Missioni
curriculari
del CP9:
Mai
prendere impegni per venerdì 17!
«Ti
sto dicendo... che ci saranno almeno cinquecento luridi pirati tra la costa e l’entroterra
dell’isola,
secondo le stime dei marines... E che vi si chiede espressamente di non fare prigionieri...!»
«Ho capito, capo, dannazione! Rinuncio lo stesso!»
Un’ondata di occhiate attonite investirono Jabura al suo
secondo e categorico
rifiuto della missione organizzata da Spandam, direttore in carica
della più
giovane generazione del CP9 che la sala grande del Palazzo di Giustizia
avesse
mai visto radunata attorno al suo tavolo.
I sette agenti convivevano nella splendente Enies Lobby, una delle sedi
principali del Governo Mondiale situata lungo la Rotta Maggiore, da
meno di un
paio d’anni, ma avevano condiviso insieme l’intera
infanzia —anni passati
all’insegna di rigidi addestramenti fisici e
mentali— e conoscevano abbastanza
bene il collega da non poter prendere seriamente le sue parole. Punto
primo,
perché Jabura cacciava balle di ogni sorta da quando aveva
l’età minima per
parlare; punto secondo, perché nel menù dei
servizi esclusivi offerti dal
Cipher Pol 9, i massacri legalizzati erano da sempre il suo piatto
preferito,
la sua vera vocazione: Jabura non era uno che uccideva per lavoro,
lavorava per
il gusto di uccidere.
Eppure il tono con cui aveva esplicitato il suo dissenso non lasciava
spazio a
dubbi o a equivoci: non voleva davvero partire.
Jabura stava davvero rinunciando ad
una carneficina di pirati sull’isola di Duma, piccolo
paradiso tropicale solo
un paio di miglia più a sud di Water Seven, invasa da
un’alleanza composta da
ben tre ciurme, per... restarsene ad Enies Lobby. Completamente da
solo. A
girarsi i pollici.
«Ti senti male?» chiese serio Blueno, che per
stazza, flemma e timbro di voce
dimostrava almeno dieci anni in più dei suoi diciassette e
mezzo.
«Ha la febbre, chapapa!» insinuò Fukuro
—lui di anni ne aveva sedici, li
dimostrava, e non ne avrebbe mai dimostrati molti di più,
mentalmente parlando.
Kumadori, coetaneo di Jabura, scosse il capo a destra e sinistra
facendo
vibrare la lunga e vaporosa chioma rosa, prima di esplodere in un
melodrammatico:
«Mmm... un vero guerriero deve temprare il proprio corpo e il
proprio spirito
per resistere ad ogni malattia! YO-YOI!!»
«A me sembra che stia bene» osservò
Califa, riassettandosi la montatura degli
occhiali sul naso minuto. Era da poco entrata in quella fase delicata
—pericolosa,
secondo Spandam e Jabura— che era l’adolescenza
femminile e cominciava ad avere
le sembianze di una signorina nonostante la bassa statura e il visino
da
bambola.
«Ci sta di nuovo prendendo in giro...» Kaku
parlò calcandosi il berretto sulla
fronte e guardando il collega più grande con una certa
diffidenza, come se non
ci tenesse a incontrare il suo sguardo. Lui, la pubertà, non
la vedeva nemmeno
da lontano e Jabura diceva spesso che se non fosse stato per la forma
stramba del
naso e per l’immancabile cappellino sportivo a sporgere dal
suo profilo,
nemmeno si sarebbe notato, smilzo com’era.
«A me sembra solo più stupido di ieri!»
Jabura grugnì e si voltò in direzione di
quell’odiosa, boriosa, detestabile
voce.
Rob Lucci, 15 anni all’anagrafe e “NATO
STRONZO” sul certificato di nascita mai
pervenuto, nel pieno dei suoi ormoni adolescenziali nascosti dietro a
un’irritante
espressione da uomo di mondo che non si scompone davanti a nulla, lo
guardava
annoiato, quasi gli stesse facendo un favore ad accorgersi della sua
presenza
in sala.
«Non ti è bastata la lezione di una settimana fa,
stronzetto?»
«Piantatela» li zittì per
l’ennesima volta Spandam, alzandosi e piantando i
palmi aperti sul lucido piano in legno massello. Non era ancora
esasperato, ma
poco ci mancava. I componenti della sua squadra erano stati cresciuti e
addestrati così severamente dai tutori del Governo
—Jabura era un’eccezione per
cui l’ex educatrice non si dava pace e aveva finito per
andare in pensione in
anticipo, con l’esaurimento nervoso— che spesso si
dimenticava trattarsi solo di
ragazzini.
«Ha iniziato lu...»
«Non mi interessa chi ha iniziato!» Si rivolse di
nuovo a Jabura, che dall’alto
dei suoi ventidue anni e forte dell’esperienza già
decennale maturata sul
campo, era uno dei suoi agenti più affidabili, oltre che
l’unico a possedere
gli straordinari poteri di un frutto del diavolo, uno Zoo Zoo: Dog Dog modello Lupo.
«La situazione a Duma è critica» gli
fece presente, scandendo le parole come se
l’altro non avesse finora afferrato l’importanza
della questione, «Quei
bifolchi hanno svaligiato le botteghe, depredato le case nobiliari,
seminato il
panico e insudiciato ogni bene pubblico; tutto a meno di una settimana
dalla
visita dei Draghi Celesti! A meno di tre giorni dal mio
incontro con gli Astri di Saggezza!! Dobbiamo ripulire
l’intera isola da quella
feccia umana entro due
giorni al massimo, e tu...» Digrignò i denti
minacciosamente, facendo stridere
il cuoio che gli bardava il mento e parte della mascella. «Tu
rifiuti
l’incarico. Eppure questo genere di operazioni è nelle tue
corde! Dunque... perché
rifiuti, Jabura?!»
Il Lupo incrociò le braccia sul petto perennemente in bella
mostra sotto il tangzhuang
sbottonato. L’espressione in volto era cupa, serissima.
«Sul serio non lo sa?»
Il tono greve, così distante dal suo sguaiato modo
d’esprimersi, suscitò un
misto di curiosità e lieve inquietudine in Kumadori, Fukuro
e Kaku, che si
voltarono a studiarlo con la fronte appena segnata dalla tensione.
Persino
Lucci, Califa e Blueno, di norma più criptici e
indecifrabili nelle loro
reazioni, non poterono fare a meno di rivolgere al collega occhiate
interrogative.
«Perché questo venerdì...»
svelò Jabura, rabbuiandosi «è
venerdì 17!»
Silenzio in sala.
Grandi e piccoli agenti del CP9, neo-agenti e boss in carica, nessuno
escluso,
batterono un paio di volte le palpebre, ammutoliti.
Califa si tirò su con la punta dell’indice gli
occhiali scesi fino alla metà
del naso. Blueno si grattò la testa alla base di un lungo
corno di capelli
scuri. Kumadori e Fukuro aprirono bocca per parlare ma restarono
miracolosamente muti, titubanti sul da dirsi —o forse a
Fukuro si era solo
inceppata la cerniera. Lucci e Kaku continuarono a fissare Jabura
circospetti, aspettandosi
che si sganasciasse in una risata da un momento all’altro e
dicesse loro
quant’erano stupidi e infantili a cadere nel suo bluff, che
però non arrivò.
Dopo secondi di stolido silenzio, Spandam, ignaro di aver assunto una
perfetta
espressione da pesce lesso, azzardò a domandare:
«E allora...?»
«Come sarebbe e allora!?»
saltò su
Jabura, infervorandosi, manco il capo avesse appena disconosciuto
l’intera
linea evolutiva dei lupi. «Il venerdì 17 porta una
scalogna terribile!
Qualunque cosa facciamo, per quanto bene la organizziamo,
andrà tutto a
puttane! È una legge universale, capo... lo sanno tutti: mai prendere impegni per venerdì 17!»
Lo sconcerto fu più intenso e prolungato di prima. I membri
del CP9 si
guardarono negli occhi e celarono a fatica
l’ilarità, finché la vocina di Kaku,
scettica e troppo divertita per riuscire a contenersi, espresse il
pensiero
comune:
«È così... ridicolo!»
Jabura lo fustigò con lo sguardo. Ignorò
—solo per il momento, ovvio— le
risatine di Fukuro; finse di non vedere quel coglione di Blueno che
alzava gli
occhi al soffitto e scuoteva la testa; e proruppe contro il collega
più giovane:
«Che vuoi saperne, tu, piscialletto?! Finora hai solo giocato
a guardie e
ladri, non hai idea di cosa sia una missione vera! Ti squarteranno
vivo, là
fuori. Dovresti rinunciare!»
Si voltò rabbioso verso gli altri che
se la ridevano, più o meno manifestamente «...Dovreste
rinunciare tutti!»
Fu in quell’istante, in quel brevissimo, ultimo istante di
quiete scandita dalla
smorfia offesa di Kaku e dalla zip di Fukuro che scorreva fino
all’estremo margine
della bocca, che Spandam sentì arrivare
l’annunciata esasperazione.
Quindi scoppiò il pandemonio: «So
benissimo com’è in missione! E non
chiamarmi in quel modo!!»; «Kaku e Califa non hanno
mai ucciso un pirata. Chapapa!
Che missione sfortunata! Chapapa! Sarà una notte tormentata!
Chapapa!»; «Perché
mi accoppi con lui? Questa è una vera molestia sessuale,
Fukuro!»;
«SCIAGUREEEEE... SCIAGURE TERRIBILI CI ATTENDONO NEL NEFASTO
DICIASSETTESIMO
GIORNO DELL’UNDICESIMO MESE DELL’ANNO!! OH,
MISERANDI! SVENTURATI!! MADRE,
PROTEGGICI DALL’OMBRA FUNESTA DELLA...»
«Smettetela...» tentò Spandam,
sull’orlo di un’emicrania fulminante, unendo le
mani sulla fronte e massaggiandosi ambo le tempie coi pollici. Tecnica
di
rilassamento, la chiamava suo padre, ma mai una volta che servisse
quando si
ritrovava a convocare l’intero Cipher Pol 9!
Quasi a dargliene conferma, Rob Lucci assottigliò lo sguardo
e rivolse al
superstizioso rivale il più sfottente dei suoi ghigni. Agli
occhi di Spandam,
sembrò un folle che nel bel mezzo di un incendio arrivava
con una tanica di kerosene
tra le mani: «Sei solo uno stupido cane codardo!»
Jabura sentì il sangue ribollirgli nelle vene e le mani
cominciargli a prudere
come assaltate dalle termiti. Dieci minuti nella stessa stanza con
Lucci e già moriva
dalla voglia di strangolarlo!
«Prova a ripeterlo, razza di bastar-»
«Stupido cane codardo.»
«TI AMMAZZO!»
«SMETTETELA!»
L’urlo del direttore rimbombò dalla sala grande
fino al corridoio, seguito dal
boato del pugno sbattuto con violenza sul tavolo.
Tutti i presenti si voltarono, finalmente in silenzio. Guardarono lui e
poi le
sue mani.
«Chapapa... Ehm... Capo...»
«ZITTI HO DETTO!!»
Fukuro richiuse in fretta e furia la zip, fece saettare gli occhietti
in un
punto a caso fuori dalla finestra e si tappò le orecchie con
le dita.
Spandam ebbe giusto un paio di secondi per compiacersi
dell’attenzione
inaspettatamente conquistata; poi il caffè bollente,
rovesciato sul tavolo
dall’irruenza del suo colpo, si spanse fino a bagnargli
mignolo e anulare destri
e lo fece ululare di dolore, generando un baccano di molti decibel
superiore allo
standard degli agenti quando litigavano.
Mentre l’uomo veniva soccorso da un poco compassionevole
Blueno e Kumadori si
prontava a compiere un Seppuku per l’espiazione del peccato
comune, Rob Lucci
decise di prendere in mano la situazione, anticipando quella che
sarebbe presto
diventata la sua attitudine nel CP9:
«Finiamola qui, direttore. Andrò io a Duma al
posto di Jabura, possiamo portare
a termine la missione anche senza di lui...»
«Ti sei dimenticato che devi scortarmi a Marijoa,
sabato?» gli ricordò Spandam,
ancora dolorante, prima che il Lupo potesse di nuovo attaccar briga.
«No. Ma può sostituirmi lui,
a meno che non inventi un’altra scusa
per tirarsi di nuovo indietro...»
La rabbia di Jabura tornò di nuovo alla carica, per mutare,
stavolta, in
qualcosa di leggermente diverso, come un risentimento che non sapeva
bene come
esprimere, o non poteva esprimere.
Perché da un lato, se lo stronzetto partiva per Duma
risparmiandogli di esporsi
alla iella nera del venerdì 17, gli faceva un favore (se si
faceva anche
sgozzare dai pirati, favore doppio); dall’altro, affibbiargli
l’incontro di
Spandam con gli Astri di Saggezza era... subdolo. Bastardo.
Perfettamente da
Rob Lucci.
«Quanta generosità!»
sillabò a denti
scoperti, in un sorriso che era più simile ad un ringhio.
Il sorriso che Lucci gli restituì fu quasi serafico, in
confronto, ma negli
occhi gli si leggeva tutta la tronfia, arrogante soddisfazione di
averlo messo
con le spalle al muro.
Scortare Spandam a Marijoa non era solo un lavoro noioso, equivaleva a
scartavetrarsi
le palle!
Se già era raro che i vascelli della Marina su cui
viaggiavano anche i
governativi subissero attacchi diretti, infatti, era praticamente
impossibile
che qualche manigoldo osasse anche solo pensare di avvicinarsi alla
terra dei
Draghi Celesti.
Lì, nel castello degli Astri, il momento più
entusiasmante dell’intera missione
consisteva nel banchetto, dove dovevi assicurarti che il capo non si
rovesciasse la zuppa addosso, o cadesse dalle scale, o rovinasse sulla
ricca
tavola imbandita —tutte cose già successe ad Enies
Lobby, singolarmente e in combo—
e non potevi permetterti di rimpinzarti né di sporcarti
né di bere alcolici,
per una questione di decoro a cui Spandam teneva molto più
che alla vita
altrui.
Tutto questo Jabura lo sapeva, e lo sapeva benissimo anche Rob Lucci;
il fatto
che sopportasse meglio di tutti gli altri di accompagnare Spandam alle
occasioni mondane, non lo rendeva immune alla noia.
Fanculo, borbottò il
Lupo dentro di
sé, fissando ora la faccia da sberle di Lucci, ora quella
rattoppata di
Spandam.
«Beh... se vai tu...» cominciò il
direttore, appoggiando stancamente la guancia
–l’unica intera che gli restava-
sulle
nocche chiuse a pugno, il gomito puntato sul bracciolo della poltrona. «Credo
si possa fare.»
Certo, Rob Lucci, per Spandam, rimaneva il più adatto ad
accompagnarlo a
Marijoa: era composto, non urlava —non fiatava, per la
verità: una qualità che
talvolta lo rendeva inquietante—, non andava in giro mezzo
nudo e non si
lamentava quando c’era da abbottonarsi la camicia e
stringersi il nodo della
cravatta al collo; ma d’altro canto, Jabura aveva ventidue
anni, non quindici.
E stando al numero di Doriki, era superiore a Lucci, un dato da non
trascurare
in termini di sicurezza personale. «Mmm...
d’accordo, puoi prendere il suo
posto. Jabura verrà con me a Marijoa.»
Si levò un fievole «Sì!»
di esultanza
da qualche parte all’altro capo del tavolo e Jabura si
ripromise —anche se non
l’aveva visto e non poteva averlo riconosciuto da un
monosillabo— di pestare
quel poppante di Kaku, di ritorno dalla missione.
«Partirete oggi pomeriggio stesso»
Stabilì Spandam, riacquistando il buonumore
«I Nobili Mondiali non arriveranno prima della prossima
settimana, ma io
intendo comunicare ai Cinque Astri che la situazione a Duma
è già stata risolta
— Una sciocchezzuola, per noi!
avrebbe detto — L’incontro si terrà nel
pomeriggio di sabato, perciò avrete
tempo fino a... mezzogiorno» sogghignò,
pregustandosi complimenti ed elogi dai
massimi esponenti della Giustizia «Entro quell’ora,
nessun pirata dovrà essere
più in grado di muoversi. Anzi no! Di
respirare.
Sono stato chiaro?»
I membri del Cipher Pol 9 incaricati della missione annuirono
all’unisono,
finalmente seri e concentrati come il figlio di Spandine, eroe del
Governo
Mondiale, amava vederli.
Nutriva immense aspettative verso di loro e nessun dubbio sulla
riuscita della
missione. Fukuro e Kumadori potevano sembrare bizzarri, sì,
ma quando c’era da
andare al sodo in battaglia non fallivano mai. Rob Lucci, solo un paio
di anni
prima, aveva sterminato in solitario cinquecento soldati in una
prigione, e,
una volta fuori, aveva completato il lavoro trucidando anche i pirati
che li
avevano presi in ostaggio. E che dire di Blueno?
Era di recente venuto a capo di una delicata
operazione di spionaggio, portando a casa, oltre ciò che gli
era stato
commissionato, uno scrigno contenente un notevole bottino, motivo per
cui lo
avrebbe presto ricompensato.
Califa e Kaku erano i più piccoli e inesperti ed in effetti,
per loro, esisteva
una piccola probabilità di rischio, ma... oh, beh, faceva
parte del mestiere.
Se non ce l’avessero fatta, la colpa non era certamente sua,
ma di chi li aveva
promossi agenti giudicandoli idonei alla carica!
Quasi potesse leggere nella mente del suo superiore, Jabura
sbuffò sonoramente
e storse il naso.
Non gli piaceva.
Non gli piaceva manco per il cazzo che quei mocciosi dei suoi colleghi
sfidassero la Sfortuna nel giorno della sua festa e partecipassero ad
una spedizione
che, a dirla tutta, non era affar loro ma della Marina, solo per
assecondare i
capricci di quel bastardo egocentrico di Spandam.
D’accordo, Kumadori e lo Stronzo ci sapevano fare, nella
mischia, Blueno e
Fukuro sapevano pure il fatto loro, ma in battaglia ognuno badava per
sé, e
Kaku e Califa avevano imparato ad annodarsi i lacci delle scarpe
praticamente
l’altro ieri!
«Peggio
per voi se le cose vanno storte»
borbottò «Ve
la state
cercando!»
Ma
gli agenti
erano ormai assorti a memorizzare i dettagli dell’incarico e
non lo sentirono
neppure.
Così, ricevute le ultime disposizioni sul trattamento dei
cadaveri (ci
avrebbero pensato i marines a darli in pasto ai pesci), la riunione fu
sciolta
e la missione ufficialmente avviata.
I giovani membri del CP9 si alzarono lesti dalle poltroncine e si
diressero
verso il corridoio, la mente già proiettata alle poche cose
da portare con sé
per il viaggio: una nave li avrebbe prelevati tra un’ora al
porto, non avevano
molto tempo per i preparativi.
«Oh, Blueno, tu vieni un attimo con me» fece
Spandam, gongolante e inebriato di
entusiasmo, indicando all’agente il suo ufficio «Ho
qualcosa che potrebbe tornarti
utile per la missione!»
In meno di mezz’ora, tutti erano pronti, impettiti nei
completi neri e
schierati come soldati davanti al portone principale del Palazzo.
Gli agenti dei Cipher Pol inferiori di grado che transitavano nel
lussureggiante androne dallo stile barocco, arredato con cura e dovizia
nei
particolari dai migliori architetti e artigiani di Water Seven, Pucci e
San
Faldo, li salutavano con la solita e impacciata reverenza (era
difficile
accettare l’idea che una banda di ragazzini fosse la punta di
diamante della
propria Organizzazione). Tutti eccetto il buon Coogy: lui augurava
sempre buona
fortuna spendendosi in vigorose pacche sulle spalle di Kumadori e
Fukuro, e in rispettosi
inchini dinnanzi a Califa, figlia di Lusky —un agente della
vecchia generazione
del CP9, che Coogy definiva ossequiosamente “la vecchia
guardia”.
Jabura rimase a fissare tutta quella patetica scenetta, per lui fin
troppo
usuale, con la schiena poggiata a un pilastro, il pessimo
presentimento
annodato sempre di più intorno alle viscere.
Rob Lucci lo notò, si voltò e gli sorrise
beffardamente per l’ultima volta.
«Divertiti a Marijoa.»
«Divertiti tu ad essere sbudellato!»
Kaku scoccò a Jabura un’occhiataccia. Non lo dava
a vedere, ma era sulle spine
per ciò che lo aspettava a Duma, e il costante richiamo alla
malasorte che in
qualche modo avrebbe dovuto colpirli cominciava a dargli sui nervi.
«Andiamo,
Lucci.»
«Ce ne sarà anche per te, Kaku, non
temere» lo canzonò il Lupo «Hai
già la
iella addosso!»
I due lo ignorarono. Varcarono la soglia del Palazzo di Giustizia,
seguiti
ordinatamente dagli altri quattro colleghi, e vennero subito sferzati
dalla
sottile pioggerella autunnale che prometteva a Enies Lobby
d’intensificarsi
nelle ore successive.
Jabura seguì con lo sguardo le piccole figure che si
allontanavano sempre più
giù per le scale, fino al cortile. Una folata di vento
gelido —sinistro—
lo fece
rabbrividire e lo convinse che sì, lui faceva la cosa
migliore a restarsene a
casa.
Quanto a quei mocciosi...
«Ohi!» gridò «Non vi stancate
troppo, abbiamo ancora un conto in sospeso!»
Bentrovati ai fan, superstiziosi e non, del CP9!
La storia che avete sotto gli occhi è una mini-long di 3 capitoli, ambientata 13 anni prima della saga di Enies Lobby, quando gli agenti erano ancora degli assassini in erba. Ho colto l'occasione del venerdì 17 perché si prestava bene al racconto, focalizzato sulla superstizione di Jabura, uno dei personaggi più divertenti non solo del CP9 ma del panorama di One Piece in generale.
Il titolo, in realtà, è un doppio-titolo che inquadra piuttosto bene la fanfiction, perciò merita una piccola spiegazione:
- Missioni curriculari del CP9: è il titolo della serie di cui fa parte questa storia. È la controparte delle "Missioni extra-curriculari del CP9" apparse nelle Miniavventure del manga e si propone di raccontare le missioni di Lucci e dei suoi compagni durante la carriera nel CP9 (prima degli eventi di Water Seven-Enies Lobby che hanno portato al licenziamento del gruppo). La costante in tutte queste storie sarà il canon: niente coppie, dunque!
- Mai prendere impegni per venerdì 17: è un richiamo scherzoso al film"Shriek - Hai impegni per venerdì 17?". La storia non c'entra nulla con quel vecchio film-parodia, l'ho scelto perché richiama l'atmosfera un po' comica e un po' horror.
Spero di allietare i vostri venerdì! Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate e, naturalmente, se siete un po' scaramantici anche voi verso questa giornata xD
Vegethia