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Autore: Maki Tsune    23/11/2017    0 recensioni
Helea è una vichinga molto particolare che ha segnato il cuore del giovane Ivar e un altrettanto particolare evento li porterà a litigare. Una canon spezzata ancora prima di essere scritta.
Ispirato a uno spoiler specifico della 5 stagione della serie tv. Si riferisce anche a mie storie ancora non scritte (ma ho in mente le vicende e sono in fase di scrittura), cercando anche di seguire la storia originale della serie.
Per questo l'ho scritta in questo modo, tutto dipende da ciò che accadrà nella 5 stagione e dal suo proseguimento.
Genere: Azione, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ivar, Sorpresa
Note: Movieverse | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!, Violenza
- Questa storia fa parte della serie 'Helea Firebender'
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Si respirava un’aria fresca a Kattegat e il sole ormai era calato, ma qualcosa stava accadendo al porto di Kattegat, che negli anni si era ingrandita.
“Cosa sta succedendo?” Helea si fece spazio tra gli uomini, accalcati al porto. Vide due uomini litigare a gran voce e uno accusava l’altro.
“Lo so che sei stato tu. Ti ho visto.”
“Tu non hai visto nulla, perché io non ero là!”
“È inutile che neghi!”
“Basta!!” Urlò Helea mettendosi tra i due e allontanandoli con le braccia tese. “Mi dite perché discutete?”
I due uomini la guardarono in silenzio.
“Cosa c’è? Non sono di vostro gradimento?” li schernì infastidita. “Per questo non volete parlare con me?”
“No. È che…” tentò di spiegarsi l’uomo alla sua sinistra. I baffi e la barba rossastra tremavano in cerca di parole per giustificarsi.
“È che… cosa? Avanti.” Lo ammonì.
“L’ho visto aggirarsi tra le barche, come se stesse cercando qualcosa.”
Helea teneva ancora le braccia alzate e si girò alla sua destra. “È vero?” Domandò lei all’uomo biondo con le treccine ai baffi e la barba libera.
“Pff. Certo che no! Mente.”
“E con quale scopo dovrei mentire, eh?”
“Non lo so. Diccelo tu. Ti ho visto che in battaglia mi hai preso di mira.”
Helea stava perdendo la pazienza e mentre i due litiganti si puntavano il dito contro e ritrovarono l’aggressività per accusarsi, la donna mora in mezzo a loro abbassò le braccia dietro la schiena ed estrasse due pugnali che si ritrovarono a puntare le lucenti lame contro le loro gole.
Si ammutolirono di colpo, sentendo la punta affilata vicino la trachea, impauriti anche a deglutire.
“Bene. Ora che avete chiuso quei forni che avete per bocca, ora mi state a sentire. Io non so chi ha visto cosa. Non so se avete bevuto o se è un conto in sospeso tra di voi. Sta di fatto che non siete a casa vostra e dovete comportarvi in un certo modo.” Sospirò cercando di ritrovare la calma, continuando a osservarli. “Ora vi toglierò le lame dalla gola, ma voi rimarrete muti finché non vi darò il consenso di parlare. E se osate fiatare, anche solo per contraddirmi, giuro che vi uso come miei manichini d’allenamento.”
Fece una pausa per far entrare in testa le sue parole, allentando la pressione delle lame dalle gole in modo che potessero almeno deglutire.
“Ora scuotete la testa su e giù per dirmi di sì, o verso destra e sinistra per dirmi di no, quando vi farò delle domande.” Sembrava stesse parlando con dei bambini cocciuti.
I tre mantennero la posizione che avevano assunto e lo stesso i presenti che si erano accerchiati attorno alla zuffa.
“Avete capito cosa dovete fare vero?” Guardò prima alla sua destra dove aveva posato lo sguardo mentre guardava i presenti.
Treccine annuì lentamente. Poi Helea guardò alla sua sinistra aspettando risposta. Annuì anche Barba Rossa.
“Ottimo. E ora cerchiamo di risolvere la situazione.” Allontanò le lame dalle gole e impugnò i pugnali al contrario con la lama verso il basso a contatto con gli avambracci, sempre pronta a colpire se infrangessero il suo ordine.
“Treccine. Siete stato accusato di girare per le imbarcazioni, ed è alquanto grave poiché mette in rischio la fiducia e la lealtà di questa immensa flotta verso di voi. Avete qualcosa da dire?” mantenne il pugnale con il mignolo e l’anulare della mano destra e aprì le altre tre dita come permesso per poter parlare.
L’uomo biondo deglutì. “Dico solo che si sta sbagliando. Non ero io quello che ha visto.”
Si sentì una specie di grugnito di dissenso e Helea girò la testa d’istinto alla sua sinistra e con volto basso alzò lo sguardo con espressione dura sul viso. Barba Rossa capì e cercò di tenere a freno l’istinto di rispondere, sia a parole sia a versi.
Helea invece tornò a guardare Treccine, che si stava comportando in modo insolito sotto i suoi occhi.
Distoglieva lo sguardo, sudava e teneva bassa la testa.
“Stai forse dicendo che c’era qualcuno, ma non eri tu?” chiese Helea dandogli sempre la possibilità di parlare.
“N-no! Io… io non ho detto questo. Non so cosa abbia visto, ma qualsiasi cosa fosse io non c’entro.” Helea lo studiò alla luce dei focolari che si accesero e al bagliore della luna.
“D’accordo.” Disse sospettosa. “Qualcuno ha visto qualcosa? Ci sono testimoni della versione di Barba Rossa?” Helea si girò per vedere la cerchia attorno a loro e studiò i loro comportamenti. Aveva adocchiato qualcuno, ma solo dopo capì che erano favorevoli a Barba Rossa poiché la maggior parte che parlò faceva parte della sua flotta e tutti loro dissero la stessa cosa, per salvare il loro capo e concludere alla svelta quella disputa.
“Barba Rossa. Ora tocca a te dirci per bene cosa hai visto e ti prego, non tralasciare nessun dettaglio della serata.” Come fece per la mano destra, così fece per la sinistra. Tenne l’elsa del pugnale con le ultime due dita e aprì le altre per concedergli il dialogo.
“Oh beh. Ecco… quello che vi hanno detto loro. Stavamo parlando e bevendo e quando sono uscito ho visto una figura per le barche e visto che mi sembrava sospetta perché saltava da una barca all’altra, allora mi sono avvicinato per vedere meglio e l’ho visto. Chiaro come la luna questa sera. L’ho visto frugare tra le cose rimaste nelle barche.”
Helea alzò un attimo gli occhi al cielo e domandò dubbiosa “Di cosa stavate parlando?”
“Non sono affari tuoi.”
“Oh sì che lo sono, se vogliamo andare tutti a dormire stasera.”
“Stavamo…” era un po’ restio nel risponderle. “Stavamo… parlando dei prossimi saccheggi, dei bottini e dei viaggi da affrontare.”
Helea ripose i pugnali nelle fodere a croce dietro la schiena e si mise di fronte a Barba Rossa. Gli mostrò il dorso delle sue mani, con la sinistra che nascondeva il pollice dietro il palmo e la destra che mostrava solo il mignolo e l’anulare, le mani poste una accanto all’altra.
Barba Rossa assottigliò lo sguardo per un momento. “Cosa significa?”
Helea sciolse le mani. “Non significa nulla.” Sogghignò.
“Allora cos’era quel giochetto?”
“Era un giochetto? Perché? Quante dita hai visto?” domandò curiosa.
“Uhm. Sette?” domandò a sua volta.
Helea sogghignò e si girò per guardare Treccine. Era alquanto impaziente anche se stava cercando di mantenere la calma. Così la ragazza riposò lo sguardo su Barba Rossa.
“E secondo te, cosa ci faceva sulla barca?” domandò Helea.
“Non lo so. Dovresti chiederlo a lui. Ma girare in quel modo non mi è piaciuto affatto.”
“Hai ragione. Non è bello quando qualcuno rovista tra le proprie cose, ci si potrebbe perfino vergognare.” Helea guardò Treccine che a sua volta la guardò subito e poi guardò i compagni vichinghi.
“Vergognare di cosa?” chiese l’uomo di nuovo alla sua sinistra.
“Non saprei, forse di aver trovato qualcosa…” guardò ancora Treccine e puntò l’occhio dietro di lui per non insospettire la folla, ma non ricevette nessuna reazione dal biondo. “… oppure perduto.”
Treccine trattenne il fiato. Helea se ne accorse e aveva capito cos’era successo.
“Che sciocchezze. Vi state basando su idee non fondate. Io ho detto e vi ripeto che non ero io.” Il suo respiro si fece rapido e sudò.
“Sì. Hai ragione. Non sei stato tu.” Disse Helea.
“Come?” chiesero Treccine e Barba Rossa increduli. E non erano gli unici sentendo il brusio come sotto fondo.
“Mi stai dando del bugiardo?” domandò Barba Rossa gonfiando il petto e con cipiglio.
“Non lo siamo tutti?” Helea sogghignò ancora ma questa volta in modo più evidente. “Sfido chiunque qui, adesso, che mi dica la verità: io non mento. E chi lo dice sappia che sta mentendo in quel preciso istante.” Helea studiò tutti i presenti. Nessuno si mosse.
“Ottimo. Allora c’è qualcuno di voi che conosce la verità in se stesso. È un bene esserne consapevoli.”
“Con questo cosa vuoi dire? Cosa ti fa credere che sta mentendo?” chiese una voce dal gruppo.
“Il fatto che ho mostrato sei dita con le mani e non sette come ha detto e che la luna non è poi così chiara stasera a causa delle nuvole.”
“Mi avete confuso con le mani, non significa nulla.” Protestò Barba Rossa nell’intento di ricordare il numero delle dita.
“Non sono io che vi ho confuso, ma la vostra bevuta. Ditemi, quanti boccali avete bevuto? O avete bisogno di mettere a fuoco anche quel numero?” Abbozzò un sorriso divertito e riprese a parlare. “Si sente dall’alito che avete bevuto davvero tanto e visto che avete parlato di saccheggi, ciò è l’ultimo ricordo che avete. Per tanto avete pensato di vedere una figura e che questa cercasse qualcosa nelle barche della flotta. In realtà, non avete visto nessuno e avete ingiustamente accusato la prima persona che avete visto.”
I brusii aumentarono.
“Quindi, non ho visto nessuno?” domandò Barba Rossa toccandosi la testa, per lo sforzo nel ricordare.
“Assolutamente nessuno.”
“E i testimoni non contano?” chiese un altro uomo lì presente.
“No. Perché sono suoi uomini e vogliono salvare la pellaccia di questo capo ubriaco.”
“Come lo avete capito?” chiese uno di questi uomini.
“Non ne ero molto sicura ma grazie a voi, ci avete dato ora la conferma di ciò che ho detto. Per tanto direi che abbiamo concluso. Potete fare quello che stavate facendo, ma attenzione a quello che fate.”
Il cerchio di persone si diradò e alcuni continuavano a parlare tra loro. Barba Rossa si sentiva confuso e uno dei suoi uomini lo portò in una casa per fargli smaltire la sbornia.
“Tu resta.” Ordinò a Treccine che se ne stava andando.
“Perché? Non abbiamo finito?”
Helea lo squadrò e incrociò le braccia con disapprovazione.
“Oh, giusto. Che maleducato.” Si schiarì la voce. “Grazie.” Abbozzò un sorriso cortese e fece per andar via, ma Helea lo bloccò con poche parole. “Cos’hai perso?”
Treccine si bloccò di colpo. “Come?”
“Mi hai sentita. Barba Rossa ha ragione. Ti ha visto. E voglio sapere cosa hai perso per andare in giro a cercare questo misterioso oggetto nelle barche di Barba Rossa.”
“E tutta quella storia così convincente, dov’è finita? Avete convinto persino me.”
“Ho detto che tutti mentono, o sbaglio? L’ho fatto anche io. Ora smettila di prendere tempo, se non vuoi che ti taglio la gola.”
Ghignò compiaciuto dalla sua astuzia “In questo modo non saprai cosa ho perso.”
“Ma almeno lo hai ammesso. Mi posso accontentare.” Helea sogghignò ed estrasse di nuovo un pugnale con la mano destra da dietro la schiena.
“Aspetta, aspetta.” Treccine si portò le mani avanti per proteggersi. “Non posso dirtelo. È un segreto.”
“Oh, ora capisco perché ti vergogni e non l’hai ammesso davanti a tutti. Per un segreto perduto.”
“Come hai fatto a capirlo?”
Helea sorrise compiaciuta. “Non sei l’unico a chiedermelo. Di che segreto si tratta?”
“Se rispondi alla mia domanda ti dirò del segreto.”
Si guardarono per un lungo momento negli occhi. Mentre lui si perdeva negli occhi chiari della donna, lei cercava di carpire altre informazioni. O per lo meno se si poteva fidare.
Rispose semplicemente “Dettagli.”
Treccine sapeva che era il suo turno, ma ora che non aveva la lama sulla gola riusciva a inquadrarla meglio anche se c’era solo la luce delle torce di fuoco.
Più bassa di lui, il trucco scuro che esaltava gli occhi chiari, i capelli scuri con la zona sinistra raccolta in più trecce e il ciuffo che andava verso destra dove i capelli erano più liberi e leggermente mossi.
“Una moneta.” Provò ad avvicinarsi a lei.
“Una moneta così speciale? Avanti. Parla.” Stava esaurendo la pazienza e la punta della lama funzionava sempre come incentivo. Questa volta non alla gola ma più in basso. Molto, molto più in basso. All’altezza dell’ombelico e poco più giù.
Treccine ghignò. “Immagino che se faccio un altro passo mi sventrerai.”
“Immagini bene.”
“E va bene. Ma un segreto va detto da vicino.”
“Non così vicino. Ti sento benissimo anche se sussurri.”
Fece un passo indietro per precauzione. “Una moneta inglese da consegnare a Ivar. Ma l’ho persa durante il ritorno a Kattegat e me ne sono accorto troppo tardi. Qualcuno della mia flotta forse ha visto la moneta che mi sarà caduta sulla barca. Per questo sono tornato a controllare.”
“Sulla barca di Barba Rossa? Mi credi così stupida?”
“Forse ci speravo, ma visto che mi hai salvato non lo credo più.”
“Come ringraziamento voglio la verità.”
“Non sei davvero così… cattiva. Altrimenti avresti detto la verità a tutti e avrei perso la faccia.”
“Se è una moneta importante devo saperlo. Ora. Altrimenti la faccia te la faccio perdere in un altro modo e non sarà così clemente come credi.”
Lui ridacchiò “Ho tenuto d’occhio tutti. La moneta è riconoscibile perché è l’unico pezzo grigio in mezzo all’oro e l’ho visto in tasca di una serva. L’ho seguita ed è stata portata su una di quelle barche e quando ne è scesa non lo aveva più con sé. Stavo controllando le sue tre barche, non ho fatto nulla di male.”
“Questo l’ho capito. Ma perché questa moneta è così importante?”
“Bisogna vederlo per capirlo.”
“L’hai trovato?” Helea si dimostrò ansiosa.
Si frugò in tasca “Immaginavo me lo avresti chiesto.” Le mostrò la moneta, tra l’indice e il medio.
Helea prese in mano la moneta e la guardò.
“Perché non l’hai ancora mostrata a Ivar?”
“Perché è molto impulsivo. Poi per la battaglia, la morte del fratello che lui stesso ha ucciso...”
“Hai paura di Ivar come tutti gli altri” Helea sorrise divertita.
“Tu no. Vero? Gli stai sempre accanto, ma non sei come lui fino in fondo.”
“Tu non sai nulla. Immagini bene ma credi male.” Rispose rigirandosi la moneta tra le dita.
“L’effige e la scritta, sono diverse dalle solite monete. Hanno cambiato la faccia di chi c’era prima e se prima c’era Re Ecbert…”
“…Questo è il figlio Aethlwulf.” Helea alzò lo sguardo in preda a un ragionamento repentino. “Sai quando è stato fatto questo cambiamento?”
“Rispetto alle altre monete sembra nuova. Forse è passata una stagione.”
Helea sorrise furba “Grazie Treccine. È una informazione utile. E lo dirò io a Ivar, non preoccuparti.”
“Non mi chiamo Treccine..” prima che potesse finire la frase fu interrotto con un “Non mi interessa.” E treccine ridacchiò. “Te ne prenderai il merito?”
“Non ne sono il tipo. Ma almeno non sarai tu ad affrontarlo.” Lo guardò ancora e gli mostrò la moneta con un sorriso sulle labbra, come segno di ringraziamento.
“Mi dirai da dove viene questa passione per il loro culto?” chiese ancora al biondo.
“Non è passione. È solo curiosità. E poi dovresti saperlo meglio di me che conoscere il proprio nemico è un vantaggio.”
Helea sorrise nel ricordare quelle parole e sentirle pronunciare da un’altra persone le fece effetto. “Sì. Sì lo so bene. Grazie per avermelo ricordato.”
Helea si allontanò andando dove Ivar si era diretto. Ovvero casa sua, dove era cresciuto, ora spoglio del padre e della madre e forse anche di vita.
Helea non sentendo voci pensò che fosse solo, vedendo solo la luce delle candele accese che passavano tra le assi di legno, ma quando aprì la porta con il sorriso sulle labbra per la notizia, il suo “Ivar…” le si bloccò in gola.
Ivar era seduto a capotavola davanti al tavolo dove mangiava e accanto a lui, sulla sua sinistra e seduta sul tavolo, c’era una giovane donna bionda. Le loro labbra vicine, scambiandosi un bacio, fece sparire il sorriso di Helea e le pareti del suo stomaco si irrigidirono.
Quel “Ivar” che pronunciò dissolvendosi dalla sua bocca si sentì comunque assieme alla porta aprirsi, ma Helea li aveva visti lo stesso prima che Ivar si accorse di lei.
“Helea…” disse con tono sorpreso e il cuore in gola.
“Perdonate l’interruzione” disse sarcastica, con una mano che stava andando al fianco per brandire l’ascia e iniziò a fare dei passi indietro. Come se stesse combattendo contro se stessa.
“Helea… cosa… come mai qui?” chiese Ivar appoggiando il gomito sul bracciolo della sedia e le dita a coprirsi le labbra. Come voler nascondersi o negare l’evidenza.
“C’era un problema…sì…” Helea stava combattendo con il suo istinto omicida.
“Un problema. Uhm. E sei riuscita a risolverlo? Vero?” chiese ancora Ivar con tono quasi imbarazzato.
Helea si sforzò e gli mostrò un sorriso subdolo e ironico “Ma certo. Ovvio che l’ho risolto. Ma essendo TU il capo della flotta, dovresti essere TU a occupartene. Invece di stare qui e….” le si girò lo stomaco ripensando a quel bacio. “…Fare quello che stavi facendo.”
“Ci sei tu. Anche per questo, no?” alzò le dita dalla sua posizione come se fosse una cosa ovvia.
Helea ridacchiò nervosa e scosse la testa incredula. “Eheheh, no. No Ivar. No.” Stava stringendo così forte l’ascia al suo fianco sinistro che la mano le divenne bianca e nonostante la distanza, Ivar si rese conto del gesto e deglutì senza farsi notare.
La donna era ancora nella stanza, seduta sul tavolo, con la testa bassa e leggermente imbarazzata.
“Ne possiamo parlare?” azzardò Ivar abbassando gli angoli della bocca “Uhm?” fece spallucce.
Helea arricciò il naso con un sogghigno macabro e pieno di istinto omicida. “A tuo rischio e pericolo, Ivar. A tuo rischio. E. Pericolo.” Indietreggiò ancora uscendo nel buio della serata.
Ivar guardò in basso alla sua destra spalancando gli occhi, come se voleva chiedersi cosa avesse combinato.
La donna bionda gli carezzò il braccio. “Tutto bene Ivar? Sento una strana pressione…”
Si girò di scatto con un sorriso finto. “Uhm? Ahh… no. No. Va tutto bene. Alla grande.” Sorrise e rispose con le espressioni facciali che solo lui poteva fare. “Scusami un attimo.” Sorrise nervoso.
Ivar si alzò dalla sedia e camminò con le sue stesse gambe verso l’ingresso e prima di uscire controllò se Helea era nei paraggi per attentare alla sua vita.
La vide allontanarsi nella sua giacca bianca stretta in vita, con il bordo del cappuccio in pelliccia tirato sulla testa. Provò a raggiungerla, nonostante lei camminasse con l’ascia in mano, Ivar era deciso a rischiare e parlarle.
“Helea…” camminò a fatica, doveva ancora far l’abitudine alle protesi in ferro che il fratello più giovane di Helea, Helorn, gli aveva costruito per camminare.
“Helea…” ma lei non si fermò e non rispose nemmeno, così Ivar azzardò ancora e si mise a correre anche se era presto. Troppo presto. Si mise a correre sul dolore trattenendo i gemiti ma le smorfie erano ben evidenti anche se Helea gli dava le spalle, non curante.
“Helea…” la prese per il braccio sinistro, quale brandiva l’ascia, e con il fiatone per lo sforzo si fermarono. Ma Helea per la rabbia alzò il braccio sinistro per divincolarsi e gli tirò un pugno sul viso con il destro.
Ivar la lasciò e barcollò all’indietro cercando di sostenersi sulle gambe.
“Ah!” si lamentò per il colpo sul naso.
“Aaah!!” Helea urlò di rabbia e abbassò l’ascia su di lui. Ivar se ne accorse in tempo e le bloccò il polso incredulo. “Woooh. Sei impazzita?” disse atterrito.
“Ora sai come si sarà sentito Sigurd.”
“Hoooh.. questo è un colpo basso.” Arricciò le labbra infastidito.
“No.” Helea gli tirò una ginocchiata nella pancia. Ivar sussultò e si piegò appena in avanti. “Questo. È un colpo basso.”
“Mnn…” Ivar trattenne un gemito di dolore rimanendo piegato in avanti, con una mano sulla pancia e l’altra sulla gamba, mentre sigillò le labbra in un sorriso contenuto.
Helea stava respirando affannosamente e si passò l’ascia nella mano destra, mentre Ivar alzò l’indice in segno di attesa per riprendersi. Poi alzò anche lo sguardo e le sorrise stizzito ma divertito.
“Non guardarmi con quell’aria divertita. Sono furiosa con te!”
Hai finito?” le chiese rialzandosi.
“Io no. E tu?” Helea rispose nervosa.
“Io non ho neanche iniziato.” Aprì le braccia e le fece ricadere ai fianchi.
“Ah no? Lo credi sul serio?” chiese arrabbiata e si rigirò l’ascia nella mano. Un fendente laterale con la parte del legno del manico stava arrivando sulla parte destra di Ivar. Lui lo schivò abbassandosi e con un passo la placcò dal busto spingendola in un vicolo e la fece scontrare con la schiena contro la parete in legno di una fattoria. “Uugh..” Helea sentì l’impatto.
“Vuoi calmarti?” le chiese Ivar con un tono infastidito misto a cortesia, bloccandola con i polsi alti vicino le spalle. Si sorprese che ancora aveva l’ascia nella mano destra e che provò ancora a fare forza.
Il moro corrugò la fronte e poi la rilassò assai compiaciuto dalla sua determinazione. Ma dovette farle cadere l’arma se non voleva rischiare e parlare con lei.
Le prese il polso destro e lo sbatté con forza contro la parete mentre Helea si lamentava di rabbia e cercava di contrastare la forza di Ivar assieme al dolore.
Dovette sbattere il polso almeno due volte prima di farle cadere l’arma per terra. Il rumore venne attutito dal terreno morbido e dall’erba che stava crescendo.
Ivar finalmente sorrise vittorioso e guardò Helea sotto la sua forza, vinta dal cacciatore, anche se la bestia continuava ad agitarsi. I due ragazzi si guardarono, ansimanti per la breve lotta ma intensa.
Ivar rimase in silenzio e l’ammirò alla luce della luna e delle fiaccole accese. Era una giovane donna così bella e selvaggia, di una stagione più piccola di lui e più bassa di statura, anche se di poco. I capelli neri e leggermente mossi riflettevano il bagliore della luna che le crearono un riflesso bianco, come una corona. Le labbra che continuavano a vibrare suoni duri, ma che man mano sapevano di arresa con le smorfie che le accompagnavano, gli ricordò la loro morbidezza durante i baci scambiati e le parole sagge che proferivano. Spostò lo sguardo sugli occhi cerulei di lei, così chiari nella notte anche se nuvolosa. Erano occhi tristi, feriti e colmi di rabbia e sembrava vedesse anche un pizzico di delusione.
Aveva il desiderio di baciarla e avvicinò le labbra alle sue.
Helea girò di lato la testa, con una smorfia di disgusto. “Non voglio quelle labbra contaminate.”
Ivar sogghignò divertito e si ricordò i momenti di capriccio e le pene di desiderio che gli faceva passare. Adorava sentire quella scossa che gli passava lungo la schiena quando lo rifiutava.
“Allora…Ora possiamo parlare?” Ivar alzò un sopracciglio e anche l’angolo delle labbra.
“Di cosa.. che ti fai le principesse adesso?” Helea lo aggredì a voce con incredulità e rabbia.
“Non è vero. Non è successo nulla.”
Helea si infuocò di più, come l’elemento che dominava. Gli tirò una testata mentre ringhiava di rabbia. “Continui a negare l’evidenza. Ti ho visto!”
“Uhm…” Ivar mandò indietro la testa e si sentì confuso per un attimo ma non mollò la presa. Anzi, le alzò i polsi sulla testa e li trattenne con una mano per pulirsi il naso con il dorso del pollice libero e si controllò: glielo aveva fatto sanguinare.
Ivar spostò lo sguardo su di lei tenendo la testa bassa e la inclinò appena di lato.
“Non mi piace essere trattato in questo modo. Lo sai benissimo.” La guardò serio.
“Non mi intimidisci, Ivar.” Rispose sprezzante. Poi vide il ragazzo annuire appena con le labbra basse.
“Forse me lo merito.”
“Forse. Forse?!” Helea ringhiò ancora più infastidita.
“Va bene. Me lo merito.” Ghignò. Le bloccò i polsi con entrambe le mani. “Ma, non sono stato io a iniziare.”
“No, ma ci sei stato.” Gli tirò un calcio in mezzo le gambe, lui la lasciò libera e si piegò di nuovo in avanti, con una mano sulla parete in legno. “Ugh!” soffriva e ridacchiò dolorante.
Helea raccolse da terra l’ascia ai suoi piedi, la fece volteggiare in aria con un giro, riprendendola nella mano sinistra.
Vide Ivar rialzarsi mentre lei si era spostata e non gli diede il tempo di riprendersi.
“Queste non te le meriti!” Con l’ascia colpì dietro la gamba sinistra di Ivar, protetta dal ferro della protesi, come se avesse in mano un uncino gli tirò la gamba in alto per fargli perdere l’aderenza con il terreno, facendolo ritrovare con la schiena per terra.
“Se proprio ci vuoi stare con la principessa, abbi almeno il fegato di farlo nel tuo stato naturale. Poi vediamo se ti accetterà e se ti amerà.”
Ivar la guardò con serietà. Odiava essere trattato in quel modo e aveva trattenuto la sua furia per troppo. Si sentì ferito. “Mi stai dando sui nervi. Questo è davvero un colpo basso, perfino per te. Ma almeno so cosa pensi di me.” Si rialzò a fatica. “Pensi che strisciare sia il mio stato naturale, come se fossi un verme? Pensi che mi piaccia?!” le urlò mentre si rialzò e la afferrò dal collo. “Tutti che camminano e mi guardano dall’alto come se avessi bisogno della loro pietà. Sono stufo! Di non essere trattato alla pari, solo perché sono uno storpio! Queste gambe mi servono! E non ci rinuncio per un tuo attacco di gelosia!”
Ivar la guardò mentre stringeva la mano al collo con forza, ma nel momento in cui se ne accorse, allentò la presa e le urlò infastidito “Te la stai prendendo a cuore per un bacio innocente! Senza valore! Non hai fatto tutto questo casino quando ti ho detto di…” si interruppe arricciando le labbra, cercando di calmarsi. Helea sapeva che stava parlando della donna che diventò la moglie di suo fratello Ubbe.
“Lei non contava nulla per te. Era solo una schiava e un capriccio. E poi ci eravamo conosciuti da poco, non mi interessava cosa avessi fatto con le altre prima di me.”
“E adesso cosa cambia. Mnn?! Cosa?!” Ivar alzò le braccia, lasciandole il collo libero e fece qualche passo indietro mettendosi le mani sui fianchi in attesa di una risposta.
Helea si massaggiò il collo, ma non aveva paura di Ivar da molto tempo. “Cambia, che lei è una principessa! Per la barba di Odino, ancora non te ne rendi conto? Pensavo di valere qualcosa per te. Non un’altra di quelle donne usa e getta di poco conto!”
Ivar spalancò la bocca incredulo “Tu SEI di valore per me.” Chiuse gli occhi per riprendere il controllo di sé e abbassò il tono di voce avvicinandosi a lei.
“Se lo fossi davvero, quel bacio non doveva esserci.” Fece un passo indietro e Ivar si fermò.
“È stato un momento di debolezza.” Scuoteva la testa e si massaggiò la fronte chiudendo gli occhi e riaprendoli. Non sapeva neanche lui cosa fosse successo. Portò di nuovo la mano sul fianco e guardava basso, incerto.
“Oh, quindi quando sarai debole e apparirà lei, perché sarà così, tutte le volte che soffrirai apparirà lei che aspetta in agguato per colpire, e finirete a letto insieme, tutte le volte, perché è quel che ci vuole per risollevare l’umore a Ivar sez’ossa.” SI percepì un tono ironico nella voce e Helea scosse la testa incredula. “Stolto. Nel frattempo ti userà e si vanterà di te.” Parlava gesticolando e agitando l’ascia come avvertenza.
“È questo quello che pensi di lei? Non la conosci nemmeno.”
“Da quel che mi risulta non la conosci nemmeno tu. Però a differenza di te, so cosa passa per la testa di una donna, specialmente con quei vestiti. Tutta d’oro e fintamente preziosa.”
Ivar sogghignò divertito. “Ho visto giusto. Sei gelosa?” avanzò di nuovo.
Lei di risposta fece un passo indietro, contro voglia.
“Pensa a quello che ti pare. Ma non voglio che ti capiti qualcosa di brutto. Ho cercato di aiutarti a vedere te stesso per quello che sei.”
“Uno storpio.” Rise e si passò la lingua tra denti e il labbro inferiore.
“Sei proprio testardo. E sono stanca di dovertelo dire. Non ti servono le gambe per essere quello che sei. Se gli déi te le hanno tolte è perché sono un pagamento per il dono che ti hanno dato. Ma sei così cieco che non riesci neanche a capirlo se qualcuno te lo spiega.”
“Cieco e storpio, che bell’accostamento eh?” ghignò Ivar.
“Solo tu ti vedi storpio. Io vedevo un ragazzo diverso, fuori dagli schemi. Ma non per la tua malformazione. Ho apprezzato e poi amato quella persona irriverente e spontanea e…. vera. Ti amo Ivar Lothbrok. Ti amo con tutti i pregi e i difetti. E se le persone hanno paura di te o ti sottovalutano o ti allontanano perché hai ucciso tuo fratello o per qualsiasi altro motivo ti sentirai solo, ricordati di chi è stato al tuo fianco e che ha creduto in te e visto in te qualcosa che nemmeno tu vedi. Perché solo allora capirai di averla persa per una principessa.. perché a me non interessava il tuo titolo o il tuo nome. Volevo farti capire chi eri. Ricordi ciò che ti avevo detto? In quelle frasi incomprensibili per te? Sarò tua quando non sarai Ivar figlio di Ragnar, ma Ivar Lothbrok. Ivar Senz’ossa. Perché tu potessi realizzarti e accettarti per quello che sei.” Ivar era sorpreso e rimase a bocca aperta. Mai si era confessata a lui in modo così libero e esplicito.
“E se gli dei vogliono quella… principessa per te, allora che sia fatta la volontà degli dei.”
“Non starai dicendo sul serio spero. Nessuna può sostituirti e…” si avvicinò veloce e le prese la mano libera dall’ascia, la destra. “…un bacio che sarà mai?”
“Ivar, anche se per te può non significare nulla, ricordati che per una donna è una risposta a una domanda che non ti ha fatto. Te la ritroverai spesso tra i piedi, ma ti prego, rimani libero.”
Helea ripose l’ascia al suo fianco e tolse la mano da quella di Ivar.
“Helea…” le prese la sinistra e questa volta le tenne stretta la mano e con l’altra le carezzò il viso guardandola con uno stato di malessere interiore. “…Sai che non riesco a esprime i buoni sentimenti ma esternare solo quelli.. burberi.” Ridacchiò con gli occhi lucidi. “Non voglio rinunciare a te. Anche se bacerò milioni di donne, o finirò a letto con loro, non saranno te.” Prese fiato per non piangere davanti a lei. “Non puoi immaginare l’accrescimento del mio desiderio di poter camminare, da quando ho passato il primo momento con te. Per poter passeggiare con te, prenderti la mano, vederti negli occhi come adesso, in piedi. Litigare come stasera.” Ridacchiò nervoso e impaurito, passandosi leggermente la lingua sul labbro inferiore, con sguardo basso, per poi guardarla negli occhi. “Le stampelle erano il primo passo per sentirmi più vicino agli altri, ma i momenti che ci sono stati prima, sei stata tu a non farmeli pesare troppo. E ora, pensandoci, posso dire che sei stata tu a farmi camminare. In tutti i sensi possibili.” La guardò speranzoso e impaurito.
“Hai un destino amaro Ivar. Non avevi bisogno delle gambe per stare con me. Mi piaceva strisciare con te, perché eri a stretto contatto con la terra e la natura e riuscivo a capire meglio il tuo punto di vista. E a proposito di vista, avevi una visuale importante dal basso, perché alzavi la testa per vedere e affrontare con coraggio la realtà. Solo questo ti rendeva superiore agli altri capaci solo di guardare dall’alto in basso. Però…” Tolse le mani del ragazzo dal viso. “Tu non lo hai mai voluto vedere. E ora, credo di capire come si è sentita Lagertha quando Ragnar l’ha tradita. Ricordo ancora gli sguardi persi di tuo padre. Non ha mai smesso di amarla ma Lagertha si è sentita offesa e umiliata, come mi sento io adesso. Perché per me l’amore è importante, ma forse per te è troppo grande.”
Tolse le mani dalle sue. “Per te sarà stato solo un bacio, ma per me è come se ci fossi stato a letto. Ti prego di rispettare la mia decisione.”
“Ti prego, ripensaci.”
“Non sono io che ho baciato un’altra donna.”
“Hai sempre detto che c’è una soluzione in qualsiasi cosa, perché con l’amore dovrebbe essere differente?”
“Perché l’amore è l’eccezione in tutto. È così grande e forte che ha una legge solo per sé.”
“Quale?”
“Non lo capisci? Amare e non tradire.” La voce di Helea era sempre più calma e si mutò in tristezza.
“Ti amavo, Ivar Lothbrok.” Concluse Helea sentendosi più libera con sé stessa e con i suoi sentimenti. Infine, appoggiò la mano sul torace di lui, ma Ivar fraintese il gesto e appoggiò la mano sulla sua trattenendo le lacrime e serrando la mascella.
“Non è il momento più opportuno, ma mi sento obbligata di dirti: te lo avevo detto.”
Gli lasciò la moneta d’argento.
Ivar lo prese e lo guardò. “Cos’è?” chiese con voce straziata, schiarendosi la voce.
“Una moneta con il profilo del figlio di Re Ecbert.”
“C’è una guerra in atto e loro pensano a modificare le monete? Buon per noi. Li coglieremo di sorpresa e ci prenderemo il loro oro.” Sorrise sforzandosi, alzando lo sguardo e leccandosi le labbra.
“Ivar, se risale davvero a qualche stagione fa, questo vuol dire che prima di morire ha lasciato tutto il Regno e l’eredità a suo figlio. Sai cosa significa questo sulle terre che vi ha dato vero? Il documento firmato.”
Ivar si stava rigirando la moneta tra le dita, alzò lo sguardo senza sorriso e gli si illuminò il viso di rabbia.
“Lo sapevo che dovevamo fare l’aquila di sangue. Lo sapevo e l’ho detto!” Strinse la moneta nel pugno con forza. “Dovevo farlo io! Ma i miei fratelli non mi hanno voluto ascoltare e ora, quella carta è semplice carta! Non vale nulla! Tutti gli sforzi fatti e le perdite subite, per nulla!” Camminò nervoso avanti e indietro e tornò avanti alla ragazza. Strinse con forza la moneta e la lanciò per terra, mettendoci sopra il piede. “Giuro che gliela farò pagare, a suo figlio e a tutti i suoi alleati.”
Helea sogghignò, ritrovando la persona che amava. Però dovette negarlo, non se la sentiva di rinnegare le sue parole e per adesso nemmeno di tornare sui suoi passi.
“Io vado a casa, Ivar. Sappi che potrai continuare a contare su di me.”
“E allora resta.” Le prese il braccio.
Lo guardò. “Mi sono sfogata abbastanza, grazie. Quando vorrò prenderti ancora a calci in culo so dove trovarti.”
Ivar ridacchiò. “Ed è per questo che amerò solo te.” Si passò il dorso della mano sulle labbra, pulendosi la bocca dalla contaminazione.
“Allora lasciami i miei spazi e lasciami andare. Probabilmente abbiamo da pensare tutti e due.”
Ivar non volle lasciarla andare. “Non ho bisogno di pensarci, so quello che voglio.” La attirò a sé baciandola intensamente, amando quelle labbra morbide così come se le ricordava, passando l’altra mano tra i capelli mossi. “Se un bacio significa andarci a letto, allora preferisco farlo con te. Per davvero.” Le sussurrò a fior di labbra, fronte contro fronte e rimasero in silenzio così. Il cuore di Helea galoppava veloce imporporandole il viso, ma voleva fuggire via da quel dolore. Aveva appoggiato la mano libera sul petto di Ivar durante il bacio, volendo e non volendo respingerlo via. Passarono secondi interminabili prima che Ivar esaudisse il suo desiderio e le lasciò il braccio.
“Sappi che non ti lascerò andare così facilmente. Non sono mio padre, e combatterò per averti di nuovo al mio fianco. Puoi star certa che lo farò e questo bacio è una promessa, non solo una dimostrazione.”
“Oh, lo so che lo farai. Ma non puoi fuggire dalla volontà degli dèi.” Helea abbozzò un sorriso amaro e si allontanò da lui prima che la lacrima le rigasse il viso.
“Non temo la loro ira!” le urlò.
“Dovresti.” Rispose ad alta voce prima di svoltare una curva.
Percorse una strada un po’ lunga, doveva abituarsi all’espansione di Kattegat e a tutte le strade nuove, un buon modo anche per schiarirsi le idee.
Tornata a casa, si asciugò le lacrime ripetendosi di non mostrare più a nessuno le sue debolezze e cercò di soffocare quell’amore che aveva nutrito per Ivar. Se già si sentiva tradita da un bacio, come poteva stare con Ivar, che stava incrementando la sua fama e il suo potere e le donne si sarebbero accerchiate attorno a lui?
Forse doveva combattere per lui, così come lui avrebbe fatto per lei. O forse sarebbero scappate dalla paura vedendo la vera natura di Ivar e non serviva porre sforzi. Di una cosa era certa: non voleva pensarci quella sera. Aveva la testa piena di informazioni, eventi, che le rimbombavano forte nella mente e per il dolore se ne andò a dormire nel suo caldo e comodo giaciglio in paglia della sua fattoria.
Fece fatica ad addormentarsi, pensando anche alla moneta. E se fosse solo un monito per distrarli? Se ci fosse stata solo quella moneta in circolazione? Entrambi i fronti avevano subito molte perdite in fatto di uomini ma i cristiani ancora di più in fatto di soldi. E le guerre dovevano essere investite monetariamente. Come potevano permettersi di rifare il conio, con le spese di una guerra in vista? Non aveva senso.
Helea chiuse gli occhi continuando a pensarci, finché non si addormentò senza accorgersene.
Mentre Ivar era rimasto immobile sul posto. Tornando a pensare all’imbroglio di Re Ecbert, tolse il piede dalla moneta e la guardò con astio. “Giuro che mi vendicherò e questo sarà il simbolo e il ricordo della mia vendetta.” Si disse mentre lo raccoglieva e lo stringeva nella mano.
Nell’abbassarsi si guardò le gambe, ingabbiate nella struttura di ferro, e volle vedere se Helea avesse ragione.
Tornò a casa e si affacciò dalla porta. Abbozzò un sorriso nel scoprire che la ragazza bionda non c’era più, stanca di aspettare il suo ritorno.
Tornò ad accasciarsi sulla sedia posta a capotavola, solo e privo di vita, come lo era prima di quel bacio traditore. Rimase seduto a pensare alle parole di Helea, a ciò che era successo, ai momenti passati con lei e all’amore che provava ripensando al suo viso e ai suoi occhi glaciali, mentre girava tra le dita il simbolo della vendetta.
   
 
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