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Autore: Stella Dark Star    08/11/2017    0 recensioni
Da quando la sua gemella si è fidanzata con Henry Green, Jacob si sente come un guscio vuoto. Il fatto di vivere assieme alla coppia nella casa sopra la bottega di curiosità a Whitechapel, più che un conforto è una condanna, per questo Jacob passa i giorni a bere nei pub, a giocare a carte e a mettersi nei guai. Almeno fino a quando non incontra Arthur, ragazzo dal viso angelico che fa lo sguattero in un pub. La conoscenza tra loro diventa subito amicizia, per poi evolversi in un sentimento che la società non approverebbe mai. Ma ecco che l’entrata in scena di Amanda, vicina di casa di Henry tornata in città dopo due anni di assenza per studiare arte a Parigi, mette in subbuglio la sua vita! Nonostante sia sicuro del proprio sentimento per Arthur, desidera Amanda profondamente, quasi in modo maniacale, complici le piccanti attenzioni che lei gli rivolge. Una serie di scoperte agghiaccianti lo aiuteranno a prendere una decisione e una tragedia farà finalmente di lui un uomo migliore, oltre a spingerlo ad essere un buon Maestro per il piccolo Jack...
L'anello di collegamento (in versione romanzata!) tra Syndicate e Jack lo squartatore.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Evie Frye, Jacob Frye, Nuovo personaggio
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Non tutti i mali vengono per nuocere
 
Se c’era una cosa che si poteva dire su Jacob Frye, senza dubbio era che amava la popolarità. La sua camminata disinvolta, lo sguardo costantemente velato di malizia e il modo in cui sfiorava la tesa del cilindro ogni volta che qualcuno lo salutava, facevano di lui un perfetto sbruffone. Come lui amava sottolineare, l’importante era che quelle persone non sapessero nulla della sua vera identità, ossia che era un Assassino. Ad ogni modo, non c’era niente di male nel rispondere agli amichevoli saluti della gente del quartiere e accennare sorrisi alle fanciulle solo per il piacere di vederle arrossire. I buoni rapporti erano importanti, no? Alla luce del sole, lui era un giovane rispettabile e socievole. Alla luce del sole, per l’appunto. Il fatto che di notte si trasformasse in un bevitore incallito, giocatore di carte e attacca brighe, era un’altra storia. Quel mattino stava appunto tornando a casa dopo l’ennesima notte di baldoria con la solita combriccola di ubriachi e sfaticati che avevano più tempo che vita. Quella notte, Jacob aveva vinto una discreta sommetta giocando a carte, salvo poi spenderne buona parte in pinte di birra scura, qualche piatto di salsicce speziate che aveva condiviso con gli amici e…la stanza in cui si era risvegliato un’ora prima, in cui, a detta del proprietario del pub, era stato portato di peso dopo essere svenuto a causa delle sbronza. La cosa più imbarazzante, era che non era la prima volta che gli capitava. Comunque, dopo essersi fatto delle veloci abluzioni e aver ingerito un intruglio miracoloso per sistemare lo stomaco sconquassato dall’alcol, era uscito dal pub fresco come una rosa e, tenendo il suo fedele bastone in mano, aveva ripreso la via di casa. O meglio, la via di casa di Henry Green dove sia lui che Evie vivevano da quando…be’, da quando l’Assassino indiano aveva chiesto a sua sorella di sposarlo. Il fatto che l’invito a vivere sotto lo stesso tetto fosse stato esteso anche a lui, era un tasto dolente. Separarsi da Evie sarebbe stato insopportabile per lui, ma, a lungo andare, Jacob aveva scoperto che vivere con una coppia di piccioncini non era affatto salutare. Dormire nella camera da letto adiacente alla loro, con il terrore di sentire rumori particolari, consumare tre pasti al giorno di fronte a loro e ai loro sguardi innamorati, per non parlare delle volte in cui li sorprendeva a civettare e sbaciucchiarsi come ragazzini! Era difficile. Era dura. Era… Ma chi voleva prendere in giro? La pura e semplice verità era che non sopportava di vedere la sua gemella nelle grinfie di un uomo che non fosse lui. Lui e Evie erano sempre stati insieme, fin da prima che avesse ricordo. Avevano condiviso il grembo materno, la culla e poi la camera da letto. Non si erano mai separati. Certo negli anni avevano bisticciato in innumerevoli occasioni, ma erano sempre stati una cosa sola, due facce della stessa medaglia, due anime inseparabili. E poi avevano conosciuto Henry e, in un battito di ciglia, sua sorella si era allontanata da lui. Jacob non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura ma, da quando dormiva da solo nel letto, si sentiva tremendamente vulnerabile. Non gli piaceva come sensazione. E visto che sua sorella non gli ‘apparteneva’ più, aveva dovuto colmare quel vuoto con qualcos’altro. Il problema era che ancora non gli bastava. Nonostante agli occhi degli altri apparisse sempre allegro, in realtà dentro di sé si sentiva come un fiore che stava raggrinzendo giorno dopo giorno.
Giunse all’incrocio in cui si trovava la bottega di curiosità di Henry. Prese un profondo respiro e aprì la porta di vetro su cui faceva bella mostra il cartellino con scritto  un elegante “Open”, facendo così suonare il campanellino messo in posizione strategica.
Henry ed Evie erano entrambi dietro al banco, intenti ad esaminare delle carte. Nell’udire il rumore del campanello, i loro sguardi si sollevarono, solo che, vedendo che si trattava di lui, le loro espressioni si fecero accigliate, soprattutto quella di lei.
Evie, con addosso un semplice abito marrone dalle maniche a sbuffo e il grembiule bianco, si portò le mani ai fianchi con superiorità e lo riprese severamente: “Jacob Frye, quante volte devo dirti di smetterla di passare la notte fuori a gozzovigliare? Anche se non dovrei, perché è evidente che non te lo meriti, saperti chissà dove a fare chissà cosa mi fa preoccupare.”
Jacob sollevò le mani, di cui una tenente il bastone da passeggio, in segno di tregua: “Non è come credi, sorellina. E’ vero che ho passato una piacevole serata con gli amici, ma poi sono tornato al nostro rifugio segreto in un attacco di nostalgia e lì mi sono addormentato.”
Evie sbuffò spazientita: “Anche ammesso che sia vero, e so che non lo è, che senso ha averti invitato a vivere qui se non ci sei mai?”
“E che senso ha che tu sia venuta a vivere qui se dopo cinque mesi tu e Greenie non siete ancora sposati?”
La sua voleva essere una battuta, un piccolo scherzo per punzecchiare la sorella, ma il modo in cui lei reagì lo fece pentire di aver aperto bocca. Evie lo aveva fulminato con lo sguardo, come si aspettava, le sue gote si erano arrossate per la rabbia, come si aspettava, ma ciò che non si aspettava era di vedere un bagliore di tristezza nel profondo dei suoi occhi. A riprova che quanto aveva visto era vero, Evie scostò lo sguardo e abbassò il capo.
“Sei solo uno sciocco irresponsabile.” Sibilò, per poi voltarsi e sollevare un lembo della tenda che dava sul retro. Come se si fosse resa conto del proprio comportamento strano, si fermò giusto il tempo di giustificarsi con Henry: “Vado in cucina da Margie a vedere se ha bisogno di aiuto per organizzare il pranzo.”
Lui rispose uno sfuggente: “Va bene, tesoro.” Ed Evie si dileguò.
Normalmente Jacob avrebbe fatto dell’umorismo sul nomignolo con cui Henry chiamava Evie, ma in quel momento sarebbe stato fuori luogo. Qualunque cosa stesse accadendo, non era positiva. Prima che potesse azzardare una domanda diretta, Henry gli porse una lettera che era sul banco: “L’ha portata un messaggero per te poco dopo l’apertura del negozio.”
Jacob la prese, più che una lettera si trattava di un messaggio senza sigillo e piegato in tre parti.
Henry si schiarì la voce e chiese quasi timidamente: “Jacob, c’è una cosa di cui vorrei parlarti. Avresti un minuto?”
Lui rispose distrattamente: “Certo.” Ma evidentemente era più interessato a verificare il contenuto del messaggio, infatti, invece di ascoltare il suo futuro cognato, spiegò il foglio e si mise a leggere.
“Vedi… Si tratta di Evie. Ultimamente la sento distante, ma non so spiegarmi il perché. Magari tu sai qualcosa che…”
“Accidenti, lo avevo completamente dimenticato!” Lo interruppe Jacob, battendosi una mano sulla fronte.
“Cosa..?”
Batté un polpastrello sul foglio: “E’ di Lady Disraeli. Le avevo promesso che oggi l’avrei accompagnata all’Orfanotrofio.” Abbandonò il foglio aperto sul primo scaffale che si ritrovò sotto mano, quindi lasciò un sospiro: “Da quando ha scoperto che le piace la mia compagnia, non mi da un attimo di tregua. Credo che ormai non esca più di casa se non ci sono io a scortarla.” Fece per andarsene, ma poi fermò i piedi e si voltò verso Henry: “Scusa, avevi bisogno di qualcosa?”
In effetti sì. Aveva bisogno di qualcuno con cui parlare, con cui aprirsi, di qualcuno che potesse confortarlo e aiutarlo a risolvere un problema che lo faceva dormire male la notte. Ma era chiaro che quel qualcuno non poteva essere Jacob Frye. Scosse il capo e fece un gesto con la mano, come per scacciare un mosca: “Nulla. Vai, Lady Disraeli ti sta spettando.”
Jacob lo salutò toccandosi la tesa del cilindro e in due falcate fu fuori dal negozio, lasciandolo così solo con i documenti sul banco, una fidanzata schiva in cucina e un peso sullo stomaco.
*
Con le signore era sempre stato galante per natura ma, più che un fatto d’educazione la sua doveva essere una ricerca di ammirazione. Sua sorella spesso lo trattava con sufficienza e lui di conseguenza si comportava con lei in modo superficiale, perciò era logico che con altre creature di sesso femminile gli venisse spontaneo dare il meglio di sé e ricevere in cambio sguardi colmi di gratitudine. In principio era stato così anche con lady Disraeli, ma poi quella donna si era rivelata fastidiosa come una mosca. Gli recapitava messaggi ogni settimana e, quando si trovavano soli diretti in chissà quale destinazione londinese, talvolta diventava un po’ inopportuna. Non che avesse mai tentato di fargli avances, certo che no, però alcuni complimenti lo mettevano a disagio. Aveva il presentimento che la donna avesse un debole per lui.
Dopo una camminata non indifferente, svoltò nella via in cui era il palazzo dei coniugi Disraeli. Come immaginava, il calesse era appostato di fronte all’entrata e, scorgendo il cappellino, era chiaro che a bordo ci fosse già la cara signora. Non appena affiancò il calesse, Jacob tolse il cilindro e si esibì in un inchino: “Buongiorno a  voi, my lady.”
Il primo a rispondere al saluto, abbaiando due volte e poi mostrando la linguetta rosa, fu l’immancabile cagnolino che la signora portava sempre con sé all’interno di una borsa. Lady Disraeli inizialmente gli lanciò un’occhiata severa, forse indispettiva, ma poi le sue labbra s’incurvarono in un sorriso che andò ad accentuarle le rughe: “Oh, non posso tenervi il broncio. Anche se  siete in ritardo di un buon quarto d’ora, vi perdono, giovanotto mio!”
Ecco, quello era un appellativo che Jacob considerava inopportuno. Però non lo diede a vedere.
“Siete molto magnanima, my lady.” La ringraziò, piegandosi in un altro inchino, quindi rinfoderò il cilindro e salì a cassetta. Afferrò le briglie con presa salda e diede ordine al cavallo di partire.
“Oggi è una splendida giornata, non trovate? Anche se stamane la città era nascosta da una coltre di nebbia, poi il sole ha avuto la meglio, se mi passate l’espressione.” E ridacchiò in modo civettuolo.
Suo malgrado Jacob sorrise, anche se lei non poteva vederlo. Tutto sommato, non era una cattiva compagnia. Talvolta poi era lei a tenerlo aggiornato sugli incontri politici, permettendogli così di informare Henry prima che lo facessero i suoi uomini fidati e sfoggiare così quel sorriso compiaciuto che volva dire “visto che ci so fare?”. Anche se poi finiva sempre con Evie che lo rimbeccava, ma quello non importava. Dunque la destinazione di quel giorno era l’Orfanotrofio di Babylon Alley che anche Evie aveva a cuore. Jacob qualche volta si era lamentato, sostenendo che, se le due avevano lo stesso interesse per quel luogo, potevano recarsi là insieme invece di seccare lui. Invece, segretamente, anche  lui aveva a cuore quel luogo. Esattamente come per i bambini indigenti che spesso vedeva a mendicare per strada, oppure quelli che erano costretti a lavorare per aiutare la famiglia, anche gli orfani gli stavano a cuore. Tutte le volte che accompagnava lady Disraeli, si premurava lui stesso di scambiare qualche parola con i Responsabili della struttura e chiedere se poteva rendersi utile in qualche modo. In fondo quei bambini non erano molto diversi da lui. Sua madre era morta dandolo alla luce e aveva conosciuto suo padre quasi al termine dell’infanzia. Aveva avuto una balia e George, lo storico amico di famiglia, aveva rivestito un ruolo provvisorio di padre, ma senza mai sbilanciarsi troppo. Se si parlava di vero amore, lui ed Evie se lo erano donato a vicenda senza riserve, in attesa del ritorno del loro padre che, ironia del destino, a quei tempi si trovava altrove ad insegnare il combattimento ad Henry. Per questo motivo si mostrava sempre affettuoso e cordiale coi bambini e, se riusciva  a regalar loro un sorriso, il suo cuore si scaldava.
Giunsero in breve a destinazione, Jacob appostò il calesse di fronte all’edificio, lasciando però libero il passaggio della scalinata. Saltò giù  e andò ad aprire la portiera per far scendere la signora. Era davvero impeccabile nel suo ruolo, quando voleva! Poi le porse il braccio, galantemente, al quale lei si aggrappò ed insieme salirono i gradini che conducevano all’ingresso. Essendo ospiti di riguardo e abituali, non dovevano bussare alla porta e attendere che qualcuno venisse ad aprire, avevano libero accesso all’interno. All’ingresso trovarono comunque una donna che si offrì prontamente di accompagnare la signora nell’ufficio principale, perciò Jacob rimase indietro. Era come un rito per lui, attraversare il lungo corridoio. Anche nelle giornate più assolate era semibuio e le pareti di un tristo verde spento e sbiadito lo rendevano ancora più sinistro. Se solo avesse avuto i capitali per mettere a nuovo quel posto… Sapeva che le donne che vi lavoravano erano competenti e avevano cura dei bambini, però un ambiente più vivo non avrebbe guastato! Passò alcune porte che davano su piccoli uffici, poi quella doppia del refettorio. Infine, quando era quasi giunto a quella del salone principale, un rumore indefinito lo fece voltare. Sperò che non si trattasse di un topo. Nel vedere che tutto taceva ed era immobile, il suo istinto d’Assassino si quietò e Jacob fece per voltarsi con l’intenzione di aprire la porta del salone in cui, tecnicamente, avrebbero dovuto essere i bambini a quell’ora. Inaspettatamente, la porta si aprì senza che lui la toccasse e una figura gli piombò addosso, sbattendo sul suo petto e facendogli quasi perdere l’equilibrio.  
Dal basso arrivò una voce bassa e ringhiante: “Perché diavolo non guardate dove andate?”
Si trattava di un ragazzo vestito di un semplice completo marrone di vecchia data e scarpe logore e che indossava un berretto da ferroviere sulla chioma bionda. Nonostante la figura esile, gli diede una spallata che gli fece abbastanza male e se ne andò
“Hey, non ti hanno insegnato l’educazione?” Protestò Jacob, agitando le braccia. Che fosse un nuovo arrivato? Era alto per essere un bambino, ma l’altezza poteva trarre in inganno. Vedendo che il ragazzo se ne infischiava di lui, lo raggiunse in poche falcate, lo afferrò per il colletto della giacca e lo costrinse a voltarsi, torreggiando su di lui.  Gli bastò un’occhiata per dimenticare la rabbia. Ciò che si ritrovò di fronte fu un viso angelico, dai lineamenti delicati, la carnagione del colore del latte versato su una rosa, le labbra rosse e piene, gli occhi grandi e vigili di un azzurro chiaro come il cielo tappezzato di nuvole bianche, per non parlare dei capelli che gli incorniciavano il viso in onde del colore dell’oro. La sorpresa si rivelò piacevole. I loro visi distavano appena un palmo e Jacob era tentato di ricoprire quella distanza per posare le labbra su quelle dell’angelo che aveva letteralmente in pugno. Era una ragazza. La voce gli uscì in un sussurro: “Perché una così bella fanciulla indossa abiti simili?” Si aspettava di vedere le guance di lei imporporarsi e solo allora si sarebbe lasciato andare a quel bacio che tanto desiderava, invece vide le pupille ristringersi per la sorpresa, quindi lo sguardo si fece furente sotto un paio di sottili sopracciglia aggrottate.
“Ma come vi permettete di darmi della fanciulla, razza di villano?”
Ora che la voce era nitida, Jacob si rese conto di aver commesso un errore madornale. Per averne l’assoluta certezza, però, usò la mano libera per avventurarsi verso il basso ventre di lui o lei e, nel sentire il morbido peso di uno scroto, non ebbe più dubbi. Era un lui. Rimase pietrificato.
“Toglietemi le mani di dosso, porco!” Urlò il ragazzo, liberandosi della stretta al colletto della giacca e anche all’intrusione intima. Solo allora Jacob si mosse, seppure il suo viso esangue era ancora stravolto dalla scoperta.
“Io… Io… Non volevo dire…”
Indignato, il giovane rispose per le rime: “Anche se fossi stato una ragazza, il vostro comportamento resta davvero schifoso.” Era così arrabbiato che le guance gli erano diventate paonazze come due pomodori maturi.
“No, io volevo dire che… Insomma, vedendo gli abiti…” Non sapeva nemmeno lui cosa stesse farfugliando, in verità, era come bloccato.
“Gli abiti? Quindi solo perché solo un umile sguattero di un pub vi sentite in diritto di mettere le mani dove volete? Andate al diavolo, dannazione!” Per dare maggiore enfasi alle parole, agitò una mano disegnando un semicerchio.
In quel momento una delle porte degli uffici si aprì e ne uscì una donnina di mezza età munita di occhiali che si reggevano sopra un naso affilato con la punta rivolta all’insù. Volse lo sguardo prima a Jacob e poi al ragazzo, a cui si rivolse: “Arthur, cosa sta succedendo? Ti sembrano parole da dire, quelle?”
Il giovane, di nome Arthur, lanciò un’occhiataccia a Jacob e poi si rivolse alla donna con tono mite: “Perdonatemi, anche se la mia reazione era ben giustificata.” Si toccò il frontino del berretto in segno di saluto e tornò sui propri passi.
Non appena fu uscito dalla porta d’ingresso, la donnina si avvicinò a Jacob: “E’ tutto a posto, signore? Non so cosa sia avvenuto tra voi, ma vi prego di perdonarlo. E’ un giovane di gran cuore e viene spesso qui a giocare coi bambini.”
Jacob diede un colpo di tosse e finalmente riuscì  a riprendere possesso di sé: “In realtà ha ragione lui. Sono stato io a mancargli di rispetto. E ne sono molto dispiaciuto.” Non aggiunse altro, anche se fremeva dalla voglia di sommergere la donna di domande riguardo quel giovane dalla fulgida bellezza.
  
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