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Autore: FrancescaPotter    29/09/2017    1 recensioni
Long sugli ipotetici figli delle coppie principali di Shadowhunters (Clace, Jemma e Sizzy), ambientata circa vent'anni dopo gli avvenimenti di TDA e TWP. TWP non è ancora uscito al momento della pubblicazione, e nemmeno l'ultimo libro di TDA; questa storia contiene spoiler da tutti i libri della Clare fino a Lord of Shadows, Cronache dell'Accademia comprese.
Dal quarto capitolo:
"Will abbassò il braccio e distolse lo sguardo, ma lei gli prese delicatamente il polso. «Lo sai che puoi parlarmi di qualsiasi cosa, vero?» gli chiese, morsicandosi inconsapevolmente il labbro inferiore. Era una cosa che faceva spesso e che faceva uscire Will di testa. «So che è George il tuo parabatai» continuò abbassando la voce, nonostante non ce ne fosse bisogno perché George era concentrato sul suo cibo e Cath stava leggendo qualcosa sul cellulare. «Ma puoi sempre contare su di me. Mi puoi dire tutto. Lo sai, vero?»
Will sospirò. «Lo so, posso dirti tutto».
Tranne che sono innamorato di te."
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Clarissa, Emma Carstairs, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Julian Blackthorn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo otto
 
Quella mattina splendeva il sole su New York. Era ormai autunno inoltrato e gli alberi di Central Park si stavano colorando delle più diverse tonalità di giallo, arancione e rosso, dando agli artisti di strada molto materiale per i loro dipinti. Era il periodo dell’anno in cui anche Will si sentiva più ispirato: solitamente si limitava a disegnare con una penna o con del carboncino, ma quando le foglie iniziavano a farsi gialle e rosse risfoderava i suoi acquerelli e passava interi pomeriggi a dipingere nel parco. Inoltre, le feste si stavano avvicinando e per le vetrine della città si potevano già vedere in vista di Halloween ragnatele, ragni, zucche e streghe, che lo mettevano di buonumore.
Will stava seduto su una panchina, intento a ritrarre la coppia di mondani che sedeva di fronte a lui dall’altra parte del vialetto. Si stavano tenendo per mano e stavano parlando del più e del meno. Si vedeva che erano innamorati, e Will cercò di rappresentare nei loro sguardi l’amore e il rispetto che era evidente provassero l’uno per l’altra, il tutto senza farsi notare e denunciare. Adorava disegnare estranei che non si rendevano conto di essere osservati, era come scattare una fotografia, ma Will lo preferiva perché era lui stesso a darle vita con una semplice matita. Era piuttosto soddisfatto del risultato ottenuto, nonostante la prospettiva non gli fosse uscita particolarmente bene: preferiva soffermarsi sull’aspetto emotivo del disegnare, piuttosto che su quello tecnico e teorico.
Voltò pagina e guardò il foglio bianco per qualche secondo.
E se provassi a…? Si chiese. Solo una volta. Una volta sola e basta…
Aveva sempre ritratto i suoi amici e i suoi familiari sin da quando era bambino. Un giorno però, intorno ai quindici anni, aveva disegnato Rose e lo shock che aveva provato nel farlo gli aveva quasi mozzato il fiato. Aveva terminato il disegno con le mani tremanti e sudate, il cuore che gli batteva forte nel petto come sul punto di esplodere.
Era stato a quel punto che aveva capito. Aveva ammesso ciò che già sapeva da tempo ma che aveva arginato negli angoli più remoti della propria consapevolezza: era innamorato di lei, era chiaro, scritto a caratteri cubitali nella cura e precisione con cui l’aveva rappresentata. Non l’aveva più ritratta da allora, nonostante avesse passato notti in bianco a immaginare di disegnare una sua particolare espressione o inclinazione del capo.
In quelle ultime settimane però il desiderio di disegnarla era diventato quasi insopportabile. Forse era colpa della situazione in cui si trovavano, di Logan, dei sentimenti di Will che si intensificavano ogni giorno che passava… Non lo sapeva, sapeva solo che aveva bisogno di buttare tutto fuori, nero su bianco. Era il suo modo per esprimere ciò che provava: più che andare a correre o allenarsi fino allo strenuo, era disegnare ciò che gli permetteva di rimanere calmo quando dentro di lui tutto urlava.
Si rigirò la matita tra le mani un paio di volte e poi mandò tutto al diavolo e iniziò a tracciare delle righe sul foglio per delineare il contorno del viso, poi l’arco delicato delle sopracciglia e del naso, gli zigomi appena accennati e le labbra. Si era soffermato così tante volte a osservarle che non aveva bisogno di avere Rose davanti a sé, la sua immagine era stampata a fuoco nella sua mente, gli bastava chiudere gli occhi per vederla chiaramente.
«Che stai facendo?»
Will sobbalzò e chiuse il blocco da disegno così che sua sorella Celine, che gli era comparsa alle spalle e lo stava abbracciando da dietro, non vedesse nulla. Will aveva praticamente finito il viso di Rose, gli mancavano solo il collo e le spalle, e pregò che sua sorella non l’avesse riconosciuta.
«Secondo te?» le chiese lui leggermente infastidito. «Mi sto allenando per il balletto».
Sua sorella girò attorno alla panchina e gli si sedette di fianco con un ghigno. «Ti ci vedo con una calzamaglia».
Will alzò gli occhi al cielo e sbuffò. Celine gli tirò una leggera spallata e si mise a ridere, i capelli rossi raccolti in un’alta coda di cavallo che le arrivava quasi alla vita. «Qualcuno si è alzato con il piede sbagliato».
«Come hai fatto a trovarmi?» le chiese Will. «Non ho detto a nessuno che sarei venuto qui».
«Ho usato una runa per localizzarti» spiegò Celine, lanciandogli un orologio, il suo orologio che non trovava da una settimana. Will lo afferrò al volo e se lo mise al polso.
«Avresti potuto telefonarmi e ti avrei detto dov’ero» disse. «Non era un segreto».
Celine lo guardò storto e gli sorrise angelicamente. «E dove sarebbe stato il divertimento?» 
A quel punto Will si concesse di ridere. Celine lo stava fissando intensamente con i suoi occhi verde chiaro, gli stessi sia di Will che di Elizabeth –tutti e tre i fratelli Herondale avevano gli occhi verdi con delle pagliuzze dorate attorno alla pupilla. Sembrava quasi Cath quando faceva così e Will si sentì a disagio, esposto; tornò subito serio.
«Sta peggiorando, vero?» gli chiese piano lei, con un tono di voce che Will non era abituato a sentirle usare, non con lui almeno. Celine era sempre sfacciata, a tratti strafottente, e la maggior parte delle volte ti faceva venire voglia di lanciarle qualcosa per farla stare zitta. Ma sotto a molti strati di arroganza e sarcasmo, da qualche parte, era nascosta la sorella maggiore che gli aveva raccontato le storie della buonanotte per farlo addormentare e che gli aveva baciato i lividi quando si era fatto male saltando dalla trave senza elastico e protezioni.
«Che cosa?» Will non capiva e non era dell’umore per i suoi giochetti.
Celine indicò il blocco da disegno che Will teneva stretto in grembo con il capo. «La tua cotta per Rose. Sta peggiorando, vero?»
Will non disse niente e tenne gli occhi fissi davanti a sé, rendendosi conto che Celine era probabilmente riuscita a vedere il disegno di Rose. Non avrebbe avuto senso negare, lei sapeva e in qualche modo lo aveva sempre saputo.
«Come…» Will si schiarì la voce, cercando di mantenere un tono fermo. «È così evidente?»
«Ti prego» fece lei. «È così evidente che mi domando come abbia fatto lei a non accorgersene. E poi sei il mio fratellino, ti conosco».
Will si imbronciò e strinse il quaderno al petto, sentendo improvvisamente freddo. «Non importa» disse. «Non prova lo stesso per me».
«Come fai a saperlo?» Alcune ciocche di capelli le erano sfuggite dall’elastico della coda e Celine se le scostò dagli occhi con una mano. «Le hai mai detto che sei innamorato di lei?»
Innamorato. Sentirlo dire ad alta voce gli faceva sempre un certo effetto.
«Sta con Logan Ashdown» spiegò piatto Will. «Mi pare evidente che non sia interessata a me in quel senso».
«Questo perché sei il re degli idioti, oltre che dei codardi, e non le hai confessato prima i tuoi sentimenti. Sei uno scemo. Se solo glielo dicessi, sono sicura che…»
«Grazie» la interruppe Will pungente, aveva già avuto quella conversazione con George e non aveva intenzione di discuterne anche con sua sorella. «Avresti potuto aspettare che tornassi a casa, non ti saresti dovuta scomodare a venire qui apposta per insultarmi».
«In realtà non sono qui per questo» disse lei, improvvisamente allegra. «Volevo chiederti una cosa». Will la guardò in attesa e lei continuò. «Vuoi essere il mio damigello d’onore?»
Will spalancò gli occhi. «Il tuo… cosa?»
Celine alzò le spalle. «È un’usanza mondana, sai, la damigella d’onore. L’amica che aiuta la sposa nei preparativi per il matrimonio e la sostiene durante le sue crisi isteriche».
«E non ce l’hai un’amica che possa fare questo?» chiese Will. «Ho vissuto con te per quasi diciotto anni della mia vita, non pensi che abbia sopportato abbastanza le tue crisi isteriche?»
Celine sembrò pensarci un attimo e poi scosse il capo. «Primo, io non ho crisi isteriche» iniziò, contando sulle dita di una mano. «Secondo, ho davvero bisogno di aiuto e non posso chiedere a mamma e a papà perché sono pieni di lavoro in questo periodo. Terzo, se non ci diamo una mossa dovremo rimandare il matrimonio. E quarto» sospirò e distolse lo sguardo. «Mi duole ammetterlo, e se mi chiederai di ripeterlo non lo farò, ma hai gusto, William».
Eeh?
Questa gli mancava.
«Non fare quella faccia sorpresa, come se non lo sapessi!» sbottò Celine incrociando le braccia al petto. «Ti vesti bene, abbini sempre tutto e tieni più te ai tuoi capelli di me e Lizzie messe assieme. E poi la tua stanza… È carina, ecco. Mi piace come l’hai arredata e mi fido di te».
Will scosse le spalle. «Non lo so… Voglio dire, che tu abbia il senso estetico di uno scimpanzé credo sia innegabile».
Celine fece una smorfia. «Non pensi di stare esagerando ora?»
«Hai ragione» Will ghignò. «Uno scimpanzé probabilmente ha più senso estetico di te».
Celine si mise a ridere e Will con lei.
«Vorrei anche il tuo parere per il vestito, perché…»
«Non hai ancora scelto un vestito?» chiese Will orripilato. Il matrimonio sarebbe stato a inizio dicembre -Celine odiava il caldo e aveva convinto Sophia a sposarsi in autunno- e da ciò che sua sorella gli stava dicendo la situazione era peggiore di quanto Will immaginasse.
«No…?» Disse lei. «Manca un sacco di tempo»
Will controllò la data sull’orologio. «È il 23 ottobre!» esclamò. «Il matrimonio è tra meno di due mesi, quando pensavi di organizzare tutto?»
«Uhm…» Celine ci pensò un po’ e poi gli sorrise. «Vedi perché ho davvero bisogno di te? E poi conoscerai tutte le mie amiche di Idris, magari è la volta buona che ti trovi una ragazza, sai, non esiste solo Rose».
Era tipico di Celine chiedere aiuto facendo sembrare che fosse lei a stare facendo un favore a te.
Will sventolò una mano per aria, ignorando ostinatamente il riferimento a Rose. «D’accordo» decise. «Ti aiuterò. Ma a una condizione».
«Sempre detto che sei il fratello migliore del mondo!» Celine batté le mani contenta e lo abbracciò, stampandogli un bacio sulla tempia. «Qualsiasi cosa».
«Non chiamarmi mai più damigello d’onore» disse Will. «E non sceglierai tu il mio vestito. Perché io, la gonna, non la metto».
 
Will e Celine fecero una passeggiata nel parco durante la quale Celine gli spiegò a che punto fossero con i preparativi –avevano spedito gli inviti e basta- e ciò che aveva bisogno che lui facesse –tutto. In realtà non era proprio così: non voleva che Will le organizzasse il matrimonio dal nulla, desiderava solo il suo consiglio, che la accompagnasse a scegliere i fiori, e il vestito, e la torta. Will si sentiva vagamente lusingato dal fatto che la sua opinione significasse tanto per lei e acconsentì, promettendole che l’avrebbe seguita passo per passo dandole il suo sincero parere.
Verso tarda mattina presero strade diverse e Will tornò all’Istituto, mentre Celine si incontrò con Sophia per pranzo.
Will entrò nella sua stanza e gettò la giacca e il blocco da disegno sul letto, per poi lasciarsi cadere sulla sedia davanti alla scrivania.
«Ahia!» fece una voce, la voce che avrebbe riconosciuto anche tra mille altre. «Era necessario tirarmi il quaderno in testa?»
Si girò e per poco non gli mancò l’aria dai polmoni. Rose se ne stava con le gambe incrociate sul suo letto e lo guardava con aria divertita. Will si alzò di scatto e lanciò un’occhiata al pugnale che teneva sul comodino, perché Rose era a Los Angeles e non era possibile si trovasse nella sua camera; doveva trattarsi o di un sogno o di un qualche tipo di inganno, ed era abbastanza sicuro che non stesse dormendo.
Questa volta era pronto. Non si sarebbe più fatto ammaliare da…
«Wo wo wo» gli disse Rose, alzando le mani in segno di resa. Aveva seguito il suo sguardo e aveva trovato il pugnale. «Sono entrata nella tua stanza senza chiedere il permesso mentre non c’eri, scusami, ma non penso che dobbiamo diventare violenti. Giuro che non ho ficcato il naso da nessuna parte».
Will deglutì, tutti i sensi all’erta. «Non puoi essere qui. Non ho aperto nessun portale».
«No, ma si dà il caso che tu non sia l’unico con questa abilità, caro il mio egocentrico» spiegò Rose con un sorrisetto. «Tua madre era a Los Angeles e sono tornata qui con lei».
Will si rilassò impercettibilmente, sentendosi uno stupido. La fissò ancora qualche istante per assicurarsi che fosse davvero lei, dritta negli occhi di quel colore tanto brillante che lo lasciava senza fiato anche a distanza di anni.
«D’accordo» sbuffò Rose. «Da Starbucks prendi sempre un doppio macchiato con cannella, il tuo piatto preferito è la torta al cioccolato di mio padre, ma questo Jace non lo sa e mi hai fatto promettere di non dirglielo, hai paura delle anatre e da quando hai visto sgozzare un agnellino a Idris quando avevi sette anni sei vegetariano. Superato il test? Che cos’è questo, comunque?» prese il blocco da disegno e lo aprì, iniziando a sfogliare le pagine e a guardare i suoi disegni. «Diventi sempre più bra… Ehi!»
Will si era mosso così velocemente che lui stesso ne era rimasto sorpreso. Si era alzato di scatto dalla sedia e le aveva strappato il quaderno di mano un po’ troppo violentemente.
Rose alzò lo sguardo su di lui, ferita. «Si può sapere che ti prende?»
«Niente». Will chiuse il blocco da disegno e lo ripose con cura in un cassetto. Poi si voltò verso di lei e le sorrise, cercando di sembrare il più tranquillo possibile. «Sono solo scarabocchi, nulla che valga la pena vedere».
«Un giorno potresti diventare famoso per quegli scarabocchi, nel mondo dei mondani almeno». Rose si appoggiò con la schiena alla testiera del letto e Will si sedette vicino a lei, allungando le gambe davanti a sé.
Will notò che Rose aveva i capelli bagnati che le gocciolavano sulla maglietta in grosse ciocche marrone scuro. La maglietta era di un tessuto leggero, a maniche corte, e le si era appiccicata al corpo nei punti in cui i capelli l’avevano bagnata.
Will distolse lo sguardo e afferrò una felpa che aveva gettato ai piedi del letto la sera precedente. La sua camera era sempre molto ordinata, non lasciava mai nulla in giro e rimetteva sempre tutto al suo posto, ma in quel momento l’aver sgarrato alle sue manie di ordine gli stava tornando utile.
«Dovresti coprirti di più quando vieni qui» le disse, passandole la felpa. «Fa freddo a New York».
Ed era vero. Era ormai da qualche settimana che le temperature scendevano sotto i cinque gradi.
Rose prese la felpa e se la infilò. «Hai ragione, ma si sta così bene in California».
«E dovresti anche asciugare i capelli» continuò Will. «Non vorrai prenderti un raffreddore».
Gli Shadowhunters, grazie al sangue angelico che scorreva loro nelle vene, raramente contraevano malattie mondane, ma poteva sempre succedere. Will aveva avuto l’influenza una sola volta nella sua vita, quando aveva sei anni, ed era stato così orribile che se lo ricordava ancora.
Rose si sfregò le mani per scaldarle e chiuse gli occhi, poggiando la testa contro al muro. Sembrava stanca, spossata, nonostante a Los Angeles fossero le nove della mattina passate. «Il raffreddore non lo prendi se non ti asciughi i capelli» spiegò. «È un virus. Anche se studi dimostrano che una temperatura corporea bassa rende più difficile per il sistema immunitario…»
«Okay, okay» la fermò Will con un sorriso quando iniziò a non capire la metà delle cose che stava dicendo. «Va bene, dottore».
Rose aprì gli occhi e gli rivolse uno sguardo di traverso. «Scusa» gli disse.
Will scosse il capo. «Non devi scusarti».
Rose raddrizzò la schiena e si girò verso di lui, così che desse le spalle al resto della camera e Will potesse vederla direttamente in viso.
«Sono davvero tanto strana secondo te?» gli chiese a bruciapelo, aggrottando leggermente le sopracciglia e morsicandosi il labbro inferiore.
«No» rispose subito Will, senza nemmeno doverci pensare. «Perché me lo chiedi?»
Rose abbassò il capo e Will dovette reprimere l’istinto di prenderle la mano, o di toccarle i capelli, e dirle che per lui lei era perfetta nella sua imperfezione, e che se questa la rendeva strana a lui non importava.
«Non lo so…» Rose continuava a non guardarlo, poi sospirò. «Nulla, dimenticati tutto».
Will fece per insistere, ma George bussò alla sua porta. George, a differenza dei suoi familiari, bussava sempre nonostante non ne avesse davvero bisogno. Normalmente Will riusciva a sentire quando il suo parabatai era vicino, ma in quel momento era troppo sopraffatto dalla vicinanza di Rose per rendersene conto.
«William» stava dicendo quello. «So che ci sei».
Will si schiarì la voce. «Sì, entra pure».
George entrò nella stanza e quando li vide seduti vicini sul letto alzò un sopracciglio e incontrò per qualche secondo lo sguardo di Will. Poi si rivolse a Rose. «Sembra che tu abbia appena visto un fantasma, Blackthorn» le disse con un sorriso allegro. «Se non conoscessi Will così bene, ti chiederei se ti ha dato fastidio in qualche modo. Ma è Will, non darebbe fastidio a nessuno, men che meno a te».
Will lo fulminò con lo sguardo, intimandogli di tacere, ma George lo ignorò di proposito, continuando a guardare Rose e sedendosi vicino a lei sul bordo del letto.
«Sto bene, grazie per averlo chiesto, George. E tu come stai?» gli rispose lei sbuffando. «Sei sempre più simpatico ogni giorno che passa».
George la scrutò per qualche istante. «Hai il ciclo?» chiese poi. «Sei particolarmente suscettibile oggi».
Rose grugnì e gli tirò una spallata con molta poca delicatezza. «No! E fatti gli affari tuoi».
«Lasciala stare, George» disse Will.
«Qui c’è puzza di problema di cuore» continuò lui. «Cos’ha fatto Logan? Dillo a George, dai».
Rose impallidì e si guardò le mani. Will lanciò un’occhiata preoccupata a George, che aveva notato anche lui la strana reazione di Rose.
«Va tutto bene, vero?» le chiese George, addolcendo il tono di voce.
«Sì» disse lei. «Benissimo. Sono stanca e ho un po’ di mal di testa, tutto qua».
Will non sapeva se crederle e sentiva dal legame che anche George era perplesso. Conoscevano Rose da talmente tanto tempo che erano in grado di dire quando qualcosa non andava, e quel giorno qualcosa non andava. Rose non era brava a nascondere le proprie emozioni, le indossava con naturalezza quasi, senza accorgersene.
«Sei sicura che…» Will le poggiò una mano sulla spalla e la sentì rabbrividire impercettibilmente sotto al tessuto della felpa. Non appena se la fosse tolta, l’avrebbe indossata lui, solo per sentire il suo profumo ancora per un po’, immaginando di poterla stringere a sé, di poterla amare apertamente senza nascondersi dietro a un sorriso o una mano sulla spalla.
«Sto avendo dei brutti sogni ultimamente» spiegò lei. «Vedo me e la mia famiglia morti, e Holly sta avendo lo stesso incubo. Lo abbiamo avuto due volte in contemporanea. Mentirei se dicessi che non sono preoccupata».
«È strano per uno Shadowhunter avere sogni premonitori» disse George. «Sono sicuro che non è niente».
A Will invece era ghiacciato il sangue nelle vene, non solo perché c’era la remota possibilità che Rose fosse in pericolo, ma perché sapeva che sua madre, Clary, in passato aveva avuto dei sogni del genere.
«Spero tu abbia ragione» disse Rose, giocherellando con il copriletto. «Tutto ciò era per dire che non sto dormendo bene».
Will le passò la mano dalla spalla lungo il braccio un paio di volte per tranquillizzarla, come faceva con Lizzie quando era più piccola. «George ha ragione. Se vuoi posso chiamare zio Magnus così puoi chiedere consiglio a lui».
Rose scosse il capo. «No, non ce n’è bisogno, grazie» poi sorrise. «Basta parlare di me, voi due, niente di nuovo da raccontare?»
Will allontanò la mano da lei e la poggiò sul materasso. «Celine mi ha chiesto di essere il suo… damigello d’onore, credo abbia usato questo termine».
Rose e George scoppiarono a ridere e Will fu felice di aver sollevato a entrambi l’umore, nonostante fosse lui il soggetto di tale ilarità. «Bravi, prendetemi in giro, ma in realtà vuole solo il mio consiglio per i fiori, il vestito, quelle cose lì, sapete. Vestito che, tra l’altro, non ha ancora scelto».
Alla menzione dell’abito da sposa Rose si illuminò come una lampadina. «Posso venire anche io quando andate a comprarlo?»
«Credo che non ci sia alcun problema». Will alzò le spalle, distrattamente.
Era da qualche tempo che Will percepiva qualcosa all’altezza dell’avambraccio, una strana sensazione lì dove c’era la runa parabatai che lo legava a George. Non era spiacevole, era solo costante, e Will non ci aveva prestato molta attenzione. In quel momento però si era intensificata, era diventata quasi un presentimento: sapeva che c’era qualcosa che George non gli stava dicendo, e non era mai successo.
«George» iniziò. «C’è qualcosa che non va?»
George li guardò entrambi con i suoi grandi occhi scuri e poi arrossì leggermente, cosa che non era da lui; sembrava anche nervoso, il che era strano.
«Visto che stiamo parlando di matrimoni…» disse, guardandosi i piedi. «E' da tanto tempo che ci penso, e sapete che le cose a casa di Cath non vanno molto bene... Quindi, insomma... Voglio chiederle di sposarmi. So che non possiamo sposarci subito» si affrettò ad aggiungere. «Però... voglio solo chiederglielo».
«Tu vuoi cosa?» esclamò Will, che era l’ultima cosa che si sarebbe aspettato.
Rose si portò le mani al petto. «Oh, Georgi» esclamò, per poi abbracciarlo così forte che per poco non lo fece cadere dal letto.
«Chiediglielo» gli disse poi, dandogli un bacio sulla guancia. «Subito, adesso, cosa ci fai ancora qua?»
George si allontanò un po’ da lei. «Non posso. Devo aspettare il momento giusto».
«Per esperienza posso dirti che il momento giusto non esiste» disse Will mentre si alzava e faceva il giro del letto per mettersi di fronte a George. George si alzò a sua volta così che Will lo potesse stringere a sé. «Quindi ha ragione Rose» gli sussurrò all’orecchio. «Chiediglielo e basta».
Aveva aspettato così tanto il “momento giusto”, l’attimo perfetto per confessare a Rose i suoi sentimenti. Pensava di avere tempo, così tanto tempo, e quella era la fine che aveva fatto: aspettare non lo aveva portato da nessuna parte.
Rose si asciugò le guance e alzò lo sguardo su di lui. «Cosa vuol dire per esperienza? Quale esperienza? Hai anche chiesto a una ragazza di sposarti senza dirmelo?»
George si mise a ridere, ma Will si immobilizzò. Ancora una volta si era spinto troppo in là, era scivolato su quel mare di sentimenti che si stava sforzando così tanto di nascondere. Prima o poi lo avrebbero sommerso e si sarebbe lasciato trascinare dalle onde, come un naufrago che troppo stanco per lottare si arrende alla forza dell’oceano.
«No» disse. «Nessuna proposta».
Rose passò una mano sul copriletto e sospirò. «Sarai sempre uno scapolo d’oro, Will Herondale. E io che avrei puntato tutto su George».
Will non disse niente, non aveva niente da dire.
Sua sorella Celine aveva ragione: era il re degli idioti.
 
Rose tornò a casa dopo pranzo, e Will e George andarono ad allenarsi nella palestra dell’Istituto. Lì vi trovarono Lizzie e Marisol intente ad esercitarsi con la katana, così prese dal combattimento che a mala pena si accorsero del loro arrivo.
George afferrò due spade angeliche e ne lanciò una a Will.
«Michele» la chiamò, e questa si illuminò.
«Raffaele» disse invece Will, sentendo la familiare scarica di adrenalina che accompagnava l’attivazione di una spada; era come se questa prendesse vita dalle ceneri per bruciare nella sua mano.
«Dovresti davvero dirglielo». George si rigirò l’arma tra le mani e lo guardò con aria di sfida.
Will sapeva che cosa intendeva: dovresti dirlo a Rose. Aveva avuto quella conversazione così tante volte che non aveva più la forza per replicare. Perciò si limitò ad alzare la spada contro il suo parabatai; George parò il colpo con un ghigno e fece un affondo che avrebbe colpito Will nel fianco sinistro se non si fosse spostato con prontezza.
«Sono serio» continuò George. «Secondo me sbagli a dare per scontato che Rose non provi niente per te».
Stavano girando in cerchio, la guardia alta, pronti a parare qualsiasi attacco dell’altro. Ma Will sapeva che non sarebbero mai riusciti a cogliersi di sorpresa: erano parabatai, si allenavano insieme da quando ne avevano memoria e Will era in grado di prevedere la prossima mossa di George ancora prima che lui decidesse quale fosse.
Will si scagliò di nuovo contro di lui, ma George lo evitò prontamente balzando di lato. Will girò su se stesso e tornò all’attacco con più ferocia, tanto che dopo qualche tentativo riuscì a disarmarlo e a tirargli una ginocchiata nello stomaco.
«È inutile che sfoghi la tua rabbia repressa su di me» grugnì George. «La situazione non camb…»
Will lo spintonò a terra. «Ti tiro un’altra ginocchiata se non la smetti di parlare».
George emise un verso strozzato. «No, grazie».
«Tutto bene, voi due?» Chiese Marisol, scrutandoli con occhio critico.
Will sorrise smagliante. «Va tutto benissimo. George stava solo controllando lo stato del pavimento. Come ti sembra, George? Abbastanza solido e resistente?»
George gli rivolse un’occhiataccia dal basso verso l’alto e Will gli tese una mano per aiutarlo ad alzarsi; George la accettò e si tirò in piedi. I suoi capelli scuri sparavano in tutte le direzioni e cercò di appiattirseli sul capo, peggiorando solo la situazione.
«Pensaci» disse poi. «Qual è la cosa peggiore che può succedere?»
Will sbuffò. «Adesso ti prendo a pugni».
George ghignò. «Non lo faresti. Tu dai per scontato che se le confessassi quello che provi, lei ne rimarrebbe talmente disgustata che smetterebbe di parlarti. Corretto?»
Will chiuse gli occhi e contò fino a dieci, cercando di calmarsi e di non assassinare il suo parabatai. Quando George si metteva in testa qualcosa sapeva essere incredibilmente testardo, non aveva senso opporsi all’inevitabile: quel pomeriggio avrebbero parlato di Rose, che Will lo avesse voluto o no.
«Sì» rispose rigidamente. «È esattamente ciò che credo accadrebbe».
«Ma perché?» George scosse il capo. «Sei proprio un idiota».
«Grazie, ma ho già ricevuto la mia dose di insulti per…»
«William» disse George, i suoi occhi scuri lo stavano guardando con serietà, cosa che non accadeva spesso quando si trattava di George. «Smetti di fare il finto modesto: sei divertente, hai pazienza, così tanta pazienza che a volte penso che non sia normale, sei gentile e sai disegnare. E poi non ce l’hai uno specchio? Qualsiasi ragazza che conosco muoverebbe carte false per poter stare con te. Be’, a parte Cath…» si accigliò per un istante. «Credo».
«George!»
«Sto scherzando» disse George, alzando le mai in segno di resa. «Sto scherzando per quanto riguarda Cath, ma non per tutto il resto».
«Non basta un bel viso perché una persona si innamori di te». Will ripose la spada nel suo fodero e poi alzò lo sguardo sul suo parabatai. «Non funziona così».
Will si diresse verso l’uscita della palestra e George, dopo aver gettato la sua spada a terra e essersi beccato qualche insulto da Marisol, lo seguì di corsa. «Dimentichi la cosa più importante: Rose ti vuole bene».
Will si fermò nel mezzo del corridoio e si voltò verso il suo parabatai, che era qualche centimetro più alto di lui. «Il fatto che mi voglia bene non implica che sia anche innamorata di me».
«Magari non lo è». George alzò le spalle. «E allora? Tu devi solo dirle come ti senti, non puoi controllare il resto. Magari non ricambierà i tuoi sentimenti e soffrirai da morire, ma almeno potrai andare avanti con la tua vita una volta che te ne sarai fatto una ragione».
«Andare avanti?» Chiese Will, sentendo la sua voce tremare leggermente. «Non potrò mai andare avanti. Ho sempre amato solo lei, desiderato solo lei, per anni. Non si torna indietro da qualcosa di così grande. Amare Rose ormai fa parte di ciò che sono. Vorrei che non fosse così, ma lo è e non posso fare niente per cambiare le cose».
George sospirò. «Puoi darti, e darle, una possibilità».
Will per la prima volta si ritrovò a considerare la possibilità che George avesse ragione. Era così stanco, così stanco di fingere, di nascondere come si sentiva davvero. Rose non lo avrebbe mai odiato per quello che provava, se lo avesse fatto non sarebbe stata la Rose che lui tanto amava.
«Le dirò tutto non appena chiederai a Cath di sposarti» fece Will con tono di sfida.
George sostenne il suo sguardo. «Non dovresti mentire a me».
Will sbuffò. «Perché ti importa così tanto?»
«Perché mi importa? Perché sei tu. Sei il mio parabatai, il mio migliore amico, e lo sento quando stai male, lo sento qui» disse, allungando il braccio e indicando il punto dove Will gli aveva disegnato la runa che li avrebbe legati per sempre. «È da anni che lo sento, una costante sensazione di malessere all’altezza dell’avanbraccio. Non voglio che tu sia triste. Voglio che tu sia felice».
Will abbassò il capo, a corto di parole. «Mi dispiace».
George gli si avvicinò e lo prese per le spalle, scuotendolo leggermente. «Sarebbe un privilegio essere amati da te, William. Dovresti solo iniziare a crederci».

Quella sera Will non riusciva a prendere sonno. Le parole di George gli martellavano nel cervello, contro le tempie, minacciando di rompergli il cranio in due.
Sarebbe un privilegio essere amati da te, William.
Davvero? E anche se lo fosse stato, a Rose sarebbe importato?
Magari avrebbe davvero potuto buttarsi; il salto era troppo alto, lo sapeva, ma era un salto che prima o poi avrebbe dovuto affrontare. Non poteva andare avanti in quel modo, non poteva vivere così.
Forse dirlo, dirlo soltanto, lo avrebbe aiutato. Non l’avrebbe sfiorata se Rose non avesse voluto che lui lo facesse, le avrebbe soltanto aperto il suo cuore, glielo avrebbe offerto su un piatto d’argento, sarebbe poi spettato a lei decidere che cosa farsene.
E Logan?
Rose non gliene aveva parlato molto. Da quando si erano messi insieme era come se lei cercasse di cambiare discorso ogni volta che l’argomento saltava fuori, così che Will non sapeva niente: non sapeva cosa lei provasse per lui, non sapeva se la facesse stare bene, se la facesse ridere, se lo amasse.
Il suo telefono vibrò e Will allungò una mano per prenderlo dal comodino.
Era proprio Rose, come se avesse in qualche modo percepito che stava pensando a lei. Rose, che gli chiedeva se era sveglio.
Sì, le scrisse velocemente. Era quasi mezzanotte, ma non riusciva a dormire.
La risposta di lei arrivò quasi altrettanto repentina: Puoi venire qui, per favore?
Will non si preoccupò nemmeno di mandarle un altro messaggio: si alzò, afferrò il proprio stilo e iniziò a tracciare una serie di rune nell’aria davanti a sé. Lo aveva fatto così tante volte che non doveva più nemmeno concentrarsi, gli veniva naturale come respirare.
Di solito, quando andava da Rose, apriva un portale nel corridoio davanti alla sua porta, ma quella sera si ritrovò nella camera di lei senza rendersene conto.
Rose stava camminando avanti e indietro, intrecciando delle ciocche di capelli tra di loro, cosa che faceva quando era nervosa o sotto pressione.
Quando si accorse che Will si era materializzato a pochi passi da lei sobbalzò e si portò una mano al petto.
«Scusami» disse Will. «Non volevo spaventarti».
Rose lo guardò con i suoi grandi occhi verde-azzurro e annuì vagamente, riprendendo a camminare avanti a indietro.
Diglielo, gli intimò la voce nella sua testa che somigliava a quella di George. Adesso. Smetti di pensare e dillo e basta.
Io ti amo, Rose. E se tu non provi lo stesso per me va bene, continuerò a esserti amico, avevo solo bisogno che lo sapessi.
Ti amo.
Dillo, Will. Dillo.
Will si sedette sul bordo del letto -gli stavano iniziando a tremare le ginocchia- e la osservò. Sembrava che fosse appena tornata a casa, o che si stesse preparando per uscire: indossava un vestito rosa che le arrivava sopra al ginocchio e che le lasciava scoperte le spalle. Will, al contrario, non si era cambiato, si era precipitato subito da lei e portava ancora i pantaloni del pigiama e la felpa che le aveva prestato quella mattina.
Prese un respiro profondo e si buttò, senza paracadute, senza qualcuno o qualcosa che attutisse la caduta. Si buttò e basta. «Devo dirti una cosa» iniziò.
Rose alzò lo sguardo su di lui e a Will morirono le parole in gola. Qualcosa non andava. Quando era arrivato non aveva notato che le guance di Rose erano bagnate di lacrime o che i suoi occhi fossero arrossati.
Will si alzò e con due falcate le fu di fronte. «Cos’è successo?»
«Non saresti dovuto venire qui adesso» disse lei. Aveva le braccia strette attorno al petto come se avesse freddo, e Will vide che si era graffiata là dove aveva premuto con troppa forza le unghie nella carne.
«Cos’hai fatto lì?» le chiese serio. Non tollerava che qualcuno ferisse Rose, nemmeno se quel qualcuno era lei stessa.
Rose seguì il suo sguardo e allungò le braccia lungo i fianchi, liberandosi da quella presa nella quale lei stessa si era imprigionata. «Non me ne sono accorta, ma è l’unico modo che ho per avere un po’ di silenzio. Nella mia mente c’è sempre così tanta confusione, a volte ho solo bisogno di…» Rose chiuse gli occhi e le scappò una lacrima che si affrettò ad asciugare con la mano. «Dovrei davvero fare una doccia e indossare qualcosa di più comodo. Tu aspetta qui».
Will non capiva e si stava iniziando a preoccupare. Le si avvicinò, una mano già tesa verso di lei, ma Rose fece un passo indietro e sbatté la schiena contro la porta del bagno.
«Va tutto bene?» Will non capiva, sembrava che avesse quasi paura di lui.
«Sì, certo» cercò di sorridergli lei, ma non fu per niente convincente. «Torno subito».
«Lasciami almeno…» Will non ebbe il tempo di concludere la frase che Rose si era già infilata nel bagno e aveva aperto l’acqua della doccia.
Will prese un libro dalla scrivania e si sedette sul letto, sopra alle coperte, per poi accendere la lampada a forma di luna che Rose aveva sul comodino. Si sistemò qualche cuscino dietro la schiena, Rose ne aveva tantissimi, e lesse il titolo del libro: “Introduzione alla fisica quantistica”.
Stai scherzando? Pensò Will con una smorfia, gettando il volume ai piedi del letto, senza neanche provare a leggerlo. Gli stava venendo un po’ di sonno ed era sicuro che la fisica quantistica lo avrebbe solo fatto addormentare. Inoltre non aveva i suoi occhiali con sé, quindi avrebbe avuto qualche difficoltà con la lettura. Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, cercando di rilassarsi e di non pensare al modo in cui Rose lo aveva guardato poco prima, come se lui fosse tutto ciò che desiderava ma che non aveva il permesso di avere. Will era convinto di esserselo immaginato, perché le sarebbe bastato dirlo e lui sarebbe stato suo.
Quando riaprì gli occhi, Rose era inginocchiata sul letto accanto a lui. La luce della lampada splendeva dietro di lei conferendole un’aria quasi eterea, surreale.
«Sei davvero tu?» chiese Will.
Rose si mise a ridere, ma Will non stava scherzando. «Sì, ti sei solo addormentato» disse lei. Poi si morsicò il labbro. «Mi dispiace averti fatto venire qui. Puoi tornare a casa a dormire se vuoi».
Will sbatté le palpebre un paio di volte e si riprese immediatamente. «Non vado da nessuna parte finché non mi dici cos’è successo».
Rose aveva indossato una canottiera sformata e dei pantaloncini della tuta, e questa volta si era asciugata i capelli. «Ho una teoria» iniziò a bassa voce. «Credo che tutti noi abbiamo una persona per la quale lasceremmo il nostro promesso sposo all’altare, se solo questa si presentasse il giorno del matrimonio chiedendoci di scappare con lei».
Will aggrottò le sopracciglia, non capendo dove volesse andare a parare. «Rose, io non…»
«Dovremmo tutti stare con quella persona» continuò lei. Stava parlando velocemente, mangiandosi quasi le parole «Quella che non lasceremmo all’altare per nessun motivo, quella che sposeremmo anche se l’universo fosse sul punto di esplodere, che seguiremmo anche in capo al mondo».
Will deglutì, incapace di dire alcunché, e lei proseguì. «Logan non è quella persona e penso di averlo capito sin dal primo appuntamento. Però mi sono detta che mi stavo comportando da stupida: non tutti sono così fortunati da poterla trovare subito, no? Alcuni non la trovano proprio…» Rose alzò gli occhi, scuri nella penombra della stanza, su di lui. «Altri la trovano ma non possono starci insieme».
Will le prese la mano e gliela strinse, sostenendo il suo sguardo. Si era avvicinato senza accorgersene, o lei si era avvicinata a lui, non lo sapeva. Gli sarebbe bastato pochissimo per baciarla.
Rose gli poggiò una mano sulla guancia e Will temette di andare a fuoco, il cuore gli batteva così forte contro al petto da fargli male.
Adesso la bacio, si disse. Fanculo la dichiarazione. Fanculo le conseguenze.
Stava per chiudere gli occhi, quando Rose emise un verso strozzato e lo abbracciò, seppellendo il viso nell’incavo del suo collo.
Will la strinse a sé e le accarezzò piano la schiena, cullandola avanti e indietro come aveva fatto tante volte con Lizzie quando era più piccola. Rose stava piangendo e Will si sentì un idiota per aver pensato a sé e a ciò che lui desiderava in un momento del genere.
Rose profumava di menta, di fresco e di mare, e Will le diede un casto bacio tra i capelli, per poi sussurrarle piano all’orecchio che sarebbe andato tutto bene, anche se non aveva idea di che cosa le fosse successo.
Quando si fu calmata si allontanò un po’ da lui, quanto bastava per poterlo guardare in faccia, e Will le asciugò le lacrime dalle guance con il pollice.
«Non sopporto quando piangi, Rose» disse. «Non lo sopporto».
Rose si mise a ridere e prese un fazzoletto per soffiarsi il naso.
«Meglio» le sorrise Will.
Rose lo guardò per qualche istante e poi incurvò le spalle, sgonfiandosi come un palloncino. «Sono andata a letto con Logan» disse. «Ieri per la prima volta».
Fu come se lo avesse schiaffeggiato. Will si impose di rimanere immobile, di non lasciar trasparire tutta la gelosia e la disperazione che lo attraversavano se solo pensava a Logan che la sfiorava, che la baciava, che poteva stare con lei in tutti i modi in cui lui non avrebbe mai potuto.
«Perché?» riuscì a chiederle Will. La sua voce era spezzata, ma non gli importava. Doveva sapere. «Prima hai detto che Logan non è quella persona, quella per cui lasceresti chiunque all’altare, e che lo hai sempre saputo. Allora perché?»
Rose distolse lo sguardo. «Perché non tutti hanno la fortuna di poter stare con qualcuno che amano così tanto».
«Ma tu lo ami, almeno un po’?» insistette Will. «Logan. Sei innamorata di lui?»
«No». Rose ci pensò un attimo, come se non sapesse come continuare. «Non ero pronta perché non credevo che fossimo già a quel punto della relazione, ma quando gli ho detto che avrei preferito aspettare mi ha guardato come se fossi impazzita e mi sono sentita uno schifo. E alla fine mi ha convinta. È stato… imbarazzante. Brutto». Rose fece una smorfia. «Credevo fosse normale, essendo la prima volta, no? Ma questo pomeriggio è successo di nuovo, e poi Logan mi ha chiesto di passare la notte da lui e non ce l’ho fatta. Il solo pensiero che mi tocchi di nuovo mi mette ansia, mi fa rabbrividire. Allora ho rotto con lui e quando mi ha chiesto il perché gli ho detto la verità, ovvero che non sono innamorata. Ma non l’ha presa bene, ha detto... Ha detto che non c’è bisogno di amare qualcuno per fare sesso. E forse ha ragione e ho qualche problema, ma io ne ho bisogno. Altrimenti questo» e si indicò con un dito tremante. «È il risultato». Si soffiò di nuovo il naso e proseguì. «Me ne sono andata e lui mi ha dato della troia, non so esattamente il perché dato che il punto della questione era proprio che non volessi andare a letto con lui. Will. Will…» Rose gli tirò piano la manica della felpa. «Ti prego, di’ qualcosa. So che mi sono comportata da stupida e che sei deluso da me, ma ti prego…»
Will alzò lo sguardo su di lei, sentiva le orecchie fischiare e il sangue pulsargli nelle vene, una rabbia cieca si era impossessata di lui, ne riusciva a sentire il sapore in bocca. «Io lo uccido» disse, la voce così ferma e calma da far quasi paura a lui stesso. «Sono serio, Rose. Deve sperare di non incontrarmi mai, perché io gli faccio male».
Rose gli si avvicinò e gli mise le mani sulle spalle. «No no no» si affrettò a dire. «Non è colpa sua».
«Non iniziare» la fulminò Will, sempre con una calma innaturale che non rispecchiava ciò che davvero provava. «Non ti azzardare a non dargli neanche un briciolo di colpa, perché di sicuro è colpevole per essere uno stronzo insensibile».
Will non riusciva a processare quanto aveva appena scoperto: il solo pensiero che Logan l’avesse fatta sentire così sbagliata da convincerla a compiere un passo tanto importante lo mandava su tutte le furie. Ma più di tutto, lo faceva infuriare il fatto che Rose avesse pensato di non meritare niente di meglio di Logan Ashdown.
«Forse hai ragione» gli disse. Poi sorrise. «In ogni caso, sto esagerando. Mi passerà, voglio dire… fa niente. Spero di non rivederlo più e basta».
«Rose». Will voleva rompere qualcosa, distruggere qualcosa. «Promettimi che non penserai mai più di valere così poco. Per favore. Se non vuoi farlo per te, fallo per me. Lo puoi fare per me?»
Rose spalancò leggermente le labbra e poi annuì. Will le accarezzò i capelli e glieli sistemò dietro a un orecchio. «Ti meriti molto meglio di così. Molto meglio. Perché sei bellissima, e gentile, e incredibilmente intelligente, e odio che tu non te ne renda conto. Lo odio».
Rose trattenne il fiato e Will ebbe paura di essersi spinto troppo in là, ma ormai era troppo tardi: aveva fatto cadere i muri che aveva eretto attorno a sé durante tutti quegli anni e le stava parlando con il cuore in mano. L’avrebbe baciata, se la situazione fosse stata diversa, ma quella sera non avrebbe mai potuto.
«Sarà meglio che vada» disse allora, facendo appello a tutta la sua forza di volontà. «Non c’è niente di sbagliato in te, Rose. Mi piaci così come sei».
Rose sospirò e si infilò sotto alle coperte, mentre Will si alzava dal letto. «Grazie per essere passato, so che è tardi a New York».
«Ci sono sempre per te, Rose. Non devi ringraziarmi» Will prese lo stilo dal comodino, ma Rose lo fermò, afferrandogli delicatamente il polso. «Puoi rimanere qui stanotte? Per favore… non voglio stare da sola, se dovessi avere di nuovo quell'incubo non credo che riuscirei a sopportarlo, non oggi».
Lo aveva convinto al puoi rimanere qui stanotte. «Certo».
Rose trasse un sospiro di sollievo e si fece da parte, alzando le coperte. Will spense la luce e la raggiunse; si stava per sdraiare accanto a lei quando Rose gli tirò la manica della felpa. «Questa dovresti toglierla» disse, guardandolo dal basso verso l’alto, i capelli sparsi sul cuscino. «Non fa così freddo».
Will deglutì. «Non ho niente sotto».
Rose gli sorrise. «E allora? Come se non ti avessi mai visto senza maglietta. Toglila lo stesso».
Will si sfilò la felpa dalla testa e si infilò sotto alle coperte. Si girò di lato e trovò i grandi occhi di Rose che lo fissavano intenti.
Che cosa si aspettava da lui? Doveva abbracciarla? O mantenere le distanze?
Le si avvicinò impercettibilmente, quanto bastava per sentire il calore del suo corpo e il suo respiro sulla pelle. Rose lo notò e Will si diede dello stupido, temendo che si allontanasse. Invece Rose lo fece sdraiare sulla schiena, per poi poggiargli la testa sulla spalla e passargli un braccio di traverso sul petto. Will la strinse a sé, pensando che non si sarebbe mai più ripreso da quella notte e che la sensazione di averla tra le sue braccia lo avrebbe tormentato ogni volta che avesse chiuso gli occhi. Ma non gli importava, perché ne sarebbe valsa la pena.
«Grazie, Will». Il respiro di Rose gli sfiorò il collo e Will sentì un brivido corrergli lungo la spina dorsale.
«Sono qui» la rassicurò lui, accarezzandole piano la schiena, sperando di curare in qualche modo la ferita ancora aperta che Logan le aveva lasciato. «Ora dormi, Rose».
Rose chiuse gli occhi e, dopo averla osservata per qualche secondo per imprimere quell’immagine nella sua mente per sempre, li chiuse anche lui.


NOTE DELL'AUTRICE
Ecco qua il nuovo capitolo! 
Spero che vi piaccia. Povero Will, proprio quando si decide a dichiararsi a Rose succede il finimondo. Mandiamogli un abbraccio virtuale per averci provato. 
Scherzi a parte, Will dopo aver visto Rose così abbattuta non avrebbe mai potuto né toccarla né mandarla ancora più in paranoia con una dichiarazione. Will è davvero incazzato con Logan, vero, ma aspettate che lo scopra George. xD
La colpa di Logan è quella di aver dato per scontato che Rose volesse andare a letto con lui e che lei stesse solamente cercando di "farsi desiderare", cosa non vera, perché quando Rose gli ha detto di non essere pronta e che se non se la sentiva, non si sentiva pronta e non se la sentiva per davvero, dato che non provava qualcosa di abbastanza forte per lui. Okay, gli piaceva, era simpatico, ma PER ROSE non era abbastanza per fare qualcos'altro, mentre per Logan (che non è mica innamorato perso di Rose, la trova bella, simpatica e intelligente ma finisce lì anche per lui) invece lo era. Non erano "on the same page" e Logan al posto che rispettare la posizione di Rose, non ci ha dato importanza e l'ha fatta sentire sbagliata. Rose già si sente strana di per sé (tenete conto che nella società degli Shadowhunters la tecnologia e tutto ciò che riguarda il mondo dei babbani è un tabù), se ci si aggiunge Logan il risultato non può che essere una Rose che sta abbastanza male perché pensa di aver sbagliato qualcosa e non capisce che cosa. 
Niente, spero che vi sia piaciuto!
A presto,

Francesca 

 
  
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