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Autore: edoardo811    04/11/2017    0 recensioni
Un lungo viaggio da fare, un ignoto passato completamente da scoprire, un intero mondo da salvare.
La vita di Rachel è caduta a pezzi di fronte ai suoi stessi occhi, prima che lei potesse anche solo rendersene conto. Ma dietro ad una ragazza abbandonata, tradita, distrutta, si cela in realtà ciò che probabilmente è l’unica speranza di salvezza dell’intero genere umano. Perché lei non è una ragazza come le altre: lei è una conduit. Un demone, agli occhi dei più, un’eroina agli occhi dei meno.
In compagnia dei suoi nuovi amici, la giovane sarà costretta a dover agire al più presto, in una vera e propria corsa contro il tempo, prima che tutto ciò che con tanta fatica e sacrifici è riuscita a riconquistare venga spazzato via ancora una volta.
Ma essere dei conduit non è facile e lei, nonostante abbia raggiunto una consapevolezza del tutto nuova di sé, presto sarà costretta a scoprirlo.
Perché per raggiungere il controllo ci vuole tempo, tenacia, dedizione.
Per perderlo, invece, basta un attimo.
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Raven, Red X, Robin, Sorpresa
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'InFAMOUS: The Series'
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Capitolo 9: JUMP CITY

 

 

 

Rachel sorrise, felice del fatto che Lucas avesse detto la verità. Sapeva che lui era diffidente per natura, perciò in parte non era stata sorpresa del suo scetticismo in merito al rivelare il proprio nome, ma se non altro si era deciso di farlo, e non poteva che sentirsi orgogliosa di lui. Strinse più forte la sua mano, allargando il sorriso. Lui ricambiò abbozzandone uno a sua volta, anche se non sembrava molto convinto.

«Nessun documento?» domandò Simon, sollevando un sopracciglio.

Lucas fece una smorfia. «Dubito che i miei genitori abbiano avuto il tempo di andare dall’anagrafe il giorno in cui sono nato, visto che probabilmente erano troppo fatti di crack per rendersene conto.»

«Lucas Blake» digitò nel frattempo Konstantin. Non appena lo fece, tuttavia, non si comportò come aveva fatto con gli altri in precedenza. Anzi, spalancò gli occhi. «Accidenti... qui c’è una bella lista di precedenti...»

Rosso si irrigidì come un palo. Accanto a lui, Rachel si mordicchiò un labbro. Come temeva.

«Ovviamente» borbottò Simon, sempre senza staccare gli occhi di dosso da Lucas. «Non avrebbe fatto una simile sceneggiata altrimenti.»

«Possesso di sostanze stupefacenti, oltraggio a pubblico ufficiale, opposizione all’arresto, guida senza patente, furto d’auto, furto con scasso...»

«Sarebbero anche un po’ affari miei» rantolò Rosso all’improvviso, serrando la mascella. Konstantin ammutolì, mentre Simon gli fece un cenno di fermarsi, tuttavia continuando ad osservare il moro in silenzio. Richard, dal canto suo, sghignazzò sommessamente. Non appena lo udì, Rachel si rabbuiò. Ma da che parte stava? E poi diceva che tutti quanti lo odiavano. Per forza, se si comportava in quel modo.

«E quindi, che intendete fare adesso?» interrogò ancora Lucas, con aria di sfida. «Mi arrestate? Mi cacciate via, dopo tutta la strada che ho, che abbiamo, fatto? Non mi fate entrare nella comunità perché ho rubato qualche gioiello a qualche ricco bastardo che nuotava nei soldi mentre la mia famiglia ed io nuotavamo nei rifiuti, mentre gente come lui...» Ed indicò Richard. «... che ha fatto cose abominevoli dopo le esplosioni può restare semplicemente perché non ha alcun precedente penale?!»

«Io non ho fatto un bel niente, invece» replicò Robin, infastidito. «Non cercare di sviare l’attenzione su di me, sei tu che hai scelto di infrangere la legge.»

«Ma sentitelo! Sei fortunato che potrei venire cacciato via, altrimenti ti avrei già rotto il culo.»

Un’altra risata, questa volta più rumorosa e molto, molto più sarcastica provenne dall’ex Mietitore. «Intendi dire come te l’ho rotto io tutte le volte che ci siamo incontrati?»

«Smettetela, tutti e due» esordì Simon, sollevando una mano. «Tenete le vostre faide lontano da qui. Non ci servono.»

«Ascoltate» si intromise Rachel, stanca di restarsene in disparte mentre Lucas aveva, chiaramente, bisogno di aiuto. Aumentò la presa attorno alla sua mano, poi si fece avanti, frapponendosi tra lui e Simon quasi a fargli da scudo umano. «Vi posso assicurare che Lucas non ha assolutamente cattive intenzioni. Se non fosse stato per lui molto probabilmente nemmeno saremmo arrivati fino a qui! Ci ha guidati, ci ha guardato le spalle e mi ha salvato la vita in diverse occasioni. Lo conosco abbastanza bene da sapere che non è affatto felice delle scelte che ha fatto e che se potesse tornare indietro, cambierebbe ogni cosa. Se non lasciate passare lui, allora non passo neanche io.»

Simon inarcò un sopracciglio dopo quell’affermazione. Pure Rachel si rese conto di quanto assurda fosse stata. Come se a loro importasse davvero di lasciarli entrare nella comunità oppure no. Per loro, non erano altro che due bocche in più da sfamare. Erano Rachel e Lucas ad avere bisogno della comunità, non il contrario. La corvina si sentì terribilmente stupida. Chinò il capo, mentre il ragazzo biondo continuava a scrutarla, in silenzio, esaminandola con quegli occhi di ghiaccio.

«Nemmeno io» asserì Tara all’improvviso, incrociando le braccia. Rachel spostò lo sguardo su di lei, basita.

«E io neppure» fece eco Komi, facendo sgranare gli occhi di Konstantin.

«Ma fate sul serio?» mugugnò Richard, osservando i ragazzi con aria interrogativa.

Rachel, invece, sorrise. Sapeva che ciò che stavano facendo era una cosa tremendamente stupida, ma era comunque felice, perché la stavano facendo tutti insieme. Perfino Rosso stava osservando le altre due ragazze sorpreso, ma con un sorriso a sua volta. Komi batté il pugno contro la sua spalla, mentre Tara gli rivolse un cenno del capo.

Simon, dal canto suo, non aveva fatto altro che osservare la scena in silenzio, con aria indecifrabile. Dietro di lui, Konstantin sembrava si stesse per disperare all’idea di non rivedere mai più Amalia. Infine, Lawrence sospirò. «Rilassatevi, per favore.»

Tutti si voltarono verso di lui, stupiti. Il biondo proseguì: «Sinceramente, per quello che mi riguarda potreste anche tutti quanti fare retrofront. Meno persone, meno problemi. Tuttavia, questo va contro a qualsiasi principio e a quello che davvero è il significato della comunità, ossia fiducia reciproca. Perciò potete stare tranquilli, nessuno di voi sarà cacciato via. E comunque...» Le rughine tornarono sotto agli occhi del soldato. «... il semplice fatto che ci abbia detto il suo vero nome, nonostante sapesse di avere dei precedenti per i quali avrebbe potuto passare dei guai, parla da sé. Poteva inventarsi uno pseudonimo, ma non l’ha fatto.»

«Io ho chiuso con quella vita» esordì Lucas, sicuro di sé.

«E io voglio crederti» replicò Simon, rivolgendogli un cenno del capo. «Chiuderemo un occhio. Ma sappi che sei ammonito. E non lo dico tanto per dire, sarai registrato come potenziale problema. Perciò ti consiglio di restare lontano dai guai, o potrebbe davvero finire male per te. Non voglio minacciarti, ma purtroppo è la verità.»

«Non preoccuparti per me.»

«Non lo sto facendo. Ti sto solo spiegando come funzionano le cose qui. Uomo avvisato, mezzo salvato.»

«Lo terrò a mente.»

Simon annuì. «Bene. Ma visto che non hai documenti, dovremo fartene noi uno provvisorio. Seguimi.»

Il soldato guidò Lucas verso una porta al fondo della sala ed entrambi svanirono dietro di essa, mentre Kostantin continuava ad occuparsi del suo lavoro al computer.  

«Non sai quanto sono felice che dopo questo giorno non dovremmo mai più rivedere la tua faccia da culo» mugugnò Amalia all’improvviso, voltandosi verso Richard.

Lui, per tutta risposta, ridacchiò nuovamente. «Che c’è? Ti da fastidio il fatto che abbia fatto arrabbiare il tuo amichetto? Vorrei ricordarti che è già impegnato...»

«Non è per questo!» esclamò Komi, alzando la voce, facendo perfino sollevare lo sguardo di Konstantin. «Rosso si è fatto un culo titanico per tutti noi! Certo, magari nemmeno io sono stata la migliore delle persone con lui, ma comunque lo rispetto! Anzi, sai che ti dico? Lui è molto più uomo di quanto lo potrai mai essere tu in tutta la tua, spero schifosissima, vita. Perché se tu ti fossi trovato in difficoltà, lui non sarebbe arrivato a rigirare il dito nella piaga come invece tu hai fatto! Mi dai il voltastomaco. Anche io ci ho litigato qualche volta, ma mi hai vista ridere mentre elencavano i suoi precedenti? No, e sai perché? Perché so che lui avrebbe fatto lo stesso per me. Perché lui, è mio amico. Cosa che tu non sarai mai.»

L’espressione divertita svanì dal volto di Richard, il quale, ora, osservava Komi con aria indecifrabile, le labbra serrate. Rachel e Tara, invece, rimasero basite di fronte a quella scena. Rachel, in particolare. Vedere Amalia difendere Rosso, definire lui suo amico... come avrebbe potuto definire ciò a cui aveva assistito? Fantascienza? Forse. In ogni caso, era stato splendido. Era bello vedere Amalia dalla parte di Lucas, per una volta. Anche se sinceramente la corvina dubitava che Komi fosse mai stata davvero contro di lui. Magari all’inizio, quando non si fidava di loro, ma con il tempo probabilmente entrambi non avevano fatto altro che punzecchiarsi semplicemente per divertimento. Un po’ come era anche successo tra Tara e lo stesso Rosso. Perfino Rachel, all’inizio, era stata vittima del sarcasmo del moro.

La porta al fondo della stanza si spalancò all’improvviso. Lucas e Simon riapparvero alla vista, il secondo con in mano una macchina fotografica digitale. Si avvicinò a Konstantin e gliela consegnò, cosicché questi potesse continuare a svolgere il suo lavoro.

Lucas, nel frattempo, osservo il gruppo di compagni, per poi sorridere loro grato. Rachel ricambiò il sorriso, rivolgendogli un cenno di intesa con il capo. Rosso le si avvicinò, per poi darle un bacio su una guancia. «Grazie Rachel. E grazie anche a voi» disse successivamente, rivolgendosi a Komi e Tara. Batté il pugno contro quello di Amalia, poi arruffò i capelli di Tara, strappandole un verso di protesta che li fece ridere debolmente.

Rachel espirò rilassata di fronte a quella situazione. Tuttavia, non ci mise molto a percepire lo sguardo di Simon posato su di lei. Si voltò, per poi incrociare gli occhi del biondo. La osservava a braccia conserte, in silenzio, mentre Konstantin, accanto a lui, si occupava della registrazione di Rosso. La giovane resse lo sguardo del soldato, anche se si domandò perché la stesse scrutando in quel modo. Sembrava volesse dirle qualcosa, ma lei non riusciva proprio a capire cosa. Infine, Lawrence distolse lo sguardo. «Ok, a chi tocca ora?»

«A me.»

Corvina quasi sobbalzò quando udì la voce di Jack. Per tutto il tempo era rimasto in silenzio, in disparte, la conduit si era quasi dimenticata di lui. Beh, aveva commesso un grosso errore.

«Documento?» interrogò Simon.

Jack sospirò. «A dire la verità, speravo che voi poteste aiutarmi. Purtroppo ho... ho perso la memoria.»

«Tu hai... cosa?»

«Non vi sto mentendo. Purtroppo è la verità. Non ricordo niente su di me, sulla mia vita, non so il mio nome, non so chi sono. E non ho alcun documento. Tuttavia...» Jack esitò, probabilmente per la paura di non riuscire a convincerli che quella era la verità. «... ricordo di essere già stato nella comunità. Se sono già stato registrato una volta, forse voi potreste aiutarmi a ricordarmi chi sono.»

«Fammi capire bene.» Simon sollevò una mano, come per fermarlo. «Tu hai perso la memoria, ma ricordi di essere già stato nella comunità?»

«So che sembra assurdo» fece ancora Jack, sospirando.

«Perché è assurdo. Non possiamo lasciare entrare ed uscire le persone come se questa fosse una discoteca, non funziona così. Certo, è possibile andarsene in qualsiasi momento, ma occorre ricevere un permesso speciale per farlo, peccato che da quando io sono in carica come capitano nessuno ha mai chiesto di andarsene, ed è impossibile fuggire di nascosto perché si verrebbe immediatamente individuati.»

«Ma... ma io...»

«Ricordi male, temo. A meno che...» Simon si avvicinò al ragazzino, assottigliando le palpebre. «... tu non sia entrato ed uscito nella comunità di nascosto, senza passare per la registrazione. Cosa altrettanto improbabile, visto che saresti immediatamente stato individuato come clandestino. L’unico modo per poter aggirare tutti questi sistemi di sorveglianza è essere dei conduit con qualche particolare abilità di elusione.»

Jack sgranò gli occhi. «Che cosa? Io non sono un conduit!»

«Non è una possibilità da scartare.»

«E quindi, che cosa volete fare?» domandò il ragazzino, stringendo i pugni ed alzando la voce. Rachel rimase di stucco di fronte a quella reazione. «Non ho scelto io di perdere la memoria!»

«Calmati» ordinò Simon, autoritario. «Non ci è mai capitata una cosa del genere prima e purtroppo, in situazioni come questa, non spetta a me decidere cosa sia giusto da fare, ma spetta ad uno degli ufficiali. Konstantin ha detto che uno di loro sta arrivando, perciò non ci resta che attenderlo.»

Il corpo rigido di Jack parve sciogliersi leggermente dopo quell’affermazione. Forse sperava che questo famoso ufficiale potesse essergli più di aiuto. Tuttavia, le parole di Simon avevano comunque lasciato Rachel perplessa.

«I conduit non possono entrare nella comunità?» domandò, titubante, intimorita all’idea di una possibile risposta negativa.

«Possono, ma non devono creare problemi» rispose Simon, permettendo alla corvina di rilassarsi. Se c’era una conduit che non avrebbe creato problemi, quella era lei.

«Tuttavia, una volta uno di loro ci ha attaccati e ha creato non pochi danni. Non ha fatto vittime grazie al cielo, ma decine e decine di feriti. Purtroppo è sparito subito dopo e non siamo mai riusciti a scoprire chi fosse. Da quel giorno, stiamo premendo affinché il sindaco decida di inserire dei controlli anche per loro, ma per adesso non abbiamo ancora ricevuto alcuna risposta in merito a questo. Perché me lo chiedi?»

Rachel si irrigidì nuovamente. Dopo aver sentito quella storia, non era più molto sicura se dire la verità oppure no. Aprì bocca per parlare, anche se non era nemmeno sicura su cosa dire esattamente, ma un rumore proveniente dall’esterno la salvò. Non avrebbe mai pensato che si sarebbe sentita così felice nell’udire un fuoristrada sgommare su della ghiaia.

«È arrivato!» osservò Konstantin, drizzando la testa.

I ragazzi si voltarono verso la finestra, oltre la quale videro il fuoristrada in questione fermarsi accanto agli altri veicoli. Da questo scese un individuo, da solo, che sbatté la portiera con decisione per poi avviarsi di buona leva verso la magione.

«D’accordo gente, non ho tempo, quindi vediamo di fare in fretta» esordì, spalancando la porta. Avanzò nell’edificio, passando in mezzo al gruppo di ragazzi, che furono costretti a scansarsi visto che lui parve quasi ignorarli. Si avvicinò a Simon e Konstantin, per poi salutare entrambi con un cenno del capo. Dopodiché, si voltò verso Rachel e i suoi compagni, finalmente degnandoli di uno sguardo.

Rachel sollevò lo sguardo per poterlo guardare meglio in faccia. Non doveva avere più di venticinque anni. Il colore dei suoi capelli e dei suoi occhi la fecero immediatamente ripensare a Ryan. Provò una fitta allo stomaco, ma grazie al cielo le similitudini tra lui e il fratellino di Komi finivano lì. I capelli di questo erano più corti, ordinati, e aveva anche le guance ricoperte da una lieve barba. E per finire, Ryan non aveva gli occhiali da vista.

«Dunque» esordì il nuovo arrivato, sfilandosi gli occhiali. «Il mio nome è Roy Harper e sono uno dei due alti ufficiali in carica, nonché il superiore del capitano Kovar, che immagino abbiate già conosciuto.»

Konstantin gonfiò il petto quasi orgoglioso dopo quella frase. Orgoglioso di cosa, Rachel, non poteva saperlo. Forse di essere il capitano. Una cosa che la ragazza non capì, però fu il fatto che lui si era definito il superiore di Kovar, ma non di Simon. Che cosa significava?

«Come Simon e Konstantin vi avranno già spiegato, a me spetta il compito di assegnarvi delle mansioni per quando entrerete nella comunità. Questo perché la comunità, un rifugio che ospita più di ventimila persone, ha bisogno dell’aiuto di tutti quanti per poter continuare ad esistere.» Roy si rimise gli occhiali, sospirando. Sembrava stanco. E non appena Rachel sentì cos’altro aveva da dire, non ci mise molto a capirne il motivo.

«Ci serve qualcuno che lavori nell’ospedale, qualcuno che lavori nella scuola, ci servono operai, elettricisti, idraulici, cuochi, qualsiasi cosa. Non possiamo mandare avanti questo posto da soli, ognuno deve fare la sua parte se vogliamo che la comunità continui ad esistere e a prosperare.»

Comprensibile. Rachel si diede della stupida per non averci pensato prima. Una comunità che ospitava più di ventimila persone non poteva andare avanti da sola. Facendo i dovuti paragoni, quel luogo era come un enorme orologio e i suoi abitanti altro non erano che gli ingranaggi che lo mantenevano in moto. Tuttavia, i dubbi tornarono ad assillarla. Era davvero quello che voleva, diventare uno di quegli ingranaggi?

«Inoltre, lavorando otterrete un compenso, con il quale potrete comprare ciò che vi pare nei negozi e, ovviamente, il cibo per il vostro sostentamento. Non guadagnerete cifre esorbitanti, certo, ma considerando che vi assegneremo un’abitazione per la quale non dovrete pagare affitto o bollette, beh, direi che è un compromesso più che ragionevole.»

«Ci regalerete una casa?!» domandò Komi, spalancando la bocca.

Il rosso annuì. «Potrete viverci insieme o singolarmente, non mi interessa. Abbiamo interi quartieri ancora completamente deserti da riempire.»

«W-Wow...»

Komi non era l’unica ad essere esterrefatta. Anche Rachel e gli altri lo erano. Un lavoro, una casa, un compenso... era tutto così irreale. Tutti loro si erano praticamente scordati che quella era la vita prima delle esplosioni, una vita che mai avrebbero pensato di riavere indietro. E, soprattutto, stava succedendo troppo in fretta. Per quanto tutto bello quello potesse essere, lei sapeva che non sarebbe durato ancora a lungo, con l’epidemia in circolazione. Non poteva fossilizzarsi lì, rischiando di perdere di vista quale era il suo vero obiettivo in quel viaggio, ossia salvare la vita di tutti quanti. Anche se ancora non aveva la benché minima idea di come fare.

«E in base a cosa ci verranno assegnati i lavori?» domandò Tara.

«Questo dipende da voi. Devo sapere che tipo di preparazione avete, cosa vi piacerebbe fare e, soprattutto, se c’è richiesta in quel determinato settore oppure no. Per questo dovrete venire con me e…» Il trillo di un telefono lo costrinse ad interrompersi di colpo. Roy sospirò profondamente, per poi infilare la mano nella tasca dei pantaloni. «Scusatemi, come ho già detto, sono piuttosto impegnato ultimamente...»

Avvicinò il telefono all’orecchio. «Pront...»

Non riuscì nemmeno a finire di parlare. Una voce acuta, sicuramente quella di una donna, esplose dall’altoparlante, costringendo il rosso ad allontanare di scatto il cellulare dalla tempia. «Maledizione!» imprecò Harper, per poi riavvicinare il telefonino. «Mary, Mary calmati maledizione!» gridò, sovrastando la voce dall’altro lato della cornetta. «Che diavolo sta succedendo?!»

La donna riprese a parlare. Non potevano sentire esattamente cosa stesse dicendo, ma non sembravano buone notizie, a giudicare da come sembrava agitata e da come l’espressione di Roy stava mutando dall’accigliato al preoccupato. «Oh, merda...» disse infine Harper, confermando i sospetti di Rachel. «Resisti, sto arrivando.» Chiuse la chiamata, per poi sollevare lo sguardo. «Scusate, devo andare. Riprenderemo la conversazione un’altra volta. Konstantin, vieni con me, Simon, portali alla comunità. So che normalmente non prendi ordini da me, ma questa è un’emergenza. Per questa volta, seguiremo la procedura alternativa.»

Il biondo annuì, incrociando le braccia. «Va bene, ma che faccio con lui? Ha perso la memoria.» Ed indicò Jack.

Roy si voltò verso di lui, corrucciando la fronte. «Non sapete la sua identità?»

«No.»

Un altro sospiro provenne dal rosso. «Ma proprio adesso doveva succedere? Fai entrare anche lui, non abbiamo tempo da perdere.»

«D’accordo.»

«Muoviti Konstantin.»

«Sissignore!» esclamò Kovar, mettendosi il berretto di lana in testa, per poi alzarsi in piedi di scatto.

I due ragazzi uscirono senza più proferire parola, anche se Konstantin quasi sbatté contro la porta nel tentativo di voltarsi verso Komi ancora una volta.

«Andate con loro» ordinò Simon ai soldati rimasti nell’edificio. «Qui non c’è più bisogno di voi.» Gli uomini obbedirono, lasciando da soli Lawrence e il gruppo. Il capitano espirò, per poi scuotere debolmente la testa. «Di male in peggio» borbottò, per poi avviarsi a sua volta verso l’uscita. «Forza, seguitemi.»

Rachel si mordicchiò l’interno della guancia, perplessa da quella situazione. Si scambiò una rapida occhiata con Lucas, il quale si limitò a sollevare semplicemente le spalle. Non avevano molta scelta. Il gruppo di ragazzi si mise a seguire il soldato, che procedeva a passo spedito verso il furgone. Durante quel breve tragitto, tuttavia, la ragazza ebbe modo di riflettere su ciò che stavano facendo.

Non voleva ammetterlo apertamente, ma tutto l’entusiasmo che la comunità aveva generato in lei stava pian piano cominciando a scemare. Per la prima volta durante quel viaggio, pensò che, forse, quello non era davvero il luogo giusto per lei. La discussione tra Roy e questa fantomatica Mary, in ogni caso, le aveva garantito una cosa: nessun luogo, in quel mondo, sarebbe mai stato davvero lontano dai problemi.

Neppure quel paradiso.

 

***

 

Un silenzio di incertezza era calato sul gruppo. Da quando erano risaliti sul furgoncino, nessuno aveva più aperto bocca. E le domande che Rachel e gli altri avrebbero voluto fare in merito a quella situazione avevano dovuto essere rimandate, visto che Simon si era messo davanti, alla guida, e aveva ordinato loro di rimanere dietro. Sinceramente, la conduit dubitava che lui avesse risposto alle loro domande in ogni caso, visto che in quel momento non sembrava affatto aver testa per quello.

Rachel continuava a pensare. A cosa, nemmeno lei lo sapeva con certezza. La comunità era il luogo che tanto avevano cercato, che tanto avevano sperato di trovare, però lei non avrebbe potuto rimanere lì per sempre. Doveva trovare la cura per l’epidemia, altrimenti l’intera umanità sarebbe stata spacciata, comunità inclusa. Ma, allo stesso tempo, non aveva idea di che cosa fare. Inoltre, non poteva tenersi per sempre le informazioni che aveva ottenuto da Dominick unicamente per sé. Avrebbe dovuto dire la verità, prima o poi. Per il momento, solamente Rosso e Richard erano a conoscenza dell’esistenza dell’epidemia, che lei sapesse.

Dubitava che Simon, Roy, Konstantin e tutti gli altri sapessero niente, così come gli abitanti della comunità. Forse il sindaco sapeva qualcosa, ma non avrebbe mai potuto scoprirlo, se questo non voleva incontrare mai nessuno.

La ragazza sospirò. Per la milionesima volta, l’unica opzione che le veniva in mente era quella di aspettare e vedere che cosa sarebbe successo. Anche se avrebbe fatto meglio a non attendere troppo, visto che, anche se non sembrava, il tempo stava trascorrendo, e forse perfino troppo in fretta.

«Così... ci siamo.» Fu Tara a rompere il silenzio, sollevando lo sguardo tenuto rigorosamente basso fino a quel momento. Il tono di voce era incerto, così come la sua espressione. «Stiamo... stiamo per arrivare.»

Nessuno rispose, non subito almeno. Prima di quello, diverse occhiatine vennero scambiate tra i ragazzi, quasi come per accertarsi che nessuno avesse qualcosa in contrario da dire, o ripensamenti di alcun genere. E Rachel di cose ne avrebbe potute dire eccome, ma così facendo avrebbe anche dovuto fornire spiegazioni, spiegazione che avrebbe preferito dare in qualsiasi momento meno che quello. Perciò si limitò a stringersi nelle spalle, rimanendo in silenzio.

«Già...» mugugnò Komi infine. «Anche se avrei di gran lunga preferito un’accoglienza diversa da questa...»

«Nemmeno qui se la passano bene» borbottò Rosso, sospirando. «Sinceramente, la cosa non mi sorprende affatto. Dobbiamo stare attenti.»

Komand’r annuì, mentre Tara incrociò le braccia e chinò nuovamente il capo. Sembrava sinceramente turbata, ma non sembrava quello l’argomento principale delle sue preoccupazioni. Rachel inarcò un sopracciglio, ma decise di non domandarle cosa le stesse succedendo. Ancora una volta, quello non le sembrava per niente il momento giusto per farlo.

Il suo sguardo cadde poi su Jack. Nemmeno lui doveva passarsela bene. Tra tutti loro, il ragazzino era quello con il futuro più incerto. Erano stati tutti registrati, tutti pronti a proseguire, ma non lui. Non doveva essere una bella sensazione, quella che stava provando. Per la prima volta dopo giorni, la corvina riuscì finalmente a provare empatia verso di lui e una parte di lei sperò che lo lasciassero entrare nella comunità. Anche se un’altra parte di lei, quella più razionale, non si era scordata della sua conversazione con Richard. Fino a quando non avrebbe recuperato la memoria, o fino a quando non si fosse convinta del tutto che lui non fosse un pericolo per lei e per loro, avrebbe continuato a diffidare di Jack. Ma ovviamente, diffidare non significava desiderare che venisse cacciato via, era pur sempre anche lui un essere umano, un ragazzo che in quel momento aveva bisogno di aiuto tanto quanto loro.

Rachel sospirò, appoggiando il capo contro la superficie di plastica dietro di lei. Così tanti pensieri, così tante cose da fare, così tante cose che stavano accadendo... sarebbe riuscita a tenere il ritmo di tutto ciò?

Fuori dal furgone, il paesaggio era cambiato. Ora non c’erano più praterie, campi o acquitrini, ma un’interminabile steppa. Segno che ormai erano vicini, molto vicini alla loro destinazione. Era una questione di qualche manciata d’ore, ormai. In quel momento sì che la comunità era vicina.

Eppure, più la distanza con la meta si accorciava, più i dubbi, e le incertezze, aumentavano.

E così la paura.

Paura di cosa, nemmeno lei lo sapeva.

 

***

 

Qualcosa sbatté contro le pareti del furgone all’improvviso, facendo sobbalzare Rachel, costringendola a riaprire gli occhi che nemmeno ricordava di avere chiuso. Accanto a lei, tutti quanti avevano avuto la medesima reazione. Una cosa che la corvina notò immediatamente, era che le vibrazioni e gli scossoni erano terminati: il furgone era fermo.

Dall’esterno, una voce dal timbro acuto, sicuramente quella di una donna, giunse a gran volume: «Che trasporti qui dentro, Lawrence? Droga? Clandestini?! Favorisci l’immigrazione illegale?!»

Una portiera venne sbattuta. «Artemis, ti prego, non è il momento...» Questo era Simon, il quale doveva essere sceso dal sedile anteriore.

«Oh, andiamo!» La voce femminile protestò. «Perché non stai allo scherzo una buona volta?»

«E tu perché non cresci?»

Le portiere si spalancarono all’improvviso e Rachel fu inondata dalla luce del giorno, che la costrinse ad assottigliare le palpebre infastidita. Simon apparve alla visuale, con le braccia incrociate. Accanto a lui, una ragazza con una lunga coda di capelli biondi spalancò gli occhi scuri quando si accorse del gruppo. «Ma sono tutti dei ragazzi! Come cavolo hanno fatto a sopravvivere?»

«Puoi chiederlo direttamente a loro se vuoi. Forza, tutti giù» invitò Lawrence, con un cenno della mano.

Rachel e compagni obbedirono, ed uno dopo l’altro cominciarono a scendere, scrutati dallo sguardo vigile e anche vagamente divertito della ragazza bionda. «Ciao. Ciao. Come butta? Ciao» stava dicendo, man mano che i giovani le passavano accanto.

Infine, si ritrovarono tutti quanti all’interno di un parcheggio, stipato di altri furgoni neri come quello su cui erano arrivati fino a lì. La corvina si guardò attorno, incuriosita, per poi sgranare gli occhi. I palazzi giganteschi che li circondavano, la strada accanto a loro, separata dal parcheggio da una rete di ferro, le macchine che passavano, la gente che camminava, il cavalcavia dell’autostrada esattamente dietro di loro, sicuramente quello che avevano preso per giungere fino a lì.

Tutto quel grigio, quell’aria calda, quasi asfissiante, il rumore dei motori delle macchine, della gente per strada... erano in una città. Rachel dischiuse le labbra.

«Eh già» commentò la ragazza bionda, notando il suo sguardo e probabilmente quello degli altri. «Benvenuti a Jump City. Benvenuti a casa.»

Jump City..., pensò Rachel, per poi rimanere esterrefatta, mentre collegava, finalmente, tutti i puntini. Quella... era la loro meta finale. Quella era comunità. Jump City. Una città.

Rachel rimase senza parole, meravigliata. Non aveva mai avuto assolutamente idea di cosa aspettarsi da quel luogo, credeva che fosse un piccolo paese, o addirittura una baraccopoli, invece no: era una metropoli. Qualcosa di totalmente diverso dalla villa di collina che aveva visto solo qualche ora prima.

Improvvisamente, la giovane percepì un brivido di eccitazione percorrerle la spina dorsale. Erano riusciti a trasformare una città intera in un luogo sicuro, avevano fatto un qualcosa che a lei non era mai sembrato nemmeno vagamente possibile, non senza l’utilizzo della forza bruta, come avevano fatto gli UDG a Sub City. Eppure... era così.

Per un momento, i dubbi della giovane furono accantonati, rimpiazzati dall’entusiasmo. Forse era banale lasciarsi prendere dall’esuberanza per una roba del genere, ma era necessario osservare il disegno più grande di tutto quello. Un’intera città, salva, protetta dalle intemperie di quel mondo in rovina. Tutto quello permise alla corvina di ricordarsi perché aveva tanto desiderato di raggiungere quel luogo. Perché quel luogo, la comunità, altro non era che un sinonimo della speranza. La speranza che il mondo potesse, un giorno, finalmente risollevarsi da quell’oblio in cui era piombato.

Se ventimila persone, unendo le forze, erano riusciti a far rifiorire una città intera, che cosa avrebbe impedito ai miliardi che popolavano il mondo intero di poter far rinascere tutto il resto? La paura? Forse. Forse la paura dei conduit, della violenza, della morte, avrebbe potuto fermarli, ma la comunità non esisteva solo per proteggere, ma anche per inspirare. Gli uomini avrebbero dovuto guardare quel luogo, Jump City, avrebbero dovuto prendere esempio e cercare di fare lo stesso con le altre città. Cacciare via conduit malvagi, criminali, assassini e ricominciare da capo, come avevano fatto loro.

Rachel pensò che, forse, una sosta di qualche settimana in quel posto non le avrebbe fatto male. Voleva assaporare quella vita, voleva visitare quel luogo, vedere quali sorprese riservasse per lei e per tutti loro. Perché a differenza di tutti le altre città in cui era stata, quella davvero le trasmetteva la sensazione di essere a casa. O forse era solo il caldo clima californiano a farla pensare in quel modo.

«Mhh... però...» La voce della ragazza bionda riportò la corvina alla realtà. Si voltò verso di lei, quasi sentendosi in colpa per averla ignorata fino a quel momento, per poi paralizzarsi quando si accorse della sua espressione. Si era presa il mento e stava osservando Rosso con un sorrisetto malizioso. Si mordicchiò il labbro inferiore, gesto molto, troppo, eloquente, considerato che Rachel era di fronte a lei. «... finalmente un po’ di carne fresca...»

Dopo quell’affermazione, Lucas, resosi conto a sua volta dello sguardo della ragazza, inarcò un sopracciglio. Anche Corvina avrebbe voluto avere una reazione così pacata, anziché spalancare la bocca come un baccalà. Una stranissima sensazione la percorse, sentì il proprio stomaco in subbuglio. Per caso... per caso era gelosa?

«Artemis, per favore...» borbottò Simon, scuotendo il capo.

«Ehi, non è colpa mia se non mi porti mai nessuno di interessante» protestò la ragazza, voltandosi verso il compagno, per poi sogghignare. «O sei forse geloso?»

«Tsk. Nei tuoi sogni.»

«Peggio per te allora... e tu che hai da guardare?» domandò poi Artemis, accorgendosi dello sguardo di Rachel.

La corvina percepì le goti pizzicare per l’imbarazzo. Distolse gli occhi da lei, per poi schiarirsi la gola e ricomporsi. «N-Niente...» Si sentì improvvisamente la persona più stupida dell’universo. Stupida per essersene rimasta lì imbambolata in quel modo e ancora più stupida per non aver nemmeno risposto a tono a quell’oca. Quell’oca che però era più bella di lei sotto praticamente qualsiasi aspetto: abbronzata, alta, ventre scoperto, petto prosperoso, uniforme attillata.

Lei era vestita come un ragazzino, con quella felpa che non lasciava nulla di scoperto, a stento si poteva notare il suo petto, Artemis, invece, sembrava una modella vestita da soldato. Rachel aveva scordato quella sensazione, quella sensazione di inferiorità. Non le era mancata per niente. Era stato per via di una ragazza come Artemis che aveva perso il suo primo vero amore, un pensiero di cui avrebbe fatto volentieri a meno, in quel momento. Forse era per quello che aveva preso così sul serio quello sguardo, le aveva portato alla mente ricordi non troppo felici. 

«Li lascio a te, Artemis» disse Simon nel frattempo, rivolto alla ragazza bionda. «Roy ha detto che con loro dovremo seguire la procedura alternativa. Sai cosa fare... spero.»

«Che significa "spero"? Certo che lo so!»

«Lo sai, non sei famosa per la tua affidabilità.»

«Bada a come parli! Sono capitano da molto più tempo di te!»

«Due settimane...»

«Rimane comunque più tempo!»

Simon sospirò. «Ok, ok, come vuoi tu. Li lascio a te, occupati di loro.»

«Perché, tu dove vai?»

«Da Mary, è nei guai. Sono già andati Roy e Konstantin ad aiutarla, ma preferirei andare anch’io. Dopo quello che è successo ad Allen, ha bisogno di qualcuno di cui si fidi che le rimanga accanto.»

Artemis fece un verso intenerito. «Ti preoccupi per lei! Che tenerone che sei!»

«Ribadisco: cresci, Lian» borbottò Simon, per poi avvicinarsi al furgone. Rachel sgranò gli occhi.

Lian...?

L’espressione della ragazza bionda si indurì all’improvviso. «Non chiamarmi così.» 

Lawrence la ignorò. Risalì sul furgone e lo avvio, abbandonando il parcheggio poco dopo, sotto lo sguardo infastidito di Artemis. La corvina dischiuse le labbra, osservandola nuovamente. Tutto d’un tratto, Rachel cominciò a collegare i puntini. Nel frattempo Artemis, alias Lian, si voltò verso di loro. «D’accordo, seguitemi. Vi porto a fare un tour.»

   
 
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