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Autore: PetitGarcon    17/10/2017    0 recensioni
"Ho sognato. Ho sognato l'abisso. Io ero l'embrione fluttuante nelle le alghe-utero e poi il feto immobile, in attesa della luce che non sarebbe mai arrivata"
In una spasmodica Parigi del dopoguerra Jaques-Luis David, convinto di essere la quattrocentocinquantaduesima reincarnazione del famoso pittore del XVIII secolo, tenta la fortuna come poeta. Attraverso la letteratura si mescolerà alle altre vite randage della città fino a divorarle completamente.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest | Contesto: Storico
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Prologo







 
Ho sognato. Ho sognato l’abisso. Io ero l’embrione fluttuante nelle le alghe-utero e poi il feto immobile, in attesa della luce che non sarebbe mai arrivata.
Il sogno nel sogno è questa non vita, morire fa male.

Perché si ha paura della morte? E’ il trauma inconscio delle gli orrori di carne e sangue dell’inferno cristiano? O forse è il vuoto, la muta consapevolezza che smetteremo di essere, un giorno, e che non ci è dato sapere quando.

Si pensa che nessuno possa tornare dalla morte, che il miracolo della resurrezione sia un dogma a cui si ci genoflette; il pezzo di pane che è carne viva e sangue pulsante.
Ma se non posso ritornare ad esistere nella realtà fenomenica, che mi si lasci il tempo per raccontare! Una sola notte, tornare, tornare! E raccontare una storia insulsa, una sola e poi sparirò!

Essere morto è uno strano modo di vivere: il freddo mi penetra nelle ossa con l’insolenza di uno spillo, egli è vivo, è l’entità che domina questo regno sovrapposto a quello dei mortali eppure intangibile. E’ l’inverno eterno, qui nulla nasce, i campi sono di cemento, non muoiono mai.
Qui io vedo ogni cosa. Il mio occhio è l’iride di Dio. 

Io vivo, muoio, esisto, vagando per questo dedalo di corridoi deserti. E’ la loro vuotezza che mi spaventa, l’assenza del tutto ed in quell’assenza il rombo del mio sangue ed il mio cuore, il mio cuore... Io non posso accettare questa non-vita randagia e cerco. Cerco correndo e dilaniandomi in pianto, la via d’uscita del labirinto. Lì è la vita.

Ho incontrato solo una volta in questi corridoi la figura sbilenca e malata di un Caronte con i buchi alle orecchie e lo smalto rovinato. Mi disse che un giorno ritornerò da dove sono venuto, tra i destini dei mondi immobili*. E allora capii che qui è Inferno.

Caronte mi ha abbandonato, due scheletri truccati che appena si sfiorano. Caronte mi ha rivelato l’Inferno.


Ma è un’altra storia che io devo raccontare, se non la raccontassi svanirei, ed il mio respiro, unico compagno nel mio esodo solitario, cesserà. Il colossale labirinto sarà distrutto dai Titani ed io sarò il nulla che non genera e tuttavia perdura. 








*Camus (la Morte Felice 1971)

 
   
 
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