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Autore: Sospiri_amore    27/09/2017    0 recensioni
❤️SECONDO LIBRO DI UNA TRILOGIA❤️
Ritorneranno Elena, Kate, James, Jo, Adrian, Stephanie, Lucas, Rebecca, (Nik ??).
Ci saranno nuovi intrecci, guai, incomprensioni e amori.
Elena avrà dimenticato James?
Chi vivrà un amore proibito?
Riuscirà il Club di Dibattito a sconfiggere la scuola rivale?
Nik sara sempre un professore del Trinity?
Elena andrà al ballo di fine anno?
IL FINALE di questo libro corrisponde alla fine del liceo, il terzo libro sarà incentrato sulla vita adulta dei personaggi. Più precisamente quattordici anni dopo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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IERI:
Ho bisogno di te





Sul pavimento della camera di Kate sono disposte decine di foto in bianco e nero, sui mobili le stampe a colori. Cartelline, fogli di plastica, pennarelli, foglietti, sono sparsi da tutte le parti.

«La gara di dibattito è lunedì pomeriggio, noi torniamo da New York in mattinata, dovremmo riuscire a fare tutto». Kate sta correndo da una parte all'altra come una trottola, sta selezionando le foto da portare al colloquio e sembra stia impazzendo. Toglie. Mette. Sposta. Ci ripensa. Se non la conoscessi bene direi che è nel panico, ma visto che Kate è un libro aperto per me, sono sicura sia andata completamente e totalmente fuori di testa.

 

Annuisco assente. 

 

Dalla discussione avuta con Nik una settimana fa il mio umore non è cambiato per niente. Apatica e stanca, pensosa e triste. Non è difficile capire che non sono la solita Elena, anche Rebecca l'ha notato ha provato pure a coinvolgermi nell'organizzazione del Prom, ma non le ho dato corda. Non ho voglia di sprecare energie inutilmente.

 

«Non so cosa portare, credo sia meglio alternare le tecniche senza però dimenticare la coerenza dello stile. Ti piace questa sequenza?», mi dice Kate mentre mi passa una decina di foto. Appena mi smolla il plico si tuffa su un gruppo di foto appoggiate dalla parte opposta del pavimento.

Sfoglio le dieci immagini. Le trovo tutte bellissime, non saprei neanche cosa consigliarle, ogni sua scelta mi pare ottima. Paesaggi, ritratti, reportage. Tutte sono molto intense e curate.

 

Mi vibra il cellulare in tasca.

È James che mi ha mandato un messaggio: - Che fai? Io sono un po' giù di morale -, mi scrive.

- Che succede? Brutti pensieri? -, gli rispondo.

- Il periodo non è dei migliori. Se penso a un anno fa le cose erano diverse. Mi fa tutto schifo, adesso -.

Sto per digitare un messaggio di risposta a James quando Kate mi chiama a gran voce, vuole che mi avvicini per decidere tra due foto. Sono due immagini grandangolo del teatro fatte durante le prove dello spettacolo dell'anno scorso. In un piccolo angolo è possibile vedere la sagoma di Miss Scarlett con chiarezza, riconosco alcuni del gruppo di scenografia, tra cui probabilmente ci sono anch'io, e Rebecca con gli altri attori che provano la parte. 

«Sono intense. Il rosso dei tendoni e le figure umane sotto la luce dei riflettori sono molto suggestive», le dico sincera, le immagini sono molto belle.

«Potrei concludere così la serie, che ne dici? Come a voler dire che la vita è uno spettacolo, uno show. Ognuno interpreta una parte, ha il copione, l'ambientazione. Il resto lo fa il libero arbitrio». Kate osserva con meticolosità le gira tra le mani cercandone difetti e pregi.

«Cavolo, sì. Mi piace». Appena finisco di parlare sento il cellulare in tasca vibrarmi due o tre volte. Questo deve essere James che mi ha mandato altri messaggi.

Vorrei leggerli, ma ho paura che Kate possa arrabbiarsi. Del resto le ho promesso che l'avrei aiutata con le foto, James ha un effetto particolare, riesce a distrarmi in un attimo. Senza contare che la mia allegria nell'ultima settimana è pari a zero, mi sento svuotata.

 

Il cellulare vibra di nuovo.

 

«Se invece prendiamo le foto della terza serie, ti ricordi quelle che ho fatto in città e... e... Elena, ci sei?». Kate mi passa la mano davanti agli occhi.

Sussulto. Sono talmente immersa nei miei pensieri da essermi estraniata. Penso solo ai messaggi a raffica che sto ricevendo da James e la voglia che ho di leggerli. 

 

Sono una pessima amica.

Dovrei impegnarmi ad aiutare Kate, invece l'unica cosa che vorrei fare è andarmene da lì.

 

Kate mi abbraccia:«So che cos'hai. Non devi prendertela, sono cose che succedono. Il fatto che abbiate litigato non deve cambiare la tua opinione su di lui, vi volete bene e tutti lo sanno...».

«Tu-Tutti?». Sbianco. Non ho detto a Kate della litigata con Nik, deve aver intuito tutto, anche se non so come possa aver fatto.

«Certo. Credo sia normale che per te lui sia un pilastro della tua vita», mi dice.

«Ma tu come fai a sapere che ho litigato con lui?», le chiedo confusa.

«Me lo hai detto tu. Non ti ricordi? La storia del weekend con Tess e la storia della scrivania in salotto? Tuo padre. Bruno. Sei collegata Elena? Oggi sei un po' strana». Kate lascia le foto che tiene in mano, mi appoggia la mano sulla fronte mentre mi osserva con attenzione.

 

Il cellulare in tasca vibra.

Un altro messaggio di James.

 

«S-sì scusa. Non so dove abbia la testa. Ho un sacco di pensieri in questo periodo», le dico con voce isterica. Per un attimo ho creduto che avesse assistito alla litigata con Nik alla festa degli ex studenti del Trinity.

«Sarà, però oggi sei strana. Più strana, almeno. Guarda che sei vuoi andare puoi farlo, non hai nessun obbligo a restare. Capito?», mi dice Kate con un sorriso mentre mi accarezza i capelli.

«Andare?», le chiedo confusa.

«Sì, Elena. Andare. A N D A R E. Andare da tuo padre, per fare pace. Oggi parte per il fine settimana con Tess. Se vuoi puoi correre da lui e chiarire tutto. Un po' di sincerità non vi farebbe male», mi dice Kate.

 

Osservo la mia amica, mi fa molta tenerezza. È così preoccupata per me da credere che sia turbata dalla breve vacanza che farà in questi giorni papà. Pensa che stia male per Tess. Non è che non me ne importi nulla di quei due, ma ho un migliaio di pensieri più importanti in questo periodo. Non può neanche lontanamente immaginare come mi senta, tra Nik, Yale, gli esami a scuola, mi sento sballottata tra una ansia all'altra. Probabilmente la mia faccia lunga deve farle molta pena se preferisce volermi mandare via.

 

«Ti ho promesso che ti avrei aiutata e...», le dico, ma vengo bloccata.

«Oggi è sabato. Ho tutto il tempo per preparare il materiale per New York. Vai da tuo padre, ok? Non hai la testa per stare qui ad ammuffirti sulle mie foto». Kate mi abbraccia stretta.

Ricambio l'abbraccio un po' imbarazzata. 

 

Sto approfittando della buona fede della mia amica per svignarmela da lì, manco fosse una lezione di biologia con Tompson. Papà è partito ieri, ma io non ho il coraggio di dirlo a Kate. Non ho il coraggio di dirle che non ho voglia di aiutarla a scegliere le foto. Non ho il coraggio di dirle che sono una pessima persona.

 

Kate mi alza di peso mettendomi la borsa a tracolla per poi spingermi fuori dalla sua stanza. Non oppongo resistenza. Non faccio nulla per fermarla. In verità voglio che faccia quello che ha fatto, voglio che mi lasci libera.

 

Mentre scendo le scale di casa Husher prendo il cellulare dalla tasca. Ho otto messaggi di James. Li leggo uno dopo l'altro senza smettere di camminare.

 

- Ti capita mai di sentirti come se non avessi più l'anima? 

- Scusa, sto diventando noioso. 

- Mi sento un idiota. Mi prenderei a sberle se avessi il coraggio.

- Mi manca mamma. La voglio. Merda. La voglio ora.

- Credevo che il male passasse dopo un po', invece mi sento più oppresso adesso.

- Mi odio mi odio. Sono lagnoso. Scusa. Scusa. Scusa.

- Elena, perché non rispondi? Se sono pesante basta dirlo.

- Scusa, ti lascio stare, ti tartasso perché ho bisogno di te.

 

Capisco benissimo come si sente James. Le emozioni che prova sono le stesse che ho vissuto io e che vivono tutti quelli che hanno perso una persona cara.

Lo chiamo, non posso lasciarlo così.

Squilla.

Risponde.

 

«Ciao James, ero un attimo impegnata», gli dico dolce.

«Mi sento uno sfigato completo. Scusa se ti ammorbo, ma non so con chi altro parlare. Dove sei?», mi chiede.

«Avevo delle commissioni. Sto andando verso casa», mento. Non voglio che sappia che ero con Kate, potrebbe pensare di stare rovinando qualcosa.

«Fermati. Dimmi il posto preciso, vengo a prenderti», dice deciso.

Con il sorriso sulle labbra gli dico l'indirizzo, mi fermo e aspetto che James mi passi a prendere. Non vedo l'ora di stare con lui.

 

Dieci minuti e arriva.

 

In macchina James non dice nulla. Sembra a disagio, un po' teso. Non mi aspettavo certo che mi raggiungesse con un mazzo di fiori e una scatola di cioccolatini, ma dai messaggi e dalla telefonata mi ero immaginata un po' più di entusiasmo. È nervoso, non parla, non mi guarda neanche. Non voglio certo dargli ulteriori stress, per carità, però non mi sembra giusto che mi tratti in questo modo.

Faccio finta di nulla, guardo fuori dal finestrino senza parlare, come se fossi assente.

 

Una giornata partita storta non può certo finire bene. Classico per me che attiro una sfiga dietro l'altra.

 

Arrivati sotto casa, James scende per aprirmi lo sportello. Ha la faccia cupa, i capelli coprono parte del suo viso. Intravedo i suoi occhi, sono diversi dal solito, sono rossi e gonfi. Mi prende un tuffo al cuore. Finisco sempre con il pensare a me stessa dimenticando quello che sta provando James. Che cretina.

Sul vialetto che porta a casa sfioro le mie dita con le sue per vedere quale possa essere la sua reazione. James ha bisogno di piangere, urlare e sfogarsi. Ha bisogno di sentirsi capito e di condividere il male che sente dentro.

 

La mano di James si stringe alla mia con forza, come fossero incollate.

 

«Ho p-paura di dimenticarla. Non mi ricordo il suo odore... cioè lo so, il mio cervello lo ricorda, ma non saprei descriverlo. Ho paura di dimenticarmi il suo volto. Ho paura che possa scivolarmi via». James con la testa bassa cammina verso il portone.

«Non puoi fermare nulla. Il ricordo cambierà, ma non svanirà mai. Ti ricorderai solo le cose belle, i momenti migliori, quelli che valgono davvero, quelli che vale la pena tenere nel cuore. Neanche io riesco a ricordare quando mamma preparava la colazione oppure quando era troppo nervosa per qualche scadenza sul lavoro. Mamma era così testarda eppure ho stampato il suo sorriso nella mia mente, era così caotica ma le sue carezze non le dimenticherò mai», gli dico tutto d'un fiato.

James ha gli occhi gonfi di lacrime, mi prende il volto tra le mani. Passa i palmi sulle guance, sfiorando con i pollici le lentiggini che ho sul naso. Preme il mio volto come fosse di cera, come se volesse entrare e fondersi con me: «Mi dici perché sei così... perché mi fai questo? Come posso starti lontano? Da un lato ti odio, ma dall'altro ti... ti...».

Le labbra di James crollano sulle mie. Sono la sua struttura, le sue fondamenta. In quel bacio c'è l'unico legame che gli permette di non crollare, un bacio portante, un bacio solido come una chiave di volta.

Sento il suo respiro farsi affannoso, sento il calore delle sue mani cercare il mio corpo. Tremo e lui trema con me. Abbiamo resistito mesi, settimane, giorni, ore e secondi l'uno lontano dall'altra, adesso basta. Non ne posso più io e non ne può più neanche lui. I baci sono sempre più intensi e profondi, umidi d'amore. 

«Mio padre non c'è. Vuoi salire?», gli chiedo sottovoce.

James mi guarda per qualche attimo, scruta il mio volto in cerca della cosa giusta da dire, ma non dice nulla. No. Mi bacia con passione. Mi bacia con amore. Mi bacia e basta. Non ho bisogno di risposte, mi basta lui.

Saliamo le scale velocemente, con agilità apro la porta di casa. Non facciamo in tempo ad arrivare in camera, James mi spinge contro la parete del corridoio sollevandomi per le cosce. Il desiderio è al limite. Lo trascino verso il mio letto, lo spingo con decisione poi mi metto sopra di lui a baciarlo senza sosta. James infila le mani sotto la mia felpa e me la sfila. I capelli mi ricadono sul volto nascondendo le mie guance rosse per l'ardore e anche un po' per l'imbarazzo, è da molto tempo che non siamo così intimi. Le dita provano a slacciare i bottoni del suo cardigan, ma sembrano paralizzate. James prende l'iniziativa e si toglie tutto rischiando di rimanere incastrato tra il groviglio dei vestiti. Il suo torso nudo è la cosa più bella che i miei occhi abbiano mai visto.

In pochi secondi siamo stretti in un abbraccio d'amore e passione. 

 

Vicini come mai. 

Stelle gemelle che ruotano all'unisono. 

Siamo energia compressa e poi esplosa.

Siamo tutto ciò che vale la pena di essere vissuto.

Estasi primordiale e amore infinito.

James ed Elena risuonano nell'universo. 

Per una volta, per sempre.

 

I momenti appena passati sono già una ricordo, un bel ricordo. Stretta nelle sue braccia mi sento bene come non mi sentivo da tanto tempo. Nik è un brutto pensiero, papà e Tess sono un incubo dimenticato. Non voglio altro che stare lì. Osservo James baciarmi con dolcezza la fronte. Lo osservo e capisco che sta soffrendo, capisco che stare con me non riempie il vuoto, il baratro che sente dentro.

Mi abbraccia, ma è lontano.

Mi abbraccia, ma la sua mente non è qui.

Vorrei poterlo strappare da quello che prova, vorrei che si sciogliesse nel mio abbraccio.

 

Non posso stare ferma.

Non posso vederlo così.

 

Con calma mi siedo sul letto, vicino a me c'è il comodino con la scatola di legno con dentro le lettere che scrivo a mia madre. La apro. Infilo la mano. Stringo tra le dita una busta diversa dalle altre, c'è un simbolo in ceralacca in rilievo. Una busta che ho ricevuto un anno fa da Demetra.

 

«James io credo di amarti, credo di averti sempre amato», sussurro. La voce esce come un filo di seta, sottile, fragile e prezioso.

«Non dirmi così, ti prego. Non adesso. Sai che sei importante, ma non posso... io... non posso. Ho degli obbiettivi e non posso perdere la strada. Sai come finirebbe se io... no. Non possiamo distrarci, manca poco. Pochissimo», mi dice con voce roca.

«Ma se ci amiamo perché non possiamo... amarci?», gli chiedo con calma, senza rabbia. Voglio solo capire.

«Perché non è il momento giusto. Perché voglio solo perdermi tra le tue braccia senza pensieri, perché voglio la tua leggerezza e voglio baciarti per ore, voglio non dover pensare al futuro. Ci penso già ogni istante della mia vita a quello che devo e non devo fare. Non voglio che anche il nostro rapporto diventi un obbligo, una incombenza. Voglio solo perdermi nei ricordi dei nostri baci, del tuo corpo. Vorrei avere solo ricordi belli su tutto, solo questo». James mi sta abbracciando da dietro, è come fosse avvinghiato, stretto a me. Lo sento ancorato a me.

 

La mia mano molla la lettera di Demetra nella scatola. 

Non è questo il momento di aprirla.

 

James mi vuole bene, ma non vuole avere una relazione con me finché Yale, il college e lo studio non saranno un argomento archiviato. Sento la sua stretta e capisco quanto vorrebbe lasciarsi andare, quanto desidererebbe essere libero da pensieri e ansie.

Non posso dargli che ragione, dobbiamo aspettare. Dobbiamo avere il tempo per amarci come si deve, qualche mese in più non può cambiare molto la nostra situazione.

Pazienza.

Dedizione.

Ci serve quello, ma non adesso.

 

Mentre estraggo la mano dalla scatola di legno sfioro dei piccoli oggetti di plastica.

Sono tre.

Sono tre cucchiaini.

I tre cucchiaini che ho preso di nascosto quando ho aiutato James a svuotare lo sgabuzzino di Demetra.

 

«Visto che vuoi avere solo ricordi belli, credo che questo valga la pena tenerlo», gli dico mentre allungo i cucchiaini.

James li riconosce subito. È senza parole, trattiene il fiato. 

Li sfiora, li osserva, poi li prende.

Stretti nel pugno li avvicina al petto vicino al cuore.

Piange. 

Le lacrime scorrono rapide sul suo viso, sembrano lame.

Singhiozza.

I singulti gonfiano il suo petto.

Tra le mie braccia James è più delicato di un fiore che nasce nella neve, più dolce del miele appena colto: «Sta tranquillo. Ci sono qui io, non ti preoccupare», gli dico cullandolo e riempiendolo di baci, perdendomi in lui e dimenticando lo spazio e il tempo, viaggiando in universi paralleli e desiderando che quell'attimo non finisca mai.

 

   
 
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