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Autore: Mella Ryuzaki    03/11/2017    0 recensioni
SiwonxChangmin
( #WonMin )
« Ogni cosa avviene a suo tempo e, se hai pazienza e buona volontà, vedrai come le cose cambieranno. »
[ Ringrazio due mie amiche per avermi ispirata a questa fanfiction ]
Genere: Angst, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Max Changmin, Sorpresa
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il mio unico pensiero in quel momento era sulle parole da dire alla donna che, di li a poco, avrebbe varcato la soglia di quella porta.

Inizialmente, mentre preparavo i bagagli, pensai solo di scappare via senza lasciare nulla, nemmeno un biglietto.
Quella donna non si poteva definire madre, alcolizzata e strafatta ogni volta.

Non ho ricordi di lei come madre, a dire il vero, non mi ha mai trattato come un figlio, continuando a ripetermi che ero simile a mio padre e che dovevo pensare da sempre di farmi un futuro con quei soldi che spendeva sulla mia istruzione.

" Non puoi prendere parte a questo evento, costa troppo. "

" Non pensi di prosciugarmi già abbastanza?? Hai già una buona istruzione così senza dover partecipare a questi corsi. Non ho altri soldi da spendere. "

Per lei, l'istruzione, era solo quello dato dalla scuola, da quelle quattro mura in cui solo pochi emergevano.

Durante la mia vita, ho sempre cercato di essere il primo della classe, studiando ed impegnandomi più del dovuto, tutto pur di uscire fuori da quella casa. Perché me lo ripeteva sempre lei che sarei potuto andarmene solo se avessi sgobbato sui libri.
Ma quando sei piccolo credi che basti solo questo, finché non cominci a sviluppare una tua intelligenza e ad aprirti nuove vie di fuga. Via che trovai su internet con quell'annuncio di lavoro.

Ero seduto sul divano di casa, ancora vestito, la valigia nascosta nella mia camera e guardavo la porta, aspettando che entrasse.
Erano le nove di sera, sarebbe dovuta tornare di lì a momenti e più le lancette dei secondi si muovevano, più sentivo la gola secca ed il cuore battere velocemente nel petto.

In quel momento un altro ricordo affiorò nella mia mente, di quando aspettavo l'arrivo di mio padre in quella stessa posizione ogni notte, ma trovavo solo mia madre in casa che mi urlava di andare a dormire e che quel "bastardo di tuo padre " non sarebbe mai tornato. 
Non sapevo bene perché ci lasciò, né tanto meno che faccia avesse, ma per quanto lei mi ripetesse che ero come lui, probabilmente aveva il mio viso.

Ritornai con la mente al presente nel momento in cui sentì la serratura scattare e la porta aprirsi, alzandomi dal divano automaticamente per vedere comparire la figura di mia madre con in mano una bottiglia di vodka ed il trucco un po' sfatto.

« Questa gente che non sa nemmeno trattare una signora...! »

Era entrata senza accorgersi che la osservavo, mentre si toglieva le scarpe con quei tacchi alti e le lasciava abbandonate davanti alla porta di casa, avanzando barcollando verso il piccolo soggiorno poco illuminato.

« Mamma... » pronunciai piano quella parola, notandola avanzare verso il punto in cui ero, ma in cui faceva anche finta di non vedermi.

Alla mia voce si fermò e tenendo la sua bottiglia in mano, mi rivolse un enorme sorriso. Quei sorrisi che ti facevano fare l'alcol senza che ne sei al corrente.

« Changmin! Oh, sei venuto a prendere la tua mamma? Che bravo cavaliere... Ti ho davvero cresciuto bene! »

Si era avvicinata a me, l'odore di vodka che investii il mio viso facendomi quasi rivoltare lo stomaco, mentre la reggevo.

« Mamma, non sono venuto a prenderti... Sei a casa e hai nuovamente bevuto. »

« Se non bevi, credi alla mamma, non sopravviveresti con quella gentaglia. Ma bere fa sempre bene alla mamma! Se non sei venuto a prendermi, allora perché non sei già a letto? Aaah, sei tornato anche tu ora, piccolo mascalzone? »

Continuava a parlarmi davanti al viso e dovevo trattenere il respiro ad ogni sua parola.

« No... Non è come credi. Io... Ti volevo parlare. »

Sentivo una strana morsa allo stomaco, quando lei si spostò da me per guardarmi sotto quelle lunghe ciglia finte.

« Di cosa? Hai per caso messo incinta una? »

Ora sembrava davvero che l'alcol l'avesse lasciata, lasciata per prendere un briciolo di lucidità mentre i suoi occhi fissavano il mio volto.

Sapevo che quelle parole avrebbero dato delle brutte ripercussioni su di me, ma dovevo farlo ora.

" O ora, o mai più. " pensai, stringendo la stoffa della mia camicia e trovando finalmente il coraggio di parlare.

« Me ne vado di casa, mamma. »

Avevo fatto appello a tutta la mia forza per reggere quegli occhi che, da allegri per la vodka come quel sorriso stampato sul suo volto, ora sembravano prendere un colore ed una piega ben diversa. Il sorriso scomparve ed il suo sguardo aveva una strana luce, misto tra il sorpreso, arrabbiato, furioso e non so quanto altro.
Lasciò cadere la bottiglia a terra e questa si frantumò in tanti piccoli pezzi, finendo anche sotto il divano e lasciando espandere quel poco di contenuto che aveva.

« ...tu cosa? » domandò, avvicinandosi nuovamente al mio viso, la furia balenare sul suo suo sguardo.

« io... Io me ne vado. Ho trovato chi mi ospiterà, ma non ti è dato sapere. Sono abbastanza grande per andarmene, mamma. »

« Andartene, eh...? È così che mi ripaghi? È così che tratti tua madre?? »

Lo schiaffo che venne dalla sua mano non mi diede il tempo di parlare, di reagire. Ho sempre pensato che non bisogna mai alzare le mani su una donna, nemmeno se questa donna è la madre che ti ha sempre reso inferiore e ti ha sempre abbassato. 
Ne susseguirono altri quattro e sentii i cocci della bottiglia frantumarsi maggiormente sotto il peso dei miei passi.

« NON USCIRAI DA QUESTA CASA! NON FINCHÉ NON MI AVRAI RIPAGATA DI TUTTO! NON FARAI COME QUEL BASTARDO DI TUO PADRE. »

Non mi potevo aspettare di certo che mi avrebbe fermato perché ero suo figlio, o magari perché non volesse che me ne andassi di casa a quest'età e che avrebbe provveduto per me, mettendosi la testa a posto, ma era solo una lontana utopia, quei pensieri.
Mi spinse, facendomi cadere e continuò a picchiarmi, a calciarmi urlandomi contro quelle parole. Non poteva continuare, non dovevo lasciarglielo fare.

Schivai un suo calcio, rotolando di lato e sollevandomi velocemente anche se avevo schiacciato con il palmo della mano alcuni cocci di vetro, ferendomi.

« TORNA QUI, BASTARDO! »

Dovevo fermarla o fare l'unica cosa senza reagire: scappare velocemente.

Superai il tavolino del salotto disordinato e mi fiondai nel punto in cui avevo nascosto la valigia, prendendolo velocemente per dirigermi alla porta, ma lei afferrò il trolley e cercò di strapparmelo dalle mani e fermarmi nel raggiungere la porta.

« Lasciami mamma! »

« NO. NON USCIRAI DI QUI! NON TE LO LASCERÒ FARE. »

Continuai a divincolarmi e tirai troppo forte, perché lei cadde all'indietro, imprecando dandomi quel lasso di tempo per aprire la porta e correre via, lontano da quella casa, lontano da lei.

Era tardi e non potevo sicuramente andare dai signori Choi e, in quel momento, pensai quanto fossi stato stupido a dirlo quella sera stessa a mia madre, trovandomi ora molto lontano dall'appartamento e davanti alla stazione ferroviaria.

Faceva freddo e la mano cominciava a prudermi e a farmi male. Dovevo assolutamente lavarla e fasciarla, ma soprattutto dovevo trovare un posto per passare la notte.

« Non mi rimane che questa stazione... » avevo poco con me e per prenotare in una piccola stanza i prezzi erano abbastanza alti, almeno per ciò che tenevo in mano.

La stazione, di notte, non era così affollata ed aveva una strana atmosfera. I pochi viaggianti camminavano velocemente senza badare ai barboni che entravano per nascondersi all'interno dei bagni e riposare senza farsi vedere dai sorveglianti. 

Due passanti osservarono il mio viso che abbassai, trascinando il trolley e dirigendomi in un bagno non molto distante dall'uscita d'emergenza. Entrai velocemente, dopo aver constato che non fosse occupato da nessuno e mi rinchiusi dentro, tirando un sospiro. Ero davvero caduto così in basso? Lasciai il trolley e mi diressi verso i lavandini, osservando il mio riflesso allo specchio e sussultando quando capì com'era messo il mio viso: era rosso e c'erano ancora i segni delle mani di mia madre, per non parlare dell'evidente graffio lasciato da una delle sue unghia all'altezza della gote destra. Gli occhi leggermente gonfi.

Aprii il rubinetto lasciando scorrere un po' l'acqua ed attendendo che arrivasse quella calda, ma evidentemente in quelle ore non era disponibile. Dovetti lavarmi delicatamente il palmo della mano con l'acqua gelida, ringraziando che non avessi cocci di vetro nella mano e così anche il viso, asciugandomi delicatamente per quanto mi faceva male al minimo tocco.

  « C'è qualcuno lì dentro? »

Sobbalzai sentendo quella voce dietro la porta e richiusi subito il rubinetto, stando in silenzio.

  « Se c'è qualcuno, apra la porta. »

Non sembrava la voce di uno dei sorvegliati, tanto era confusa e quasi da assonnato, ma non rimase nemmeno lì per molto. Perché dopo una piccola imprecazione, corse via e capii il motivo che mi portò ad avvicinarmi piano all'interruttore della luce per spegnerlo. 

Stavolta erano passi lenti e sicuri e stavolta era davvero il sorvegliante che si fermò davanti alla porta del bagno senza provare ad aprirla. Restai seduto in un angolo, vicino al trolley ad osservare quell'ombra immobile sotto la fessura della porta e pregai che non provasse minimamente ad aprirla. 

Non ricordai per quanto rimasi ad osservarlo, ma lentamente tutto divenne buio, lasciando spazio alla stanchezza ed al sonno che quel piccolo angolo buio del bagno aveva calato sul mio corpo.  

  
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