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Autore: Jasmine_dreamer    26/09/2017    1 recensioni
"Veronica?! Veronica, cazzo!"
Giaceva sul pavimento, il vomito in bocca, ma che cosa diavolo avevo fatto?
Non avevo idea di cosa fare.
Presi il telefono tra le mani e digitai il numero di emergenza.
"Pronto?! La mia ragazza è andata in overdose, aiuto!"
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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"Ma chi è?" chiese Veronica insonnolita.
Mugolai qualcosa di incompresibile e poi risposi al cellulare.
"Mamma?" domandai insonnolito.
Dall'altra parte del telefono sentivo solo urla, non riuscivo a capire nulla.
"Mamma, calmati! Cos'è successo?" chiesi allora allarmato.
Veronica si tirò su coi gomiti e accese la luce dell' abat-jour.
La voce al telefono diventò poi quella di mio padre: "Trevor, si tratta di Calvin."
"Che cosa è successo?" chiesi sempre più confuso.
"Devi venire in ospedale, subito." rispose mio padre con tono fermo.
"Arrivo." risposi.
Riattaccai.
"Che cosa è successo?" chiese Veronica.
Io rimasi a fissare la coperta in silenzio.
"Trevor!" strillò lei.
"Si tratta di mio fratello, non so cosa sia successo, ma..." sospirai: "Mio padre ha detto che devo andare in ospedale, subito."
Guardai l'orario: 4.42.
Mi misi i primi vestiti che trovai e presi le chiavi della macchina ma Veronica me le tolse.
"Cosa fai?" chiesi.
"Guido io."
"Non so se dovresti venire con me, insomma chissà a che ora finirò."
Lei mi abbracciò: "Trevor, ti amo. Voglio starti vicino."
"Okay, andiamo."
Lei annuì e salimmo in macchina.
Io ero in silenzio, incapace di dire qualsiasi cosa.
"Trevor, non fasciamoci la testa senza conoscere le ferite."
Io continuai a restare in silenzio.
Sentivo il suo sguardo addosso, ma non riuscivo a guardarla.
Papà non mi avrebbe chiamato se non fosse stata grave.
Guardai fuori dal finestrino, Veronica smise di parlare e in macchina regnava il silenzio.
"Trevor." disse lei toccandomi il braccio e riportandomi nel mondo reale: "Siamo arrivati."
Entrammo in ospedale e ci dirigemmo al punto accoglienza.
"Johnson." dissi io.
"April, porta i ragazzi da Calvin Johnson."
La dottoressa annuì e ci scortò di fronte alla camera che ospitava mio fratello.
Seduta su una sedia mia madre piangeva disperata, mentre mio padre fissava il vuoto in piedi appooggiato al muro.
Veronica mi guardò.
Mia madre mi vide.
"Trevor!" urlò venendo ad abbracciarmi.
Mio padre si girò a guardarmi.
"Ciao Trevor." disse.
"Papà, cos' è successo?"
"Era ad una festa e gli hanno sparato. Adesso è il sala operatoria, non sappiamo se ce la farà."
Abbassai lo sguardo e lentamente mi voltai percorrendo il corridoio. 
Non sapevo dove sarei finito, non sapevo cosa avrei fatto.
Volevo solo svegliarmi da quell'incubo.
"Trevor!" strillò Veronica afferrandomi per il braccio.
"L'ultima volta gli dissi che non volevo più vederlo." risi amaramente: "Litigammo furiosamente, lui mi diceva che dovevo smetterla con la droga, diceva che quella merda mi avrebbe ucciso. Io gli dissi che non ne ero dipendente, ma lui mi diede del tossico e mi disse che gli facevo schifo, facemmo addirittura a botte." 
"Trevor.." disse Veronica con voce spezzata.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime: "Non voglio che il nostro ultimo ricordo insieme sia una litigata... non parlo con Calvin da quasi due anni ed ora potrei non parlarci mai più."
Scoppiai in lacrime e, con me, anche Veronica.
Mi abbracciò mentre io mi coprivo il visi con le mani.
"Se non riuscissi a dirgli addio, non me lo perdonerei mai, sarebbe il mio rimpianto più grande."
"Trevor.." disse lei stringendomi più forte.
La strinsi e poi urlai: "Non voglio perderlo!"
Lei non disse nulla, ed era giusto così.
Avrei voluto sentirmi dire che sarebbe andato tutto bene, ma era meglio che lei non lo dicesse, perché non sapevamo se sarebbe andato davvero tutto bene.
Dopo qualche minuto mi staccai da lei e mi asciugai le lacrime.
"Mi dispiace che tu abbia conosciuto i miei in queste circostanze." feci io.
Lei scosse la testa: "Come se fosse colpa tua."
La presi per mano ed, insieme, tornammo dai miei.
Mi sedetti in silenzio vicino a mia madre e la presi sotto il braccio.
Lei appoggiò la testa sul mio petto.
Veronica era vicino a me e mio padre si sedette accanto a mia madre poco dopo.
Restammo tutti in silenzio, con mia madre sotto il braccio, la testa di Veronica sulla mia spalla e le mani dei miei genitori intrecciate.
Tutti fissavamo il vuoto sperando di avere notizie presto, che fossero buone o no, ma volevamo sapere qualcosa.

Dopo qualche ora, venne fuori un medico chirurgo.
"La famiglia Johnson?"
"Sì." dissimo in coro alzandoci.
"Siete tutti parenti?" chiese lei.
"Noi siamo i genitori, e lui è il nostro figlio minore." disse mio padre indicandomi.
Il medico guardò Veronica.
"Lei è apposto, può sentire."
"L'operazione è andata bene, non ci sono state complicazioni. Tuttavia per dei risultati concreti dovremo aspettare dalle 4 alle 6 ore, solo in quel caso potremo decretare se sarà salvo o meno."
"Okay." disse mia madre.
"Tra qualche minuto uscirà il dottor Martinez per dirvi se potete entrare o meno."
"Grazie." disse ancora mia madre.
Lei annuì e si congedò.
Dopo qualche minuto, in effetti, il dottore arrivò.
"Salve, siete voi i Johnson?" chiese.
Noi annuimmo.
Lui sorrise e disse: "Io sono il dottor Martinez, se volete entrare ora potete, Calvin sta dormendo."
"Tra quanto si sveglierà?" chiese mia madre.
"Dalle 4 alle 6 ore, ma non è certo che succederà, penso sia doveroso dirvelo." fece lui serio: "Ora, se volete seguirmi, vi accompagno nella sua stanza."
Feci per entrare ma poi notai Veronica a qualche metro di distanza ferma.
"Non entri?" dissi io.
"No, Trevor. Si tratta della tua famiglia non della mia." fece lei.
"Beh.." intervenne mio padre: "Se però il mio intuito è giusto, tu sei la ragazza di mio figlio, quindi ora la nostra famiglia è anche un po' tua."
"Siete sicuri?" chiese lei.
Mia madre le se avvicinò e, mettendole una mano sulla spalla, disse: "Dai, vieni con noi."
Veronica sorrise ed entrò con noi.
Calvin era intubato, l'ossigeno lo riceveva tramite a una pompetta infilata nel naso.
"Io sono Sarah." disse poi mia madre dando la mano a Veronica.
"Veronica." disse.
"Io sono Axl."
"Veronica." disse di nuovo lei.
Passamo una nottata stracolma di ansia, caffè e sorrisi speranzosi.
Ore che ci sembrarono eterne.
Fino a quando, mio padre tornò con un vassoio in mano che portava 4 caffè, e Calvin si mosse.
Erano passate cinque ore e venti minuti, la paura di perderlo ci stava mangiando vivi, ma lui aprì gli occhi.
"Calvin!" urlò mia madre.
Veronica corse a chiamare i medici.
Io e i miei lo abbracciammo, lui era confuso e non ebbe alcun tipo di reazione.
Poi entrò il medico Martinez e lo esaminò.
Io ero in piedi, con gli occhi gonfi di lacrime di gioia abbracciai Veronica e poi mia madre.
"Lo sai chi sei?" chiede il dottor Martinez.
"Sì, sono Calvin. Il mio quesito è: perché sono qui?"
"Ti hanno sparato ad una festa."
"Ah, okay. Ma non ricordo nulla." disse Calvin.
"Non preoccuparti, è normale. Hai subito uno shock, tempo al tempo." disse il medico, poi aggiunse: "Vi lascio soli, per qualsiasi cosa chiamatemi."
"Grazie." dissimo tutti.
"Wow.." fece Calvin: "Se è venuto perfino Trevor, allora vuol dire che era grave."
"Testa di cazzo, ho avuto paura che morissi." dissi io.
"Così da smettere di rompere i coglioni? Mai, fratellino!"
"Calvin! Non vedi che abbiamo ospiti? Non essere così volgare!" lo riprese mia madre.
"Oh, perdonami, non ti avevo vista." mio fratello le porse la mano e aggiunse: "So che magari non è proprio il momento adatto per fare nuove conoscenze, ma io sono Calvin."
Lei rise, gli strinse la mano e disse: "Veronica, la ragazza di Trevor. E non preoccuparti, mica è colpa tua!" 
Dopo che parlavamo da circa un'ora, mia madre sorridente disse: "Trevor.." e indicò dietro di me.
Mi girai e vidi che Veronica si era addormentata sulla sedia.
"Vabene, vado a casa."
Abbracciai i miei genitori, e mia mamma disse: "Non sparire di nuovo."
Poi salutai mio fratello e svegliai Veronica, che si proclamò dispiaciuta per essersi addormentata e disse che non voleva che tornassimo a casa per colpa sua.
Dopo varie rassicurazioni, la riuscimmo a convincere che potevamo tornare a casa, anche perché erano le 11.30 ed ancora non avevamo dormito, se non 4 ore scarse prima di essere chiamati.
Guidai io, lei crollò sul sedile del passeggero.
La portai a letto tenendola in braccio e rimasi un po' a guardarla.
Poi costatai che non riuscivo a dormire ed andai in cucina a farmi una birra.
   
 
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