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Autore: Herondale7    24/11/2017    0 recensioni
I magici sono stati sempre temuti ed esiliati sin dalla Ripartizione nel Vecchio Impero. Sabriellen Jacklyn, una giovane ladra, entrerà in questa realtà più grande di lei in uno dei periodi più temuti nel regno dove vive. La guerra tra Neblos e Trule è difatti alle porte, e ciò che resta alla ragazza è fuggire per aiutare la sua famiglia frammentata; per perseguire in questa sua decisione dovrà compiere un gesto molto pericoloso: arruolarsi tra i pirati.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 11

Avrei giurato di essere su una barchetta in mezzo al mare, ricordavo solo il dolce ondeggiare delle onde e qualche voce che mi suggeriva di riportare dei messaggi. Ricordavo il freddo nelle mani e nelle caviglie, l’umidità dentro le ossa e i lividi delle corde sui polsi. Però appena risvegliata sentivo il sapore sporco di una benda, o un fazzoletto messo tra i denti per non farmi parlare. Kasim non ne aveva uno.
Ero abbastanza stordita e ritrovarmi in un posto ancora più umido e scomodo… non era tra le mie priorità. C’era corrente e sentivo freddo, perciò presi a tremare. Qualcuno si era mosso verso di me, aveva chiamato il mio nome, prendendomi leggermente a schiaffi per farmi rinvenire, ma ero troppo debole e sfinita per aprire gli occhi, come se qualcuno mi avesse prosciugata.
“Sabriel, svegliati dai, non dovresti dormire ancora, mi sto preoccupando.” Ci fu una piccola pausa poi riprese. “Avanti Briel, devi alzarti.”
Immaginavo, quasi ancora sognando, che quelle parole venissero pronunciate con un tono di voce femminile, non potevo sapere se fosse la voce mia madre, erano passati troppi anni per ricordare il dolce suono dei miei genitori. Eppure per quanto quelle richieste mi sembrarono reali, qualcosa non quadrava. Dopo vari secondi iniziai a sentirmi addosso i dolori che percepivo prima di quel cambiamento di luogo, la voce si fece più distinta mentre acquisiva un tono decisamente più noto.
“Non posso lasciare che tu svenga di nuovo, apri gli occhi dai!”
“Non è ancora arrivato il giorno in cui mi libererò di te, non è vero Bellamy?” erano parole pronunciate con poco più di un sussurro, ma questo bastò al giovane Capitano per scoppiare in una risata, un po’ dettata dal nervosismo e un po’ sincera. Quando aprii gli occhi vidi per prima cosa il buio e quando mi abituai, scoprii che eravamo circondati da sbarre; ero sdraiata per terra con Bellamy che mi teneva il capo.
“Da quanto tempo non aprivo gli occhi? Che è successo?” le mie domande smorzarono l’aria quasi di spensieratezza che si era venuta a creare. Intorno a noi calava pesante la realtà.
“Sono venuto per salvarti.”
“E allora perché siamo in una cella?” dissi confusa.
“Perché tu ti sei autoproclamata strega ricercata nel momento stesso in cui hai lasciato che vedessero il marchio. Kasim si sta intrattenendo con il comandante di questa nave da quattro soldi, starà discutendo il suo compenso per averci consegnati vivi alla corona in questo esatto momento, mentre noi siamo nelle celle della stiva. Due dei miei sono stati gettati in mare, suppongo siano morti, d’altronde ti ho chiesto io di riferire a Demien di levare l‘ancora…” Il suo tono di voce peggiorava da una leggera ironia a una tristezza infinita per tutto il suo monologo, così non risposi subito.
Non sapevo cosa dire, tutto ciò era assurdo. Io ero salita su quella nave come una semplice ragazza, e ne ero scesa con un sequestro di persona per poi star per essere trascinata esattamente dove non volevo essere: al cospetto del re Julio e della regina Flarien di Neblos. Tutto ciò per combattere una guerra che volevo evitare, una guerra che era, ironia della sorte, il motivo per cui ero immischiata nel giro della pirateria, ovvero per non essere arruolata nell’esercito. Essere lasciata in pace era chiedere troppo?
“Non avrei mai voluto che venisse ucciso qualcuno così, senza motivo.” Sospirai. “Quando hai saputo che c’era una taglia sul mio nome?”
“Ieri mattina, poco prima di osservare le mappe.” Sorrisi, il mio piano era andato a buon fine allora, c’ero riuscita a lanciare l’incantesimo.
“È per questo che sei venuto a cercarmi nonostante tutto?” Esitai nel pronunciare quelle parole, stringendomi un po’ di più su me stessa.
“Non ti ho cercato per rivenderti al miglior offerente, non vorrei mai e poi mai dover fare una cosa del genere, quante volte te lo devo ripetere? Io non sono quel verme di Kasim, voglio solo il tuo sostegno.” Mi guardò con la tenerezza negli occhi. Decisi di credergli.
“Lo hai, anche se ora come ora sono davvero inutile, non sono capace nemmeno di tenere un braccio sollevato per più di tre secondi. Le corde che mi stringono sono intrise di qualche sostanza schifosa e hanno risucchiato tutte le mie energie magiche. Essendo diventata una strega non è che io viva di molto altro, la magia la ho nel sangue. Ancora una volta, grazie Kasim.” Mi risollevai un po’ poggiando la schiena sulle gambe di Bellamy.
Sentii un rumore di chiavi tintinnanti e metallo stridente, dopo qualche secondo vidi qualcuno avvicinarsi per sollevarmi da terra con due mani robuste e salde e trascinarmi. A nulla valsero le proteste di Bellamy che era stato richiuso dentro con tanto di doppia mandata.
Cercai quantomeno di essere più utile di un semplice peso morto, tentando di memorizzare la strada. Salimmo delle scale, due rampe, e poi andammo dritto per una ventina di metri, altre scale, una sola rampa. Destra e sinistra, altre due rampe ed eravamo già sul ponte.
La nave aveva due alberi e un ponte spazioso, ma pieno di scatole di legno robusto, varie funi erano arrotolate sopra quest’ultime. C’erano delle cassette con del cibo, passando agguantai un tozzo di pane, ancora morbido, e lo infilai nelle tasche. Feci lo stesso con un coltello che preferii infilare negli stivali, facendo finta di inciampare dalla stanchezza. La persona che mi scortava mugolò qualche imprecazione e poi mi condusse in una stanza, con buona probabilità la cabina del Capitano.
Stropicciai gli occhi, non abituata a tutta quella luce, poi venni spintonata verso una sedia dove fui costretta a sedermi. Tutto in quella stanza sembrava immensamente costoso… le rifiniture delle pareti, il tavolo di legno levigato e persino i candelieri laccati, sembravano fatti d’oro. I mobili erano di legno, forse pesco, per via della tonalità leggermente rosata. C’erano persino delle tazze di thè e alcuni biscotti in un vassoio di fronte a me. Decisamente diversa dalla cabina di Bellamy.
Nonostante l’ambiente fosse bellissimo, quasi da non farmi pensare ad altro, iniziai a sentirmi fuori luogo con i miei vestiti lacerati, le corde che mi legavano e i capelli decisamente in disordine; senza contare che non mi lavavo in modo decente da una settimana ed ero stata rapita due volte in quattro giorni. Non ero di certo uno splendore alla vista.
Entrò un uomo, dopo vari minuti, con la divisa blu e un montone rosso porpora, costellato di quelli che credevo fossero distintivi di merito. Era sulla quarantina, un’espressione guardinga si scorgeva nel suo volto, mentre il suo passo era lento.
“Vedo che non avete toccato il thè, non è di vostro gradimento, signorina Jacklyn? Se volete posso chiedere che vi venga portato qualcosa di più… nutriente? Dolce?” lo sconosciuto prese posto di fronte a me e rimase ad attendere una mia risposta per vari secondi.
Quando capì che non avrei detto nulla riprese. “Il mio nome è Ark Rowell, ma chiamatemi pure Ark. Sa, i miei diretti superiori, il re Julio e la regina Flarien, sono ansiosi di incontrare una persona di eccezione come lei. Si starà chiedendo perché non l’ho ancora liberata… le chiedo gentilmente di farlo da sola, il coltello nei suoi stivali sporge un po’ e non vorrei che lei si facesse del male sotto la mia supervisione.”
Mi arresi all’evidenza e sfilai l’arma, tagliando via le corde e il bavaglio ancora appeso al collo, poggiando tutto sul tavolo. “Non ho nulla di speciale, solo un tatuaggio particolare sul braccio e tanto sarcasmo, oltre a una buona qualifica come ladra di mestiere.” Sospirai, ancora fiacca. “La prego, se proprio avete intenzione di usarmi come arma di distruzione di massa lasciate che vi dica una cosa: la magia fa perdere il senno, chissà se dovessi ferire i vostri uomini invece che i soldati di Trule.”
“Chissà invece cosa ne penserebbero i suoi familiari, perché credo che lei abbia intuito cosa succederà ora che sappiamo il suo nome; non sarà difficile scoprire dove abitano i suoi genitori.”
“Disgraziatamente sono morti, ma può sempre cercare tra le ceneri di qualche palazzo bruciato o in rovina presso Qraco, sono certa che collaborerò in cambio di un mucchietto di polveri.” Sorrisi amara.
“Capisco… tuttavia posso proporle un patto. Lei assolda dei maghi e li addestra, e noi le offriremo più di quanto la pirateria potrà mai darle, qualsiasi cosa lei desideri.”
Iniziai a rimuginare su quanto potessi approfittare di quest’offerta, e alla fine qualcosa che ne poteva valere la pena c’era, qualcosa che secondo le favole che raccontavo a Tori faceva parte della collezione delle armi più potenti. Un oggetto mistico citato nei centenari delle Storie dei Maghi e delle Streghe.
“E se il desiderassi qualcosa che si trova nel forziere della famiglia reale di Neblos?”
“Qualcosa tipo?”
“Il diario di Lexanneu Jacklyn. Ark, so per certo che lo ha.”
L’uomo si fece scuro in volto, ammettendo così che si trovava in mano alla corona da secoli. E la parte triste fu che nessuno lo aveva cercato, perché nessuno crede più alle favole, ci si disillude, quando invece è tutto ciò che c’è di più reale. Era l’unica cosa per cui ero certa di poter barattare il mio aiuto.
“Se lo otterrò e lei cancellerà alcuni nomi dai ricercati potrei considerare l’offerta.” Ci furono alcuni istanti di silenzio durante i quali pensai di essere stata una sciocca a pretendere così tanto, e pensai anche di dover ritrovare la mia lealtà, appena persa in un luogo non meglio definito tra sotto il tavolo e il mobile con lo specchio visto nella camera accanto.
“Devo discuterne con la corona, ma intanto sarei curioso di sapere i nomi dei pirati da graziare.”
“Bellamy Silver, Demien Masaru e Newt Gramien sono i primi, ma la lista finisce laddove finisce l’equipaggio della Savior.”
L’uomo rise di gusto, tenendosi con una mano la pancia. “Nessuno sano di mente lascerebbe andare una ventina dei pirati più conosciuti e un tesoro prezioso in cambio di quattro illusioni in guerra! Senza contare che per quanto si possa ripulire la loro taglia, hanno ormai una certa reputazione e alla prima occasione ci sputerebbero nel piatto! Deve ricordarsi, mia cara strega, che un pirata non cambierà mai, resterà sempre un pirata.”
Improvvisamente smise di ridere, e capii le sue ragioni, di sicuro era il classico ammiraglio che aveva passato la vita a lottare contro la pirateria, uno di quelli che ne aveva viste di tutti i colori. Con poche parole mi aveva smosso quel piano folle dalla testa, e non aveva nemmeno considerato che esiste un codice di onore che nessun pirata infrangerebbe.
“Se non c’è modo di trovare un accordo non ho nulla da dirle, Ark.”
“Allora a un’altra vita, Sabriellen Jacklyn.”
Qualche ora dopo mi trovavo in una cabina chiusa dentro, mentre non sapevo nemmeno cosa stesse accadendo a Bellamy. Forse non lo consideravano, o forse gli facevano del male… era tutto un’incognita, mentre sapevo bene dov’era Kasim: da più o meno mezz’ora strillava di voler uscire perché era stato confinato nella stanza accanto la mia. Per quanto si fosse vantato di averci in pugno all’inizio, non gli era andata molto meglio di noi.
Continuai a girare lo sguardo per la camera come facevo oramai da un’infinità di tempo, e alla fine mi sdraiai pure, per poi rendermi conto di un particolare che non avevo ancora notato. Sotto il tavolino che fungeva da divano, qualcuno aveva attaccato una lima, perfetta per rovinare una bella e preziosa serratura come quella della stanza. Avevo ormai memorizzato i turni delle guardie, ne passava una ogni quindici minuti, perciò iniziai a limare prima l’esterno e poi l’interno, sperando di finire prima dell’indomani mattina.
Passò solo un uomo che aprì la stanza e lasciò sul tavolino-divano una ciotola in legno con della zuppa tiepida. Nessun vassoio, nessuna posata. Chiunque avesse lasciato lì la lima sapeva che non avrei ricevuto niente di utile, perché ormai era evidente che c’era qualcuno che mi stava aiutando.
Non mi fidavo ancora così tanto da mandare giù qualsiasi cosa ci fosse in quella scodella, ma decisi quantomeno di dormire, nascondendo la mia piccola speranza formato grattugia tra i vestiti. Tentai di sfruttare quel tempo nonostante tutto. Avevo recuperato le forze abbastanza da azzardare una cosa che andava oltre i miei limiti, ma se c’era riuscito quel fantoccio traditore, ci potevo riuscire io.
Fino al quel momento era stato semplice comandare alle cose di muoversi o di compiere un’azione precisa in un momento preciso, non avevo mai provato a stregare qualcuno, poter invadere la sua mente senza toccare tasti sbagliati. Era magia fuori dalla certezza, la mente umana è infinita, unica per ognuno di noi, non sarebbe stato facile riuscire nel mio intento.
Prima di prendere sonno iniziai a giocherellare con il braccialetto, riuscendo a fargli cambiare colore, facendo diventare la pelle viola nelle striature che componevano il disegno del mio marchio. Volevo ancora ricordare da dove provenivo e cosa mi aveva portata a essere quella che ero.
Quando osservai meglio il suo interno mi ricordai della scritta che c’era. In effetti c’era scritto qualcosa, anche se ormai si leggeva ben poco. Dalle lettere capii che era il nome di Bellamy. Era troppo stretto per lui anche se si era ostinato a tenerlo, evidentemente dovevano averglielo regalato anni prima, quando era un bambino. Con qualche piccolo gesto incisi con la magia il mio nome accanto e riscrissi meglio il suo.
Poi presi a concentrarmi sul serio. Prima di tutto mi figurai in mente Bellamy, alto dieci centimetri in più del mio metro e sessantacinque, capelli neri e ricci, probabilmente poggiati contro una parete o le sbarre della cella, il volto dai lineamenti spigolosi e gli occhi azzurri, non come il mare, ma più chiari come il cielo di primo mattino.
Probabilmente dormiva già perché prima, mentre tentavo di rompere la serratura, era scesa la notte da un pezzo. Quasi immaginavo l’espressione infastidita e un po’ burbera che assumeva quando riposava. E infine immaginavo tutti i suoi modi di pensare, non troppo differenti dai miei. La vita travagliata era più o meno quella.
Tutto sembrò arrivare in automatico dopo. Entrai nel suo sogno, non con violenza, ma con un senso di estraneità. Mi comunicava serenità, freschezza e un po’ di nostalgia.
Alla fine lo vidi in procinto di tuffarsi in un lago un po’ troppo profondo per lui, all’orlo di un attracco per le canoe. Non era il Bellamy adulto che vedevo, ma un bambino di sette anni. Si buttò in acqua, e io provai tutto quello che nel sogno provava lui, prima la sorpresa del freddo, l’acqua era ghiacciata; poi mi colse la consapevolezza di non avere nulla sotto i piedi, infine il terrore.
Quando lo raggiunsi, correndo giù da una collina senza esitazione, era troppo tardi per il bambino, non ero arrivata in tempo per quel Bellamy, era morto dalla paura. Lo scenario cambiò e da una baia al Nord ci ritrovavamo in un parco dell’Est. Era di nuovo lui, maturo e grande; gli andai dietro e poi iniziammo a parlare, come se sapesse che ero già lì.
“Mi sogni spesso?”
“Solo quando sento di non avere più nulla a cui tenere, poi mi ricredo quando ti vedo venire dietro di me, ogni volta in questo parco, sempre più vicino all’estate. Eppure nella realtà stiamo aspettando l’inverno.”
“Tutto è possibile qui, potrei pure dirti che nella realtà ti ho appena tradito, ma sappiamo entrambi che la vera Sabriel non lo farà.” Decisi di prendermi un po’ gioco di lui, fingendo di non essere lì, e ciò che sentii a quelle parole fu amarezza e speranza.
“Spero che lei trovi un modo per farmi uscire di qui, Briel ne è capace, ha salvato i miei uomini a Ember. Potrebbe smuovere le Qracenie se solo volesse, io lo so.” Disse sorridendo e mettendo le mani in tasca.
“Perché il soprannome Briel?”
“Suona bene, ricorda qualcosa di prezioso, ma lei odia essere chiamata così. O meglio, tu lo odi. Però io non sono come Demien, non lo farò se non lo desidera.” Mi avvolse un calore che mi trasmetteva dolcezza.
“Imprimi nella mente questo: Kasim ha avuto in parte quel che si merita, io sto bene, tu starai meglio. Ti giuro che sistemerò tutto…” Poco a poco tutto si dissolse e ritornai in via definitiva nella mia testolina, rendendomi conto che nei miei sogni c’era molta più tristezza, più stanchezza rispetto ai suoi. Mi ripresi in pochi secondi e pensai che era colpa mia tutto quello che stava accadendo, e avrei dovuto trovare un modo per uscirne. E forse lo avevo già avuto sotto il naso da tempo: avrei dovuto ingannare tutti, tradire tutti.
Fortunatamente in quel tutti riuscii a non far rientrare anche Bellamy.
  
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