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Autore: Civaghina    02/11/2017    4 recensioni
Com'era la vita di Leo, prima della terribile scoperta della Bestia?
Com'è cambiata la sua vita quando si è trovato davanti ad una verità così devastante?
La storia di Leo prima di Braccialetti Rossi, ma anche durante e dopo: gioie, dolori, amori, amicizie, passioni, raccontate per lo più in prima persona, sotto forma di diario.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leo, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mercoledì, 28 dicembre 2011

Irene si sveglia presto, stamattina: il sole è appena sorto e la camera da letto è ancora in penombra; Matteo sta ancora dormendo, e lei si prende qualche momento per guardarlo, prima di alzarsi; allunga una mano ad accarezzargli il viso, dove la barba è già ispida e pungente, seppure si sia rasato ieri mattina; si alza dal letto lentamente (la mattina è sempre il momento più difficile), e indossa il suo cardigan di lana grigio, quello che ormai è liso in vari punti e che nessuno in casa sopporta più di vederle indosso, ma a cui lei è affezionata e non vuole separarsene.

La porta della stanza di Asia è socchiusa, e Irene ne approfitta per dare un'occhiata dentro ed assicurarsi che non si sia addormentata sui libri, seduta alla scrivania, come è già successo innumerevoli volte: no, stavolta è nel letto, rintanata sotto il piumone; va poi verso la stanza di Leo e abbassa piano la maniglia per aprire la porta senza disturbarlo: Leo dorme sempre con la porta chiusa, da quando aveva sei anni; entra con passi leggeri e si avvicina al letto per toccarlo e sentire se ha la febbre: no, è fresco; sorride sollevata e poi non resiste alla tentazione di sprofondare una mano tra i suoi capelli; lui mugugna qualcosa nel sonno e si gira dall'altra parte; lei gli rimbocca la trapunta e poi esce dalla stanza, richiudendo piano la porta.


Va in cucina a prepararsi il caffè; non il decaffeinato, no, oggi ha bisogno del caffè, quello vero; la giornata si preannuncia tosta; alla fine, ieri ha telefonato alla Lisandri: non ce l'ha fatta ad aspettare fino ad oggi, perché lei le cose le prende di petto e quando una cosa è decisa, è decisa, ed è inutile rimandare; così stamattina ha appuntamento con la Strega, come la chiama Leo, per parlare del nuovo piano terapeutico: sì, decisamente ci vuole proprio il caffè, quello vero; apre le tende del soggiorno e va sul balcone, a respirare l'aria del mare e a dare il buongiorno ai suoi ciclamini e alle sue viole; e anche all'erica, certo; è così rassicurante l'erica: è sempre lì, mese dopo mese, stagione dopo stagione, resiste a tutto; vorrebbe essere come lei, vorrebbe che fosse così facile; vorrebbe proprio che fosse così facile, adattarsi, resistere, vivere.

Rientra in casa perché comincia ad avere freddo, e poi ormai il caffè dev'essere pronto; prende la tazzina che usa sempre nel periodo natalizio: quella che le ha regalato Asia tanti anni fa, dopo averci dipinto sopra una stella di Natale, e la riempie quasi fino all'orlo; ha il bordo sbeccato, ma anche da questa fa fatica a separarsi: sì, lei si affeziona alle cose, non vuole mai buttare via niente, e la sua famiglia non fa che prenderla in giro per questo; fa il caffellatte per Leo e lo mette in frigo, poi lava la moka e la prepara di nuovo, appoggiandola sul fornello spento, già pronta per Asia e Matteo; prende una manciata dei biscotti fatti da Asia e li mette su un piatto, insieme alla tazzina; si vede proprio che Leo ha mal di gola, altrimenti sarebbero già finiti di sicuro; decide di andare a fare colazione raggomitolata sul divano: quando è da sola le piace fare così; lancia un'occhiata di sfuggita all'albero di Natale, poi lo guarda di nuovo e vi si sofferma: Leo può raccontargliela quanto vuole, la storia della prospettiva, ma quell'albero è proprio storto; sorride tra sé e sé e si alza per accendere le lucine: di solito non lo fa mai la mattina, ma adesso le sembra che le facciano compagnia, nel silenzio in cui è immersa la casa, interrotto solo dal sottofondo della caldaia e dal ticchettare dell'orologio alla parete.

Guarda l'orologio e sospira: vorrebbe che il tempo si fermasse, non vuole che arrivino le 10:30, non ha voglia di andare a quell'appuntamento; non ha voglia di sentir parlare di tutto quello che la aspetta.

Di nuovo.

Eppure sa che non ha scelta.

O meglio, la scelta ce l'ha, ma nessuna delle alternative è allettante.

Non vuole ricominciare tutto da capo, ma allo stesso tempo non vuole mollare.

Non può mollare.

Forse, se fosse da sola lo farebbe.

Mollerebbe tutto.

Al diavolo il cancro, l'ospedale, la Lisandri, la chemio.

Al diavolo tutto.

Se ne andrebbe in uno di quei posti dove c'è sempre caldo, uno di quelli che vede sempre nei cataloghi dell'agenzia di viaggi, che puntualmente ogni primavera prende in prestito per programmare le vacanze, anche se lo sa già che ormai, da anni, la spiaggia è sempre la stessa, quella vicino casa: Matteo ha sempre dei contrattempi sul lavoro, i ragazzi non vogliono lasciare gli amici, e l'arrivo della malattia ha completato il quadro.

Se potesse, stamattina andrebbe all'agenzia di viaggi, anziché in ospedale, ma non può.

Lo farebbe.

Lo farebbe davvero.

Ma non può.

Non può lasciare la sua famiglia.

Non può lasciarla senza averci provato ancora una volta.

Non può perdersi la laurea di Asia e il giorno in cui le telefonerà tutta orgogliosa per dirle che ha ottenuto quel ruolo importante sul lavoro, in barba a tutti i suoi colleghi uomini.

E Leo? Chissà cosa farà, cosa vorrà essere o diventare...; al momento non riesce proprio a prevederlo, ma è ancora così giovane, ha tutto il tempo per scoprirlo; di una cosa lei è sicura: qualsiasi cosa Leo vorrà ottenere, con quel sorriso disarmante e con quella testa dura, non ci sarà niente di impossibile per lui. E poi, non può di certo perdersi il giorno in cui si ritroveranno, come accade spesso, seduti da soli al tavolo della cucina, a sera inoltrata, a parlare di ragazze, e lui le confiderà, con quel sorrisetto a metà tra l'imbarazzato e il malizioso, che stavolta è diverso, che stavolta si è innamorato.


E non può perdersi Matteo.

E Matteo non può perdersi lei.

Si sono voluti dalla prima volta che si sono visti: quella volta in cui lei era passata a salutare suo padre in caserma, uscendo dallo studio legale dove svolgeva il praticantato da avvocato, che era lì a due passi; era stato un colpo di fulmine; anzi, era stato assolutamente un fulmine vero e proprio che aveva fatto irruzione nella sua vita ordinaria, programmata, prestabilita; quella vita che non faceva per lei e all'interno della quale si muoveva per inerzia, soffocando il suo sconfinato mondo interiore.

A Matteo era bastato uno sguardo per farla vacillare, per farle mettere in dubbio tutto ciò che era stata la sua vita fino ad allora; Irene aveva cominciato a passare dalla caserma sempre più spesso, prima con la scusa di salutare suo padre, poi soprattutto quando sapeva benissimo che non lo avrebbe trovato, finché, un giorno, Matteo le aveva proposto di andare a bere insieme qualcosa, nonostante non gli fosse sfuggito il suo vistoso anello di fidanzamento.

E così, in un pomeriggio di metà febbraio, lui era passato a prenderla fuori dallo studio legale, con la sua Panda sgangherata, e l'aveva portata in una piccola cioccolateria fuori Brindisi; fuori faceva molto freddo e quella cioccolata calda le era sembrata la cosa più deliziosa che avesse mai assaggiato, oltre ad averla scaldata a dovere; o forse, era stato Matteo a scaldarla, seppure quel pomeriggio non l'avesse sfiorata, nemmeno per sbaglio: gli erano bastati quegli occhi che non le toglieva di dosso e quella voce avvolgente; è vero, lei aveva parlato molto di più (lui non è mai stato un uomo di molte parole) ma quelle poche cose che le aveva detto, l'avevano irrimediabilmente conquistata.


Si erano rivisti, due giorni dopo, e stavolta sì, che l'aveva sfiorata; e poi l'aveva pure baciata, anche se forse sarebbe più corretto dire che era stata lei a baciare lui.

E si erano visti ancora, nonostante lui si facesse mille paranoie sul fatto che lei fosse fidanzata e sul fatto, quasi perfino più determinante, che suo padre fosse il suo capo; ma avevano continuato a vedersi, ed era arrivata la fine dell'inverno, e avevano fatto l'amore, in una sera di pioggia, sul vecchio divano della mansarda vicino al porto dove lui viveva in subaffitto; e il rumore della pioggia che batteva forte sull'abbaino si era mescolato a quello dei loro respiri affannati e delle molle cigolanti del divano; e tutt'oggi, quando Irene sente la pioggia non può che ripensare a quella sera, a quella loro prima volta, e a tutte le volte che vennero dopo, perché ne vennero molte altre, e passò la primavera e poi arrivò l'estate; e la mansarda in estate era davvero rovente, e facevano l'amore con la finestra aperta, respirando l'odore del mare che arrivava prepotente, fin lassù; e sarà stato per questo che poi, quando fu ora di comprare casa insieme, lei ne volle, a tutti i costi, una che affacciasse sul porto, per poter sentire ogni giorno l'odore di quei giorni felici; perché quei giorni lo erano stati davvero, felici, anche se lei era ancora fidanzata, anche se la data del matrimonio si avvicinava sempre più, come una spada di Damocle che pendeva sulle loro teste, e lei non aveva il coraggio di dire la verità e di mandare tutto a monte.


I loro giorni insieme sembravano ormai segnati, destinati a finire, ma per fortuna era arrivata Asia.

Era arrivata Asia a svegliarla, come uno schiaffo violento che ti arriva in pieno viso.

Era arrivata Asia a salvarla.

Dieci giorni prima della data del matrimonio, aveva scoperto di essere incinta e sapeva per certo che il padre del bambino non potesse essere il suo fidanzato: nell'ultimo mese era stato spesso via per lavoro e, anche quando si erano visti, erano più concentrati sugli ultimi preparativi del matrimonio, piuttosto che su altro.

Erano serviti tre giorni, ad Irene, per trovare il coraggio di dirlo a Matteo, e lui aveva accolto quella notizia, che a lei era sembrata una catastrofe, come un bellissimo segno.

Vieni via con me” le aveva detto, in quella calda domenica mattina di fine agosto; e lei non ci aveva pensato un solo istante: era tornata a casa, mentre suo padre non c'era, aveva infilato, in fretta e furia, tutto il possibile in un paio di valigie e, quel pomeriggio stesso, si era trasferita nella mansarda sul porto.

Il coraggio di affrontare il suo fidanzato non lo aveva avuto, e tanto meno quello di affrontare suo padre: gli aveva scritto una lettera, dove gli spiegava tutte le sue ragioni e gliel'aveva lasciata sulla scrivania dello studio, insieme all'anello di fidanzamento, pregandolo di restituirlo da parte sua.

Il cigolare della porta del bagno le segnala che qualcuno si è alzato, probabilmente Matteo; Irene sospira e si passa una mano tra i capelli, pensando che presto le toccherà rinunciarvi di nuovo, mentre riemerge da tutti quei ricordi e torna al presente.


Ehi! Sei già in piedi?!” esclama mamma, sorpresa, quando mi vede arrivare in soggiorno.

Eh, ieri ho dormito un sacco!” le rispondo dandole un bacio, per poi andare verso la cucina.

Come stai?”

Bene”.

Vado in cucina per prendere il caffellatte dal frigo e il contenitore dei biscotti, e poi vado a sedermi sul divano, accanto a lei.

Sì, stai decisamente meglio” osserva lei mentre mi guarda mangiare di gusto.

La tua tisana ha fatto miracoli!” dico facendole l'occhiolino.

O forse è stata la paura di passare il Capodanno a letto! I tuoi anticorpi si saranno detti che era meglio darsi una mossa!”

Oh, può essere!”; ridiamo e lei mi scompiglia i capelli.

Allora oggi puoi cominciare i compiti delle vacanze...”

Eh?! Ma sono ancora convalescente!” protesto io. “Mi fa male fare i compiti! Poi mi agito e mi torna la febbre!”.

Lei mi rivolge uno sguardo un po' serio e un po' divertito: “Se vuoi andare al veglione... ti conviene cominciarli.”

Oh, che palle! Non vale usare i ricatti!”

Comincia da quelli di inglese, dato che ti piace!”

E va bene!” sospiro finendo di bere il caffellatte e appoggiando il bicchiere sul tavolino. “Oggi faccio i compiti di inglese!”

Bravo re Leone!” sorride lei prendendo un biscotto dal contenitore che ho sopra le gambe. “Vedo che quando vuoi sai essere ragionevole!”

Tu però in cambio... mi fai venire con te!”

Eh?! Con me? E dove?”

Come dove?! Dalla Strega!”

No no, non se ne parla proprio!” esclama lei scuotendo la testa.

Perché?!”

Che ci devi venire a fare, tu?! Fammi capire!”

So che ti mette ansia parlare con lei..., se ci sono io è meglio, no?”

Sì, mi mette ansia, ma questo non vuol dire che tu debba venire con me!”

Eddai, fammi venire! Così non sei da sola!”

Ma io voglio andarci da sola. Ho detto di no anche a papà!”

Vabbè, che c'entra?! Se vengo io la tengo a bada!”

La tengo a bada benissimo da sola, non preoccuparti.”

Lo so, ma...”

Basta” mi dice con tono serio, guardandomi negli occhi; e, quando è così, è meglio che sia basta per davvero.

Va bene” sospiro prendendo un biscotto e guardando dritto davanti a me. “Come vuoi tu. Però non ti capisco!”

Non pretendo che tu capisca. Solo che accetti che sia così e basta”.

Restiamo in silenzio per qualche minuto, io finisco di fare colazione, poi mi volto verso di lei: “Mi prometti però che poi mi dici tutto?”

Certo” annuisce lei, accennando un sorriso.

E non mi nasconderai nulla? Promesso?”.

Lei mi prende una mano e me l'avvolge nelle sue: “Promesso”.


Siamo tutti inquieti mentre attendiamo il ritorno di mamma; è vero, la notizia peggiore l'abbiamo avuta ieri, però da oggi tutto diventa reale, concreto: le nostre giornate saranno di nuovo scandite dai suoi cicli di chemio; la qualità e la quantità del nostro tempo insieme calerà bruscamente, perché ci saranno giorni in cui non starà bene e non riuscirà ad alzarsi dal letto e pretenderà il suo spazio e la sua solitudine; a volte non la troverò, rientrando a casa da scuola, perché sarà ancora in ospedale; il suo posto a tavola rimarrà spesso vuoto...

Cerco di concentrarmi sui compiti di inglese, per fortuna è la materia in cui vado meglio e riesco a fare gli esercizi senza troppa fatica, ma guardo continuamente il cellulare per vedere che ore sono: le 12:15. Tra un po' dovrebbe tornare. Asia sta preparando i suoi piatti preferiti per pranzo e papà ha apparecchiato la tavola come piace a lei, anche se per la tensione ha fatto cadere un bicchiere per terra e si è pure ferito a un dito mentre raccoglieva i cocci.

Quando arriva una notifica su WhatsApp, sobbalzo, pensando che sia lei, e invece no: è Ludovica che mi manda un bacio con un selfie, circondata dalla neve, e mi dice che spera di vedermi presto.

Poi è la volta di Mattia, che mi chiede se oggi ci vediamo: gli rispondo che ieri avevo la febbre e che dubito che i miei mi lascino uscire, ma che se vuole può venire lui più tardi e giochiamo alla Play o ci guardiamo un film; mi dice che va bene e che verrà verso le 17.

Ricomincio a fare i compiti, ma la mia testa è irrimediabilmente altrove: sarà meglio che dopo li riguardi con attenzione; non avrei mai voluto che mamma dovesse ricominciare la chemio, credevo che finalmente fosse tutto finito, che ci stessimo lasciando tutto alle spalle e invece tutto lo schifo ricomincia.

Ancora.

Non lo posso sopportare.

Sento chiudere la porta d'ingresso e devo sforzarmi per restare seduto e non precipitarmi da lei; so che le dà fastidio se le stiamo tutti addosso e di sicuro papà ed Asia l'avranno già assalita.

Decido di rimanere seduto a fare i compiti, o almeno a provarci, fino a che non sarà lei a venirmi a cercare.

Sospiro.

Aspetto.

Voglio sapere tutto, ma allo stesso tempo non ho fretta di sapere niente, perché quando saprò tutto diventerà ancora più vero.

Rimango seduto.

Sospiro.

Aspetto.


   
 
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