibile nemmeno lui.
«Sì, sono decisamente, assolutamente fregato.»
Le asciugò le lacrime con dita, la pelle le bruciava per il sale e il suo tocco.
«Se ti trovo sexy anche con gli occhi gonfi e il naso che ti cola, sono proprio fottuto.»
Il mix di rassegnazione e sconforto sul suo volto, le fece venire da ridere, finendo per sembrare definitivamente pazza.
«Ora la smetto» promise, con voce tremante, mentre cercava di ritrovare il controllo.
«Aiuterebbe se ti baciassi? Perché a me aiuterebbe tantissimo a dimenticare il film più triste della storia.»
Il modo in cui lo disse, la fece scoppiare di nuovo a ridere.
«Quindi farei un’opera di bene, lasciandomi baciare da te, giusto? Niente di speciale.»
«Oh, di sicuro faresti del bene, a me nello specifico. Ma se dopo dirai che è stato niente di speciale, vorrà dire che in venticinque anni non ho imparato proprio niente.»
Le ultime parole furono un sussurro sulla pelle del viso, un attimo prima che la bocca di lui si appoggiasse sulla sua, in un tocco tenero e morbido, assolutamente delizioso.
Fu un contatto breve, ma che la lasciò tremante, le palpebre abbassate sugli occhi, il sangue che le rombava nelle orecchie, assordandola.
Mentre lui si ritraeva, lei si sporse e ristabilì la frizione tra le loro labbra. Una mano corse ad afferrargli il collo, mentre i capelli le solleticavano i polpastrelli. Profumava di popcorn e zucchero. Chissà se il sapore era altrettanto buono? Prima che riuscisse a razionalizzare e fermarsi, la lingua guizzò ad assaggiarlo. Delizioso.
Un gemito risuonò nella stanza e le riverberò sotto le dita della mano che gli aveva appoggiato al petto, senza nemmeno rendersene conto. Fu come il colpo di pistola che viene sparato all’inizio di una corsa.
Le mani di lui, che fino a quel momento erano rimaste lontane e strette a pugno, la afferrarono per la vita, la sollevarono e la trascinarono a cavalcioni sul suo grembo. Le braccia la strinsero forte e un altro gemito si alzò nel silenzio.
Questa volta era stata lei, a lasciarselo sfuggire, in risposta alla lingua di lui che le aveva invaso la bocca e ora la stava saccheggiando, ubriacandola di eccitazione. Si aggrappò alle sue spalle forti e rispose al bacio con tutta la passione che si sentiva scorrere nelle vene, avvertendo i muscoli contrarsi sotto le sue dita.
Sentì le sue mani percorrerle la schiena, premendo con i palmi ben aperti, come se volesse toccarla il più possibile in una volta sola. Se la premeva addosso, così tanto che le sembrava che ogni centimetro dei loro corpi fosse in contatto. Sentiva le sue gambe dure che premevano contro le sue cosce morbide, il seno schiacciato contro il suo petto muscoloso, le bocche incollate che non lasciavano spazio ai respiri.
Quando lo sentì sollevare i fianchi, nella testa le esplosero dei fuochi d’artificio accecanti, che la lasciarono stordita. Un morso al labbro inferiore la riportò al presente, al ragazzo che la stava toccando come se sapesse esattamente cosa fare per accenderla come una torcia umana.
E lo conosceva da nemmeno otto ore. Quel pensiero avrebbe dovuto scuoterla, farla rinsavire, invece si rese conto che non le importava, non le importava nulla a parte quel mare di emozioni fortissime che la sommergevano, un’ondata dopo l’altra, sempre più alte, sempre più impetuose.
Fu lui che, a un tratto, si fermò e, strattonandola piano per i capelli, la staccò dalla propria bocca.
«Ti ho promesso che mi sarei comportato bene, ma forse le cose mi sono leggermente sfuggite di mano» ammise, con voce roca.
Gaia si allontanò di qualche centimetro e lo fissò, confusa, incapace di credere che si fosse fermato. Che avesse trovato la forza e la lucidità per farlo. Le cose erano due: o aveva un autocontrollo davvero straordinario o non era nemmeno lontanamente presa quanto lo era lei.
Fece per sollevarsi dalle sue gambe, ma la mano di lui non le lasciò i capelli, trattenendoli in una morsa decisa e delicata al tempo stesso.
«Riesci a immaginare cosa provo guardandoti in questo momento?»
Scosse la testa.
«Ti ricordo che ho trovato sexy la tua risata con grugnito e la tua faccia tutta a chiazze per il pianto.»
Gaia inarcò le sopracciglia, non capendo dove volesse andare a parare.
«Hai le labbra gonfie e rosse per i miei baci e i capelli spettinati dalle mie mani. Ti guardo e sembra che tu abbia appena fatto sesso e questo è molto più che sexy. È letale.»
Arrossì furiosamente, incapace di distogliere gli occhi dai suoi, nonostante l’imbarazzo e il calore che le sue parole non avevano fatto altro che alimentare.
«Quindi che facciamo adesso?» gli chiese, la voce ridotta a un sussurro appena udibile.
Daniele rimase in silenzio qualche secondo, allentò la presa sui suoi capelli e iniziò a massaggiarle la cute, disegnando morbidi cerchi con i polpastrelli.
«Non lo so, so solo che non ho voglia di salutarti. Non ancora.»
Si sentì sommergere dal sollievo.
«Nemmeno io».
Lui assunse un’aria pensierosa, mentre la mano continuava ad accarezzarla, scendendo sul collo e premendo i tutti i punti giusti, allentando la tensione dei muscoli e dei nervi tesi.
«Abbiamo visto un film che è piaciuto a te, ora dovremmo compensare facendo qualcosa che piace a me.»
Gaia gli sorrise maliziosa e lui scoppiò a ridere.
«Per quanto mi piacerebbe rimanere qui a rotolarmi con te sul divano, o magari sul tappeto… ha un aspetto davvero invitante, te l’ha mai detto nessuno?» Non le diede il tempo di rispondere, che proseguì. «No, pensavo a qualcosa che ci porti fuori da queste quattro mura tentatrici. Abbiamo ancora un paio di ore di luce, che ne dici di fare una passeggiata sulle mura?»
Lo fissò a bocca aperta.
«Stai scherzando, vero?»
«No, perché? Questa città ha delle mura storiche e bellissime. Adoro camminarci sopra e immaginare come doveva essere secoli fa, al tempo degli Estensi, quando le strade erano fatte di terra battuta e percorse da cavalli e carri.»
Quel ragazzo continuava a stupirla.
«Sicuro che stai studiando ingegneria e non storia dell’arte? O architettura?» lo interrogò, sorridendo.
Lui scoppiò a ridere.
«Ammetto che, se fosse per me, frequenterei tutte le facoltà di questo mondo. Sono un tipo curioso e mi piace studiare le cose. Ognuna ha il suo fascino, se la guardi da vicino.»
Osservando il suo bel volto a pochi centimetri dal proprio, fu costretta ad ammettere che aveva ragione. Era affascinata dai suoi lineamenti, dalla grana della sua pelle, la barba che iniziava ad annerirgli la mandibola forte.
Allungò una mano per accarezzargli una guancia, desiderosa di sentirla scorrere sotto le sue dita, quando lui si alzò precipitosamente, tenendola per le braccia per non farla finire con il sedere per terra.
«Hey!»
«Dobbiamo uscire di qui, Gaia. Dai, prendi le scarpe» le comunicò, mentre si affannava per infilare le sue, come se la casa stessa improvvisamente andando a fuoco.
«Ma che diavolo…»
Era davvero strano. Con un’alzata di spalle, si voltò per andare a fare quello che le aveva suggerito. Indossò le sneakers e si infilò il cappotto; si mise in tasca portafoglio e cellulare e abbandonò la borsa sul bancone della cucina, preferendo viaggiare leggera, se dovevano passare il resto del pomeriggio scarpinando sulle mura di cinta della città. Erano lunghe diversi chilometri e non aveva idea di cosa Daniele avesse in mente.
   
 
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