Undici volte aveva sognato di stare con lei, due figure immobili al centro di un prato rigoglioso durante una tiepida e placida giornata di Primavera, il cielo azzurro, lo stesso cielo infinito ed austero di sempre, ed il Sole infuocato, e splendente, proprio davanti a loro.
Non aveva mai sognato altre ragazze. Soltanto lei, sempre lo stesso sogno. Sempre le stesse emozioni, forti, intense, vivide. Sempre lo stesso senso di mancanza ed abbandono, ogni volta che apriva gli occhi e si trovava circondato unicamente dal buio della propria camera, angusta e vuota ora che lei non c’era più.
Undici volte aveva pianto, pensandola. Spesso accadeva dopo quegli stessi sogni, che crudelmente gli mostravano una vita parallela di cui mai avrebbe potuto realmente respirare il profumo, o assaporare il gusto, sicuramente dolce come un sorriso timido. Altre volte, invece, piangeva di colpo, improvvisamente come un pensiero, calde lacrime che gli bagnavano il viso, emblemi mal soffocati dell’assenza che percepiva costantemente nel cuore. Piangeva da solo, in silenzio. Quelli che soffrono davvero non lo dicono mai.
Undici volte avevo pregato per lei. Lui, che non era neanche religioso. Eppure si era attaccato a tutto, pur di tener viva la fiamma della speranza, pur di continuare a credere che, prima o poi, avrebbe aperto gli occhi e l’avrebbe trovata lì, davanti a sé, sorridente, felice, sana. Sua.
Undici volte aveva pronunciato il suo nome, nell’immobilità della notte ammantata di stelle, e di solitudine.
Un suono flebile, fragile, un richiamo solitario e fremente, un’eco in attesa di una risposta.
Ma sono 353 giorni che quella risposta non arriva.
353 giorni in cui Mike vive la sua vita senza Undici.
Undici è sempre stato il suo numero preferito.
Ora è invece solo il suono soffocato di un silenzio, al confine tra il nulla e l’addio.